INTRODUZIONE
La motivazione alla base di questo lavoro di ricerca nasce da un ingenuo ma
sincero moto di sorpresa. Un sentimento di stupore prodotto dalla conoscenza
delle idee e dell’opera di un uomo eccentrico, anticonformista e decisamente
ingegnoso. Nel 1950, il mondo conosce ben poco i computer, i modelli si contano
sulle dita di una mano e solo una ristretta cerchia di privilegiati, direttamente
coinvolti nella loro creazione, può avervi accesso. Nel 1950, gran parte degli
uomini può citare il potenziale distruttivo e la forza bruta di certe macchine, ma
quasi nessuno di questi potrebbe esprimersi, con cognizione di causa, riguardo
all’abilità creatrice di entità artificiali. Le macchine che pensano sono, per i più,
soggetti di carta, creature leggendarie o protagonisti di un futuro inimmaginabile.
Lontano da questa pubblica inconsapevolezza, Alan Turing – che fa parte di
quel gruppo di scienziati privilegiati sopra citati – nel 1950 pubblica un articolo
nel quale espone, in modo lucido e ben articolato, un esperimento cui va già
pensando da qualche anno: un test semplice e immediato per valutare se una
determinata macchina possiede capacità cognitive, ovvero una propria
intelligenza, una mente pensante. Non un racconto di fantascienza ma una seria
analisi che parte dal presupposto di superare la vana domanda al centro di un tema
di discussione comunque recente: le macchine possono pensare?
Quello che poi è stato rinominato “test di Turing” pone in evidenza la
lungimiranza del suo creatore, uomo al di là del suo tempo, lontano dai limiti
tecnici e concettuali della propria epoca, già proiettato in un futuro elettronico.
L’articolo nel quale Turing espone la propria idea (come i suoi interventi
precedenti e successivi) suggerisce un tempo e uno spazio nel quale automatismi
creati dall’uomo sanno esprimersi come il suo creatore, nella sua lingua, riguardo
alla sua storia, alle sue abitudini e tradizioni, alla sua cultura. Macchine che
possono essere formate, cui si possono insegnare le nozioni più utili e i
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comportamenti più adeguati. Nel 1950, per molte persone tutto questo sta
semplicemente nel campo dell’irrealtà.
Adesso, dopo più di sessant’anni, vediamo che le macchine, i computer, i
software, gli automi, i robot di uso domestico e industriale hanno popolato il
nostro mondo e ci affiancano in molti compiti. La visione di Alan Turing non
coincide con la nostra epoca, le sue previsioni sul nuovo millennio si sono rivelate
troppo ottimistiche e l’intelligenza artificiale, una disciplina che è nata anche
grazie alle sue teorie e scoperte, è stata ed è a tutt’oggi oggetto di critiche e
polemiche. Sia che sia stata l’umanità a non essere all’altezza dell’immaginazione
di Turing o la sua mente a non valutare tutte le difficoltà da oltrepassare per
centrare l’obiettivo, i sistemi artificiali che ci circondano non sono ancora in grado
di pensare in un modo che sia indistinguibile dal nostro. Riaffiora, dunque,
l’esigenza di capire cosa realmente volesse proporre questo giovane matematico
inglese strutturando il suo esame d’intelligenza per macchine: le regole, i
partecipanti, la prova da superare sono aspetti ancora dibattuti da critici e
sostenitori.
L’idea fondante di questa tesi consiste nel tentativo di recuperare, dopo più
di mezzo secolo, la formulazione del test di Turing per coglierne appieno la
portata e valutarne le implicazioni. Non si intende giungere alla pubblicazione di
giudizi conclusivi sulla validità di questa proposta, né elaborare metodi alternativi
o indirizzare la ricerca verso obiettivi differenti. Il mio lavoro cercherà di
individuare le problematicità d’interpretazione del test e considerarne gli elementi
più interessanti. In particolar modo, sarà mia premura concentrarmi sul ruolo
affidato alla comunicazione verbale come unico criterio per l’acquisizione di
indizi sull’intelligenza dei sistemi esaminati; una scelta chiara da parte di Turing
che ha avuto ripercussioni sulle regole dell’esperimento e sulla conformazione dei
candidati artificiali. Nel corso di questa trattazione, tenterò di esporre le
considerazioni favorevoli a quest’impostazione linguistica del test e donerò spazio
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anche alle voci discordanti, avvicinandomi verso le posizioni di chi chiede che
nella prova vengano valutate abilità che esigono il possesso di un vero e proprio
corpo flessibile e complesso, in grado non solo di comunicare ma anche di
manipolare, spostarsi, agire.
Sotto il profilo stilistico, la tesi si struttura su quattro capitoli.
Nel primo, una parte iniziale sarà dedicata alla narrazione di alcuni cenni
biografici sulla figura di Alan Turing, per cercare di offrire una base storica e
concettuale più solida all’esposizione del test di Turing, che è invece al centro
della seconda parte del capitolo e segue l’impostazione strutturale dell’articolo del
1950, Computing Machinery and Intelligence.
Il secondo capitolo presenta alcuni spunti di riflessione su passaggi ambigui
nella formulazione dell’esperimento. Saranno riportate le opinioni degli studiosi
che seguono la comune interpretazione della proposta di Turing come “test di
specie” e quelle di coloro che, attraverso un’analisi più letterale, ritengono che
essa sia fondata sulla distinzione tra i due sessi del genere umano. Inoltre, si
approfondirà la questione riguardante la corretta catalogazione dell’esperimento,
vale a dire i diversi modi in cui esso è stato considerato in rapporto al fattore che
intende identificare (l’intelligenza).
