4
Parallelamente le mie ricerche si sono rivolte a conoscere la
biografia di Françoise Raucourt, attrice dotata di grande talento
tragico che affascinò uomini e donne potenti, dal re Luigi XV alla
regina Maria Antonietta, fino al più illustre dei suoi protettori:
Napoleone. Alcune biografie apparse all’inizio del secolo scorso,
improntate più a ritrarre la Raucourt come un’eroina saffica al tempo
del libertinaggio della corte francese prerivoluzionaria, nonostante
queste siano incentrate più sul pettegolezzo e sulle performance
amorose che alla mera volontà storica, mi hanno comunque permesso
di tracciare un breve profilo della personalità dell’attrice e mi hanno
offerto la lettura di alcuni documenti fondamentali per conoscere la
formazione della Compagnia Imperiale e Reale.
Nel tentativo di fornire una ricostruzione completa della presenza
della compagnia d’attori francesi sull’intero territorio italiano ho
cercato di documentarmi sulla permanenza nelle altre province
dell’impero in cui per decreto gli artisti dovettero esibirsi. Sfogliando i
periodici editi durante la dominazione francese nelle città di Torino,
Milano, Genova, Bologna e Alessandria ho raccolto una serie di brevi
articoli che mi sono stati d’aiuto per seguire i loro itinerari e tentare di
comprendere in che modo lo spettacolo francese fosse stato accolto
dagli spettatori nei vari dipartimenti. In particolare, grazie a un
discreto numero di recensioni e dal lavoro intrapreso da alcuni
studiosi, nella parte finale del secondo capitolo, ho dedicato un
paragrafo alla compagnia d’attori francesi al servizio del viceré
Eugenio Beauharnais a Milano.
Al fine di proporre uno studio esauriente ho ritenuto opportuno, nel
mio elaborato, tentare una panoramica su tutta la vita teatrale
parmense durante l’amministrazione francese: il terzo capitolo si apre
con alcuni paragrafi dedicati alle sale cittadine in cui si svolgevano gli
spettacoli; in seguito, attraverso qualche documento d’archivio, una
serie di locandine e alcuni articoli apparsi sul giornale cittadino, ho
rintracciato il passaggio di diverse compagnie di prosa in tournée sui
territori dell’ex ducato; secondo il mio parere personale era
indispensabile, in termini di completezza, estendere lo sguardo sul
5
melodramma, senza dimenticare che da sempre a Parma la musica ha
un ruolo predominante in fatto di gusto sugli spettatori, per altro assai
esigenti.
Il quarto capitolo è dedicato alla compagnia d’attori francesi: dal
loro arrivo in città nel 1807 fino all’ultima tournée del 1813. Mettendo
in relazione la corrispondenza fra le massime cariche autoritarie del
governo francese mi è stato possibile ricostruire il periodo dell’anno
nel quale la compagnia francese soggiornò a Parma e inserirlo
all’interno del calendario degli spettacoli al Teatro Imperiale; mentre
dalle recensioni apparse sul periodico locale, anche se offrono una
copertura di soli tre anni, va ricordato che il giornale fu soppresso per
qualche anno, ho potuto carpire quale fosse stata l’accoglienza del
pubblico parmigiano riservata agli artisti d’oltralpe.
Nella seconda sezione della tesi ho selezionato tre appendici di
documenti che ho ritenuto indispensabili nel corso delle mie ricerche.
Le traduzioni sono dell’autrice.
Col mio lavoro spero di avere fatto emergere nella maniera più
chiara possibile il quadro politico e culturale della città durante
l’impero napoleonico e di avere recuperato ogni traccia dell’effimero
passaggio della compagnia d’attori francesi e della direttrice Françoise
Raucourt, allo stesso tempo spero di esserci riuscita attraverso una
piacevole lettura, se non altro in virtù della mia buona volontà.
