2
Per chi è più a conoscenza di questo tipo particolare di omicidio, sa
che la Franzoni non è una mamma a sé: innumerevoli sono i delitti nella
storia più recente e non solo nel nostro Stato italiano; qualcuno avrà in
mente quell’episodio accaduto in Germania, dove la madre partoriva in casa
e seppelliva immediatamente i suoi cuccioli entro le proprie mura: nel 2006,
nella ex repubblica di Germania, si scoprì che Sabine H. aveva ucciso e
nascosto nei vasi da fiori del balcone ed in giardino otto suoi figli: è stata
condannata a 15 anni di reclusione. Per tornare nel nostro Paese, il 19
febbraio 2003 il quotidiano la Repubblica ci racconta: “Si getta nel vuoto
poco prima di partorire. Salva la neonata”, “Aveva trent'anni ed era alla sua
prima gravidanza. Era seguita da uno psichiatra, ma i medici non lo
sapevano”. È avvenuto a Sassari. O ancora, andando a ritroso negli anni,
cito la celebre quanto macabra Marybeth Tinning, che in un periodo di
tredici anni riesce ad uccidere tutti e otto i suoi figli; la più sconcertante
serie di infanticidi che gli Stati Uniti d’America possano ricordare.
Queste ultime situazioni aprono il varco a nuovi quesiti: che ruolo
hanno qui le Istituzioni? Perché non hanno agito a tutela di queste vittime?
Ma soprattutto, cosa sarebbe stato possibile fare per ottenere una risposta
efficace e tempestiva per incorrere in aiuto di queste donne, sole con il loro
disagio? E poi, esiste la possibilità di creare una coscienza comunitaria e
collettiva, che dia supporto ai professionisti per prevenire i fattori di rischio
ed affiancare chi è già esposto ad essi?
È riscontrato che nel mondo occidentale l’atto è scatenato da una
malattia mentale o da un comportamento violento all’ interno del nucleo
familiare, e non è raro che avvenga a causa di una forte povertà, come forma
di controllo della popolazione, a volte anche con il tacito consenso della
società. Le cause che concorrono a determinare tutto ciò sono legate a fattori
ambientali, alimentari e di energia domestica. Nel nostro sentire comune
però, è più facile accostare questo determinato reato ad una forma di psicosi,
3
soprattutto perché così facendo ci mettiamo al riparo dall’avere un qualsiasi
contatto emotivo con chi è “affetto dalla pazzia di uccidere il proprio
figlio”; perché una madre così non può essere definita altrimenti. E,
nonostante l’orrore degli episodi descritti dai giornali e dalla televisione,
non è insolito che ci si dilunghi nei dettagli più macabri: “ha tenuto nascosto
il suo bimbo morto per oltre un mese nell’armadio della camera da letto”,
“hanno trovato il corpicino del bimbo” (articolo di www.tgcom.mediaset.it
– giovedì, 08 settembre 2005), “insieme con il bucato, nello sportello della
lavatrice, domenica sera Loretta aveva infilato la “sua Vittoria”, la
secondogenita di otto mesi, schiacciando poi il bottone dell’avvio”,
“l’elettrodomestico aveva completato il programma, compresa la
centrifuga”, “in due riescono ad estrarre la piccola che per dieci minuti era
rimasta sballottata nel cestello con la biancheria e il detersivo: dalla bocca
esce acqua e schiuma”(Andrea Biglia, Corriere della Sera, 14 maggio 2002).
Questo breve e non esaustivo percorso tenterà di spiegare la
complessità della “mamma che uccide”, alla luce del suo vissuto personale e
volendo capire se esistono dei nessi tra questa tipologia di omicidio così
peculiare e malattia psichiatrica, ma anche chiedendosi se l’ambiente di vita
possa giocare un ruolo importante all’interno di questo meccanismo
talmente e terribilmente pieno di fascino, che ci spinge a curiosare “dal buco
della serratura”, per paura di avvicinarsi troppo, ad una mente che potrebbe
essere la nostra.
4
CAPITOLO UNO.
“UN EXCURSUS: L’INFANTICIDIO IN TEMPI E
LUOGHI DIVERSI”
Quando si affronta l’analisi di un crimine, specie se esiste il sospetto
di un disturbo mentale da parte di chi lo ha commesso, subentra la
collaborazione tra psichiatria, che è una branca della medicina, e diritto, che
noi sappiamo essere suscettibile di cambiamento in linea con il
buoncostume e i valori di cui fa geograficamente e storicamente parte. Per
questo motivo il fondamento del diritto non è stabile: un esempio pratico ci
porta a ricordare che in epoca medievale reati come l'eresia, o la magia,
sostanziavano ampiamente la giurisprudenza del passato e che oggi,
diversamente, sono estranei ad ogni moderna normativa.
