degli stati iberici favorì l’istituzione di rapporti commerciali con l’America Latina, diede adito alla
formulazione di una prospettiva mediterranea, favorì inoltre l’inclusione dei paesi lusofoni nelle
Convenzioni di cooperazione. Negli anni ’90 tale schema si allargò ulteriormente fino ad includere
l’Asia e l’Europa dell’Est sulla quale è oggi concentrato un ingente sforzo economico, in vista di
una possibile integrazione dei suoi stati nella Comunità.
Gli Stati sviluppati, attraverso le proprie agenzie di cooperazione allo sviluppo, più che ad atti di
filantropia, si dedicano a coltivare i propri interessi economici e commerciali. Nel caso della
Comunità Europea, agli albori della sua costituzione, oltre che sancire il diritto delle ex colonie allo
sviluppo ed al progresso delle loro strutture economiche, venne instaurato uno stretto rapporto di
interdipendenza che tendeva a proseguire nel tempo lo schema centro-periferia basato sullo scambio
di manufatti per materie prime, che da sempre aveva caratterizzato l’economia mondiale capitalista.
E’ evidente che i due obiettivi sono in netto contrasto tra loro, ed in questa incoerenza di fondo va
probabilmente ricercato uno dei motivi del perpetuarsi del sottosviluppo del terzo mondo. In
particolare la cooperazione europea ha ereditato molto dei rapporti commerciali che in precedenza
Francia e Gran Bretagna seppero instaurare con i territori africani e caraibici da essi controllati.
L’Abbattimento delle barriere tariffarie per alcuni prodotti di base o lo stabilimento di contingenti
di importazione per altri prodotti, la cui esportazione era vitale per le economie di questi territori,
perpetuavano la tradizione di dipendenza delle colonie dalla madrepatria. Il libero ingresso dei
manufatti prodotti nei paesi in via di sviluppo venne parimenti favorito, ma nei fatti, tali prodotti,
ammesso che esistessero realmente, non furono mai in grado di competere con la produzione
europea.
In questa ricerca si è deciso di delineare alcuni tratti di questa complessa problematica,
concentrandoci, in particolare sull’aspetto procedurale e sulle strategie di attuazione della
cooperazione europea, lasciando le elaborazioni teoriche ed i fondamenti dell’economia dello
sviluppo sullo sfondo. Si è deciso di restringere il campo alla sola cooperazione con i cosiddetti
Paesi ACP (Africa, Caraibi, Pacifico), rappresentanti il “nucleo storico” delle relazioni esterne della
Comunità Europea. Parallelamente tratteremo gli aspetti connessi alla cooperazione tecnica e
finanziaria dei Trattati che ne regolano i rapporti. Le relazioni UE-ACP, proprio per questa loro
continuità e tradizione consolidata, meritano di essere analizzate nella loro evoluzione nel tempo
arrivando così a delineare i caratteri della attuale partnership.
La parte più consistente della ricerca è dedicata all’analisi delle attività di cooperazione osservate
dal lato dei paesi beneficiari, cercando di mettere in evidenza il peso che ricoprono nel loro contesto
politico ed economico e l’incidenza della loro messa in opera. Per fare ciò e stato necessario
concentrare l’analisi su di un’area geografica limitata identificando al suo interno due realtà
nazionali affini e peculiari, la cui analisi costituisce il centro di questo lavoro. Un ampio spazio è
stato dedicato all’inquadramento storico politico dei due paesi considerati: Mali e Senegal. Ciò è
stato fatto innanzitutto seguendo un’attitudine personale che imponeva di delineare una realtà poco
conosciuta per potervi innestare, solo successivamente, il tema della cooperazione europea e delle
sue interazioni con l’ambiente sociale culturale politico dei due paesi. Occorre dire subito che
questo obiettivo di grande portata è stato raggiunto in questa sede solo parzialmente. La sua
concreta realizzazione richiederebbe certamente uno studio sul campo e l’applicazione di una
metodologia più rigorosa di quella che, in questa sede, si è potuta impiegare, l’apprendimento della
quale rappresenta uno degli obiettivi ed auspici futuri di chi scrive.
Ringraziamenti
Nella fase di raccolta di materiali e nozioni, dirette alla realizzazione della presente ricerca è stato
utilissimo poter usufruire della documentazione del Centre d’Etude sur l’Afrique Noire (CEAN)
situato presso l’Institut d’Etude Politiques di Bordeaux, dove ho trascorso un periodo di studio
grazie al programma Socrates/Erasmus dell’Unione Europea. Mi è doveroso ringraziare M.me
Maryse Horrereau per la sua assistenza nel corso del mio soggiorno, la Prof. Marie-Emmanuelle
Pommerolle per le utili Conferences de Methode a cui ho preso parte pur non dovendo seguire in
quella sede alcun percorso didattico preciso ed infine il Prof. Bernard Conte per l’utile ed
illuminante seminario di Economia Politica dei Paesi del Sud a cui ho potuto prendere parte.