Alla fine di questo percorso mi sento obbligata a fare dei
ringraziamenti: grazie alla dottoressa Francesca Rocci, coordinatrice
della Biblioteca e Archivio del Museo Nazionale de Risorgimento di
Torino, per l’interesse e l’aiuto dimostrato alla mia ricerca; al
professor Marco Capra, direttore del CIRPeM, per i suggerimenti e i
consigli; al personale della Casa della Musica e Archivio Storico del
Teatro Regio, dell’Emeroteca Comunale e dell’Archivio Storico
Comunale e della sala manoscritti della Biblioteca Palatina. Un
ringraziamento particolarmente sentivo a va a tutto il personale
dell’Archivio di Stato per i consigli, l’aiuto e la disponibilità di cui ho
potuto godere durante tutto il corso delle mie ricerche. Un
ringraziamento speciale lo debbo alla signora Fabienne Bussolati, per
6
l’amorevole pazienza con cui ha colmato le mie lacune nella lingua
francese; infine grazie a Yuri e alla mia cara amica Greta Campolucci
per l’aiuto materiale.
7
CAPITOLO I
La dominazione francese a Parma
SOMMARIO: 1.1. La dinastia Borbone e il governo Du Tillot - 1.2.
L’occupazione del ducato di Parma e Piacenza- 1.3. L’amministrazione
Moreau de Saint-Méry- 1.4. Napoleone a Parma nel 1805 - 1.5. La
prefettura di Hugues Eugène Nardon - 1.6. La prefettura di Henri Dupont
Del Porte -1.7. Il crollo dell’impero napoleonico e il ritorno del ducato.
1.1. Con la pace di Acquisgrana, sancita nel 1748, dopo otto anni
di guerra di successione austriaca, il ducato di Parma e Piacenza
ritornò unito e, con l’estinzione della dinastia Gonzaga, vi fu annesso
anche il territorio di Guastalla e la reggenza fu affidata a Filippo di
Borbone
2
.
Il primo ministro dello Stato fu Guillaume Du Tillot
3
figura
fondamentale della storia parmense. Nel giugno del 1749 giunse nel
ducato in qualità di osservatore e consigliere di don Filippo, inviato da
Luigi XV. Fu promosso dal sovrano ad intendente generale della casa,
con le stesse funzioni che spettavano ad un segretario di Stato e in
poco tempo ne guadagnò la stima e la fiducia.
La situazione economica in cui versava il ducato era disastrosa: sia
il settore agricolo che quello commerciale e industriale erano in
2
Secondogenito di Filippo V ed Elisabetta Farnese, don Filippo arrivò in Parma il 9
marzo 1749, seguito, dopo qualche tempo, dalla moglie Luisa Elisabetta di Borbone,
figlia del re di Francia Luigi XV. La consorte non gradì mai la permanenza nel ducato.
Abituata ai fasti giovanili di Versailles, la corte ducale le sembrò non all’altezza del suo
rango. L’infanta tornava spesso a Parigi, nel 1759 durante uno di questi viaggi morì dopo
aver contratto il vaiolo all’età di trentadue anni. La stessa sorte toccò al marito qualche
anno più tardi, nel 1765, ad Alessandria, mentre il duca si trovava in viaggio per
accompagnare la figlia Luisa Maria in Spagna, futura sposa del principe delle Asturie
Carlo VI.
3
Guillaume Du Tillot nacque a Bayonne in Francia il 22 maggio 1711, il padre fu un
valletto della corte spagnola del re Filippo V. Dopo aver terminato gli studi al Collège des
Quatres Nationes a Parigi, Du Tillot raggiunse il padre in Spagna e prese servizio come
capo-guardaroba dell’infante don Carlo. Dopo la partenza di questi per l’Italia, passò alle
dipendenze di don Filippo col quale instaurò un rapporto di grande stima e fiducia, tanto
che ne diventò segretario personale e amministratore della casa privata. Fu inviato al
seguito del duca a Parma come garante della politica francese al fianco di quella
spagnola.
8
decadenza, spartiti fra clero e nobiltà. Du Tillot creò una politica
accentratrice, sottoponendo ogni attività al rigido controllo
governativo. Il ministro con il suo operato riuscì così ad estinguere i
debiti senza aumentare il numero delle imposte già gravose per la
popolazione
4
.
