PREMESSA
Accostare le parole “emozione” e “business” può forse risultare
stridente e totalmente in antitesi con il mondo aziendale, col
marketing e la comunicazione d‟impresa. La società attuale però ci
mette di fronte ad uno scenario dove è inevitabile, per i manager e
per chi si occupa di gestire i brand nelle imprese, fermarsi a
riflettere sulla strada che si sta seguendo e iniziare a considerare
l‟idea che questa strada può essere sbagliata o incompleta. A fronte
dei mutamenti di scenario e dopo gli anni accademici passati a
comprendere i meccanismi della comunicazione aziendale, della
gestione dei brand e del rapporto col mercato mi sono appassionato
sempre più al filone di ricerca che considera le emozioni come il vero
motore per l‟economia. Se quella di oggi è una società basata sulle
esperienze e dove le emozioni sono primarie devono essere le
imprese le prime a dover comprendere questo mutamento e
cambiare approccio.
La mia passione per l‟etica, l‟attenzione ai valori più profondi e la
componente emotiva delle persone ha incontrato circa un anno e
mezzo fa l‟idea di un signore americano, che di nome fa Kevin
Roberts e per vivere ha lavorato nelle più importanti multinazionali e
insegnato nelle più note università in giro per il mondo. La sua
teoria dei Lovemarks e di come la comunicazione d‟impresa debba
puntare al cuore mi è sembrata da subito geniale e ha fatto si che
ogni volta che analizzassi un caso aziendale nei vari progetti
universitari il mio approccio fosse basato sul considerare le emozioni
come il vero punto di forza. Le imprese che puntano al cuore hanno
sempre avuto successo, perché è così difficile capirlo?perchè alcuni
– molti – manager sono ancora ingabbiati nella razionalità esclusiva
e nel mare di dati che offuscano il lato relazionale del rapporto
impresa-interlocutori? La società cambia, le imprese cambiano e
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l‟approccio razionale, in opposizione a quello relazionale, ha vita
breve.
Ho deciso di studiare un caso aziendale a me molto vicino, forse
perché a questa azienda sono legato fin dalla nascita, l‟A.C. Milan.
La mia idea è stata quella di analizzare un settore economico ancora
troppo poco studiato e analizzato a livello accademico: quello
sportivo e nello specifico quello calcistico. Questo mi ha permesso di
approfondire e conoscere un settore così importante in Italia e
all‟estero in quanto non ero intenzionato ad analizzare le “classiche
aziende” delle quali ormai si sa tutto, ma volevo approfondire la
ricerca accademica e aziendale nel calcio, la mia passione. Inoltre
proprio per le peculiarità endogene del settore mi è sembrato da
subito naturale orientarmi su quest‟ambito in quanto lo sport non è
solo attività fisica ma anche qui l‟approccio razionale nel brand
management non permette una chiara visione degli obiettivi. Quello
che manca è il sentimento, l‟amore e soprattutto nel settore
calcistico ogni numero legato al merchandising o al botteghino parte
proprio dalla passione. Se in tutti i settori sarebbe utile adottare un
approccio ai brand di tipo emozionale nello sport chi si occupa di
marketing deve considerarlo un aspetto primario dalla quale non è
più possibile esimersi.
Ringraziamenti
Giunto alla conclusione del percorso universitario ritengo doveroso
ringraziare ed esprimere la mia riconoscenza nei confronti di tutte
quelle persone che, in modi differenti, mi sono state vicine nel
raggiungimento di un obiettivo per me così importante.
Il primo ringraziamento va all‟Università degli Studi di
Milano e alla possibità da essa fornitami di essere inserito in un
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contesto formativo e culturale fortemente stimolanti, che mi hanno
aiutato a crescere come persona e che mi hanno fornito competenze
solide e ampie.
Ringrazio il Professore Franco Guzzi, Docente del corso
specialistico in Comunicazione d‟Impresa, il quale si è dimostrato da
subito disponibile e con mia grande gioia anche molto entusiasta di
questo progetto così insolito. Ha creduto da subito nell‟idea e mi ha
permesso di concludere il mio periodo universitario con la ricerca
che da tempo desideravo di effettuare.
