4
Alcuni studiosi affermano che l’opinione iniziale di Machiavelli su Cesare Borgia
sia stata affrettata e che questi abbia scambiato un mediocre e fortunato avventuriero per
un grand’uomo, almeno in relazione a quanto emerge dalla prime due lettere della
legazione presso Cesare Borgia ad Urbino. Effettivamente, dalla lettura delle lettere e
della successiva valutazione che dell’uomo che ne dà il segretario, emerge un forte
contrasto. In ogni caso, le iniziali considerazioni non possono essere valutate alla
stregua di un’illusione perché contengono le linee potenziali di una coerente filosofia.
Il Valentino è stato oggetto, nel corso degli anni, di numerosi giudizi, contrastanti e
mutevoli, è stato considerato una delle più perfette reincarnazioni del Rinascimento e un
miserabile avventuriero, privo di idee e di ideali, innalzato al potere dalle armi e dalla
fortuna del padre. Da queste contrastanti interpretazioni discendono due visioni della
figura di Cesare Borgia: quella che lo sublima e quella che lo condanna. Da che parte
sta Machiavelli?
Per risolvere tale quesito è necessario ricorrere ad una triplice precisazione:
1. Cesare Borgia non è la più perfetta incarnazione dello spirito estetico del
Rinascimento;
2. è plausibile l’idea che in realtà fosse un mediocre politico, incapace di dominare
la realtà, più che dominatore fu passiva espressione della realtà che si pretende
abbia dominato;
3. negli scritti di Machiavelli non si trova nulla che possa conferire prestigio alla
tesi dello spirito incarnato e delle simboliche avventure terrene.
5
V’è da considerare, ad ogni modo, che se non incarnò lo spirito rinascimentale, fu
comunque un politico al quale furono offerte concrete possibilità di fare cose non
trascurabili.
Machiavelli non lo considera né lo spirito rinascimentale né un politico mediocre. Nel
1503 dà un giudizio bruciante, tra il 1512 ed il 1513 torna a meditare sulle sue gesta
(dopo la critica, anche morale del 1503) giungendo al capitolo VII del Principe, dove è
scomparsa anche la riprovazione etica.
Il giudizio di Machiavelli non può essere definito positivo o negativo perché è,
più precisamente, un’evoluzione del pensiero da positivo in negativo. Rielaborando la
sua diretta esperienza a contatto con Cesare Borgia, Machiavelli ha finito per
prospettare quel tipo di giudizio che si risolve nel capitolo VII del Principe: il mito
storico del Borgia viene dissolto in mito razionale. Il VII capitolo vive della grandezza
storica del Valentino e della singolarità della sua caduta, dovuta ad un errore di
previsione; da una parte, dunque, la fortuna (assenza di colpa) e dall’altra errore
politico, che vengono entrambi citati nel capitolo in relazione alla caduta del Borgia.
Machiavelli nel suo scritto, fa espressamente riferimento ad una “estraordinaria et
estrema malignità di fortuna” quasi a voler addossare a questa circostanza la
responsabilità della caduta del suo eroe. In questo caso, però, creerebbe un contrasto con
la virtù straordinaria, della quale il “principe nuovo” deve essere in possesso. Dunque,
per fondare razionalmente il suo mito, doveva dimostrare che per quanto i tempi fossero
malvagi, tuttavia lo erano meno della virtù e che dunque, nella malignità di fortuna che
aveva travolto il Valentino si poteva individuare una sua colpa. Quindi, se la fortuna
6
può distruggere in pochi giorni la virtù, per Borgia le soluzioni erano due: o la rinuncia
all’azione o all’errore.
Emerge dunque, da quanto sopra, che il giudizio sul Valentino è sia positivo che
negativo, positivo perché riuscì ad adeguare il modello con il cui metro Machiavelli lo
giudica nel Principe, negativo perché staccandosi dal modello rientrava nella
dimensione umana.
All’inizio Machiavelli era stato indotto ad assolvere il Duca, poiché appariva
come una figura che, resistendo alle avversità, non si era fatto travolgere dal mondo
infine, però, condanna il suo eroe, dal momento che nell’ideale di “principe nuovo”
questi, pur movendosi all’interno delle difficoltà deve dominarle.
7
Capitolo primo
Vita e carriera di Cesare Borgia dalla nascita all’impresa di
Urbino
1.1 Elezione di Alessandro VI e nascita di Cesare Borgia – 1.2. L’anno di svolta nella
vita di Cesare: il 1497 – 1.3 L’abbandono della porpora cardinalizia e l’inizio
dell’espansionismo borgiano.
