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Scopo di questo studio è stato quello di paragonare due varianti molecolari del VWF (due muta-
zioni differenti a carico dello stesso aminoacido: R1308) che causano la VWD tipo 2B in pazienti
seguiti dal nostro Centro. Non potendo utilizzare la proteina plasmatica dei pazienti, che nelle due
mutazioni subisce un diverso destino, si è deciso di esprimere e produrre questi VWF ricombinanti,
per comprendere meglio il fenotipo che causano.
Realizzati i vettori codificanti per il VWF con le due mutazioni di interesse, si è proceduto con
l’espressione delle rispettive proteine ricombinanti; la quantità prodotta (dosaggio VWF:Ag)
per ciascuna variante era simile, così come pure il pattern multimerico. Le varianti sono state suc-
cessivamente valutate per la loro attività funzionale del legame al GPIb.
Con il VWF:RCo – ELISA, è stata messa in luce la natura marcatamente iperaggregante della va-
riante rVWF(R1308C), nonostante il fatto che i pazienti con tale difetto presentassero un test
RIPA molto vicino ai valori normali. Per contro, la variante rVWF(R1308L) mostra una affinità
per il recettore GPIb incrementata rispetto al normale ma più ridotta rispetto alla variante con la
mutazione R1308C, anche se i pazienti con questo nuovo difetto presentavano un test RIPA signifi-
cativamente iperaggregante. Questo risultato è dovuto al fatto che nei pazienti con la mutazione
R1308C i multimeri ad alto peso, aventi un’elevata affinità per il recettore piastrinico GPIb, sono in
grado di legarsi spontaneamente alle piastrine circolanti e perciò vengono rimossi dal plasma; nel
caso dei pazienti con la mutazione R1308L, invece, i multimeri presentano una più alta affinità per
le piastrine rispetto al normale, ma questo incremento non è sufficiente affinché le forme ad alto
peso siano in grado di legare le piastrine spontaneamente ed essere quindi rimosse. Le stesse indi-
cazioni sono state ottenute nel caso delle coespressioni rVWF(WT)/rVWF(R1308C) e
rVWF(WT)/rVWF(R1308L).
Un altro aspetto interessante è il comportamento delle due varianti nei confronti del collagene di
tipo I. Il test del VWF:CB infatti ha mostrato come entrambe, senza significative differenze, siano
in grado di legare con minore efficienza questa molecola. Questo risultato sembrerebbe conferire
un ruolo più importante, rispetto a quanto riportato finora, del dominio A1 nel legame al collagene,
almeno per quanto riguarda i test in vitro.
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2. INTRODUZIONE
2.1 L’EMOSTASI
L’emostasi è una serie di reazioni biochimiche, sequenziali e sinergiche, finalizzate ad impedire la
perdita di sangue dai vasi. E’ quindi un meccanismo di difesa deputato al mantenimento
dell’integrità dei vasi sanguigni e della fluidità ematica. Questo processo fisiologico interviene in
seguito ad una lesione vascolare ed è un meccanismo finemente autoregolato. I sistemi coinvolti
nel processo emostatico sono: 1) i vasi e i costituenti della parete vascolare; 2) le piastrine; 3) la
cascata enzimatica della coagulazione; 4) il sistema fibrinolitico. Per questo motivo, il processo
emostatico può essere suddiviso in quattro fasi, anche se i vari sistemi coinvolti si influenzano vi-
cendevolmente e sono strettamente interconnessi, e più precisamente:
ξ Fase vascolare: subito dopo la lesione c’è un breve periodo di vasocostrizione, dovuto a mec-
canismi neurogeni riflessi e a fattori umorali come l’endotelina, un potente vasocostrittore di o-
rigine endoteliale; la contrazione del vaso serve a ridurre il flusso ematico nella regione del
danno.