Al fine di ricercare una documentazione più specifica sulle procedure e le attività di cooperazione
dell’UE, mi sono recato a Bruxelles, presso la Direzione Generale Sviluppo della Commissione
Europea. Vorrei ringraziare M.me Hevia Begona Bravo, Desk Officier del Mali, per la sua grande
disponibilità, per l’attenzione accordatami nonostante le sue molte incombenze e per i suoi
utilissimi suggerimenti riguardo l’impostazione della ricerca. Inoltre ringrazio Alain Herckenrath
della DG Sviluppo e Francoise Louveau, del Servizio Comune (SCR) per avermi aiutato nella
ricerca del materiale.
Per concludere, ringrazio vivamente la Prof. Anna Maria Gentili per l’assistenza accordatami e gli
utili consigli fornitimi durante la lettura del materiale da me redatto.
Note di redazione
ξ Nella dicitura ufficiale delle istituzioni europee ho preferito utilizzare le vecchia sigla CEE
(Comunità Economica Europea) nel caso in cui tale utilizzo fosse contestuale a fatti avvenuti
prima del Trattato di Maastricht, atto ufficiale di fondazione dell’Unione Europea. Per i fatti
successivi ho quindi utilizzato la sigla UE (Unione Europea) più inclusiva della comunque
corretta sigla CE (Comunità Europea) che ha carattere restrittivo e si riferisce esclusivamente al
trattato istitutivo di Roma 1957, escludendo gli sviluppi successivi della cooperazione politica
(ad es. la Politica Estera e di Sicurezza Comune). Lo stesso criterio e stato seguito nella
denominazione dell’unità di conto europea Ecu/Euro.
ξ Nella trascrizione dei nomi propri e di località africani ho preferito mantenere la dicitura
francese in quanto essa è ancora universalmente utilizzata ed accettata presso i due paesi
analizzati. Ad esempio, alla traslitterazione italiana Timbuctu, Segù, Tuculor, Diuf, Turé, ho
preferito mantenere quella francese: Tombouctou, Ségou, Toucouleur, Diouf, Touré.
ξ Un altro problema si è posto nel caso di sigle ed acronimi. In questo caso non è stata seguita una
regola generale. Si è preferito mantenere nella forma italiana sigle di utilizzo diffuso come
OCSE, FES, OMC, per altre ho mantenuto la trascrizione francese o inglese: CAD, UEMOA,
ECOWAS, in particolare nomi e sigle di istituzioni maliane e senegalesi, come ad esesmpio i
partiti, sono state mantenute nella loro forma francese, correntemente usata.
PARTE PRIMA.
L’UNIONE EUROPEA E LA SUA STRATEGIA
DI COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO.
1) La prospettiva europea.
1.1) L’Unione Europea di fronte agli altri attori dello sviluppo .
Fin dagli anni dal 1961, la cooperazione europea fa parte a pieno titolo di un più vasto sistema che
unisce in unica struttura consultiva la quasi totalità delle agenzie governative internazionali.
Rappresentando queste ultime i governi delle più ricche nazioni del pianeta, tale coordinamento,
chiamato Development Assistance Commitee (DAC), è posto sotto l’egida dell’Organizzazione per
la Cooperazione e lo Sviluppo Economico e ne fa parte integrante
1
. Il ruolo del DAC è quello di
favorire lo sviluppo dei paesi più poveri e non appartenenti a tale organizzazione, attraverso un
sostegno finanziario coordinato, integrato, effettivo ed adeguato di tale processo
2
. L’appartenenza al
comitato presuppone una condivisine dei valori di fondo che muovono le azioni di aiuto. Prima
della fine dei regimi socialisti, questi valori erano riassunti nell’appartenenza al blocco occidentale
e nella conseguente aderenza ai principi liberaldemocratici. Oggi questa uniformità di pensiero
viene ancora ribadita e può essere rintracciata nella sostanziale adesione, da parte dei paesi membri,
alle politiche di sviluppo enunciate dalle istituzioni di Bretton Woods alle quali, non senza
distinguo, viene attribuita una funzione guida. Le attività del comitato sono orientate, in particolare,
alla raccolta statistica dei dati sullo sviluppo, il monitoraggio dei flussi finanziari, sia dal punto di
vista dell’esborso dei paesi donatori che da quello della ricezione di tali flussi nei paesi in via di
sviluppo. Nonostante i metodi di raccolta dei dati spesso differiscano da quelli di altre istituzioni, i
dati relativi agli Aiuti Pubblici allo Sviluppo (ODA) sono universalmente accettati come un
indicatore fondamentale dell’ammontare dei flussi finanziari ufficiali diretti ai paesi poveri
3
.