1.1Elezione di Alessandro VI e nascita di Cesare Borgia
I Borgia (Borja)
1
erano una famiglia originaria della Catalunya, e diedero alla
chiesa due papi: il primo Alonso Borgia
2
, nato a Jàtiva (Valencia) nel 1378, salito al
1
L’antica schiatta catalana dei Borja o Borgia, come ne pronunziano il nome gli italiani, fu ricca di
uomini straordinarii. Bellezza di corpo e ardore di spirito, abbondanza di vigoria e deciso coraggio tutto
anelante all’attività, trovavansi riuniti in essa in singolare misura. LUDWIG Von PASTOR, Storia dei
Papi, Vol. I, Storia dei papi nel periodo del Rinascimento fino all’elezione di Pio II (Martino V, Eugenio
IV, Niccolò V, Calisto III), a cura di Angelo Mercati, pp. 587 – 588.
2
E uomo di eminenti doti era pure Alonso Borja […]. Costui dedicossi ben presto agli studii giuridici
nell’università di Leida e diventò dottore in ambe le leggi, là ottenendo più tardi una cattedra giuridica da
lui coperta con successo: in detta città egli ebbe poi un canonicato da Pedro de Luna, noto sotto il nome di
Benedetto XIII. Da questa carriera scientifica il Borja fu strappato dalla relazione, in cui venne a trovarsi
con re Alfonso. Questo accorto principe riconobbe tosto quanto il professore esperimentato nelle
questioni giuridiche fosse adatto per negozi diplomatici e lo chiamò quindi al proprio servizio. Alonso
Borja, che divenne il segretario e consigliere fidato del re, giustificò pienamente la fiducia in lui collocata,
addimostrando negli affari sì ecclesiastici che secolari destrezza e capacità egualmente grandi. Già sotto
Martino V il Borja prestò importanti servigi anche alla Santa Sede. Fu merito principalmente di lui la
rinuncia che l’antipapa Clemente VIII fece all’usurpata dignità. Il legittimo pontefice Martino V lo
ricompensò quello stesso anno conferendogli il vescovado di Valencia (1429). Anche essendo vescovo
Alonso Borja partecipò ai più importanti negozi ecclesiastici e politici del suo re e in specie coadiuvò in
modo eminente re Alfonso nella riorganizzazione del regno napoletano rovinato da lunghe turbolenze e
guerre: fu opera sua l’istituzione del famoso tribunale di S. Chiara. Caratterizza l’accortezza e il
sentimento rigidamente papale di Alonso il fatto, che egli rifiutò una legazione al sinodo di Basilea in
lotta con Eugenio IV, che il re pretendeva affidargli. Più tardi cercò con zelo non comune di ottenere una
riconciliazione tra re Alfonso e papa Eugenio. Riuscito l’importante accordo, il papa per riconoscenza
conferì addì 2 maggio 1444 la porpora al vescovo di Valencia, assegnandogli come chiesa titolare l’antica
basilica dei Ss. Quattro Coronati pittorescamente situata sopra un’elevazione del Celio settentrionale.
Alonso non potè rifiutare al papa di rimanere nella corte di lui, ove mantenne la fama di dignitario
ecclesiastico libero da adulazione e partigianeria. Unanime era allora la voce in Roma intorno ai semplici
8
soglio pontificio con il nome di Callisto III
3
, si distinse sul versante spirituale per la
salvaguardia della dottrina, impedendo uno scisma da parte dei boemi utraquisti, e su
quello politico per l’opposizione all’avanzata dei turchi in Europa. L’altro, suo nipote
Rodrigo Lanzol o Lenzuoli, il futuro papa Alessandro VI, nato l’1 gennaio 1431,
nominato vescovo, cardinale, vicecancelliere della Chiesa con 8000 fiorini l’anno ed al
quale aveva dato anche il proprio nome di Borgia. Aveva studiato legge a Bologna, era
pratico degli affari, e sebbene non riuscisse sempre a dominare le sue passioni,
lasciando facilmente vedere quello che pensava, all’occorrenza sapeva essere simulatore
e dissimulatore. Fra le tante passioni, quella per le donne era prevalente, ed il legame
più costante fu quello con una Giovanna o Vannozza dè Cattanei (de Cataneis)
4
la
costumi, la probità, la rettitudine, la prudenza, l’esperienza negli affari e l’erudizione canonistica del
cardinale di Valencia, come comunemente era detto Alonso. Disgraziatamente la salute del Borja non era
più la migliore, che studii assidui e incessante attività avevano molto indebolito il suo corpo. Questa cosa
e poi la sua confidente relazione con re Alfonso suscitarono presso non pochi in Italia non lievi
preoccupazioni quand’egli fu eletto a capo della Chiesa. PASTOR, op. cit., vol. I, pp. 588 – 589.