ξ Fase piastrinica: la lesione dell’endotelio espone il tessuto connettivo sottoendoteliale, al
quale le piastrine aderiscono grazie all’intervento del fattore di von Willebrand (VWF) e del col-
lagene, entrando così in uno stato di attivazione. Questo comporta il cambiamento della morfo-
logia cellulare, con la conseguente esposizione di particolari fosfolipidi di membrana e
l’attivazione di specifici recettori di membrana, oltre al rilascio di fattori dai granuli piastrinici,
come l’adenosin difosfato (ADP), il trombossano A
2
(TXA
2
), la serotonina, il VWF e altri fattori
importanti per la successiva cascata coagulativa (Fattore IV, Fattore V, Fattore XIII). Questi
fattori favoriscono il reclutamento di altre piastrine sopra al primo strato, in modo da formare il
tappo piastrinico primario, e contribuiscono a stabilizzare il trombo formato attraverso le rea-
zioni della fase coagulativa.
La fase piastrinica avviene entro pochi minuti dalla lesione e, insieme alla fase vascolare, costi-
tuisce il processo noto come emostasi primaria, che in genere è sufficiente a riparare le lesioni
capillari.
ξ Fase coagulativa: nel caso di lesioni a vasi di calibro maggiore rispetto ai capillari, l’emostasi
primaria non è sufficiente a riparare il danno e devono intervenire le reazioni della fase coagu-
lativa, che originano da un cambio di potenziale elettrico a livello della lesione e dall’esposizione
del Tissue Factor (TF, chiamato anche Fattore III), e che portano alla trasformazione della pro-
trombina in trombina (Fattore II), la quale converte il fibrinogeno (Fattore I) in fibrina, forman-
do il coagulo di fibrina e stimolando un ulteriore reclutamento di piastrine. Il processo, molto
più lungo di quelli delle fasi precedenti, viene definito emostasi secondaria, in cui viene prodot-
to il tappo emostatico secondario o permanente. La fibrina polimerizzata e le piastrine formano
una massa solida che tampona l’emorragia nel sito della lesione. L’emostasi è un processo di
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emergenza volto ad arrestare le perdite di sangue; è un meccanismo finemente regolato che
tende a localizzare il coagulo nel solo sito della lesione, prevenendo così una reazione a catena
che porterebbe ad una estesa coagulazione.
ξ Fase fibrinolitica: una volta che la lesione vascolare è stata riparata, il coagulo si dissolve
mediante il processo della fibrinolisi, che ripristina il normale flusso ematico.
Tutti i meccanismi deputati al mantenimento della fluidità del sangue e dell’integrità dell’apparato
vascolare, per essere efficaci, devono intervenire rapidamente e devono rimanere il più possibile
confinati a livello della lesione. Questo obiettivo viene raggiunto mediante un complesso sistema di
controllo che impiega inibitori specifici sia per i fattori coagulativi, sia per quelli fibrinolitici.
Nell’organismo c’è sempre una certa attivazione del sistema emostatico: anche in condizioni fisio-
logiche, infatti, ci sono continui microtraumi che determinano minime lesioni endoteliali; per que-
sto, una parte di fibrinogeno viene continuamente convertita in fibrina e la fibrina viene costante-
mente rimossa mediante la fibrinolisi. Viene quindi innescato il processo noto come emostasi fisio-
logica, che è il risultato dell’equilibrio tra i meccanismi che favoriscono la coagulazione e i sistemi
ad essa antagonisti. Lo spostamento dell’equilibrio ha importanti conseguenze patologiche.
Nonostante le alterazioni dell’emostasi possano essere dovute a numerose cause e seguire molte
vie patogenetiche, le manifestazioni cliniche finali si possono ricondurre a due quadri fondamentali:
9 una incontrollata attivazione intravasale dell’emostasi, che dà luogo a malattie trombotiche;
9 un deficit del sistema emostatico, che dà luogo a malattie emorragiche
1,2
.
2.1.1 Fase vascolare
Il primo evento che si verifica nell’emostasi è una contrazione vascolare a livello della zona lesa. I
meccanismi di vasocostrizione sono più efficienti nei vasi dotati di una spessa tunica vascolare con
presenza di cellule muscolari lisce (tunica media), ma avvengono anche a livello dei capillari ad o-
pera di proteine contrattili presenti nelle cellule endoteliali. La vasocostrizione è dovuta a vari fat-
tori, quali:
- risposta diretta delle fibrocellule muscolari allo stiramento provocato dal trauma;
- riflesso neurovegetativo vasomotore (stimolazione dei nerva vasorum);
- liberazione locale di sostanze vasocostrittrici prodotte in un primo momento dalle cellule endo-
teliali (come l’endotelina, polipeptide di 21 aminoacidi, la cui secrezione è inibita, in condizioni
fisiologiche, dal flusso turbolento del sangue), e, successivamente, dalle piastrine (liberazione
della serotonina contenuta nei granuli densi). Questo processo sarebbe di scarsa utilità se non
intervenissero le piastrine con i processi di adesione, aggregazione e liberazione di vari fattori
dai granuli e, in caso di lesioni estese, il sistema della coagulazione.