1
I paesi membri del DAC sono 22 (esclusa l’UE). I fondatori nel 1961 sono Germania, Belgio, Canada, Francia, Italia,
Giappone, Paesi Bassi, Portogallo (ritiratosi dal 1975 al 1991), Gran Bretagna, Stati Uniti; successivamente hanno
aderito Norvegia (1962), Danimarca (1963), Svezia (1965), Austria (1965), Australia (1966), Svizzera (1968), Nuova
Zelanda (1973), Finlandia (1975), Irlanda (1985), Spagna (1991), Lussemburgo (1992), Grecia (1999).
2
L’attività del DAC consiste in una frequente serie di incontri tra i delegati dei paesi membri residenti presso la sua
sede di Parigi. E’ programmato, inoltre, un incontro annuale tra alti dirigenti delle agenzie di sviluppo durante il quale si
rende conto delle attività svolte e si dibattono le principali issues politiche. Sono previsti anche incontri ad alto livello di
Ministri o capi di agenzia. L’organizzazione del lavoro è basata su un basso livello di strutturazione, la ripartizione
settoriale in gruppi di lavoro, di esperti, task forces temporanee o scambi informali.
3
Il CAD effettua una distinzione tra Official Development Aid (ODA), che indica aiuti e prestiti diretti ai paesi in via di
sviluppo e Official Aid (OA) diretto ai cosiddetti “paesi in transizione” (Europa centro orientale, ex URSS, Brasile,
Thailandia, ecc..). Nelle statistiche europee questa distinzione non viene fatta, ciò causa alcune incongruenze statistiche
sull’ammontare reale dell’aiuto europeo.
Mali e Senegal: gli interventi del Fondo Europeo di Sviluppo – Capitolo 1
Tra tutti i membri del DAC L’Unione Europea è, senza dubbio, quella più atipica. E’ l’unica
organizzazione sovranazionale rappresentata ed è una diretta emanazione degli Stati che la
compongono, anch’essi appartenenti al comitato e dunque rappresentati, sia nella loro forma
aggregata, che nell’espressione delle loro autonomie sovrane. La consistenza finanziaria degli aiuti
provenienti dall’Europa è imponente, L’Unione Europea, nella sua forma aggregata, cioè tenendo
conto della cooperazione multilaterale e bilaterale di tutti gli Stati membri, è di gran lunga il primo
donatore internazionale. Se poi consideriamo i soli contributi destinati dai paesi membri alla
cooperazione multilaterale il volume finanziario della Commissione Europea si situa, da vari anni,
al quinto posto assoluto, dietro a Giappone, Francia, Stati Uniti e Germania.
La tendenza attuale, nel volume complessivo degli aiuti, va verso una leggera flessione; mentre nel
1995 si erano impiegati globalmente 58926 milioni di $, nel 1997 si è registrato un esborso totale
di 52222 milioni di $, il 6 % in meno. Nonostante la gran parte di questo calo sia da attribuire al
sensibile flessione degli aiuti giapponesi ( -34,85% nel biennio 1995-96, salvo poi guadagnare un
9% nell’anno successivo), la tendenza al ribasso è confermata anche dai paesi membri dell’UE.
L’ammontare complessivo degli aiuti provenienti dagli Stati europei (compreso quello gestito
direttamente dalla Commissione) è passato dai 31358 milioni $ del 1995 ai 29356 milioni $ del
1997, ma la quota relativa da essi impegnata è aumentata dal 53,21% dell’ODA complessivo nel
1995 al 56, 21% nel 1997. Il Giappone, il quale ha destinato nel 1997 lo 0,22% del proprio PIL alla
cooperazione allo sviluppo, rimane il primo donatore internazionale (19,81% dell’ODA), seguito
dalla Francia (13,64% dell’ODA; 0,45% del PIL), dagli Stati Uniti (12,91% dell’ODA con
solamente 0,09% del proprio PIL impegnato) e Germania (12,84% dell’ODA; 0,28% del PIL).
Come detto, l’UE gestisce direttamente l’11,08% del PIL dell’ODA complessivo, vale a dire, il
19,72% della somma degli aiuti elargiti dai suoi stati membri
4
.