3
Il grande arcivescovo di Firenze Antonino, descrive molto bene i timori che si connetterono all’elezione
di Callisto III e il cambiamento che ben tosto intervenne in suo favore. Nel primo momento, così
Antonino, l’elezione di Calisto III è piaciuta poco agli Italiani e ciò per due ragioni. Dapprima perché,
essendo egli un Valenciano o Catalano, temono che cerchi di trasferire fuori d’Italia la Corte Pontificia. In
secondo luogo temono che affiderà le fortezze della Chiesa a Catalani, si che, venendone il caso, sarebbe
difficile ritornarne in possesso. Ma poiché più maturamente si ponderano le cose e si diffuse la fama della
di lui bontà, sapienza, retto avvedimento e imparzialità, e poiché inoltre egli s’è obbligato con solenne
promessa, di cui ho visto copia, a impiegare conforme al consiglio dei cardinali tutte le sue forze nel far
guerra contro i turchi e per riconquistare Costantinopoli, si vive in lieta speranza. PASTOR, op. cit., vol.
I, p. 591.
4
Appartenente ad una famiglia della piccola nobiltà, nacque a Roma il 13 luglio 1442. Donna di sicura,
prepotente bellezza, riuscì a richiamare su di sé l’attenzione del più brillante cardinale del secolo XV, il
giovane nipote di Callisto III, Rodrigo Borgia, notoriamente sensibilissimo al fascino della bellezza
femminile. Del lussurioso cardinale, dotato di rendite sontuose che gli assicuravano una rendita
principesca, Vannozza divenne l’amante in data imprecisata: già prima del 1460, se è vera l’affermazione
dello Gnoli che fissò la data di nascita del loro primo figlio, Giovanni, poco dopo quell’anno, ma senza
fornire alcuna documentazione. La relazione concubinaria si svolse per lunghi anni al riparo dell’istituto
matrimoniale che garantì allo spregiudicato principe della Chiesa la necessaria decorosa copertura
ufficiale. Di matrimoni la Cattanei ne contrasse ben tre, e sempre per iniziativa o almeno con l’intervento
del suo munifico protettore, che usava assicurare al servizievole candidato la solida garanzia di una buona
sistemazione nell’amministrazione pontificia. Vedova per la terza volta, non ebbe bisogno un quarto
9
quale, nata nel 1442, era fin dal 1470 in relazione con lui, ed al quale diede molti figli.
Per nascondere lo scandalo, il Borgia la fece sposare più volte, ed ad ogni marito
concedeva impieghi e denari, sui figli, però, non faceva mistero ed anzi, li riconosceva
pubblicamente. Erano senza dubbio figli suoi e di Vannozza, Giovanni, poi duca di
Gandia, Cesare, poi duca Valentino, Lucrezia e Goffredo o Giuffrè. Dopo la nascita di
quest’ultimo e poco prima dell’elezione pontificia, il cardinale si allontanò da
Vannozza, pur riconoscendola sempre come la madre dei suoi figli, e divenne l’amante
riconosciuto di Giulia Farnese
5
.
marito: ormai quasi sessantenne, non aveva più molto da offrire al suo esigente protettore, il quale già da
tempo aveva lasciato seguire alla passione il suo corso naturale che la condannava all’inevitabile declino.
La Cattanei seppe accettare il suo ineluttabile destino con quel senso spiccato dell’opportunità che
contraddistingue ogni sua azione. La sua posizione di madre di ben quattro figli del Borgia le garantiva
sempre del resto vantaggi che lei non era abituata a disprezzare. Ritiratasi discretamente in disparte, lei,
che neanche ai tempi del più acceso divampare della passione borgiana aveva osato ostentare la sua
condizione invidiabile di favorita, si preoccupò di mantenere un atteggiamento di riservata devozione, del
tutto alieno da ogni forma di modesta esibizione. Tanto maggior riserbo le impose l’elezione al
pontificato del suo ex amante, che continuò a conservare i migliori rapporti con la madre dei suoi figli.
ROBERTO ZAPPERI, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, 1995, p. 296.
