6
Storicamente merci, luoghi e processi di consumo, ma anche e soprattutto lo
sviluppo di nuovi orientamenti sociali nei confronti della cultura materiale
hanno caratterizzato la genesi della società di consumo moderna: si è iniziato
cioè a considerare il consumo di merci come un’attività rilevante e
fondamentale per definire i rapporti umani. Non solo: si è avvertito il bisogno
di promuovere una nuova visione del consumatore, non più passivo
all’interno del processo, in quanto pienamente in grado di farsi carico delle
proprie scelte e dei propri gusti. Le scienze sociali si sono quindi sempre più
rese consapevoli di quanto la storia del consumo sia stata un tassello
importantissimo per la genesi del sistema capitalistico e per la sua fase
postmoderna.
La storiografia si è soffermata su un arco di tempo piuttosto recente, che
grosso modo va dalla fine dell’Ottocento al secondo dopoguerra. Gli studiosi
del primo periodo indicano come fattori propulsivi alla genesi dei consumi
moderni la nascita dei grandi magazzini e di un nuovo sistema mediatico e
pubblicitario; quelli del secondo dopoguerra riflettono soprattutto
sull’importanza della diffusione in quantità massicce di beni durevoli per uso
domestico, dai frigoriferi, alla radio, alla televisione. Sicuramente la
maggioranza degli studiosi del fenomeno considerano di basilare rilevanza il
rapidissimo sviluppo di nuovi spazi commerciali nelle città e il diffondersi
delle prime forme di comunicazione di massa, prime fra tutte la stampa, che
hanno profondamente influenzato e cambiato le condizioni di
commercializzazione dei beni, sviluppando nuovi canali distributivi e nuove
forme di advertisement sempre più complesse.
7
Le merci, dal momento in cui sono uscite dall’ambito della produzione
artigianale e soprattutto a partire dalla Rivoluzione Industriale della seconda
metà dell’Ottocento, hanno evidenziato di essere soggette a un processo di
progressiva “spettacolarizzazione”.
1
Sono lavori che si concentrano principalmente sulla nascita delle grandi
capitali europee e sulle culture di consumo metropolitane, partendo
dall’enorme impatto culturale che ebbero le esposizioni mondiali tra Ottocento
e Novecento.
Il tempo libero stesso, elemento irrinunciabile della condizione
metropolitana dell’Ottocento, è fortemente interconnesso da subito con la
commercializzazione e lo shopping. Chi cammina per le strade delle grandi
città può essere sempre più considerato un attore che ricava parte dei significati
e delle gratificazioni delle sue passeggiate dallo spettacolo delle merci: lo
shopping diventa un’attività tipicamente borghese del free-time , un modo di
passare lo svago socialmente approvato, come andare a teatro, a un vernissage,
o visitare un museo
2
. Si sviluppa così quella che Edgar Morin definisce
“cultura del loisir”: la cultura di massa si appropria degli spazi liberi e della
vita privata degli individui.
Il loisir apre gli orizzonti del benessere, dei consumi e di una nuova vita
privata. La fabbricazione in serie e la vendita rateale aprono le porte ai beni
industriali, al focolare elettrodomestico, ai week-end motorizzati.
3
1
Codeluppi Vanni, Lo spettacolo della merce. I luoghi del consumo dai passages a
Disney World., Milano, edizioni Studi Bompiani, , 2000.
2
Sassatelli Roberta, Consumo, cultura e società, Bologna, edizioni Il Mulino, 2004.
3
Morin Edgar, Lo spirito del tempo, Roma, Meltemi Editore, 2002.
8
Nel corso del Novecento questi fenomeni si sono ulteriormente sviluppati:
il processo di metropolizzazione del sociale si è così compiuto e ha permesso al
mondo dei consumi di massificarsi.
Sicuramente datare la nascita della società dei consumi è un’operazione
complessa: essa è emersa gradualmente, mossa da fenomeni sociali amplissimi,
come l’urbanizzazione, la mobilità sociale, lo sviluppo dei media, e da
motivazioni di tipo economico-produttive ed etiche. I consumi, anche quelli
che oggi ci sembrano ordinari e scontati, sono da sempre legati a processi
profondamente radicati nella storia sociale, culturale, politica ed economica di
una comunità. Consumare significa quindi molto di più che soddisfare i propri
bisogni quotidiani mediante dei beni materiali: è una vera e propria pratica
sociale.