Partendo dai fattori che accomunano l’Unione Europea ai maggiori donatori bilaterali, che è
possibile sintetizzare nell’adesione all’ordine mondiale rappresentato dal comitato DAC dell’OCSE
e dalle altre istituzioni internazionali, è ora più proficuo tratteggiare le grandi peculiarità che la
caratterizzano e la allontanano dagli altri soggetti, attribuendole un ruolo sicuramente originale ed
4
Le stime sui flussi ODA, recentemente pubblicate su Internet (www.ocde.org/dac/htm/hlm2000stats.htm), per gli anni
1998 e 1999, hanno messo in luce una inversione di tendenza per rapporto all’ODA complessivo, che nel 1999 è risalito
a 55993 milioni di $. Ciò è dovuto in gran parte alla nuova espansione degli aiuti giapponesi che nello stesso anno, una
volta assorbito il colpo della crisi finanziaria che ha investito l’estremo oriente a metà degli anni ’90, hanno raggiunto i
15302 milioni di $. Per quanto riguarda i paesi europei, i loro esborsi non si pongono conseguentemente a questa nuova
espansione, confermando una certa tendenza alla contrazione. La cifra aggregata degli aiuti europei è di 26376 milioni
di $ per il 1999, essi perdono così un altro 10,15% rispetto alla cifra del 1997. Gran parte di questo calo è da attribuirsi
Mali e Senegal: gli interventi del Fondo Europeo di Sviluppo – Capitolo 1
unico nelle relazioni internazionali in generale e nella cooperazione allo sviluppo in particolare.
Innanzi tutto, l’essere stesso dell’Unione, a metà strada tra un’organizzazione intergovernativa ed
una organizzazione sovrana “quasi federale”, le fa assumere una approccio filosofico ibrido rispetto
a ciò che è cooperazione.
Giappone 10347
Francia 7124
Stati Uniti 6744
Germania 6707
Paesi Bassi 3335
Regno Unito 3187
Canada 2065
Svezia 1946
Danimarca 1832
Spagna 1395
Norvegia 1388
Italia 1361
Australia 1097
Svizzera 1067
Belgio 869
Austria 599
Finlandia 423
Portogallo 277
Irlanda 194
Nuova Zelanda 158
Lussemburgo 107
UE
1
5790
Distribuzione degli Aiuti Pubblici allo Sviluppo nel 1997
0 2000 4000 6000 8000 10000 12000
Giappone
Francia
Stati Uniti
Germania
Paesi Bassi
Regno Unito
Canada
Svezia
Danimarca
Spagna
Norvegia
It lia
Australia
Svizzera
Belgio
Austria
Finlandia
Portogallo
Irl nda
Nuova Zelanda
Lussemburgo
UE1
milioni di $
Figura 1: Distribuzione dell'APS nel 1997 in milioni di $
5
1) l’ammontare dell’UE si riferisce alla somma delle quote stanziate da ciascun Stato Membro a favore della
cooperazione europea, già incluse, nel grafico, nelle rispettive dotazioni finanziarie.
al processo di riorientamento degli aiuti verso i paesi dell’Europa Orientale e dell’ex URSS, i quali, come detto, non
sono intesi, nella classificazione OCSE, come paesi in via di sviluppo e, di conseguenza, esclusi dalla contabilità ODA.
5
Dati OCSE
Mali e Senegal: gli interventi del Fondo Europeo di Sviluppo – Capitolo 1
In linea generale, dal dopoguerra ad oggi, è possibile giustificare la cooperazione bilaterale come un
esercizio di politica estera che gli Stati più sviluppati del mondo hanno messo in atto, al tramonto
del epoca coloniale, per garantirsi una certa influenza ed una serie di circoli diplomatici ed
economici “virtuosi” con i territori di nuova indipendenza, non più sotto il loro diretto controllo. Il
paradigma di ciò può essere agevolmente rappresentato dalla politica estera francese a partire dagli
anni ‘60
6
ma, non senza le dovute differenze, il discorso può essere allargato ad altri: gli Stati Uniti
(in America Latina, e non solo), ed anche i maggiori paesi socialisti come URSS e Cina.
Parallelamente, sul versante multilaterale, il progredire delle tecniche di rilevamento delle
grandezze macroeconomiche e di contabilità nazionale da un lato, e lo sviluppo di indicatori
politico-sociali, elaborati da un consistente gruppo di economisti provenienti dai paesi in via di
sviluppo ed operanti nelle maggiori organizzazioni internazionali
7
, hanno favorito l’affermarsi,
presso tali istituzioni (Banca Mondiale ma anche e soprattutto le agenzie specializzate delle Nazioni
Unite: UNDP, OMS, FAO, ILO, UNICEF, UNESCO, ecc.), della priorità dello sviluppo
8
. Tali
dinamiche hanno condotto alla formazione di un diverso approccio al problema, basato, più che
sulla opportunità politica, sulla diffusione di un maggiore rigore economico atto a misurare,
monitorare e favorire l’avanzamento dei paesi più poveri.