Du Tillot istituì nel 1754 un Regio Consiglio privato di cui lo
stesso faceva parte assieme a solo tre consiglieri, in questo modo il
potere restava nelle mani di poche persone e se ne evitava la
dispersione in diversi organismi. Il ministro operò anche nel settore
giudiziario e apportò notevoli cambiamenti, istituendo la carica
d’uditore generale, il cui scopo era di velocizzare il sistema. Nel 1756
istituì la carica di supremo magistrato, costui era la più alta autorità
sul piano finanziario, aveva il compito di dirigere il regio patrimonio,
le amministrazioni locali e le rendite dei comuni, andando a sostituire
i due magistrati camerali che operavano divisi per le città di Parma e
Piacenza.
La situazione agricola del ducato versava in pessime condizioni in
prevalenza a causa dalle tecniche arretrate utilizzate; il territorio era
adibito alla coltivazione prevalentemente di frumento, granoturco e
alcuni prodotti ortofrutticoli. Du Tillot incoraggiò la coltivazione del
lino, della canapa e del gelso nei territori del ducato, non solo per
provvedere al fabbisogno della corte, ma anche per ricavare profitto
dall’esportazione di queste materie, oltre che incrementare la
produzione del formaggio parmigiano
5
.
Guillaume Du Tillot riuscì soprattutto a dare con la sua riforma un
impulso culturale alla città: un nuovo incentivo allo sviluppo
economico andava accompagnato con un adeguato impulso culturale.
Il desiderio del ministro fu di trasformare Parma in una piccola
roccaforte della cultura laica e illuminata, fu per questo accusato
4
LUCIA LOPRESTI, Granducato di Parma e Piacenza, dai Farnese ai Borbone, da don
Ferdinando a Maria Amalia, da Du Tillot all’arrivo di Napoleone, da Maria Luigia a
Luisa Maria…, Verona, Demetra s.r.l., 1999, p. 98.
5
GUSTAVO MARCHESI, Storia di Parma, Un racconto vivo e colorito delle vicende
della città prima e dopo l’unità d’Italia: da “petite capitale” protagonista nello
scacchiere europeo, all’odierno prestigio nella cultura, nell’industria e nello sport,
Roma, Newton Compton editori s.r.l., 1994, p.128.
9
d’anticlericalismo, pur essendo ligio ai riti liturgici, seguito dall’abate
Louis de Girard.
Grazie al suo intervento arrivarono a Parma lo scultore Jean-
Baptiste Boudard
6
, l’architetto Ennemond Alexandre Petitot
7
, artefice
della trasformazione dell’aspetto urbanistico della città, e lo
stampatore Gian Battista Bodoni
8
. Oltre a questi professionisti
giunsero dalla Francia anche decoratori, giardinieri, ebanisti, scudieri,
pronti a non far rimpiangere all’infanta Luisa Elisabetta l’atmosfera
parigina dell’infanzia.
Du Tillot ebbe anche una particolare attenzione per il teatro: nel
1763 fu fondata l’Accademia dei dilettanti in musica, la quale
organizzava ben due concerti a settimana. A corte fu istituita una
cappella corale, dal 1766 al 1791 ne fu direttore Girolamo Simone
Mangot e nel 1757 si creò la scuola di ballo sotto la direzione di Jean
Philippe Delisle.
Al poeta ufficiale di corte Frugoni
9
, il ministro commissionò la
traduzione e il riadattamento di una tragedia di Racine del 1733,
6
Jean-Baptiste Boudard nacque a Parigi nel 1710. Dal 1733 al 1740 soggiornò a Roma
prima di passare alla corte di don Filippo di Borbone a Chambéry. Arrivato a Parma dal
1753 si dedicò alla ricostruzione del Giardino Ducale. Diventò cittadino parmense e
ottenne l’incarico di primo statuario di corte e gli fu inoltre assegnata la carica di
sovrintendente ai lavori di scultura e ornato. Morì a Sala Baganza nel 1768.
7
Ennemond Alexandre Petitot nacque a Lione 1727. Nel 1753 ottenne l’incarico di primo
architetto della corte borbonica parmense, lavorò al Giardino Ducale in stretta
collaborazione con Boudard. Realizzò la Sala Grande nel Palazzo Ducale, il tempietto
d’Arcadia, l’ampliamento del Palazzo del Giardino, la facciata della chiesa di san Pietro.