Questo ciclo di trasformazioni ha indubbiamente un punto di arrivo comune:
il consolidarsi della figura del consumatore e delle azioni di consumo
all’interno del mondo contemporaneo.
2. Le teorie sociologiche dell’agire di consumo
Per comprendere i processi di consumo odierni è quindi fondamentale
conoscere, comprendere e analizzare il modo in cui gli attori sociali si
rapportano con le merci. Quali sono i principi che guidano le loro azioni? Che
tipo di azione è l’agire di consumo?
9
Le teorie sociologiche sull’agire di consumo si sono fin da subito
contrapposte alla visione individualistica indicata dall’economia. Nella teoria
economica neoclassica, infatti, il consumo è visto come una pratica individuale
e strumentale. Le prime riflessioni in questo campo hanno cercato di
dimostrare come le pratiche di consumo siano invece degli importanti
fenomeni collettivi, le cui dinamiche, anche se non sempre consapevoli, sono
improntate secondo una ragionevolezza di tipo sociale
4
: l’atto di consumo non
è un processo che viene portato a termine ignorando i gusti e le scelte degli
altri. Esistono infatti una serie di logiche che guidano i comportamenti dei
consumatori.
Caratteristica fondamentale che domina le pratiche di consumo
contemporanee risiede nella logica distintiva: il consumatore cerca di acquisire
beni che possano fargli assumere uno “status” all’interno della struttura
sociale: la moda, ad esempio, è una pratica che da sempre segna i confini tra
chi può permettersi un determinato bene e chi invece è destinato a seguire le
oscillazioni del gusto degli altri. Il consumo viene così visto sempre più come
un importante spazio di competizione sociale, e i consumatori sono sempre più
“sovrani” all’interno del mercato, che a sua volta non può fare a meno di
rispondere alle decisioni d’acquisto del suo pubblico, cercando in tutti i modi
di soddisfarle. Importantissimi saranno in questo settore gli studi di Pierre
Bourdieu nel 1979 (vedi parte seconda, capitolo I, paragrafo 2). Contro ogni
approccio soggettivistico razionalistico, Bourdieu è giunto alla concezione
dell’agire sociale come prodotto di un senso pratico, una vera e propria arte
sociale: attraverso un’analisi minuziosa dell’universo apparentemente
secondario dei consumi (e di quelli estetico- artistici) egli sviluppa una
complessa ricostruzione delle logiche stesse di funzionamento di ogni società
4
Sassatelli Roberta, Consumo, cultura e società, Bologna, Il Mulino, 2002.
10
stratificata, dove le classi sociali, contrapposte a causa degli interessi legati alle
rispettive posizioni all’interno della collettività, lottano in un conflitto
simbolico e materiale, al fine di confermare o rivendicare il proprio
riconoscimento. L’azione umana viene così vista come qualcosa di tangibile,
diversa dalla semplice rappresentazione o scambio di segni e simboli.
Sicuramente oggi, complice il potere esercitato dalle comunicazioni di
massa, dalla pubblicità e dall’industria culturale, le pratiche di consumo
possono configurarsi naturalmente come azioni basate su logiche relazionali,
orientate cioè al consolidamento di legami sociali, ma anche su logiche
cerimoniali, edonistiche e normative, in cui il contesto diventa di fondamentale
importanza: i tempi del consumo, i luoghi, le istituzioni, i soggetti e i loro
gusti, i differenti stili di vita. Si è sempre più consapevoli di come il consumo
sia lo specchio di noi stessi e delle nostre relazioni sociali, e di quanto questo
fenomeno sia importante per la sociologia contemporanea.
.
11
II.
La “vetrinizzazione” della società
1. L’invenzione del tempo libero
All’alba del diciannovesimo secolo, il tempo del contadino, quello
dell’artigiano, e quello dell’operaio erano discontinui, pieni di imprevisti,
casuali, soggetti a interruzioni fortuite o ricreative. Questo tempo
relativamente lento, flessibile, malleabile, occupato da attività spesso
imprecisate è stato a poco a poco sostituito dal tempo calcolato, previsto,
ordinato, affrettato dell’efficienza e della produttività […] E’ questo che ha
suscitato la rivendicazione di un tempo per sé.
5
Dalla metà del IXX secolo in Inghilterra e negli Stati Uniti nascono
un’industria e una cultura popolare del divertimento cittadino. La società
industriale, grazie alle profonde trasformazioni che hanno accresciuto la
produttività, permette infatti di liberare quantità crescenti di tempo libero. Nel
1852 Charles Morton apre il primo music hall londinese, e sempre intorno a
5
Corbin Alain, L’invenzione del tempo libero, 1850-1960, Roma, Laterza, 1996.