Nel terzo capitolo prenderò in esame alcune realizzazioni concrete di
chatterbot, ossia programmi informatici di conversazione; ciò permetterà di
valutare le tecniche d’implementazione perseguite e le maggiori difficoltà
incontrate dai programmatori impegnati nello sviluppo di sistemi capaci di
comprendere e produrre frasi in linguaggio naturale. Una seconda parte del
capitolo sarà dedicata interamente al Premio Loebner, un concorso a cadenza
annuale nel quale si richiede a dei sistemi artificiali di mettere alla prova le
proprie abilità in veri e propri test di Turing. Attraverso un’esposizione delle
regole e attuazioni del concorso, avrò modo di approfondire certe implicazioni
dell’esperimento come test basato sullo scambio verbale.
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Infine, il quarto ed ultimo capitolo porrà l’attenzione su alcune proposte di
espansione del test d’intelligenza verso la valutazione di soggetti robotici, ossia
automi capaci di svolgere attività che richiedono l’utilizzo di parti della propria
struttura fisica. Oltre a questo, esporrò un concreto progetto d’implementazione
robotica – il progetto RoboSoM – portato avanti unitamente, negli ultimi anni, da
quattro diverse strutture di ricerca, per fornire l’esempio delle possibilità di una
piattaforma attualmente esistente e cercare di comprenderne le limitazioni più
evidenti rispetto a soggetti ipoteticamente in grado di competere in versioni
modificate del test di Turing.
Oltre al contributo fornito dagli scritti di Alan Turing e da testi divulgativi
sulla storia e le problematiche dell’intelligenza artificiale, questo lavoro si fonda,
in particolar modo, sulle molteplici analisi e interpretazioni del test di Turing
individuate in documenti, articoli e atti di convegni
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.
1 Per tutti quei testi dei quali non è stato possibile consultare una versione in lingua italiana, i
passi citati nella tesi riportano mie personali traduzioni. Le espressioni virgolettate e le parole o
frasi in carattere corsivo nelle citazioni sono da considerarsi calchi stilistici dal testo originale,
a meno che non venga indicato diversamente a margine della citazione.
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CAPITOLO 1
ALAN TURING: MACCHINE UNIVERSALI E PROGRAMMI PENSANTI
1.1 PREMESSA
Nel 1950 Alan Turing si avvia, nonostante debba ancora compiere
quarant’anni e forse, in quell’anno, in modo del tutto inconsapevole, verso la parte
finale della sua vita. La sua attività di matematico, logico, crittografo e
crittoanalista lo ha, comunque, già condotto a traguardi eccezionali; il suo
eclettismo e l’innata curiosità, la costante volontà di indagare e scoprire la
struttura, la forma intrinseca del mondo naturale lo hanno portato a spaziare in
ambiti di studio e di ricerca distanti, in molti dei quali il contributo da lui fornito
ha lasciato segni indelebili.
Non è questa la sede adatta per proporre una nuova biografia celebrativa del
genio di Turing, ma è altrettanto impensabile giungere a discutere le sue
convinzioni sulle capacità di pensiero delle macchine artificiali senza prima aver
ricordato, in breve, quel percorso di vita e lavoro che ha permesso la germinazione
e la stesura dell’articolo del 1950 Computing Machinery and Intelligence, la cui
idea centrale costituirà, invece, un oggetto di riflessione approfondita nel corso di
questa tesi.
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1.2 DA SHERBORNE A MANCHESTER
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1.2.1 Macchine computabili universali
Alan Mathison Turing nasce nel giugno del 1912 a Paddington, secondo
figlio di Julius Turing ed Ethel Stoney. Ragazzo acuto, timido e spesso distratto,
inizia il proprio percorso formativo frequentando la scuola di preparazione di
Hazelhurst e, in seguito, l’antica public school di Sherborne, assorbita da
tradizioni e consuetudini vittoriane, governata strettamente da un sistema di tipo
gerarchico che impone il rispetto di vincoli di anzianità e precedenza a discapito
di qualsiasi spinta di carattere più democratico o egalitario. L’ambiente non è
sicuramente il più congeniale per Turing che, suo malgrado, si mette più volte in
una luce negativa per la sua trasandatezza nel vestirsi, la scarsa cura per la pulizia
personale, l’ineleganza dei suoi lavori e l’interesse per questioni scientifiche e
matematiche che trascendono il programma di studi stabilito.
Al termine del suo periodo a Sherborne, il ragazzo tenta, senza successo, di
ottenere una borsa di studio per il Trinity College; nel 1931 arriva ugualmente a
Cambridge, riuscendo ad iscriversi al King’s. In questo college, Alan Turing trova
un ambiente a lui più consono; l’istituto si distingue per la sua politica tollerante e
liberale, che permette ai suoi iscritti un certo grado di spontaneità ed espressione
individuale. Pur non riuscendo ad entrare nei club più rinomati dell’istituto
cantabrigense – anche a causa della sua forte introversione – Turing viene messo
in grado di sviluppare più liberamente la propria personalità e di seguire con
maggiore convinzione i propri interessi, in un ambiente che tollera più
bonariamente le sue bizzarrie.
Occupato inizialmente dagli studi di matematica pura e, in particolar modo,
di teoria dei gruppi, Turing giunge ad appassionarsi alla questione sollevata fin dal
2 Per le informazioni biografiche riportate nel corso di questo paragrafo, cfr. Hodges, 2012 e
Leavitt, 2012.
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