La nostra legislazione ha mutato nel corso dei decenni la visione di
quelli che sono i diritti del minore e di conseguenza anche del giudizio di
una madre che uccide il proprio figlio; e ciò non è valido soltanto nel tempo,
ma anche spostandoci verso altri continenti e culture del presente: alcune
leggi infatti possono essere premesse implicite all’infanticidio. Si provi a
pensare alla Cina e alla sua politica del figlio unico, introdotta nel 1970
attraverso la legge eugenetica e protezione della salute, che impone divieto
alle coppie di concepire più bambini al fine di ridimensionare l’abnorme
crescita demografica. Le conseguenze possono essere evidenti: abbandoni,
aborti a gravidanza inoltrata, infanticidi. Va aggiunto inoltre che, essendo il
maschio colui il quale assicurerà la discendenza, questi delitti colpiscono in
larga misura la popolazione cinese femminile: da qui, l’uso illegale degli
ultrasuoni
1
, alquanto diffuso in Cina. Si trovano spesso nei parcheggi medici
1
Nonostante il loro utilizzo sia generalmente definito “salutare”, può comunque provocare
un’ infiammazione ai tessuti: ad ogni modo, nel campo dell’ostetricia, il vantaggio di
diagnosticare alcune condizioni del feto prematuramente può compensare di gran lunga
questi effetti indesiderati. Per contro, i risultati possono essere sbagliati: per determinare il
5
ambulanti che, all’interno di comuni furgoni, offrono prestazioni a basso
costo per determinare il sesso del feto.
In qualche civiltà il delitto della prole non è visto come ripugnante
quanto piuttosto come un “fatto normale”. Lévy-Bruhl ci mette a
conoscenza di alcune situazioni del continente africano e dell’India, in cui il
neonato non è visto ancora come un “essere umano completo”; per divenire
tale, saranno necessari i riti di iniziazione e gli insegnamenti della società e
per questo, il peso dell’assassinio di un neonato non equivale all’omicidio di
un adulto; l' infanticidio nelle società tribali è frequente in maggior misura
rispetto a quanto si nota nelle civiltà sia Occidentali che Orientali.
È noto che in alcune tribù africane quando avviene un parto
gemellare sia ucciso uno dei due fratelli in quanto considerato un’
“anomalia sociale”
2
, perché si ritiene impensabile per queste culture che una
donna possa far nascere più di un bambino nello stesso momento.
Interessante a proposito di questo tema è il caso dei Tapirapé
3
del Brasile, la
cui cultura prevede un numero di figli per donna non superiore a tre. Inoltre,
non più di due devono essere dello stesso genere: una volta infranta la
regola, viene applicato l’infanticidio; spostandoci in Venezuela, scopo del
neonaticidio è di regolare la popolazione, come una sorta di selezione “del
più forte”.
Anche a livello dibattimentale si riscontrano appoggi a favore
dell’eutanasia infantile. Joseph Fletcher (1905-1991), fondatore dell’etica
situazionale
4
nonché assertore dell’eutanasia, sostiene che il figlicidio può
sesso del nascituro, ad esempio, si può avere un dato accurato solo dopo la dodicesima
settimana.
2
Cfr. Nivoli (2002).
3
I Tapirapé sono una tribù indigena brasiliana che è sopravvissuta alla conquista degli
europei e alla conseguente colonizzazione del Paese; hanno apportato alcuni cambiamenti
alla loro cultura e mantenuto sporadici contatti con i conquistatori fino a circa gli anni
cinquanta del secolo scorso.
4
“Situational ethics” è una teoria degli anni sessanta del secolo scorso alla cui base vi è la
convinzione che i principi morali possono essere riadattati alla luce di determinate
situazioni se alla base di una decisione c’è l’amore, inteso in senso cristiano.
6
essere concesso nei casi di severi difetti del nato, ritenendolo una logica e
accettabile estensione dell’aborto. Con il Concilio di Bioetica di Nuffield
datato 2006 si è aperta un’indagine all’interno della medicina fetale e natale,
cercando di toccare l’aspetto etico, sociale e legale trasversale alle decisioni
sui trattamenti di bambini molto prematuri. Al dibattito ha contribuito anche
il Royal College di Ostetriche e Ginecologi, un’importante associazione
professionale del Regno Unito che si preoccupa di tematiche ginecologiche
e ostetriche quali anche gravidanza e puerperio, ritenendo opportuno
discutere se per casi di gravissima disabilità di bambini neonati si possa
rendere legale l’eutanasia. Con questo il Collegio non prende posizioni
necessariamente a favore, ma esprime solo l’esigenza di poter affrontare il
nodo critico della questione. Sostiene inoltre che l’eutanasia infantile può
sollevare le famiglie da anni di dispendio emotivo oltre che economico; non
solo, si prevede la possibilità di riduzione degli aborti, rendendo più
fiducioso il proseguimento della gravidanza e prendendo il rischio di una
conseguenza che non è definibile a priori come fortemente problematica. Ai
fini della mia tesi, infine, lo si può anche considerare un aspetto preventivo
contro l’infanticidio per mercy killing.