5
Rimasta orfana del padre ancora bambina, fu data in sposa, secondo accordi conclusi dal padre prima
che morisse, a Orsino Orsini, signore di Bassanello. La stipula del contratto dotale ebbe luogo a Roma, il
21 maggio 1489 nel palazzo del cardinale Rodrigo Borgia, vicecancelliere di Santa Romana Chiesa. La
sua ospitalità si spiega con il rapporto di parentela che lo legava alla madre dello sposo, Adriana del Milà
che faceva anche da confidente al Borgia […]. Che il matrimonio fosse stato combinato dai Farnese con
la Del Milà per assicurare un’onorevole copertura alla passione del sessantenne cardinale per la bellissima
Giulia non si può affermare. Non è possibile stabilire quando la relazione ebbe inizio e solo si può
dedurre da vari indizi che nel 1491 era già in pieno corso: tra la fine di quell’anno e l’inizio del
successivo, nacque l’unica figlia di Giulia, Laura, che il Borgia tentò di accreditare come sua figlia
naturale.[… ]. La relazione che il Borgia intrattenne con la Farnese restò nei primi tempi piuttosto
nascosta. Ma dopo che l’elezione al pontificato fu bene assodata, se ne ebbero, a partire dal 1493, segni e
notizie sempre più numerosi e manifesti. Cfr. ZAPPERI, in cit., p. 99. Vedi anche PASQUALE
VILLARI, Niccolò Machiavelli e i suoi tempi, Firenze, 1877 pp. 242 e ss.
10
L’11 agosto 1492
6
, Rodrigo Borgia viene eletto papa con il nome di Alessandro
VI
7
, suscitando lo scontento e la preoccupazione di coloro i quali avevano conosciuto da
vicino e personalmente il Borgia, come il cardinale dei Medici o Ferrante d’Aragona.
Inizialmente, però, tali timori risultarono infondati, dal momento che il pontefice
non palesò immediatamente i suoi progetti, ma provvide ad amministrare in maniera
ossequiosa il suo ufficio, anche se ben presto le reali intenzioni ed ambizioni vennero
alla luce. Nel primo concistoro il nipote Giovanni Borgia
8
, vescovo di Monreale, fu
6
Radunato appena il Conclave, (6 agosto), pareva che non si trattasse già dell’elezione d’un papa, ma
d’un gioco di borsa, tale e così manifesto era il mercato che si faceva dei voti. Il danaro era accorso
presso i banchieri di Roma da ogni parte d’Europa, per favorire l’uno o l’altro dei tre cardinali che
correvano il palio. La Francia portava Giuliano della Rovere, Ludovico il Moro portava suo fratello
Ascanio, e questi due parevano i più vicini a toccare la meta. Ma Roderigo Borgia, valendosi delle sue
grandi ricchezze e delle più grandi promesse, potè unire ai voti che s’era guadagnati, quelli promessi ad
Ascanio, non appena questi parve posto fuori combattimento; e così riuscì eletto. La notte dal 10 all’11
agosto, egli gridava fuori di sé per la gioia: “Io son papa, pontefice, vicario di Cristo!”. E il cardinale
Giovanni dè Medici, accostandosi all’orecchio del suo vicino, il cardinale Cybo, diceva: “Siamo in bocca
al lupo, che ci mangerà se non fuggiamo in tempo”. VILLARI, op. cit. p. 238.
7
Nella notte dal 10 all’11 agosto 1492 seguì la decisione. Al mattino di buon’ora fu aperta la finestra del
conclave e il vicecancelliere Rodrigo de Borja venne annunziato papa col nome di Alessandro VI. Questa
elezione contraddiceva all’aspettazione dei più; essa per quanto senza dubbio valida, pure era illecita,
essendo stata ottenuta con enormi manovre simoniache. Per tali vie, come dice l’annalista della Chiesa,
giusta l’arcano consiglio della divina Provvidenza giunse alla suprema dignità un uomo, che la Chiesa
antica per la sua vita scostumata non avrebbe ammesso agli infimi ordini del clero. […]. Per quanto sia
fondato questo giudizio, bisogna tuttavia guardarsi dal credere che fosse davvero diffusa una opinione
così sfavorevole allorché Alessandro VI raggiunse la meta della sua ambizione. Tutto il contrario: alla sua
elezione Rodrigo Borja passava per uno dei più valenti membri del Collegio cardinalizio. Ei pareva
riunire in sé tutte le prerogative di un eccellente principe secolare; le sue straordinarie attitudini e
cognizioni lo facevano apparire a molti come il vero uomo che avrebbe saputo guidare abilmente
attraverso le difficoltà dell’epoca il papato, divenuto allora più che mai il centro di ogni politica. Che a
questo solo si fosse contenti, che passassero in seconda linea tutte le altre sollecitudini di ordine
ecclesiastico, serve a caratterizzare l’intera tendenza di quell’epoca. PASTOR, op. cit.,vol. III, Storia dei
papi nel periodo del Rinascimento dall’elezione di Innocenzo VIII alla morte di Giulio II, a cura di
Angelo Mercati, pp. 284 – 285.