12
questi anni vengono progettati e realizzati il Bois de Boulogne a Parigi e
Central Park a New York, importanti aree verdi metropolitane. Il tempo del
lavoro, inoltre, si riduce notevolmente sotto la spinta dei movimenti sindacali
e secondo la logica di un’economia che, inglobando lentamente i lavoratori nel
proprio mercato, si trovava costretta a fornir loro non più soltanto un tempo di
riposo e di recupero, ma anche un tempo per i consumi. La diffusione delle
ferie pagate, e quindi delle vacanze, permette il cambiamento epocale delle
forme e degli usi del tempo libero. Oltre a ciò, la personalità negata all’interno
dell’ambiente lavorativo cerca un riscatto sociale, e lo trova in ambiti meno
sterili, attraverso attività più stimolanti e creative in grado di sviluppare le
proprie inclinazioni personali, o feticizzando con manie collezionistiche il
bisogno insopprimibile di fare qualcosa per se stessi. È in questo periodo che
nasce una nuova moralità del piacere, definita da Edgar Morin cultura del
loisir
6
. L’allargamento, la stabilizzazione e la quotidianizzazione di questo
nuovo tempo libero si ottengono a discapito sia del lavoro che delle feste
tradizionali e famigliari; l’attrazione del focolare si allenta: ciascuno dei
membri della famiglia acquista una propria autonomia.
E la cultura di massa si estende nella zona lasciata libera dal lavoro, dalla
famiglia e dalla festa.
7
Ma soprattutto, il loisir apre gli orizzonti al benessere, ai consumi e a una
nuova concezione della vita privata: la fabbricazione in serie e la vendita
rateale aprono per la prima volta le porte ai beni industriali, al focolare
elettrodomestico, ai week-end motorizzati; i valori e i riferimenti cambiano
profondamente, e anche le masse accedono così ai livelli di individualità già
raggiunti in primis dalle classi medie. Lo svago in particolare diviene un
6
Morin Edgar, Lo spirito del tempo, Roma, Meltemi Editore, 2002.
7
Ibidem, pag. 80.
13
obiettivo in se stesso: il desiderio di distrazione (play, recreation) si manifesta
attraverso lo sviluppo di un divertimento di massa, all’interno del quale si
cerca di allontanare l’angoscia e la solitudine. La cultura del loisir sviluppa
ulteriormente il concetto di gioco: questa tendenza si esprime in modo
significativo nella nascente concezione moderna delle vacanze. La vita di
vacanza assume infatti i connotati di una grande attività ludica, sia praticando
attività ancestrali, come la pesca o la caccia, sia attraverso il coinvolgimento in
nuovi passatempi, come lo sci nautico o gli sport da spiaggia. Vengono così a
profilarsi le complesse correlazioni tra il loisir, la cultura di massa, i valori
privati, il gioco-spettacolo, le vacanze, il divismo moderno.
Abbiamo visto come la nozione di tempo libero si sia definita in seguito alla
formazione e allo sviluppo di una società industrializzata e urbanizzata, una
società in cui la qualità della vita quotidiana è cambiata in rapporto alla
radicale trasformazione dei costumi, delle tradizioni, delle esperienze di vita
collettiva. Lavoro e tempo libero fanno parte di uno stesso sistema: ogni
cambiamento dell’uno si ripercuote sull’altro, anche se l’aumento del tempo a
propria disposizione, unito alla diminuzione delle pratiche rituali, ha
sicuramente rafforzato l’ansia per i momenti vuoti non occupati dal lavoro: se
non vissuto pienamente il tempo libero può diventare paradossalmente
insidioso, provocando una insoddisfazione causata da uno spazio vitale che
trascorre nella passività, carico di noia e insofferenza.
La crisi degli anni Trenta e l’ondata di disoccupazione provocata al di là
dell’Atlantico sospesero la riflessione sul tempo libero per tutto il decennio,
attribuendogli addirittura una connotazione negativa, associandolo alla
disoccupazione, e di conseguenza all’ozio, male sociale spesso causa di
delinquenza e criminalità. Nella società contemporanea che si appresta a
14
varcare la soglia del terzo millennio sono avvenuti dei mutamenti così profondi
e veloci da farci ulteriormente riflettere sul tempo, una risorsa da gestire con
oculatezza se si vuole conciliare lavoro produttivo e svago. In Italia le indagini
più recenti condotte dagli Osservatori sui tempi
8
, organizzazioni nate
all’interno dei centri studi dei sindacati o delle amministrazioni comunali di
città grandi e piccole (Milano, Varese, Bologna, Imola), offrono risultati
sorprendenti per ciò che riguarda le analisi sulla fruizione del tempo libero.