Rispetto a queste due tendenze, contrapposte ma spesso compenetratesi l’una con l’altra, l’Europa si
pone nel mezzo. Fin dal Trattato di Roma del 1957 la promozione dello sviluppo fa parte dei suoi
precetti, successivamente la formulazione di concrete strategie di azione è stata direttamente
mutuata da quelle degli Stati Membri, in particolare della Francia, da cui deriva il grosso
dell’elaborazione teorica e culturale. La convenzione di Yaoundé, prima forma di trattato di
cooperazione stipulato tra la Comunità Europea ed un gruppo di 18 paesi africani e malgasci
associati (EAMA), fu una indiretta emanazione della politica estera francese e recepita dalle giovani
istituzioni comuni, diretta all’adozione di un approccio del tutto simile a quello della sua
cooperazione bilaterale. L’attività diplomatica francese andava nel senso di mantenere la propria
influenza sulle ex colonie, nucleo portante dei paesi EAMA, condividendo al tempo stesso, con i
paesi CEE, il costo finanziario di tale operazione, non più sostenibile da lei sola nel nuovo contesto
6
Per un analisi più diffusa di questo aspetto vedi Parte II, par. 1.3.
7
E’ possibile distinguere due correnti complementari che hanno impresso vitalità al processo. Da un lato gli economisti
“desarollisti” o “dipendentisti” come Prebish, Cardoso, Faletto di origine sudamericana, operanti presso il CEPAL
(Commissione Economica dell’ONU per l’America Latina), dall’altro lato la cosiddetta “Scuola del Bengala” il cui
esponente di punta è l’economista indiano Amarthya Sen, responsabile della prima concezione dell’Indicatore di
Sviluppo Umano oggi cardine dei rapporti redatti presso Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP).
Mali e Senegal: gli interventi del Fondo Europeo di Sviluppo – Capitolo 1
economico del dopoguerra. L’opposizione non mancò tra gli Stati membri, in particolare Germania
e Olanda, che da molti decenni non esercitavano nessuna influenza sul continente africano e
consideravano superfluo un impegno in tale area del mondo, ma non avevano ancora il peso politico
sufficiente per opporsi al progetto francese
9
.
Nonostante il debito di parentela che l’Europa ha con le politica estera francese, sarebbe sbagliato
considerarne la cooperazione come una sua diretta emanazione senza nessuna originalità, essa
possiede infatti alcune altre caratteristiche che la accomunano maggiormente alle altre agenzie
multilaterali. In primo luogo, l’equilibrio tra economico e politico presente nelle politiche europee è
sempre stato sensibilmente spostato verso il lato economico. Ciò è da ricondursi all’essenza stessa
della costruzione europea, nella quale le esigenze di integrazione economica sono state espresse
molto prima rispetto a quelle di una maggiore integrazione politica, tutt’oggi ancora ben lungi dal
compiersi. Per ciò che attiene alla cooperazione europea, i trattati succedutesi nel tempo, regolanti i
rapporti tra la Comunità ed un gruppo sempre più consistente di paesi in via di sviluppo, sono stati
basati su una serie di previsioni finanziarie e commerciali che regolavano gli scambi tra essi, in
vista di favorire il progresso ed il benessere degli ultimi, senza nessuna apparente discriminazione
basata sui regimi politici e sul conseguente schieramento nel contesto politico internazionale. Molti
paesi che, una volta acceduti all’indipendenza avevano optato per forme di governo socialiste,
hanno potuto comunque godere del sostegno finanziario e di tariffe preferenziali sul mercato
europeo
10
.
Questa tendenza per lo più presente in una prima fase, è andata mano a mano attenuandosi con la
redazione dei successivi accordi, facendo rientrare alcune considerazioni di carattere più politico fra
preoccupazioni della Comunità. Le cosiddette “condizionalità politiche” ed in particolare, temi
come la salvaguardia dei diritti umani, sono gradualmente subentrate tra i fattori discriminanti
utilizzati per decidere l’impiego delle risorse disponibili a favore di un paese piuttosto che un altro.
A partire dalla seconda Convenzione di Lomé alcune issues politiche si imposero, prima fra tutte la
questione sudafricana. Venne accordato un sostegno positivo ed ingente alla South African
8
Riguardo ai concetti di sviluppo e sottosviluppo ed alla loro relazione con il processo storico che ha portato
all’affermarsi a livello mondiale al modo di produzione liberal-capitalista, interessantissima ed illuminante è la
trattazione svolta da F.Volpi, Introduzione all’economia dello sviluppo, Franco Angeli, Milano 1999.