8
Nato nel 1474, presumibilmente a Jàtiva fece parte, sin dall’infanzia, della vasta cerchia di familiari del
cardinale Rodrigo. Eletto papa Alessandro VI, il Borgia si preparò all’immancabile munificenza del
prozio vestendo l’abito clericale: il 26 marzo 1494 ricevette infatti il suddiaconato, insieme con il cugino
Cesare Borgia. Anche nel giovane Borgia si espresse subito un orientamento caratteristico del pontificato
borgiano, per il quale il nepotismo fu prima ancora una necessità politica che una inclinazione personale,
un mezzo per realizzare l’accentramento della direzione dello Stato ecclesiastico contro le forze
eccentriche dei baroni, anche se sembrava esprimere soprattutto una preoccupazione dinastica. Il 19
11
nominato Cardinale di Santa Susanna, il figlio prediletto Cesare
9
, di 16 anni, che
studiava a Pisa, aveva avuto nel giorno stesso della consacrazione l’arcivescovado di
Valenza. Quanto a Giovanni di Gandia
10
, ed a Giuffrè
11
, più giovane di tutti, il papa
settembre dello stesso anno, nominato protonotario apostolico e vescovo di Melfi, ottenne la custodia
della rocca di Spoleto. Nel 1496 fu eletto alla porpora cardinalizia, con il titolo di S. Maria in Via Lata,
cui il pontefice aggiunse in commenda l’arcivescovato di Capua, oltre a consentirgli di conservare quello
di Melfi. In seguito alla morte misteriosa di Giovanni Borgia, Duca di Gandia, al quale Alessandro VI
aveva sino allora affidato le sue maggiori speranze dinastiche, Cesare Borgia aveva deposto la dignità
ecclesiastica per assumere, con migliori qualità e fortune, il ruolo che era stato del fratello ucciso: al
Borgia toccava così di succedere al Valentino non solo nelle dignità ecclesiastiche ma soprattutto nel
ruolo di maggiore esponente della famiglia nel collegio cardinalizio, con le responsabilità politiche e
diplomatiche che ne derivavano. GASPARE DE CARO, in Dizionario biografico degli italiani,cit., pp.
715 – 716.
9
Nel 1482 Sisto IV, dietro insistenza del cardinale Rodrigo Borgia, nominava Cesare protonotario
apostolico. Subito dopo questi diventava canonico della cattedrale di Valenza, arcidiacono di Jàtiva e
rettore di Gandia. Nel 1484 Innocenzo VIII gli conferiva altri benefici spagnoli: tesoriere della cattedrale
di Cartagena, arcidiacono di Terragona, canonico di Lurida. Il 12 settembre 1491, poi, diventava vescovo
di Pamplona. Rodrigo inoltre volle che il Borgia ricevesse una formazione culturale adatta alla carriera
ecclesiastica. Nel 1489 il Borgia fu inviato a studiare a Perugia; nel 1491 si trasferiva a Pisa ove
insegnava diritto canonico il famoso Filippo Decio. Durante gli anni di studio il Borgia visse come un
gran principe della chiesa. Aveva un seguito composto principalmente di spagnoli; era stato presentato a
Lorenzo dè Medici ed era in stretti rapporti con vari membri della sua famiglia. Suo collega di studio a
Pisa era Giovanni dè Medici, coetaneo del Borgia ma più avanti nella carriera ecclesiastica perché già
cardinale. FELIX GILBERT, in Dizionario biografico degli italiani, cit., p. 696.
10
Nacque nel 1476, presumibilmente a Roma. L’educazione del Borgia, dapprima condotta assieme a
Cesare, se ne distaccò quando questi fu avviato, in vista dei suoi non congeniali compiti pastorali, agli
studi universitari; e mentre sui fratelli maggiori Cesare e Pier Luigi si accumulavano vistosamente, per
l’assiduo prodigarsi del cardinale Rodrigo, i titoli e le prebende, il Borgia non ottenne se non la dignità di
“egregius”, estesa anche a lui nel dicembre 1485 dal re d’Aragona Ferdinando il Cattolico, che l’aveva
concessa a Pier Luigi per i meriti acquisiti durante la guerra di Granata. Fu la morte precoce del fratello
Pier Luigi, avvenuta nel 1488, a trarre il Borgia dalla sua condizione marginale, poiché ne riceveva in
eredità i feudi, il titolo di duca e la dignità di grande di Spagna, venendo così a sostituirglisi a tutti gli
effetti nei piani dinastici di Rodrigo. Il Borgia ereditava anche dal fratello il fidanzamento stretto da
questo con Maria Enriquez, figlia di Enrico, maggiordomo maggiore di Ferdinando il Cattolico e suo zio,
esponente della più grande aristocrazia valenzana: questo matrimonio era infatti ritenuto indispensabile da
Rodrigo Borgia, poiché sarebbe servito a stabilire definitivamente la famiglia nei ranghi più esclusivi
della nobiltà del regno, nei quali era stata accolta da così breve data. Pertanto nel 1489 il Borgia si recò in
Spagna per prendere possesso delle sue nuove dignità, trattenendosi alla corte dei re Cattolici sino al
1492, al momento cioè dell’elezione del padre al pontificato. DE CARO, in cit., p. 717 – 718.