Dalle interviste effettuate emerge che la maggior parte degli italiani preferisce
occupare i momenti liberi in ambito familiare, restando nelle proprie
abitazioni. Se il tempo libero dei nostri nonni era occupato dal racconto orale e
dalle frequentazioni, ora si guarda la televisione, si ascolta musica, si naviga su
Internet: in entrambi i casi sempre nello spazio domestico, anche se prima si
trattava di una partecipazione corale e oggi di una immersione solitaria.
L’attenzione alla famiglia è confermata anche dalla sempre minore
8
Si veda in merito l’Osservatorio del mondo giovanile del comune di Torino,
www.comune.torino.it/infogio/osserv. L’Osservatorio del mondo giovanile è stato istituito nel 1987
dal Comune come strumento per la programmazione delle politiche giovanili. L’attività prioritaria è
quella di raccogliere ed elaborare dati e informazioni sui principali temi inerenti alla condizione
giovanile, allo scopo di “costruire una conoscenza” sistematica ed organizzata della realtà giovanile e
di fornire uno sfondo di dati, informazioni e riflessioni utili per orientare la progettazione di iniziative
e servizi per i giovani. Un ruolo di primo piano dell’Osservatorio spetta al rapporto sulla condizione
giovanile che raccoglie i principali dati e informazioni sulle tematiche che riguardano i giovani e
viene, di norma, pubblicato con cadenza biennale. Si veda anche Medialoisir, osservatorio sul tempo
libero nato nell’aprile 2001 da parte del Dipartimento di Sociologia e Comunicazione dell’Università
La Sapienza di Roma. Nel contesto di una consolidata esperienza di ricerca del Dipartimento sul
terreno dell’analisi culturale, l’iniziativa ha puntato, fin dall’inizio, a promuovere un monitoraggio
continuativo e ad ampio raggio dei nuovi vissuti e stili del tempo libero degli italiani: ciò attraverso la
produzione di profili empirici, supportati da analisi quantitative e qualitative delle percezioni e delle
attività. Sul piano metodologico, la strategia di analisi privilegia la chiave di lettura offerta dalle
statistiche culturali e sul tempo libero dell’ISTAT, fonte ufficiale per antonomasia: un ricchissimo e
insuperabile serbatoio informativo sugli stili di vita e i consumi degli italiani. Le attività promosse
dall’Osservatorio puntano essenzialmente all’elaborazione di una chiave di lettura globale dei
fenomeni di svago e di consumo culturale dentro e fuori i media. Per visitare il sito Internet:
www.discuniroma1.it.
15
partecipazione ad associazioni o gruppi; si confermano attività quali la lettura e
l’ascolto della musica, la pratica sportiva, il piacere di stare con gli amici. In
questo quadro emergono anche passioni come la pesca, passatempo che
presuppone una disciplina personale molto rigida (quella del silenzio), il
giardinaggio, il bricolage o “arte del fare da sé”, moderna interpretazione dei
mestieri del focolare. In queste scelte risiede la risposta alla rivendicazione,
espressamente dichiarata, di conquistare quello che i sociologi indicano come
il terzo elemento all’interno del sistema binario “tempo di lavoro/tempo
libero”, cioè il tempo per sé.
2. I luoghi di consumo storici: dai passages alle
esposizioni universali
Il concetto di vetrina nasce nel Settecento, quando l’aumento di una
clientela sempre più anonima e frettolosa e sempre meno abituale spinse i
negozianti ad esporre verso la strada le merci, fino a quel momento visibili
soltanto all’interno delle botteghe.
Se fino a quel momento essa non era stata molto più di una semplice
finestra, che permetteva di guardare la strada dall’interno del negozio e
viceversa, si trasformò, ora, in palcoscenico rivestito di vetro, sul quale
disporre a mo’ di pubblicità la merce.
9
Il negozio subisce così una vera e propria metamorfosi. Fino a quel
9
Schivelbusch Wolfgang, Luce. Storia dell’illuminazione artificiale nel secolo XIX, Parma, Nuove
Pratiche, 1994.