Sempre in collaborazione con Boudard nel 1760 lavorò alla “Loge” ducale nel Teatro di
Corte edificato dal Lolli. Il suo stile fu concettualmente pensato tra il razionale e il proto
neoclassico, il funzionale e il simbolico. L’intento dell’architetto fu la voluta ripresa di
una simbologia classica ed un’esaltazione dei frammenti recuperi antichi che andavano a
ribadire l’origine romana della città, realizzando il preciso volere del mecenate Du Tillot.
Morì nel 1801 Parma.
8
Giambattista Bodoni provenne da una famiglia di tipografi originaria di Saluzzo nel
cuneense. Dopo un lungo soggiorno romano fu chiamato a Parma nel 1768 a dirigere la
Stamperia Reale dove vi restò per il resto della vita. Nel 1791 ottenne dal duca il
permesso di aprire una propria stamperia, con l’arrivo dell’amministrazione francese
trovò altre illustri protezioni. Nel 1810 ottenne una pensione vitalizia da Murat e in
seguito un’altra da Napoleone per i meriti conseguiti nei progressi dell’arte tipografica.
Morì a Parma nel 1813 il suo funerale fu celebrato in duomo come spettava ai personaggi
illustri.
9
Poeta e librettista, Carlo Innocenzo Frugoni, nacque a Genova nel 1692, prese i voti in
tenera età, arrivò come insegnante a Parma presso la corte dei Farnese, fu inoltre
10
Hippolyte et Aricie, musicata da Rameau e fu messa in scena nel 1759
con le musiche di Tommaso Trajetta. L’anno successivo entrambi
lavorarono ad una seconda traduzione, il Castor et pollux, che prese il
titolo I Tindaridi, e ad un’opera balletto dal titolo Le feste di Imeneo.
L’appoggio incondizionato di Du Tillot alla Francia non mancò di
creargli molti fastidi: la borghesia e il popolo mal sopportavano la
protezione accordata ai connazionali, stanchi di subire disposizioni,
leggi e costumi stranieri a discapito della propria tradizione
violentemente repressa
10
.
Il ministro s’inimicò prepotentemente il clero emanando nel 1764
una “Prammatica sulle mani-morte”, andando a ledere gli interessi
clericali sul territorio del ducato. Inoltre escluse numerosi ecclesiastici
dai poteri del governo. Una manovra che andava a cozzare contro la
politica farnesiana e borbonica indissolubilmente legata alla Chiesa.
I gesuiti furono espulsi e molti dei beni che appartenevano al loro
ordine furono incamerati nelle casse del governo ducale. A loro era
affidata l’educazione scolastica. Con l’allontanamento dei religiosi
l’istruzione subì un brusco arresto. In seguito fu affidata al padre
teatino Paolo Maria Paciaudi
11
, già dal 1761 direttore della biblioteca
Palatina e sovrintendente agli scavi archeologici di Veleia.
I nemici più temibili del ministro che contribuirono a spodestarlo
furono i nuovi regnanti. Con la morte di don Filippo salì al trono il
figlio don Ferdinando che al tempo aveva solo quattordici anni. Il
governo restò nelle mani di Du Tillot, mentre le diplomazie europee si
prodigavano a cercare una consorte adeguata al duca.
La scelta ricadde su Maria Amalia, figlia dell’imperatrice Maria
Teresa d’Austria, verso la quale il ministro francese dimostrò subito
una profonda avversione.
segretario dell’Accademia delle Belle Arti, divenne membro dell’Arcadia con nome di
“Comante Eginetico”.
10
GUSTAVO MARCHESI, Storia di Parma, cit., p. 144.
11
Originario di Torino, dove vi nacque nel 1710, fu chiamato a Parma da Du Tillot per
affidargli il compito di riformare gli studi universitari. Assieme ad un gruppo di
intellettuali scrisse la Costituzione per i nuovi regi studi, il suo intento fu quello di creare
una vera e propria scuola anticurialista con modello statale e laicizzato. Con la fuga di
Du Tillot ogni idea riformatrice fu accantonata.
11
Questo legame di parentela rinsaldava i rapporti della corte con
l’impero austriaco, ma guastava i piani d’alleanza con il ducato di
Modena. Du Tillot aveva proposto, come sposa di don Ferdinando,
Maria Beatrice d’Este, unica erede del ducato confinate. Inoltre il
matrimonio, essendo contratto fra due consanguinei, necessitò
dell’intervento del pontefice stesso e ciò permise un riavvicinamento
fra la curia romana e la corte parmense.