11
Nacque a Roma nel 1481, sua madre era Vannozza, sul padre resta qualche dubbio poiché fu
legittimato da papa Alessandro VI il 6 agosto 1493. In ogni caso, sin dall’infanzia ebbe una parte di
rilievo nei grandi disegni nepotistici del pontificato borgiano. Destinato ancora fanciullo alla condizione
ecclesiastica e nominato canonico, prebendario e arcidiacono della cattedrale di Valenza, allora retta dallo
stesso Rodrigo Borgia, quando questi fu eletto al pontificato, il Borgia ne ottenne ancora la chiesa
parrocchiale di Incha, nella diocesi di Maiorca, già beneficio del fratello maggiore Cesare, ora promosso
all’arcivescovado Valenzano. Però già nel 1493 il papa decideva che Giuffrè rinunziasse alla carriera
12
faceva vasti disegni nel reame di Napoli, mentre meditava di far avere al primo i feudi
di Cerveteri ed Anguillara. Nonostante la situazione politica non fosse propizia a tali
ambiziosi progetti, tuttavia si iniziarono a creare lentamente le condizioni per il loro
sviluppo.
Il duca di Gandia si preparava per andare in Spagna per contrarre un ricco
matrimonio, Cesare, sebbene giovane com’era avesse un vescovado con il beneficio di
16.000 ducati annui, si mostrava intollerante alla vita ecclesiastica, andava a caccia
vestito da laico, aveva passioni violente ed irrefrenabili, esercitava sull’animo del padre
un ascendente quasi magnetico. Quanto a Giuffrè, si facevano sempre nuovi progetti di
matrimonio
12
.
1.2. L’anno di svolta nella vita di Cesare: il 1497
In questi anni la carriera ecclesiastica di Cesare conosce una rapidissima ascesa,
il 20 settembre 1493 è nominato cardinale con i soli ordini minori, nel 1495 è già
governatore generale e legato di Orvieto. Nonostante la sua scarsa inclinazione per la
vita religiosa non volle tuttavia ancora abbandonare la posizione e le rendite garantite
dalla condizione di cardinale senza essere sicuro di ottenere un’analoga situazione
secolare. Durante i due anni successivi il Borgia risedette in Vaticano presso il padre, il
ecclesiastica appena intrapresa, deciso, a quanto pare, a insignorirlo di Bologna che intendeva togliere a
Giovanni II Bentivoglio. DE CARO, in cit., p. 725
12
Le trattative di pace tra Alessandro VI e Ferrante d’Aragona, aperte in quello stesso anno 1493 con
l’attiva mediazione dei sovrani spagnoli, contemplavano infatti il matrimonio tra il Borgia e una nipote
del re di Napoli, Sancia d’Aragona, figlia naturale di Alfonso di Calabria. Dizionario biografico degli
italiani, cit., p. 726. Vedi anche GREGOROVIUS, Storia della città di Roma nel medioevo dal secolo V
al XVI, vol. VII, Roma, 1910, pp. 327-28.
13
favore del quale inclinava soprattutto verso il fratello maggiore Giovanni. Questi, alla
morte del fratellastro maggiore Pier Luigi, era accorso in Spagna per succedergli nel
titolo di duca di Gandia. Alessandro VI lo richiamò in Italia per affidargli la campagna
contro gli Orsini, il cui appoggio alla spedizione francese negli anni 1494 – 95 aveva
suscitato le sue ire. Il duca di Gandia arrivò a Roma il 10 agosto 1496 e ottenne il
comando delle truppe pontificie con il titolo di gonfaloniere della chiesa. La campagna
contro gli Orsini si protrasse per tutto l’inverno 1496 – 97 e, dopo alcuni successi
iniziali, si concluse con un fallimento, ciononostante Alessandro VI continuò a favorire
il figlio Giovanni e s’adoperò per farlo stabilire in Italia. Col consenso dei cardinali il
duca di Gandia fu investito del ducato di Benevento, di Terranova e di Pontecorvo
13
,
feudi della chiesa nel Regno napoletano, col diritto di trasmetterli ai suoi eredi maschi.