Ringrazio inoltre il Professore Mario Ruotolo, Docente presso
l‟Università IULM e cultore della materia presso il corso specialistico
in Comunicazione d‟Impresa. Per me è stato il vero e proprio
mentore in quanto ha seguito tutte le fasi del progetto con estrema
disponibilità, mi ha fornito utilissimi consigli riguardo le letture e ha
saputo indirizzarmi nell‟analisi con precisione e competenza.
Un ringraziamento speciale va alla mia famiglia, per avermi
supportato economicamente e moralmente per tutti questi anni
universitari, per avermi fornito sempre tutto il necessario senza
chiedere mai niente in cambio, per quell‟aiuto tacito che viene dal
cuore e che solo la propria famiglia sa dare. Quindi grazie Papà,
grazie Mamma e grazie mia piccola ma immensa sorellina Vivi!
Ringrazio enormemente la mia ragazza Elena che ha condiviso
con me ogni momento degli ultimi tre anni, fornendomi sempre il
supporto morale per affrontare e superare i momenti di maggiore
difficoltà, standomi vicino come solo una grande donna sa fare e
aiutandomi a guardare con fiducia tutti gli obiettivi raggiunti. Un
proverbio dice che “Dietro a un grande uomo c‟è sempre una grande
donna”, pensate che sia falso? Io vi garantisco di no.
Ringrazio inoltre la sua famiglia, perché sono diventati un
punto fermo nella mia vita e perché hanno sempre saputo trattarmi
come un figlio o un fratello, dandomi tutto e anche loro senza
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chiedere niente in cambio, supportandomi con entusiasmo e affetto
dei quali ne vado orgoglioso. Grazie Diego, Luciana, Luca!
Ringrazio chiunque crede in me e nelle mie potenzialità,
chiunque abbia speso anche solo una parola a mio favore, perché
senza l‟aiuto di tutti voi non sarei mai riuscito a raggiungere simili
traguardi.
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INTRODUZIONE
Oggi le imprese si trovano ad operare in uno scenario decisamente
rivoluzionato rispetto a qualche anno fa. L‟avvento della società
postmoderna obbliga le imprese a rivedere le porprie strategie
comunicative e di marketing, obbligandole a porre l‟accento su
elementi nuovi. I grandi mercati di massa, la produzione seriale,
l‟uniformità dei comportamenti e la subalternità dei consumatori
sono ormai concetti obsoleti. Oggi il consumo, ad esempio, non è più
solo un comportamento economico ma è anche guidato dall‟agire
umano, dagli aspetti sociali ed emozionali. I brand oggi si
arricchiscono di significati e responsabilità ulteriori, e se vogliono
sopravvivere nel mondo globalizzato dell‟immagine devono mutare il
loro approccio alle persone. Il consumatore passivo, standardizzato,
omologato è solo un ricordo del passato, mentre oggi assistiamo ad
una vera e propria frammentazione di comportamenti, agire d‟uso e
di consumo, con una maggiore competenza a proposito dei
meccanismi che stanno dietro i brands. Le marche oggi
appartengono alle persone e quello che le imprese devono imparare
a fare è ascoltare realmente i desideri delle persone, cosa è
importante per loro e cosa le fa emozionare. Ascolto non vuol dire
però captare solo ciò che interessa ai fini aziendali, piuttosto ciò che
è etico, è utile alla società e alla comunità in cui l‟impresa opera.
Sempre più rilevanza assumono oggi le operazioni di Cause Related
Marketing – dove ad obietivi economici viene associata una causa
sociale – e la visuale della Corporate Social Responsability, ma esse
non devono essere operazioni “di facciata” perché il consumatore é
oggi più attento e critico.