Maria Amalia fu subito informata delle trame del ministro francese
protese a far naufragare la sua unione col duca, questo le procurò fin
dall’inizio una profonda ostilità nei suoi confronti. Il primo palese
dispetto della futura sovrana ai suoi danni fu di trattenersi per due
mesi a Colorno, prima di entrare in Parma. Così facendo mandò a
monte i festeggiamenti che con tanto zelo erano stati preparati dallo
stesso Du Tillot, causando una notevole perdita di denari delle casse
regie, per le spese straordinarie furono impiegati i proventi
dell’imposta sui camini.
Maria Amalia arrivò in città soltanto il 24 agosto 1769, accolta da
archi trionfali posticci, balli, canti, un torneo e un’opera rappresentata
al Teatro Ducale, Le feste d’Apollo, con la musica di Christoph
Willibald Gluck, maestro alla corte viennese
12
.
La vita cittadina andava stretta alla duchessa, tanto che decise
quasi subito di trasferirsi al Casino dei boschi di Sala Baganza, dove
potette abbandonarsi ai propri piaceri lontano dal marito e da sguardi
indiscreti, mentre il consorte don Ferdinando si ritirò nella reggia di
Colorno.
Il duca, pur avendo ricevuto un’educazione illuminista da parte del
filosofo francese Etienne Bonnot de Condillac, dimostrò fin dalla
giovinezza una propensione verso la religione, soprattutto rivolse una
particolare attenzione verso l’ordine dei domenicani.
I re di Francia e Spagna quando vennero a conoscenza dei
comportamenti dei regnanti, inviarono tempestivamente a Parma il
marchese François Claude de Chauvelin, gentiluomo della camera di
Luigi XV per ammorbidire il fervore religioso del duca e invitare la
12
GUSTAVO MARCHESI, Storia di Parma, cit., p. 142.
12
duchessa ad attenersi all’etichetta, inoltre alla sua presenza vi fu un
incontro chiarificatore col ministro francese.
Nel 1770 un altro ambasciatore Louis Bruno de Cussé, conte
Boisgelin, arrivò al ducato sempre con lo scopo di sedare l’astio di
Maria Amalia nei confronti di Du Tillot, ma pare che lui stesso cedette
alle lusinghe della duchessa.
Il ministro aveva ormai troppi nemici e sentendosi messo alle
strette fuggì per evitare un attentato. Dopo essere stato destituito il 14
novembre 1771, si rifugiò prima in Spagna e, successivamente, a
Parigi, dove morì nel 1774. Con la sua dipartita vi fu un brutale
arresto nell’ascesa del ducato a stato moderno e progredito
13
. Furono
allontanati da corte i letterati, i filosofi e quegli artisti che tanto
avevano contribuito al progresso scientifico e artistico della città.
Successivamente al suo operato vi fu un’alternanza di ministri alla
reggenza del ducato, i vecchi potenti corsero immediatamente a
riappropriarsi degli antichi privilegi soppressi, e a rioccupare
importanti cariche a corte e alti gradi militari. Fu abolita la
“Prammatica sulle mani-morte”; furono riaperti i conventi ; e i gesuiti
si ripresero le vecchie cariche sostituendo i padri barbicati al Collegio
dei Nobili.
Don Ferdinando non si preoccupò della sorte economica del
ducato, troppo dedito alle sue pratiche religiose e la corte s’ indebitò
pesantemente. La regina di Spagna, sorella del duca, dopo
l’allontanamento del ministro don José Augustín Llano, successore di
Du Tillot, smise di sovvenzionare il ducato che s’indebolì
drasticamente.
13
LUCIA LOPRESTI, Granducato di Parma e Piacenza, dai Farnese ai Borbone…, cit.,
p. 110.
13
1.2. Negli anni successivi della sua reggenza don Ferdinando fu
spettatore apatico di quello che stava accadendo oltralpe. Dopo la
rivoluzione francese e la morte di Luigi XVI, si susseguirono una
lunga serie di conflitti. La Francia, riuscì a tener testa alle potenze
europee e, dopo aver sedato le rivolte interne, partì alla controffensiva
con il giovane Napoleone Bonaparte a capo dell’armata.