La carriera del Duca di Gandia si interrompeva bruscamente il 16 giugno del
1497. La notte del 14 giugno non tornò a casa, il giorno dopo lo staffiere venne trovato
ferito senza che sapesse riferire nulla in merito al proprio padrone che la sera prima
aveva cenato con il fratello, il cardinale di Valenza, presso la madre Vannozza. Erano
usciti insieme a cavallo, separandosi poco dopo, il duca seguito da un uomo in
maschera, che da molto tempo lo accompagnava sempre, e dallo staffiere che lasciò in
Piazza dei Giudei. Inizialmente, l’episodio non suscitò preoccupazioni, e lo stesso papa
credette che suo figlio si fosse nascosto con qualche donna. La seconda notte, però,
stante ancora l’assenza del Duca di Gandia, il pontefice si allarmò ed improvvisamente
13
MARINO SANUDO, Diari, vol. I, p. 650, Venezia, 1879.
14
ed inspiegabilmente in città si sparse la voce che il duca fosse stato gettato nel Tevere
14
.
Un testimone affermò, infatti, di aver visto un cavaliere con un cadavere in groppa,
accompagnato da due uomini che, dopo aver gettato il cadavere nel fiume si erano
allontanati. Il duca venne ripescato con le mani legate, nove ferite alla testa, alle braccia,
al corpo, una delle quali mortale alla gola e la borsa piena di denari, segno evidente che
l’assassinio non era stato perpetrato a scopo di rapina. L’avvenimento suscitò un tale
dolore nel papa da indurlo a rinchiudersi per giorni in Castel Sant’Angelo, e solo il 19
giugno tenne un Concistoro
15
per dichiarare un pentimento, naturalmente di breve
durata, per la sua vita passata e per ordinare il riorganizzazione della Chiesa.
Cesare Borgia è stato spesso ritenuto responsabile dell’assassinio del fratello.
Certamente la morte di questo lo favoriva, sul quale ora necessariamente doveva cadere
la scelta del pontefice per fondare la dinastia dei Borgia. Inoltre si ha notizia della
gelosia di Cesare nei riguardi del fratello, per la preferenza dimostrata dal padre verso di
lui e per il suo stato principesco. Tuttavia c’erano altri, come gli Orsini e gli Sforza, che
avevano ragioni valide per desiderare la morte di Giovanni, né possono essere esclusi
motivi personali come la vendetta a di un marito tradito. Non può infatti addossarsi con
14
SANUDO, op.cit., p. 651.
15
Et che li cardinali, a uno a uno, si andono a doler col pontefice di la morte del fiol ducha di Gandia, et
che poi esso pontefice parloe in questa forma:”L’è morto il el ducha di Gandia. La cui morte n’è stata di
grandissimo despiacer, et più gran dollor di questo non semo per haver, perché l’amavemo sommamente,
et non stimemo più ni el papato ni niuna altra cossa, imo, si havessimo sette papati, tutti li daressemo per
recuperar la vita dil prefatto ducha. La qual cosa Idio l’ha fatto forsi per qualche nostro pechado, et non
che lui meritasse cussì atroce morte; né sapendo chi l’habi amazato et butato nel Tevere. L’è sta divulgato
l’habbi fato amazar el signor di Pexaro: ne semo certi non esser vero. Dil principe de Squilazi fratello di
prefatto ducha, minime. Dil ducha de Urbino etiam semo chiari. Idio perdoni chi è stato! Per tanto,
havemo deliberato non atender più a niuna cossa; né haver cura di el papato, né di la vita nostra. Et questo
pensier di la Chiesa et di regular quella; il modo dil viver et di la persona nostra propria; […].SANUDO,
op. cit., p. 653.
15
sicurezza la responsabilità della morte del Duca a Cesare, anche in considerazione del
fatto che le voci popolari iniziarono a fare il suo nome non all’indomani dell’assassinio,
ma ben otto mesi dopo
16
, imputando il delitto alla gelosia che correva tra il cardinale ed
il duca per la cognata donna Sancia, moglie di don Giuffrè
17
che conduceva una vita
scandalosa. Si giunse ad affermare anche che l’oggetto del desiderio conteso tra i due
fratelli fosse la sorella Lucrezia
18
, e che in tale contesa entrasse anche il loro padre.
Prima dell’assassinio del duca di Gandia, Cesare era stato incaricato di
rappresentare il papa, quale suo legato, all’incoronazione del re Federico a Napoli.
