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Proprio uno di questi distretti, il distretto di Vicenza, è al centro
dell’ultima parte di questo capitolo.
Si è cercato, dopo una breve descrizione del settore, di analizzare le
caratteristiche specifiche dell’industria orafo - argentiera di quest’area,
facendo emergere sia i punti di forza che hanno permesso al distretto
vicentino di accrescere la propria immagine e importanza nel corso degli
anni, sia le nuove problematiche che dovranno essere affrontate per
poter continuare a competere sui mercati nazionali ed internazionali,
che essendo in continuo cambiamento e trasformazione richiedono un
aggiornamento costante dell’industria orafa.
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CAPITOLO I
1 Made in Italy e distretti industriali
1.1 Il made in Italy
La genericità dell’espressione made in Italy rende difficile definirne i
contorni e le caratteristiche per affrontare in maniera appropriata il
tema della produzione tipica italiana che viene venduta all’estero.
Come prima analisi si può dire che con il termine made in Italy si indica
il processo di rivalutazione della produzione artigianale e industriale
italiana che ha spesso portato i prodotti italiani ad eccellere nella
competizione commerciale internazionale.
E’ utile quindi, in primo luogo, individuare i settori chiave che ne
costituiscono il nucleo, e in tal senso appare significativa
l’identificazione che fa Giacomo Becattini (1998) di alcuni particolari
settori che contribuiscono a creare all’estero una immagine positiva del
nostro Paese.
I prodotti simbolo del made in Italy sono sostanzialmente attribuibili a
quattro categorie di beni:
1. i beni durevoli per la cura della persona, quali ad esempio
l’abbigliamento, le calzature, i gioielli, etc.;
2. i prodotti per l’arredamento, come i mobili, le cucine, le piastrelle,
la rubinetteria, etc.;
3. i beni alimentari che fanno parte della nostra tradizione (la
cosiddetta dieta mediterranea), come il vino, la pasta, l’olio
d’oliva, il prosciutto, il parmigiano, etc.;
4. l’automazione-meccanica (prodotti in metallo, macchine,
elettrodomestici, etc).
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Queste quattro categorie di prodotti, denominate anche “4A”,
rappresentano per l’economia italiana un pilastro su cui il nostro Paese
può ancora fare affidamento per assicurarsi un vantaggio competitivo
sul resto del mondo.
Per avere un’idea del peso di questi settori si può fare riferimento alla
tabella 1, nella quale viene presentata la struttura del made in Italy
manifatturiero per l’anno 2001.
L’importanza del made in Italy emerge nel Secondo Dopoguerra, con le
prime sfilate di moda a Firenze, che rappresentano il fascino estetico ed
il bagaglio culturale dei prodotti della cultura italiana in tutti i suoi
aspetti migliori. Quello che ha portato al successo i prodotti italiani nel
mondo sono stati il gusto estetico di millenaria tradizione e la qualità
intrinseca dei prodotti che per molti anni hanno varcato le frontiere,
portando le esportazioni ad avere un tasso di crescita di oltre il 10%
annuo e dando vita a quello che poi è stato definito il “miracolo
italiano”.
Il made in Italy nasce dunque da una grandissima esperienza,
pressoché unica al mondo, nel trasformare le materie prime in prodotti
di alta qualità.
Caratteristica importante del made in Italy è l’organizzazione stessa
della produzione: quasi i due terzi dell’output e dell’export made in Italy
provengono infatti da aree distrettuali o comunque da province
specializzate: un arcipelago di piccole e medie imprese che ha tradotto
in produzione industriale antichi mestieri e ha saputo esportare i nostri
prodotti trasformando in valore aggiunto il marchio made in Italy.
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(1) Tessile-abbigliamento, cuoio-pelletteria-calzature, oreficeria-gioielleria, occhiali e montature, bottoni, ombrelli, chiusure lampo.
(2) Legno e prodotti in legno, mobili, piastrelle ceramiche, pietre ornamentali, apparecchi per illuminazione e lampade.
(3) Prodotti in metallo, apparecchi, macchine ed elettrodomestici, biciclette, motocicli, yacht e imbarcazioni da diporto, articoli sportivi.
(4) Prodotti alimentari e bevande (incluse anche prodotti a debole trasformazione come carni fresche e congelate e latte fresco non considerati da
Federalimentare).
* Nel 2001 l’export italiano di prodotti manufatti è stato pari a 265 miliardi di euro.
Tabella 1. Struttura del made in Italy manifatturiero nel 2001. Fonte: Fortis 2005 su dati Istat/Ateco e Federalimentare
Le “4A” dell’eccellenza
manifatturiera
italiana
Numero
imprese
Numero
addetti
Incidenza
sull’occupazione
manifatturiera
nazionale (%)
Esportazioni
(miliardi di
euro)
Incidenza
sull’export
manifatturiero
nazionale (%)*
Importazioni
(miliardi di
euro)
Saldo
commerciale
(miliardi di
euro)
Abbigliamento-moda
(1)
108.164 891.210 18,2 50,5 19,0 21,8 28,7
Arredo-casa (2) 93.948 494.644 10,1 17,8 6,7 5,1 12,7
Automazione-
meccanica (3) 141.620 1.334.913 27,3 68,6 25,8 27,1 41,5
Alimentari e bevande
(4)
66.936 446.785 9,1 14,0 5,3 17,0 -3,0
di cui: Alimentari e
bevande
(Federalimentare),
anno 2003
36.700 396.000 n.s 13,8 n.s 11,8 2,0
Totale 410.668 3.167.552 64,7 150,9 56,8 70,9 80,0
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I quattro i settori di punta del made in Italy, ovvero le cosiddette “4A”
(abbigliamento-moda, arredo-casa, automazione-meccanica, alimentari-
bevande) sono i cosiddetti settori “tradizionali o classici”, che
continuano a sostenere le esportazioni italiane grazie ad un modello di
specializzazione unico delle nostre piccole e medie imprese attive in
questi comparti.