La recessione che stiamo vivendo in questi anni secondo alcuni
studiosi segna la fine di un‟epoca, di una società destinata al
declino: quella della crescita illimitata. Il crollo delle borse
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d‟investimento americane nell‟Ottobre del 2008 ha portato alla luce
l‟evidenza di come questo modello non sia più sostenibile. Oggi va
messo in discussione il tabù della crescita continua come
assicurazione di benessere generalizzato perché esso si scontra con
un assunto tanto vero quanto banale: le risorse del pianeta sono
scarse. Il fatto ad esempio che l‟80% della popolazione mondiale
abbia a disposizione il 20% delle risorse, mentre i paesi industriali
avanzati – o il primo mondo per usare le parole di un noto sociologo
– abbiano tutto il resto preoccupa ma non più d tanto. I paesi in via
di sviluppo sono visti, tra cinismo e realismo, come un grande
bacino d‟utenza per i brands occidentali, che li salveranno dalla
saturazione dei mercati occidentali. Paesi come l‟India, la Cina o la
Corea sono tutt‟altro che pecorelle indifese, anzi importanti
economisti ritengono che il quinto ciclo di accumulazione vedrà
come protagonista proprio la Cina, che subentrerà agli Stati Uniti.
Bisogna fare i conti quindi con nuovi mercati, ma ascoltandoli,
considerando le diversità culturali e sociali.
Il benessere oggi non è dato dal consumo, dal possesso di un
prodotto o dalla fruizione di un servizio, quanto piuttosto dalle
dimensioni relazionale, immateriale e simbolica che si celano dietro i
prodotti e dietro i brands. Forse è giunto il momento di porre la
giusta attenzione al tema della post crescita illimitata, che va intesa
non come regresso, o catastrofe, o condizioni di vita peggiori di
quelle attuali, piuttosto va considerato come una diversa via da
percorre che metta in primo piano la sostenibilità sociale e
ambientale oltre che economica. Recenti ricerche dimostrano come i
consumatori preferiscano di gran lunga acquistare prodotti
connotati da un valore sociale e che siano prodotti senza causare
danni all‟ambiente. Max Weber sosteneva che il consumo fosse un
“agire sociale dotato di senso” e ciò va tenuto sempre a mente,
considerando che il consumatore – o consumATTORE come viene
definito da alcuni studiosi – è oggi più attento e selettivo, sceglie le
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proprie marche perché lo soddisfano, perché si identifica nei core
value, ed è più competente ed esigente grazie alle nuove tecnologie,
che l‟hanno rivestito di un potere fino ad oggi inimmaginabile. La
comunicazione d‟impresa e i brands oggi devono fare i conti con
persone proattive e dialettica nei loro confronti, con persone che si
radunano in tribù on-line – comunemente dette community – e che
vogliono avere sempre più voce in capitolo. Coloro che si identificano
e si riuniscono in qualche trubù brandizzate finiscono per
appropriarsi delle marche, che diventano simboli d‟appartenenza e
vengono espropriati all‟impresa e arrivando così al punto che sono i
consumatori a guidare l‟impresa piuttosto che viceversa.
I nuovi media, se gestiti adeguatamente, possono ampliare a
dismisura la capacità d‟ascolto delle imprese e realizzare
collaborazioni o partnership con le persone. Gli User Generated
Content, le Peer To Peer Community sono tutti segnali di questo
nuovo conumatore e del suo nuovo potere e dimostrano come
l‟economia si stia inoltrando nell‟ambito delle esperienze. Esperienze
di consumo ma anche di condivisione, di scambio reciproco di
informazioni e talvolta di passione sfrenata per un brand: che sfocia
in brand community create proprio dagli utenti. Oggi le persone non
acuistano prodotti, acquistano marche, con significati, dimensioni
simboliche, valori intangibili, esperienze di consumo ad esse
collegate. Nei loro comportamenti d‟acquisto le persone rivestono i
prodotti e servizi di desideri, passioni, significati privati ed unici
perché è questo il nuovo consumatore.
Le nuove tecnologie sono forse i veri artefici del cambiamento, ed
oggi è li che si incrociano i desideri dei consumatori. La condivisione
dei saperi fa si che l‟impresa debba assumere una struttura a rete
per poter comunicare in maniera simmetrica con i propri
interlocutori. Il mondo digitale sta ormai plasmando la vita delle
persone – non solo in positivo – e non tenerne conto vorrebbe dire
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per i brands combattere una guerra del futuro con le armi del
passato.