Il 27 dicembre 179 fu proclamata la Repubblica Cispadana dai
deputati delle città di Modena, Ferrara, Bologna e Reggio e,
successivamente, fu assorbita dalla Repubblica Cisalpina creata a
Milano nel 1797.
La mattina del 6 maggio 1796 Napoleone a capo del suo esercito
fece il suo ingresso nei territori del ducato borbonico a Castel San
Giovanni nel piacentino
14
.
Don Ferdinando nei confronti della Francia mantenne sempre un
atteggiamento neutrale, mentre l’organo di stampa ufficiale, “La
Gazzetta di Parma”
15
, riportava notizie degli stati europei senza però
menzionare le imprese dell’armata francese.
L’esercito del ducato in quegli anni fu ridotto a 2.400 uomini a
causa dei gravi problemi economici che affliggevano le casse dello
stato. Gli stessi sudditi, consapevoli della debolezza del loro sovrano,
furono spettatori degli accadimenti che stavano sconvolgendo
l’Europa, pronti ad adeguarsi ad un eventuale vincitore
16
.
14
MARIASTELLA CARPI (a cura di), 1796: Napoleone a Parma, Parma, Grafiche
STEP, 1997, p. 11.
15
La “Gazzetta di Parma” è il più antico quotidiano italiano. Fondato nel 1735, prese
questa denominazione col ministro Du Tillot che affidò a Giuseppe Pezzana l’incarico di
compilatore del giornale. All’epoca la testata sostenne le idee illuministiche e portò avanti
una feroce campagna antigesuita. Nel 1772 la direzione fu affidata a Giambattista
Bodoni. Per molto tempo si è creduto che la pubblicazione del giornale s’interrompesse in
concomitanza con l’ingresso di Bonaparte nel ducato nel 1796. L’annata fu ritrovata in un
fondo della famiglia Sanvitale nella Biblioteca Nazionale Centrale di Roma. La
pubblicazione del giornale riprese il 5 marzo 1811, anno in cui il governo imperiale
ordinò che ogni dipartimento avesse un organo di stampa, la testata uscì con la
denominazione di “Giornale del Taro”, per tornare ad essere “Gazzetta di Parma” nel
1814.
16
LENY MONTAGNA, Il dominio francese in Parma (1796-1816), Piacenza,
Stabilimento delle Arti grafiche G. Favari e D. Foroni, 1906.
14
Don Ferdinando all’interno della sua corte vedeva schierate due
opposte posizioni: da una parte il partito degli “austricanti”
17
, nel
quale in prima linea vi capeggiava l’arciduchessa Maria Amalia;
mentre dall’altra vi erano i neutralisti, ai quali faceva capo il ministro
Cesare Ventura
18
. Il sovrano era ben consapevole che schierandosi
apertamente con uno degli eserciti, in futuro, qualunque fosse stato il
risultato degli avvenimenti, avrebbe sicuramente pagato lo scotto
dell’alleanza o della sconfitta.
Don Ferdinando fece pubblicare sulle grida un rescritto nel quale
proibiva tassativamente ai cittadini di tenere discorsi che riguardassero
in qualche modo gli avvenimenti correnti. Tale osservanza non fu
rispettata e il popolo si scatenò rivoltandosi contro il famoso ritrovo
dei giacobini in città, il caffè Ravazzoni, che fu saccheggiato così
come le case dei partigiani di Francia.
Il duca, non avendo i mezzi necessari per opporre resistenza
all’invasione dell’armata francese, cercò di conquistarsi la simpatia
del generale dell’esercito repubblicano. Attraverso la mediazione di
Pietro Cavagnari
19
, diretto a Genova per incontrare Napoleone, don
Ferdinando lo pregava d’avere riguardi nei confronti del ducato, ma la
richiesta non fu presa in considerazione, fu solo promesso di non
devastare il territorio e usare riguardo nei confronti di un ducato che
comunque aveva legami di parentela con la Spagna, alleata della
repubblica francese.