16
momento l’acquirente entrava in bottega non sapendo cosa comprare,
lasciando che fosse il negoziante a proporre la merce, che ovviamente esaltava
in ogni suo aspetto, facendolo sentire spesso in obbligo di comprare in cambio
del tempo a lui dedicatogli. Lo stesso ambiente interno cambiò fisionomia,
liberandosi degli armadi con grandi cassettoni porta-tutto, sostituiti da mobili
più idonei ad esporre i prodotti. E il laboratorio venne spostato nelle zone più
periferiche della città.
Inizialmente le vetrine avevano un aspetto differente da quelle odierne:
venivano infatti realizzate unendo tra loro tanti frammenti di vetro, sostituiti
solo in seguito da grandi lastre di cristallo. L’uso dell’illuminazione artificiale
e di specchietti posizionati per creare spettacolari giochi di luce ne
accentuavano ulteriormente la trasparenza. I negozianti cercavano in tutti i
modi di attirare l’attenzione dei passanti, suscitando in loro sorpresa,
emozione: i prodotti vengono per la prima volta nobilitati e messi in scena,
come attori che recitano davanti al proprio pubblico su un palcoscenico, la
vetrina appunto, perdendo così il proprio significato originario, legato al
rapporto diretto e personale del cliente con il negoziante. E ne acquistano uno
nuovo, legato al piacere visivo del lusso e dell’inaccessibilità. Il cliente non fa
più affidamento sul venditore, ma è lasciato solo davanti al prodotto, a
scegliere in base alle sue competenze d’acquisto ciò che ritiene più bello e più
seducente.
Con gli inizi dell’Ottocento, la rivoluzione industriale stimola la produzione
di grandi quantità di merci, che hanno dunque bisogno di luoghi in cui
possano venire venduti. I negozi si moltiplicano, grazie anche ai piani di
riurbanizzazione realizzati nelle principali città, prima fra tutte Parigi.
Nascono anche le prime gallerie commerciali coperte, o passages – dalla
Galerie Vivienne realizzata a Parigi nel 1823 per ovviare all’insufficienza di
negozi nella città, alla Galleria Vittorio Emanuele terminata nel 1878 a Milano.
17
Esse presentano una struttura singolare: sono veri e propri viali dotati di soffitti
a vetrate, in cui splendidi negozi convivono con sale da the, librerie ed
appartamenti, fondendosi in una ambigua e affascinante continuità con
l’esterno e comunicando un effetto straniante, di sospensione dal tempo e dallo
spazio.
Nei passages, i vetri sovrastanti filtravano la luce, producendo una
illuminazione quasi “acquatica” in grado di creare una sorta di “effetto
sogno”, per dare vita a luoghi a metà strada tra quelli reali e quelli della
fantasia.
10
Gli architetti francesi dell’epoca che li progettarono li descrissero come
spazi “democratici”, in quanto potenzialmente accessibili a tutti, pur se
lussuosi e confortevoli come i circuiti privati. Qui i cittadini amavano
passeggiare, incontrare nuovi amori, discutere, naturalmente consumare, ma
non solo: camminando nelle sfarzose gallerie si aveva l’impressione di
appartenere ad una élite sociale, dove poter essere visti e riconosciuti: i
passages divennero dunque dei luoghi per mostrare, e mostrarsi, fare
esperienze emozionanti. Nasce in questi anni la figura del flâneur
11
, che
10
Codeluppi Vanni, Lo spettacolo della merce. I luoghi del consumo dai passages a
Disney World., Milano, edizioni Studi Bompiani, , 2000.
11
Il flâneur divenne, grazie a Walter Benjamin, una figura centrale e simbolica della città moderna. Il
suo saggio più distintivo e suggestivo è l’incompiuta opera Parigi, capitale del XIX secolo, nella quale
il pensatore ha cercato di afferrare il senso di un’intera epoca storica, accostando l’analisi della poesia
di Baudelaire e la descrizione dell’assetto urbanistico parigino, descrivendo nuove figure psico-
antropologiche, come il flâneur, il dandy, la prostituta, e esaminando i nuovi caratteri della produzione
e della circolazione della merce. Benjamin dedica molta attenzione al personaggio di Baudelaire, di
cui fu anche traduttore: in particolare, distingue il concetto di “esperienza” dal concetto di “esperienza
vissuta”, dove quest’ultima permette di rielaborare razionalmente, attraverso la riflessione, i traumi
della vita, così da impedirne la penetrazione nel profondo e il turbamento della coscienza. La semplice
“esperienza” è invece quella subita senza mediazione: è quest’ultimo il caso di Baudelaire, che nella
vita cittadina subisce incessantemente l’esperienza traumatizzante dello scompiglio quotidiano
18
trascorre la giornata a vagabondare per la città con il puro desiderio di
esplorare, immerso nello sfavillio delle merci. È un bighellone, che va a
passeggio come se andasse a teatro, estraneo tra estranei, immerso nella folla
senza appartenervi e facendo esperienza degli altri solo come “apparenze”. Gli
incontri del flâneur sono senza impatto, le sue storie costruite con i frammenti
sfuggenti della vita degli altri: egli recita la realtà umana come una serie di
episodi senza passato e senza conseguenze.