Oggi l‟approccio delle imprese non può più essere solo di tipo
razionale perché sempre più studiosi e ricerche domostrano come le
emozioni siano il vero motore dell‟economia. Pertanto i brands che
riusciranno a fare dell‟approccio economico il loro must saranno in
grado di ottenere un vantaggio competitivo sui propri competitors. Le
emozioni sono gli elementi costitutivi delle esperienze che oggi sono
il fulcro dell‟attenzione per chiunque proponga beni e servizi. Questo
approccio vale a prescindere dal settore in cui le imprese operano.
Ad esempio se prendiamo il marketing territoriale, oggi in forte
espansione, possiamo osservare come i modelli tradizionali di analisi
siano entrati in crisi perché non è più sufficiente studiare una città
utilizzando solamente approcci quantitativi di tipo economico.
Bisogna piuttosto pensare alle città, ai territori e ai luoghi come
posti in cui la gente vive, si relaziona, ha esperienze e ricordi molto
forti e nel pianificare le operazioni di management è questa la
visuale da tenere in considerazione.
Così come qualsiasi altro settore anche quello sportivo e più in
particolare quello calcistico hanno dovuto adeguarsi al nuovo
scenario, in vista anche delle recenti modifiche legislative che hanno
portato le società di calcio ad essere considerate come S.p.a., con le
inevitabili conseguenze a livello manageriale. I brands in questo
settore stanno assumento un ruolo centrale come in tutti gli altri,
pertanto una loro gestione efficace ed efficiente sono la premessa per
il successo in termini di immagine e di reputazione. La mia scelta di
occuparmi di un settore dell‟intrattenimento e del tempo libero e in
particolare di occuparme del comparto calcistico è dettata
dall‟importanza che esso ricopre nel nostro paese e all‟estero, è
dettata anche dalla maggiore disponibilità delle persone di dedicare
il proprio tempo libero allo sport. Secondo una ricerca di
Deloitte&Touche del 2003 in Italia il giro d‟affari attivato dallo sport
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corrisponde a circa 31,5 miliardi di Euro, pari al 2,4% del PIL e con
un impiego di circa 500.000 addetti diretti e indiretti. Mentre il 16
Dicembre del 1996, anno fondamentale per l‟evoluzione del settore
calcistico, Walter Veltroni, allora vicepresidente del Consiglio, in un
intervista al quotidiano economico Il Sole 24 Ore dichiarava: “Le
società [calcistiche] devono fare un passo di qualità, entrare in una
logica diversa, non aspettare che i soldi arrivino solo dal botteghino
e dagli sponsor. Deve insomma formarsi una cultura d‟impresa: né
più né meno di una normale azienda industriale. Perché il calcio,
come tutto lo sport, potrà essere un elemento trainante per
l‟economia mondiale con forte capacità d‟espansione anche in campo
occupazionale”. Inoltre i dati forniti dalla SIAE (Società Italiana degli
Autori ed Editori) nel 2001 relativamente alla spesa per gli spettacoli
in Italia indicano come sia in crescita la fruizione di sport nel nostro
paese e tra i vari sport il settore del calcio copre ben il 76% del
mercato, tra professionistico e dilettantistico. Il calcio
professionistico – inteso come Serie A, B e partite internazionali – da
solo copre il 58% del mercato con una spesa di 190 milioni di Euro,
mentre quello minore – Serie C, leghe dilettantistiche e giovanili –
copre il 18% con una spesa di 61 milioni di Euro. Seguono
distanziati il settore dei motori con un esborso di quasi 40 milioni di
Euro e una copertura del 12%, la pallacanestro col 7% e 24 milioni
di Euro spesi e gli altri sport col 5%.
Questa ricerca analizza un modello teorico, quello dei Lovemark, e
valuta quanto esso sia presente nel reale, analizzando il caso Milan,
al fine di indicare, senza presunzione, una strada di successo alle
imprese calcistiche, sportive in generale e di qualsiasi altro settore.
Non sono ancora moltissimi i lavori in ambito emozionale ma le
ricerche di importanti studiosi confermano come questo ambito sia
fondamentale per avere successo, pertanto la presente ricerca può
essere un valore aggiunto e un buono spunto per analizzare il
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