9
E’ utile ricordare che, nel 1957, la Francia legò la propria fondamentale adesione al Trattato di Roma ad una esplicita
dichiarazione di impegno a favore della promozione dello sviluppo dei territori d’oltremare, da inserire nel corpo del
Trattato. L’accettazione di questa condizione da parte delle altre parti contraenti ha portato alla scrittura della parte IV
del suddetto: “Associazione dei paesi e territori d’oltremare”.
10
E’ il caso di Mali, Ghana, Guinea, Etiopia, Tanzania e, a partire da Lomé III, Angola e Mozambico.
Mali e Senegal: gli interventi del Fondo Europeo di Sviluppo – Capitolo 1
Development Coordination Conference (SADCC)
11
ed agli stati che la componevano, impegnati in
una lotta di posizione contro il regime razzista sudafricano che interessava tutta la subregione
australe. A partire dalla terza Convenzione di Lomé la redazione dei Programmi Indicativi
Nazionali venne subordinata ad una previa adozione di una solenne dichiarazione in favore della
promozione dei diritti fondamentali dell’uomo da parte dei governi dei paesi in via di sviluppo. Fin
dalla prima Convenzione di Lomé, non mancarono casi di sospensione dell’assistenza a seguito di
rivolgimenti politici in senso autoritario e antidemocratico, le prime nazioni colpite da tali
provvedimenti furono Guinea Equatoriale, Uganda e Repubblica Centroafricana, durante le
dittature, rispettivamente, di Macias Nguema, Idi Amin e Bokassa, ma successivamente altre
nazioni ben più popolose vennero coinvolte: è il caso della Nigeria di Sani Abacha.
Con l’avvento delle politiche di Aggiustamento Strutturale lo spettro delle condizionalità politiche
si allargò ulteriormente. La sostanziale accettazione da parte della Comunità Europea di questa
nuova strategia, di fatto avvallata con l’adozione di misure atte ad attenuarne gli effetti sociali più
indesiderati, oltre che un contenuto economico, comprendeva in se una valenza politica che
indicava l’adesione agli orientamenti macroeconomici assunti da FMI e BM. Ancora più
recentemente sembra aver preso piede la logica della cooperazione regionale che va a favorire
quelle aree e gruppi di stati che si danno ordinamenti sovranazionali assimilabili alla costruzione
europea e su cui l’Unione si sente maggiormente coinvolta nel processo che condurrà alla loro
istituzionalizzazione rispetto agli altri donatori internazionali.
Caratteristica peculiare della politica europea deve inoltre intendersi la tendenza al contrattualismo
che soggiace le azioni di cooperazione così come ad ogni rapporto giuridico-istituzionale
intrattenuto tra gli Stati Membri dell’Unione. Questa attitudine, derivante dalla cultura giuridica
dell’Europa continentale, si è riflessa, attraverso i trattati fondativi che da Roma ad Amsterdam
hanno posto le basi della costruzione istituzionale europea, anche agli accordi di volta in volta sono
conclusi tra la Comunità ed i paesi terzi. La convenzione di Lomé può essere annoverata come un
esempio lampante di questa cultura. Mentre nella Parte IV del Trattato di Roma, mutuando la
terminologia dalla politica francese, si parlava di rapporto di Associazione che legava le Nazioni
europee alle proprie dipendenze oltremare, dopo l’accesso di queste ultime all’autodeterminazione,
nella successiva redazione della prima Convenzione di Yaoundé, nel 1963, pur non perdendo
l’utilizzo di questo termine, si è gradualmente introdotto il più nuovo ed accattivante concetto di
11
In favore del SADCC vennero stanziati 800 milioni di $, durante Lomé II.
Mali e Senegal: gli interventi del Fondo Europeo di Sviluppo – Capitolo 1
“partnership” che lasciava presupporre un rapporto da pari a pari tra le due controparti, implicando
la stipulazione di un vero e proprio contratto, con l’indicazione di diritti e doveri reciproci.
Yaoundé e, in misura più significativa Lomé, dovevano assolvere all’arduo compito di allontanare
da esse i sospetti di neocolonialismo che aleggiavano su entrambi i fronti, e quindi divenne
essenziale, nonostante una schiacciante predominanza del Europa in sede decisionale, mettere in
evidenza la pratica della partnership, che trovò una valida espressione nella creazione di istituzioni
congiunte (Assemblea Paritaria, Consiglio dei Ministri, Comitato degli Ambasciatori
12
) con compiti
consultivi diretti alla formulazione delle linee future. Mentre, sull’onda dell’entusiasmo per le
recenti indipendenze, nelle Convenzioni di Yaoundé vennero previste forme di collaborazione di
tipo bidirezionale che privilegiassero cioè l’ingresso preferenziale dei prodotti africani in Europa
ma anche il libero accesso di prodotti ed imprese europee in Africa, attraverso il libero esercizio del
Diritto di Stabilimento, nella prima convenzione di Lomé, con maggiore pragmatismo, si incentrò la
questione sul miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni de paesi in via di sviluppo
restando quindi maggiormente aderenti ad una prospettiva di cooperazione monodirezionale
13
.