17
BRUNO FAVA, Cronaca di una breve illusione, in “Parma economica”, n. 9,
settembre 1968, p. 37.
18
Ventura nacque a Parma nel 1741, dopo essere stato consigliere intimo di don
Ferdinando, svolse funzioni politiche al Dispaccio Universale. Terminato l’incarico di
primo ministro nel 1800, ebbe in dono un feudo nei pressi di Salsomaggiore e fu eretto a
marchesato. Con l’amministrazione francese svolse le funzioni di plenipotenziario del re,
e in seguito della regina d’Etruria. Fu presidente del governo provvisorio nel 1814, con
l’arrivo di Maria Luigia d’Austria si ritirò dalle cariche pubbliche.
19
Cavagnari appartenne ad una famiglia importante nel settore bancario, si occupò delle
questioni finanziare del duca, lavorò nella commissione incaricata della riforma
monetaria. Dopo aver incontrato Napoleone, incaricato della mediazione, decise di
seguire il generale e partecipò alla battaglia di Marengo. Prese parte all’Assemblea dei
Comizi italiani di Lione e fu tra i membri del Corpo Legislativo di Parigi.
15
Nel 1794 il duca sottoscrisse con l’Austria un’alleanza, in assenza
del ministro Cesare Ventura e all’insaputa del governo spagnolo che
ne fu messo a conoscenza solo ad invasione avvenuta. Inoltre, don
Ferdinando permise all’Austria il reclutamento di soldati nel territorio
del ducato e l’esenzione dal pagamento di dazi sui generi transitanti
sul fiume Po durante la guerra, beneficio concesso anche alla Spagna.
Non va inoltre dimenticato il peso esercitato dalla principessa
asburgica Maria Amalia, le cui manovre segrete avevano da sempre
spinto il ducato verso l’orbita austriaca.
Tutto questo valse ai francesi il pretesto per occupare il territorio.
L’interesse da parte del Direttorio al ducato verteva soprattutto sulla
posizione strategica che questi presentava. Inoltre poteva garantire
un’entrata ghiotta per le finanze che poteva far affluire nelle casse
dello stato.
Il 6 maggio il governatore di Piacenza, Don Dionigi Crescini, fu
arrestato; il giorno seguente una divisione formata da 5.000 granatieri
e 1.500 soldati a cavallo entrarono in città e il comandante francese
Subrin prese possesso del Palazzo Reale; la stessa sera giunse nella
città il generale Bonaparte. Il 9 maggio, con l’intermediazione del
ministro di Spagna a Parma, il conte Valparaiso, i marchesi Antonio
Pallavicino e Filippo della Rosa firmarono un armistizio col generale.
La neutralità del ducato costò molto cara a don Filippo. Per
concludere la pace avrebbe dovuto pagare 2 milioni di lire, 500.000
subito, il restante sarebbe stato versato nei dieci anni successivi,
inoltre avrebbero messo a disposizione 2.000 cavalli, 2.000 buoi,
10.000 quintali di grano, 5.000 paia di scarpe e 20 quadri ai francesi,
in cambio l’esercito avrebbe sospeso la marcia su Parma
20
.
Il numero di 20 quadri in seguito scese a 16, la popolazione si sentì
molto umiliata da questo provvedimento, furono spogliati di opere di
grande valore conservate alla Pinacoteca. Le tele in questione erano
tre di Correggio, tre dello Spagnoletto, due del Guercino, uno di
Raffaello, Veronese e Van Dyck. La perdita più sentita per i
20
LENY MONTAGNA, Il dominio francese in Parma (1796-1816), cit., p. 14.
16
parmigiani fu sicuramente la Madonna del San Girolamo del
Correggio, a nulla valse il tentativo di trattenerlo offrendo agli agenti
dell’esercito un milione, Bonaparte volle a tutti i costi prendere con se
il capolavoro, rimasto a Parigi fino al 1816.
Il ducato non riuscì a soddisfare le richieste dell’esercito francese
così imponenti, previste dall’armistizio, per quello che riguardava
bestiame e granaglie, fu corrisposto l’equivalente in denaro e ne
conseguì un forte indebitamento delle casse ducali. I versamenti
furono effettuati agli amministratori dell’armata in Italia, i sudditi
contribuirono sia in denaro, sia in argento fuso, dimostrando
solidarietà al duca e alla corte.
