riproporre quel sistema integrato di “produzione-distribuzione-esercizio”
che ha reso grande il cinema statunitense. La lungimiranza dei Lombardo e
dei Gualino colloca l’apogeo delle rispettive società intorno agli anni
Cinquanta, nell’immediato dopoguerra, quando gli Americani arrivano a
Roma per fare di CINECITTÀ una seconda Hollywood. All’epoca del
massimo splendore, in Italia, non esistono degli scritti che raccolgano
testimonianze puntuali sull’attività delle due Case.
A partire dalla metà degli anni Settanta, in letteratura appaiono i
primi studi organici sulle case di produzione italiane che – non sempre –
hanno superato l’occasionalità dei contesti in cui sono state proposte. Tra i
più significativi risultano due volumi editi in occasione dell’ottantesimo
anniversario della TITANUS e del cinquantesimo anno dalla fondazione della
C.I.C. LUX. Sulla Casa creata da Gustavo Lombardo, sono stati raccolti i
contributi di quanti vi hanno lavorato, le interviste dell’epoca al fondatore,
alcuni suoi articoli pubblicati dalla rivista Lux, e una ricca filmografia;
questo lavoro è l’unico dedicato alla casa napoletana che permetta di
conoscerne – concretamente – il modo di produzione. Inoltre, il «Festival
International du Film de Locarno» (in Svizzera), nel 1984, ha dedicato una
rassegna “filmografica” alla C.I.C. LUX; in tale occasione, è stato pubblicato
un volume a cura di Alberto Farassino e Tatti Sanguineti, che ha permesso
di ricostruire la struttura di quest’altro «Studio» – partendo dai contributi
degli stessi curatori, di Renato Gualino e di Jean Gili.
Il panorama produttivo italiano, dallo splendore degli anni
Cinquanta, si è andato modificando, spingendosi verso una produzione più
commerciale e più adatta alla televisione – così come era accaduto ad
Hollywood pochi anni prima. La cinematografia italiana ha attraversato un
lungo periodo di crisi dovuto – principalmente – all’avvento delle
televisioni private, che hanno spostato una larga fetta di pubblico dalle sale
ai salotti. A tale mutamento delle abitudini di consumo si è associata la crisi
dei contenuti, che il cinema italiano non accennava ad abbandonare.
Agli inizi degli anni Ottanta, il “cinema regionale” toscano,
napoletano e romano riportano in auge la “commedia all’italiana”; tuttavia,
non ci sono mezzi sufficienti a contrastare l’invadenza delle pellicole
statunitensi. Inoltre, una serie di concentrazioni finanziarie e societarie
aprono le porte dell’industria cinematografica a colossi della
comunicazione, rafforzando l’integrazione tra “cinema-televisione-
pubblicità”.
Nel variopinto e magmatico settore cinematografico italiano,
malgrado la leadership di Cecchi Gori, MEDUSA e delle Majors americane,
ci sono tante piccole società che hanno saputo ritagliarsi un proprio
significativo spazio. Alla ricerca della qualità – nel cinema “d’autore” come
in quello d’intrattenimento – la FANDANGO (ex-VERTIGO) rappresenta una
delle realtà più interessanti dagli anni Novanta ad oggi.
L’unico studio sulla Casa, fondata da Domenico Procacci, è stato
compiuto nel 2001 dal Prof. Domenico De Masi, docente di Sociologia del
Lavoro presso l’Università “La Sapienza” di Roma. La ricerca del gruppo
«Man on the moon» nasceva dalla necessità di analizzare la rilevanza del
lavoro creativo nella comunicazione, ritenendo che tutti coloro che lavorano
all’interno della Factory FANDANGO determinino la creatività della casa di
produzione.
Pertanto, il contributo che questo mio lavoro offre vuole essere
assolutamente originale, per l’assenza in letteratura di uno studio
monografico sulla FANDANGO. L’indagine sul campo è stata preceduta da un
intensa attività di ricerca, che ha permesso di acquisire le conoscenze di
base sull’operato della Casa. In questa fase, è stata fondamentale la lettura
di articoli sulla carta stampata e su Internet e lo studio di alcuni saggi di
Mario Sesti e Vito Zagarrio, al fine di delineare il quadro di riferimento.