La nuova Convenzione di Lomé presupponeva, dopo l’accesso nel 1973 del Regno Unito nella
CEE, l’ingresso dei membri del Commonwealth (esclusi i maggiori Stati asiatici ed il Canada), che
una serie di valori forti e legittimanti venissero posti alla base del nuovo schema. Il panafricanismo
legittimò l’unione dei paesi africani francofoni ed anglofoni in un unico coordinamento
(Organizzazione degli Stati dell’Africa Caraibi e Pacifico) che certo riservava non poche incognite
sia agli uni che agli altri, ma soprattutto, la retorica del “Nuovo Ordine Economico Mondiale”
14
giustificava l’interventismo europeo nei confronti dei paesi del sud del mondo, allontanandolo da
sospetti neocoloniali e, allo stesso tempo distinguendolo in senso positivo dalle attitudini di
controllo che sembravano muovere gli Stati Uniti ed il blocco sovietico per rapporto alle loro
pratiche di cooperazione con il terzo mondo. Ancora metà degli anni ’80, alla conclusione della
seconda Convenzione di Lomé, in una pubblicazione della Direzione Generale VIII, si leggeva:
12
Vedi prossimo capitolo
13
Obiettivo di Yaounde era “cooperare per il progresso economico, sociale e culturale dei nostri paesi” , mentre ella
Convenzione di Lomé l’obiettivo diveniva “ lo sviluppo economico ed il progresso sociale dei paesi ACP”, quest’ultimo
era ben più coerente con la lettera del Trattato di Roma che sanciva “la promozione dello sviluppo economico e sociale
dei paesi e territori d’oltremare” (art ex 131).
14
Con questa ambiziosa terminologia si intendeva indicare come la nuova Convenzione e gli innovativi strumenti da
essa creati ( sistema delle preferenze generalizzate, STABEX, ecc.) avessero indicato un nuovo ed originale modello
nelle relazioni fra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo, che favoriva la ridistribuzione delle risorse
internazionali verso questi ultimi, in modo da favorire un più giusto e bilanciato ordine internazionale. Questi auspici
vennero ben descritti da un protagonista della preparazione della nuova convenzione l’ambasciatore nigeriano Olu Sanu
nel paper: The Lomé Convention and the new international economic order, Nigerian Institute of International Affairs,
Lagos 1975.
Mali e Senegal: gli interventi del Fondo Europeo di Sviluppo – Capitolo 1
“[…] ciò che è essenziale nella Convenzione di Lomé, è lo spirito della cooperazione e la concezione
economica e politica di cui essa è l’espressione. In un epoca in cui il mondo desidera avere dei vantaggi
dall’intesa nord-sud, la prima Convenzione ha riunito 46 Stati ACP e 9 Stati Membri della Comunità,
preoccupati di raggiungere il più alto grado di cooperazione. I suoi risultati ed il dialogo che si è annodato tra
le parti testimonia la volontà di contribuire alla creazione di un nuovo ordine economico mondiale.”
15
L’approccio contrattualista non si manifesta solamente nell’adozione delle Convenzioni istitutive
ma in molte delle attività che coinvolgono le controparti europee ed africane. La redazione dei
Programmi Indicativi Nazionali, che indicano le linee direttrici che verranno seguite nell’utilizzo
delle dotazioni finanziarie predisposte dal Comitato del Fondo Europeo di Sviluppo (FES) in
ciascun paese, è basata su una serie di incontri che i rappresentati dei Governi dei singoli Stati
hanno intrattenuto con le delegazioni della Commissione e sfociano nella ratificazione di un
documento ufficiale, previa valutazione del FES. Ad un livello ancora inferiore, le convenzioni di
finanziamento dei singoli progetti devono seguire un iter simile a quello sopra descritto ed anche
esse sono dei veri contratti con un vero e proprio valore giuridico.