La fase vascolare è comunque estremamente importante, soprattutto in caso di lesione dei grossi
vasi, perché:
ξ permette di ridurre il deflusso di sangue attraverso il vaso danneggiato, riducendo in tal modo
l’entità dell’emorragia;
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ξ favorisce i fenomeni di marginazione e di attivazione delle piastrine (fase piastrinica);
ξ favorisce l’accumulo locale dei fattori della coagulazione attivati in seguito alla esposizione del
tessuto sottoendoteliale o in seguito all’esposizione del Tissue Factor (fase coagulativa)
2
.
2.1.2 Fase piastrinica
In passato, l’endotelio veniva considerato come una semplice barriera non trombogenica; negli ul-
timi anni, invece, si è dimostrato che è un tessuto metabolicamente attivo che, a seconda del suo
stato funzionale, può favorire o inibire l’emostasi. In stato di quiescenza, l’endotelio è in grado di
assicurare la fluidità del sangue mediante un complesso meccanismo anticoagulante mentre, in
seguito ad una lesione, la perdita della cellula endoteliale costituisce il punto di avvio del processo
di emostasi localizzata, attraverso l’induzione di attività pro-emostatiche che iniziano con l’adesione
piastrinica
2
.
In seguito al danno vascolare, le piastrine sono esposte al sottoendotelio, costituito da collagene,
proteoglicani, fibronectina, fattore di von Willebrand (VWF) e da altre glicoproteine, determinan-
done così l’attivazione. La risposta delle piastrine a questo stimolo può essere suddivisa in varie fa-
si che tendono a sovrapporsi: adesione e attivazione, cambiamento di forma, secrezione dei granu-
li, aggregazione.
Le piastrine circolanti, in seguito alla riduzione della portata del flusso sanguigno avvenuta nella
fase vascolare, si spostano dal centro alla periferia del vaso (marginazione delle piastrine) e pos-
sono quindi legarsi più facilmente al sottoendotelio esposto, essenzialmente al collagene (adesio-
ne piastrinica), determinando così l’attivazione piastrinica che porta all’innesco delle vie di tra-
sduzione del segnale all’interno della cellula. Il processo di adesione, come pure l’aggregazione
piastrinica, dipende dalla presenza di molecole di adesione che si trovano sulla superficie delle pia-
strine e che, per la maggior parte, appartengono alla superfamiglia delle integrine. Le integrine so-
no molecole composte da due catene peptidiche unite da un legame non covalente, denominate
alfa e beta. Esistono vari tipi sia di catene alfa che di catene beta: la diversità fra le integrine è da-
ta dalle varie combinazioni delle differenti isoforme delle due catene. Alcune di queste molecole
sono presenti in forma funzionale sulle piastrine circolanti: è il caso dell’integrina GPIa/GPIIa che
ha la capacità di legarsi al collagene; è quindi funzionalmente inerte quando l’endotelio è integro,
ma inizia l’adesione piastrinica al sottoendotelio quando il collagene è esposto in seguito a una le-
sione endoteliale. Anche altre molecole di adesione partecipano a questo processo legandosi alle
molecole presenti nel sottoendotelio, come la fibronectina e la laminina. Questo iniziale processo di
adesione non è però sufficiente a far aderire le piastrine. Perché si abbia una adesione più stabile
è necessario l’intervento di un’ulteriore molecola di adesione, che non è un’integrina ma un com-
plesso glicoproteico, denominato GPIb-IX-V, che ha la capacità di legare il VWF. Questo è normal-
mente presente nel plasma (dove assolve anche la funzione di veicolare e stabilizzare il Fattore
VIII della coagulazione) e si trova a livello della zona di lesione, poiché è prodotto dalle cellule en-
doteliali e perché è in grado di legarsi con elevata efficienza al sottoendotelio esposto in seguito al
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danno. In particolare, interagendo con il collagene, costituisce un ponte fra il recettore piastrinico
GPIb-IX-V ed il sottoendotelio. Il contributo del VWF è determinante, soprattutto in condizioni di
alte forze di scorrimento del flusso ematico, quali quelle che si riscontrano nelle piccole arterie.