Anche se, a quanto pare, Alessandro VI esitava a separarsi dal figlio subito dopo la
morte dell’altro, tuttavia la missione fu portata a termine per le insistenze di Federico.
Nel luglio 1497 il Borgia compì il suo ultimo incarico in veste di cardinale andando a
Napoli per incoronare il re e per chiedere denari
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, favori e feudi
20
. Nella cerimonia
dell’incoronazione svolse le sue funzioni ufficiali con dignità e rigida osservanza delle
regole del cerimoniale, raggiungendo con il re accordi in favore della famiglia Borgia,
16
SANUDO, op. cit. p. 652. Il fatto che l’assassino restasse ignoto fu più che mai dannoso ad Alessandro
non solo perché un po’ alla volta si penserà ad un Cesare fratricida e a un Alessandro complice per lo
meno con la tacitazione del misfatto, ma anche perché renderà impossibile una tolleranza se non
un’amicizia italiana per i Borgia. GABRIELE PEPE, La politica dei Borgia, Riccardo Ricciardi Editore,
Napoli, 1946, p. 103.
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Corsero anche sospetti a carico del fratello del Borgia, Goffredo, poiché erano noti i rapporti incestuosi
che il Borgia aveva con la cognata Sancia d’Aragona. Dizionario biografico degli italiani, Roma, 1995, p.
719.
18
SANUDO, Ragguagli storici, Brown, Venezia 1837, vol. I, p. 74.
19
Il SANUDO dà un’eloquente visione della situazione: “A dì 24 lujo, da Roma, se intese come, a dì 17
el cardinal Valenza, deputato ad andar a la incoronazione di re Federico a Napoli, tolto licentia dal
pontefice, era per partirsi di Roma, et zà rea in hordine per dover andar al suo camino. Et chome vidi per
una lettera da Roma particolar, che havia in comissione dal papa di ritrovarsi a una terra ivi propinqua, et
che ivi dovesse aspectar ducati 12 mila che lo dovea mandar ditto re a esso pontefice, et quelli zonti
dovesse poi andar al suo camino”. SANUDO, op. cit. p. 695.
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Et il legato cardinal Valenza si partì di Napoli a dì 22 avosto, avendo dato gran spesa al re, per esserli
stato su le spale a soe spese alcuni zorni, et con 300 cavalli, adeo volleva ducati… di spesa al zorno.
SANUDO, op. cit. p. 758.
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tra cui quello della consacrazione del ducato di Benevento da parte del figlio del
Gandia. A Napoli Cesare si distinse per la sua vita dissoluta, contraendo anche, a quanto
pare, la sifilide.
All’inizio di settembre era di nuovo a Roma e dette un fastoso ricevimento cui
parteciparono tutti i cardinali: era ormai il personaggio più importante di Roma dopo il
papa. Cominciarono allora a circolare voci secondo cui egli stava per abbandonare la
veste cardinalizia e che si sarebbe sposato, si pensava di fare cardinale il fratello don
Giuffrè, separandolo dalla moglie, la quale si sarebbe unita in matrimonio con il primo,
appena tornato laico.
Cesare era consapevole del fatto che, lasciando il cappello cardinalizio avrebbe
perso tutte le entrate che esso apportava, e necessitava dunque di denaro per supplire a
tale mancanza e per effettuare i suoi nuovi e vasti disegni. L’unico aiuto sul quale
poteva contare era quello del papa che, nutrendo un affetto sconfinato per il figlio, si
adoperò in tutti i modi per aiutarlo nei suoi progetti
21
. Fra i tanti, quello che premeva
maggiormente in quel momento, era il matrimonio di Cesare ancora cardinale con la
figlia del re di Napoli, Carlotta, in modo da poter avanzare pretese, più tardi, su quel
regno. Il re, sopraffatto da tante vessazioni, pur rifiutando fermamente di dare in moglie
la propria figlia a Cesare, dovette in ogni caso, per salvarsi dalle minacce del papa,
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Il segretario Floridio fu accusato come autore di falsi brevi, e subito venne saccheggiata la sua casa, e si
portarono in Vaticano i danari, i tappeti e le argenterie che v’erano. L’infelice prelato, gettato in un
carcere perpetuo, vi restò solo con pane, acqua ed una lucerna. Il papa di tanto in tanto vi mandava altri
prelati, perché, giocando con lui a scacchi, cercassero cavarne qualche confessione, che desse modo di
fare altre vittime, fino a che nel luglio 1498 quel disgraziato cessò di vivere. VILLARI, op.cit., pp. 273 e
ss.