Inoltre, presso la Mediateca Regionale Toscana di Firenze, sono state
visionate tutte le pellicole della filmografia FANDANGO, realizzate dal 1987
ad oggi.
Il materiale reperito in questa prima fase doveva essere integrato
tramite una ricerca sul campo, che avrebbe garantito la completezza e la
veridicità dello studio. La FANDANGO ha autorizzato il libero accesso alla
propria struttura, permettendo di trascorrere un mese a diretto contatto con
coloro che vi lavorano. Un’intervista a Domenico Procacci ed una serie di
colloqui con i responsabili di ogni settore hanno costituito il nucleo centrale
per la redazione dello studio.
Un forte senso di responsabilità operativa pervade la produzione e la
distribuzione cinematografica, così come l’editoria e le edizioni musicali;
ogni elemento riflette le istanze del brand FANDANGO, che ogni linguaggio
contribuisce a rappresentare e che non può essere assoggettato a ragioni
esclusivamente estetiche.
Pertanto, questo lavoro presenta l’attività di una casa che – “lontano
da Hollywood” – ha saputo creare una realtà di successo in Italia e nel
mondo, al di fuori delle logiche commerciali, creando un suo proprio “modo
di produzione”.
1. MODO DI PRODUZIONE NEGLI U.S.A.
Parlare di «Studio system» significa confrontarsi con Hollywood e la
sua golden age; tra gli anni Venti ed i Quaranta, vale a dire nel periodo
“classico”, si colloca l’epoca in cui le produzioni raggiungono il massimo
del successo e dell’influsso. La potenza dello «Studio» risiede nella
verticalizzazione della sua struttura: il ciclo completo “produzione-
distribuzione-esercizio”, arrivato a conclusione, rende il sistema
cinematografico hollywoodiano un essere autotrofo. Questo sistema
integrato, oltre ad essere un concetto, è anche un luogo “fisico”: qui si
concentrano tutti i servizi necessari per girare un film, che permettono di
limitare i rischi e di superare le difficoltà, disponendo degli strumenti più
efficaci.
Nel corso degli anni, il quadro produttivo e sociale si è modificato,
influenzato dai due conflitti mondiali, dalla Depressione, dal boom
demografico e dalla suburbanizzazione delle metropoli; nel dispiegarsi degli
eventi, per molti «Studios» è suonata la campana: il lento declino del
sistema è coinciso con la diminuzione del pubblico in sala, con i repentini
attacchi all’assetto produttivo da parte del Governo e – se pure in minor
misura – con l’introduzione di nuove tecnologie che richiedevano
investimenti sempre più consistenti. Non ultimo, l’avvento della televisione
ha intaccato il potere simbolico – oltre che quello economico – dello
«Studio system».
Lo scenario produttivo di Hollywood prende forma definita intorno
al 1910. La città è situata sulla West Coast, in un’area che offre condizioni
ideali per le riprese, in estate come in inverno, oltre ad un paesaggio molto
vario. A partire dal 1913, il lungometraggio diviene la norma, la tipica
espressione artistica adottata dalle principali case nell’epoca del muto. In
questo frangente, David Wark Griffith
1
lancia le “super-produzioni” che
divengono una moda e costituiranno un genere molto sfruttato nella
cinematografia statunitense.
Dopo il primo conflitto mondiale, il cinema europeo si è davvero
indebolito, al contrario di quanto accade negli Stati Uniti; pertanto,
un’ondata migratoria di talenti si muove dal Vecchio al Nuovo Continente.
Così, alla fine degli anni Dieci, Hollywood conosce il periodo di massimo
splendore che porta, nel 1916, alla fusione tra PARAMOUNT e FAMOUS
PLAYERS: nasce la prima Major Company, guidata da Adolph Zukor
2
.