Don Ferdinando s’interessò molto alla condizione della trattativa,
tessendo una fitta ragnatela di relazione con ministri e ambasciatori,
ma di fatto senza successo, il duca riuscì solo a conservare la sovranità
grazie all’intermediazione spagnola, ma in realtà si trattava di una
reggenza apparente
21
.
Non riuscendo a rispettare gli articoli del trattato, le armate
francesi entrarono a Parma il 20 giugno del 1796. Nuove trattative
furono concluse a Parigi il 5 novembre, in cui si stabilì il libero
passaggio dell’esercito francese sui territori del ducato e fu concesso
l’immunità di dazio sulle merci che dalla città venivano esportate in
Francia. Il trattato di pace definitivo contava 18 articoli, fu sottoscritto
tra da Carlo Lacroix, dal conte Politi
22
e da don Luigi Bolla per il
duca.
La situazione cambiò di nuovo assetto nel 1799, quando la Francia
perse la Repubblica Cisalpina per mano dell’alleanza tra Austria e
Russia. Gli ufficiali dell’esercito repubblicano si rifugiarono dal duca
che cercò in ogni modo di mantenersi neutrale di fronte agli
21
MARIASTELLA CARPI (a cura di), 1796: Napoleone a Parma, cit., p. 32.
22
Pier Luigi Politi, nacque a Parma nel 1745, dopo aver conseguito la laurea in
giurisprudenza, divenne uno dei giuristi più stimati del ducato sotto la reggenza del
ministro Du Tillot. Entrò in magistratura, dove ottenne brillanti risultati, pur con qualche
diverbio col duca Ferdinando. Nel 1797 tornò in Francia per perorare nuovamente la
causa del vecchio duca, cosa che non fu gradita a Napoleone. Fu governatore di Parma
dal 1799 al 1800. Concluse la sua carriera con la carica di presidente della sezione
giudiziaria della reggenza provvisoria per Maria Luigia nel 1814.
17
avvenimenti. Il 7 maggio entrarono in città gli austriaci costringendo
don Ferdinando a ritirarsi a Verona.
Con la vittoria nella battaglia di Marengo il 14 giugno del 1800 il
generale Bonaparte riformò la Repubblica Cisalpina. Nel settembre
Moreau de Saint-Méry fu nominato residente della Repubblica
Francese in Parma, dove giunse il 15 marzo dell’anno successivo.
Il 9 febbraio del 1801 con il trattato di pace di Lunéville, siglato tra
Giuseppe Bonaparte per la Francia e Luigi di Cobentzel per l’Austria,
si stabiliva che a don Ferdinando fosse assegnata la Toscana, ma il
duca non volle saperne di abbandonare il proprio stato anche se in
favore di uno molto più esteso e prestigioso.
Nel successivo trattato di Aranjuez del 21 marzo fu deciso che la
Toscana fosse assegnata al figlio di don Ferdinando, Ludovico, mentre
il ducato di Parma e Piacenza venne annesso al territorio francese.
Don Ferdinando continuò a risiedere a Colorno dove morì il 9
ottobre 1802 dopo tre giorni di terribile agonia, la sua morte
sopraggiunse in un momento molto favorevole, tanto da adombrare il
sospetto che fosse avvenuta a causa di un avvelenamento.
Fu formata una breve reggenza di cui facevano parte la vedova
Maria Amalia, il conte Francesco Schizzati
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e il marchese Cesare
Ventura, ma non appena il ducato passò alla Francia, come stabilito
dal trattato, l’infanta abbandonò la città e si diresse a Praga dove vi
morì nel 1804
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Schizzati nacque a Parma nel 1747, studiò giurisprudenza e insegnò diritto criminale
all’Università parmense. Intraprese la carriera giudiziaria divenendo primo uditore civile
a Parma, e in seguito nel supremo Consiglio di Piacenza. Negli ultimi anni della reggenza
di don Ferdinando fu nominato governatore e ministro delegato del Dispaccio Universale,
carica che mantenne fino alla morte del duca.
24
LENY MONTAGNA, Il dominio francese in Parma (1796-1816), cit., p. 35.