Il flâneur è pensabile solo nella grande città, là dove si può andare a
spasso, guardare le vetrine, occhieggiare i vestiti e le acconciature delle
donne: in una cittadina non si potrebbe farlo, perché non si sarebbe protetti
dall’anonimato della folla.
12
Con il progresso industriale e la produzione massificata i luoghi del
consumo si dovettero però modificare ulteriormente. Le gallerie entrarono
definitivamente in crisi, schiacciate dallo sviluppo di nuovi spazi d’acquisto
sempre più ampi e articolati su più piani (a causa anche del significativo
aumento degli affitti in quel periodo). È la nascita dei primi grandi magazzini,
enormi palazzi raggiungibili anche dalla periferia grazie alle nuove arterie
ferroviarie e alle reti di trasporto pubblico urbano. Antesignana della nuova
tendenza è sempre Parigi, prima con i suoi bazaar e poi con “i magazzini di
novità”. Tra i più importanti grandi magazzini parigini dell’Ottocento basti
ricordare il Bon Marché realizzato nel 1852 e le Galeries Lafayette, sorte nel
prodotto dagli urti della folla, dalle luci, dalle novità dei prodotti, l’essenza cioè della metropoli
moderna. La folla rappresenta la “figura segreta”, simbolo e insieme potenza nascosta della sua poesia:
pur non essendo mai interamente rappresentata, la massa è una presenza ossessiva nell’opera di
Baudelaire, e non va ricercata tanto nei temi e nei contenuti, quanto nella forma poetica, nel ritmo
nervoso, ora ondulato, ora spezzato, del suo verso.
12
Intervista rilasciata da Paolo D’Angelo a Doriano Fasoli per www.riflessioni.it, maggio 2005.
19
1895 e ancora oggi prese d’assalto dai fanatici dello shopping. Questo modello
si diffuse molto rapidamente anche nel resto d’Europa: a Londra nel 1894
nascono i leggendari Harrods, e nel 1875 i grandi magazzini Liberty, creati da
Sir Arthur Liberty, che darà così il nome allo stile orientaleggiante di quegli
anni. Ricordiamo anche in Italia l’inaugurazione de La Rinascente nel 1921 a
Milano, per opera dei fratelli Bocconi.
I grandi magazzini godono di vastissimi spazi di vendita dove tutto è
“spettacolarizzato”, e dove per la prima volta anche chi non aveva mai potuto
visitare negozi di lusso può ricevere un trattamento prestigioso. Il consumatore
vi trova effettivamente tutto ciò che può desiderare, stimolato anche da una
massiccia quantità di accattivanti messaggi pubblicitari, diffusi principalmente
con lo scopo di investire le merci di un nuovo valore: l’appartenenza di classe
a prezzi accessibili. L’opera di seduzione dei prodotti sui consumatori, e
soprattutto sulle consumatrici, viene esercitata dunque dalla capacità del
grande magazzino di “mettere in scena”: anche l’oggetto più banale può
diventare smodatamente desiderabile se esposto ottimamente. L’allestimento
classico delle vetrine dei negozi viene pertanto sostituito da spazi interni molto
stimolanti, con un’equilibrata disposizione degli articoli in modo da non
lasciare nemmeno un cantuccio deserto, e caratterizzati spesso da
rappresentazioni esotiche, un gusto ricorrente del periodo: il consumatore
appare sempre più una sorta di “Alice nel paese delle meraviglie”.
Nel corso della seconda metà dell’Ottocento si verifica un altro significativo
fenomeno nelle maggiori città internazionali: le esposizioni universali,
realizzate con lo scopo di poter mostrare la totalità dei prodotti
commercializzabili in tutto il mondo.
Il primo maggio del 1851 a Londra viene inaugurata la prima autentica
esposizione universale, presa d’assalto in poche settimane da più di sei milioni
di visitatori; per l’eccezionale avvenimento venne realizzato appositamente un