Nelle “4A” trovano infatti occupazione circa 3 milioni e 167 mila addetti,
ovvero il 65% del totale degli addetti manifatturieri in Italia1.
In figura 1 è rappresentato il contributo di questi settori al saldo della
bilancia commerciale italiana con l’estero, il quale risulta essere
notevole e in continua crescita nel corso degli anni.
Figura 1. Contributo delle “4A” del made in Italy al saldo della bilancia commerciale italiana con
l’estero (miliardi di euro). Fonte: Fortis 2007 su dati Istat
Anche dai dati riportati in tabella 2, che si riferiscono al 2005, è
evidente come il peso di questi settori incida in modo significativo sul
1
Censimento del 2001
7
totale delle esportazioni del nostro Paese e abbia un effetto positivo
sulla bilancia commerciale.
SETTORI VALORI
Totale -10,0
di cui: energia (petrolio, gas e energia elettrica) -42,7
altri prodotti primari e beni non manufatti -8,0
Manufatti 40,7
di cui: le “4A” (settori tipici del made in Italy) 85,1
autoveicoli, elettronica-Ict, chimica -34,1
altri prodotti manufatti -10,3
Tabella 2. Bilancia commerciale italiana: anno 2005 (valori in miliardi di euro). Elaborazione
Fondazione Edison su dati Istat
Globalmente il surplus italiano nelle “4A” è salito dai 76 miliardi di euro
nel 1996 a 85 miliardi di euro nel 2005, cifra però inferiore di circa 3
miliardi rispetto al massimo toccato nel 2001 di 88 miliardi di euro (M.
Fortis e A. Q. Curzio, 2006). Dunque il saldo attivo nelle “4A” ha
continuato a crescere anche dopo il 1996, ma dal 2001 in poi ha
mostrato segni di cedimento chi si spiegano analizzando le dinamiche
dei singoli comparti.
L’abbigliamento-moda e l’arredo-casa hanno infatti risentito
notevolmente della crescita della concorrenza asimmetrica cinese e il
loro saldo aggregato con l’estero, pur restando notevolmente positivo,
dal 2001 al 2005 è peggiorato di circa 10 miliardi di euro, solo
parzialmente compensati dai saldi attivi di automazione e meccanica e
del settore agro-alimentare. In conclusione, la bilancia commerciale
italiana dei manufatti ha comunque, negli anni, dato prova di notevoli
capacità di resistenza, nonostante la concorrenza. Si può affermare che,
soprattutto di recente, il made in Italy si sia confermato la “punta di
diamante”
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delle esportazioni italiane e sia stato al centro di numerosi dibattiti di
politica economica.
Fino agli anni Ottanta, infatti, in Italia è sempre prevalsa una cultura
che riteneva che il modello di sviluppo del nostro Paese dovesse essere
del tutto simile a quello di paesi come gli Stati Uniti, la Germania o la
Francia. I settori “tradizionali”, in questa logica, andavano prima o poi
abbandonati e molti erano convinti che l’Italia potesse diventare un
gigante nell’elettronica o nell’industria farmaceutica.(M. Fortis, 2005)
All’opposto, si stavano sviluppando sempre con maggior successo i
settori “tradizionali”, del Nord Est e dei distretti, che hanno portato
l’espressione made in Italy ad essere qualcosa di più importante di un
semplice marchio d’origine.
Osservando i dati in tabella 3 emerge chiaramente che negli ultimi 15
anni l’Italia è stata in assoluto il paese del G-6 che ha perso meno
posizioni nell’export mondiale.
Tabella 3. Evoluzione quote export mondiale dell’Italia e altri paesi: 1990-2005 (quote % calcolate
su dati a valori correnti). Fonte: Fortis 2006 su dati ICE
E’ infatti tra gli anni Ottanta e Novanta che questo fenomeno così
importante ha suscitato interesse a livello mondiale ed è diventato un
sinonimo di eccellenza, qualità ed affidabilità universalmente
riconosciute.
PAESI 1990 1996 2001 2005 VAR.% 2005 SU 1990
Italia 5,0 4,8 4,0 3,7 -1,3
Francia 6,4 5,5 5,4 4,6 -1,8
Regno Unito 5,4 5,0 4,5 3,7 -1,7
Germania 12,0 9,9 9,5 9,7 -2,3
Giappone 8,5 7,9 6,6 5,7 -2,8
Stati Uniti 11,6 12,0 12,1 8,9 -2,7