Nei Paesi Bassi, l’eutanasia rimane tecnicamente illegale per i
pazienti minori di anni dodici, anche se sono stati documentati svariati casi
in cui è stata ugualmente applicata. Esiste a questo proposito il protocollo di
Groningen, che se seguito solleva i colpevoli da pesanti accuse. Elaborato
da uno studioso di legge e medicina nel 2002, spiega la procedura da
osservare nel caso in cui ulteriori trattamenti siano infausti e futili: dopo un
periodo di svariati giorni durante i quali si lascia il tempo ai genitori per
prendere la decisione definitiva, si esegue l’eutanasia. Il suddetto protocollo
è stato reso valido a livello nazionale in Olanda a partire dal luglio 2005.
Trasversalmente a tale discorso, si può affrontare il contesto politico
entro cui si commette un omicidio (o, a carattere generale, un reato
7
qualsiasi): una cosa, infatti, è uccidere in guerra nell'adempimento di un
dovere civile ed altra cosa, invece, è uccidere a scopo di rapina. Nel primo
caso infatti, la scelta di colpire bambini e ragazzi giovani è dettata dal fatto
che questi, subendo soprusi, possano crescere addestrandosi per combattere
un domani il nemico e divenire dei possibili “rivali”.
Questo è valido anche guardando il percorso della storia.
L’antropologa Laila Williamson
5
(1978) sottolinea come la complessità
culturale e il luogo geografico di appartenenza non siano fattori
discriminanti per l’infanticidio, e che anzi già i nostri antenati lo
praticavano; conclude pertanto che: “Rather than being an exception, then,
it has been the rule” (“Piuttosto che l’eccezione, quindi, è stata la regola”),
riferendosi proprio alla frequenza del compimento di tale atto presente nel
genere umano, nello spazio e nel tempo. Nell’antichità era piuttosto comune
il sacrificio del proprio figlio agli dèi: in particolare nel paleolitico e
neolitico alcuni antropologi sono concordi nel sostenere che la percentuale
di infanticidi fosse molto alta, e colpiva in larga misura le femmine. Sono
state scoperte dagli archeologi tracce evidenti di child sacrifice, l’assassinio
ritualistico dei bambini per soddisfare esseri soprannaturali, in numerose
località: senza spostarci di molto geograficamente parlando, sono state
trovate tremila ossa in Sardegna di bambini che sono stati sacrificati. E poco
lontano, neonati venivano uccisi in nome di Ishtar, la stella Venere, dea
Babilonese dell’amore e della guerra.
Si provi poi a pensare allo ius vitae ac necis che veniva riconosciuto
al padre di famiglia dal diritto dell’antica Roma: lui decideva se il neonato
era degno discendente, e in caso contrario questi veniva abbandonato o
lasciato morire per emorragia, facendo tagliare profondamente all’ostetrica
il cordone ombelicale del piccolo. La madre, in questo caso, nulla poteva
contro la potestà del pater. Addirittura, le Dodici Tavole del diritto romano
5
Laila Williamson è assistente scientifica presso l’American Museum of Natural History,
8
obbligavano l’uccisione di un bambino se questo fosse stato visibilmente
deforme. È interessante sapere anche che una legge pompeiana, la “lex
Cornelia de sicariis”, considerava il delitto punibile solo se commesso dalla
madre, condizione che rimane tale fino all’introduzione dell’estensione della
pena anche all’altro genitore, con il diritto giustinianeo.
Oltremare, gli antichi Greci uccidevano gli infanti per gli dèi pagani
e l’assideramento dei neonati veniva praticato con frequenza, nonostante
considerassero il sacrificio umano un gesto barbaro; oppure, lasciavano i
neonati indesiderati in balìa degli elementi della natura, come metodo di
controllo della popolazione.
Mentre sta per crollare il Sacro Romano Impero, la Chiesa impone il
suo rigore e diviene prioritario l’ottenimento della salvezza divina,
caratteristica della fase storica successiva, il Medioevo. Tutto questo
comporta una meticolosa ricerca dell’ordine sociale, sopprimendo ogni
forma di scompiglio: il cristianesimo rifiuta pertanto l’infanticidio. "Non
devi uccidere un bambino tramite aborto, né procurare la morte di colui che
è nato", dice così l'insegnamento degli Apostoli. L’ epistola di Barnaba si
esprime allo stesso modo, così come il resto della cristianità; insomma,
lasciar morire un bambino è considerato dalla Chiesa un atto crudele e
selvaggio. Nel 318 d.C. Costantino dichiara l’infanticidio un crimine e nel
374 diviene delitto capitale nella legislazione dell’Impero. In quello stesso
anno Valentiniano I dispone di educare e allevare tutti i bambini, perché
all’epoca era ancora praticato l'assideramento, in particolar modo per le
bambine. Nonostante questo, i colpevoli di tale reato raramente venivano
perseguiti. Il Concilio di Costantinopoli rende equiparato l'infanticidio
all'omicidio, e con il Terzo Concilio di Toledo in Spagna (589 d.C.)
vengono adottate misure contro l’usanza ispanica di uccidere i propri figli.
divisione di Antropologia.