Queste alte forze di scorrimento convertono il VWF da una struttura globulare, caratteristica della
forma plasmatica, ad una struttura a catena estesa. Questa transizione strutturale espone un
maggior numero di domini funzionali del VWF per l’interazione con il recettore piastrinico GPIb-IX-
V, anche se la costante di dissociazione tra le due molecole è alta, e dunque il legame è reversibi-
le
3
. Questo legame è comunque sufficiente a innescare la trasduzione del segnale intrapiastrinico,
anche perché è sinergico con altre inte-
razioni, come quella diretta tra collagene
e piastrina. Quindi, l’iniziale attivazione
delle piastrine è indotta dal legame, di-
retto e mediato dal VWF, del collagene ai
suoi recettori piastrinici specifici. Questi
recettori sono accoppiati a una proteina
G trimerica che attiva la fosfolipasi C
(PLC), che, a sua volta, idrolizza il fosfa-
tidilinositolo-4,5-bisfosfato (PIP
2
), por-
tando alla formazione dell’inositolo trifosfato (IP
3
) e del diacilglicerolo (DAG). L’IP
3
induce il rilascio
di ioni calcio (Ca
2+
) dagli stores intracellulari, mentre il DAG attiva la protein kinasi C (PKC). Il rila-
scio di Ca
2+
dagli stores intracellulari attiva la myosin light chain kinase (MLCK) che, a questo pun-
to, può fosforilare le catene leggere della miosina, facendole interagire con l’actina. Questa intera-
zione provoca la modificazione di forma delle piastrine, un consolidamento del tappo grazie alla
contrazione piastrinica e la liberazione delle sostanze contenute nei granuli. Parallelamente, la PKC,
oltre ad essere la probabile responsabile dell’assemblaggio e dell’esposizione del complesso glico-
proteico GPIIb/GPIIIa sulla superficie cellulare (fondamentale per la successiva aggregazione pia-
strinica), fosforila, attivando, una specifica proteina di 47 KDa, la plekstrina, che induce il rilascio
delle molecole contenute nei granuli piastrinici, tra cui l’ADP, la serotonina e alcuni fattori di cresci-
ta che stimolano i fibroblasti e le cellule endoteliali, favorendo così la riparazione del danno. In par-
ticolare, l’ADP rilasciato dai granuli densi attiva altre piastrine, accrescendo il numero degli elemen-
ti coinvolti nell’aggregazione (meccanismo di auto-amplificazione della risposta piastrinica), me-
diante l’interazione con propri recettori (stimolazione autocrina e paracrina) e l’innesco contempo-
raneo di due vie di trasduzione: una accoppiata all’attivazione del ciclo del fosfatidilinositolo (come
quella attivata dai recettori del collagene) ed una seconda che consiste nell’attivazione della fosfo-
lipasi A
2
(PLA
2
). L’attivazione della PLA
2
, enzima chiave per il proseguimento della risposta piastri-
nica, avviene, oltre che per accoppiamento al recettore dell’ADP, anche grazie all’aumento del Ca
2+
intracitoplasmatico indotto dall’IP
3
. A questo punto ci sono due alternative: se lo stimolo che ha
condotto al rilascio di ADP è quantitativamente insufficiente o limitato nel tempo, l’inizio
Figura 2.1 – Schema semplificato delle vie di trasduzione
intracellulari attivate in seguito all’adesione piastrinica.