L’ultimo aspetto che resta da sottolineare riguarda il rapporto particolare che lega i governi degli
stati membri dell’Unione Europea con le istituzioni comuni per la devoluzione ad esse di una parte
delle loro risorse destinate alla cooperazione internazionale. La Commissione Europea riceve per
ogni Fondo Europeo di Sviluppo (FES), fino ad oggi di durata quinquennale ed abbinato a ciascuna
Convenzione, un mandato di gestione da parte degli Stati Membri, denominato Internal Financial
Agreement. Con la ratifica di questo protocollo finanziario quinquennale si determina l’ammontare
complessivo del FES, le cui risorse saranno ripartite tra i diversi Programmi Indicativi Nazionali
(PIN) e Regionali (PIR) conclusi di concerto con i Governi di ciascun paese ACP di cui si
determina l’ammontare in via preliminare rimanendo il medesimo per tutta la durata del FES, si
parla, a questo proposito, di Aiuti Progammabili. Una parte delle risorse FES verrà destinata al
finanziamento di altri strumenti finanziari la cui spesa complessiva non può essere determinata in
anticipo (STABEX, SYSMIN, Facilità di Aggiustamento Strutturale), si parla in questo caso di
Aiuti non programmabili.
La dotazione finanziaria complessiva accordata al FES non rappresenta la totalità delle risorse che
vengono destinate alla cooperazione, una parte consistente e talvolta prevalente, viene fornita
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Dix ans de Lomé, bilan de la cooperation ACP-CEE 1976-1985, a cura della Direzione Generale Sviluppo della
Comunità Europea, Buxelles 1986.
Mali e Senegal: gli interventi del Fondo Europeo di Sviluppo – Capitolo 1
direttamente dal Budget di esercizio globale dell’Unione
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, su decisione del Consiglio dei Ministri.
A tale scopo è stato predisposto un capitolo di pesa specifico, denominato B7 e, a sua volta,
suddiviso in numerosi sottocapitoli diretti a finanziare particolari settori ritenuti strategici o urgenti
(aiuti alimentari, cofinanziamenti ONG, disinfestazione mine antiuomo, lotta contro l’AIDS,
ambiente, cooperazione decentrata, ecc..). Nella dotazione budgetaria destinata alla cooperazione,
il cui ammontare viene deciso dal Consiglio dei Ministri sulla base di piani di spesa di medio-lungo
termine
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, vengono contemplate tutte le aree geografiche con cui l’Unione intrattiene rapporti. Una
parte consistente delle risorse è diretta ad aree esterne al sistema ACP, in particolare verso i Paesi
dell’Europa Centro-Orientale (PECO) ed i Nuovi Stati Indipendenti (NIS) dell’ex Unione Sovietica,
ma molte ed importanti risorse rimangono comunque ad esso destinate. La prima linea Budgetaria
venne predisposta nel 1967 per finanziare la fornitura di aiuti alimentari anche in nazioni esterne al
gruppo EAMA, come India e Bangladesh, nel budget del 1998 se ne contavano 120, di cui 34
destinate alla cooperazione con gli ACP.
Budget UE
(% 1994)
FED 7
(% 1990-95)
FED 8
(%1995-2000)
Volume
(mil. Ecu/€)
Austria 2,7 2,6
Belgio 3,8 4,0 3,9 243
Danimarca 1,9 2,1 2,1 119
Finlandia 1,4 1,5
Francia 18,3 24,4 24,3 1224
Germania 29,5 26,0 23,4 1716
Grecia 1,4 1,2 1,2 81
Irlanda 0,8 0,6 0,6 45
Italia 13,3 13,0 12,5 789
Lusseburgo 0,2 0,2 0,3 12
Paesi Bassi 6,1 5,6 5,2 359
Portogallo 1,6 0,9 1,0 83
Spagna 7,7 5,9 5,8 431
Svezia 2,5 2,7
Regno Unito 15,5 16,4 12,7 954
Totale 100 100 100 6046
Figura 2: Contributi degli Stati Membri dell'UE al Budget ed ai FES destinati
alla cooperazione.
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Si ricorda che la formazione del Budget comunitario avviene attraverso varie forme di contribuzione degli Stati
Membri sancite nei trattati istitutivi: a) attraverso l’applicazione di una Tariffa Doganale Comune applicata alle merci
importate; b) prelievi fiscali applicati alla produzione di alcuni particolari prodotti agricoli; c) percentuale sul gettito
delle imposte indirette degli Stati Membri; d) percentuale sul PIL degli Stati Membri, decisa di anno in anno in base alle
previsioni di spesa dell’Unione.
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Esempio di una decisione di questo genere fu il Summit di Edimburgo del 1992, nel quale in Consiglio dei Ministri
decise di incrementare l’impegno esterno dell’Unione (per lo più a favore dei paesi ex comunisti dell’est). Veniva
previsto per il 1999 un incremento delle risorse del 40%.