GPIa
GPIIa
PLC
IP
3
Ca
2+
DAG PKC
GPIIb/GPIIIa
GPIb-IX-V
PrG
ADP-R1
MLCK
Plekstrina
TXAR
ADP-R2
PLA
2
TXA
2
11
3 2
GPIIb
GPIIIa
Secrezione di
Contrazione
acto-miosinica
ADP GF
Serotonina
TXA
2
ADP
ADPVWF
Collagene
TXA
2
Fibrinogeno
VWF
AGGREGAZIONE
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dell’aggregazione piastrinica (ponti di fibrinogeno e VWF tra complessi glicoproteici IIb/IIIa delle
piastrine attivate) è reversibile e l’iniziale aggregato va incontro a dissoluzione. Se lo stimolo è di
maggiore entità, determina la liberazione di grandi quantità di ADP e la successiva potente attiva-
zione della PLA
2
, che porta alla produzione di grandi quantità di trombossano A
2
(TXA
2
), il quale
innesca cicli di trasduzione che rendono l’aggregazione irreversibile. Infatti, l’attivazione della PLA
2
,
che è un enzima calcio-dipendente, porta alla liberazione di acido arachidonico dalla posizione 2
dei fosfolipidi di membrana, dal quale, nelle piastrine, ha origine il TXA
2
, per azione sequenziale
degli enzimi ciclossigenasi e trombossano-sintetasi. Il TXA
2
è l’unico prostanoide prodotto nelle
piastrine; qualunque altro prostanoide, compresa la prostaciclina (molecola con attività biologica
opposta a quella del trombossano), non può essere prodotto in quanto le piastrine non possiedono
l’enzima prostaciclina-sintetasi, presente invece nelle cellule endoteliali
4
.
Con la produzione di trombossano le piastrine rilasciano il più potente agonista dell’aggregazione
piastrinica, innescando un potente circuito autocrino/paracrino di amplificazione dell’aggregazione
piastrinica. Infatti, il TXA
2
interagisce con i propri recettori agonisti sulla superficie piastrinica e in-
nesca la propria via di trasduzione stimolando la PLC (come l’ADP), e quindi tutta la cascata di rea-
zioni da essa dipendenti: grazie all’interazione con il recettore specifico si ha una replica potenziata
dell’attività dell’ADP con attivazione della PKC e quindi l’esposizione quantitativamente rilevante
sulla superficie delle piastrine del complesso glicoproteico GPIIb/GPIIIa in forma attiva, che ha af-
finità con varie molecole circolanti, fra cui il fibrinogeno e il VWF. Inoltre, il TXA
2
, una volta liberato
in circolo, determina vasocostrizione locale in sinergismo con ADP, adrenalina ed altri vasocostrit-
tori (Figura 2.1).
Le piastrine attivate possono legarsi fra loro (aggregazione) grazie all’esposizione dei complessi
glicoproteici GPIIb/GPIIIa, recettori del fibrinogeno e del VWF, che si legano ai recettori di piastri-
ne adiacenti formando dei veri e propri ponti tra le piastrine, portando così alla formazione di ag-
gregati piastrinici. Nelle piastrine in condizione di riposo, il complesso glicoproteico GPIIb/GPIIIa è
presente in forma inattiva in quanto le due glicoproteine IIb e IIIa sono separate. In seguito alla
stimolazione da parte di vari agonisti, in presenza di ioni calcio, si forma l’eterodimero
GPIIb/GPIIIa, che rappresenta la forma attiva del complesso. Quando le piastrine vengono attiva-
te, espongono questo complesso in grado di legare fibrinogeno e VWF, che possono così legarsi ai
recettori glicoproteici di piastrine adiacenti, in una reazione a catena che amplifica il fenomeno
dell’aggregazione piastrinica. Il fibrinogeno ed il VWF devono quindi agire in modo complementare
e sinergico, in quanto entrambi sono necessari per garantire lo sviluppo ed il consolidamento del
trombo a tutti i livelli di flusso arterioso. L’interazione del VWF con il recettore GPIb-IX-V, nella fa-
se di adesione, e con il recettore GPIIb/GPIIIa, nella fase di aggregazione, favorisce la propaga-
zione ottimale dei contatti tra le piastrine e permette un legame permanente, mediante
l’interazione tra il fibrinogeno e il recettore GPIIb/GPIIIa. Questi legami consentono la stabile coe-
sione del trombo in formazione, in qualsiasi condizione di flusso
5
(Figura 2.2).