1
David W. Griffith (1875-1948) si avvicina al mestiere di realizzatore tra il 1908 ed il
1913. Gira circa 450 film di una bobina e abbraccia – a poco a poco – tutti i generi.
Divenuta una delle figure più imponenti della Hollywood degli anni Dieci, gira film storici
e grandi melodrammi come Giglio infranto. Titolo originale: Broken blossoms. Origine:
USA. Anno: 1919. Soggetto: D.W. Griffith (basato su The Chink and the Child di Thomas
Burke). Sceneggiatura e regia: D.W. Griffith. Fotografia: Billy Bitter, Hendrik Sartov, Karl
Brown. Musiche: Louis F. Gottschalk, D.W. Griffith. Montaggio: James Smith.
Produzione: D.W. GRIFFITH CORP. Distribuzione: n.d. Interpreti: Lillian Gish, Richard
Barthelmess. Tra le altre sue produzioni: Nascita di una nazione. Titolo originale: The birth
of a nation. Origine: USA. Anno: 1915. Soggetto: Thomas F. Dixon jr. (basato sui suoi The
Clansman e The Leopard’s Spots). Sceneggiatura: T.F. Dixon jr, D.W. Griffith e Frank E.
Woods. Regia: D.W. Griffith. Fotografia: Gottlob W. Bitzer. Musiche: Joseph C. Breil,
D.W. Griffith. Montaggio: J. e Rose Smith, Joseph Henabery, D.W. Griffith. Produzione:
D.W. GRIFFITH CORP. – EPOCH PROD. CORP. Distribuzione: EPOCH PROD. CORP. Interpreti:
L. Gish, Henry B. Walthall. Intolerance. Origine: USA. Anno: 1916. Soggetto,
sceneggiatura e regia: D.W. Griffith (basato sul testo di anonimi ebraico-cristiani dalla
Bibbia). Fotografia: G.W. Bitzer, K. Brown. Musiche: J.C. Breil, Carl Davis e D.W.
Griffith. Montaggio: J. e R. Smith, D.W. Griffith. Scenografia: Franz Wortman, Walter
Hall, D.W. Griffith. Produzione: WARK PROD. CORP. Distribuzione: MONDADORI VIDEO.
Interpreti: L. Gish, Mae Marsh.
2
Zukor (1873-1976) diviene presidente di FAMOUS PLAYERS-LASKY COMPANY, nata
dall’unione con FEATURE PLAY COMPANY di Jesse Lasky. Subito dopo questa operazione, il
nome della società è stato cambiato in PARAMOUNT – la Minor appena acquisita.
Gli Stati Uniti hanno sempre rappresentato, nell’immaginario
collettivo, una terra ricca di opportunità e libertà per tutti; per questa
ragione, sono in molti ad osare e ad investire nel futuro, sperando in un
miglioramento della propria vita. Markus Loew ha fatto fortuna grazie agli
introiti derivati dalla gestione di un gran circuito di sale; nel 1912, LOEW’S
THEATRICAL ENTERPRISES conta circa 400 schermi. Ciò permette a Loew di
passare alla produzione: dapprima, nel 1924, assorbendo METRO PICTURES;
dopo quattro anni, GOLDWYN e, infine, LOUIS B. MAYER PICTURES. Le tre
compagnie assumono il nome di METRO-GOLDWYN-MAYER (MGM),
divenendo la seconda Major di Hollywood, di cui LOEW’S, INC. resta la
casa-madre.
Si delinea, così, il paesaggio cinematografico d’oltreoceano,
saldamente rappresentato da poche compagnie che si sono divise il mercato.
Nella golden age, il panorama produttivo è dominato da WARNER
BROTHERS, LOEW’S, INC. (MGM), PARAMOUNT, RKO e 20TH CENTURY-
FOX – meglio conosciute come le Big Five; queste Majors producono e
distribuiscono film sui mercati mondiali e si assicurano la programmazione
delle proprie pellicole in circuiti di sale di loro proprietà. Allo strapotere
delle Big Five, si contrappongono le Minors: UNIVERSAL, COLUMBIA e
UNITED ARTISTS. Le Little Three hanno solo «Studios» e sistemi di
distribuzione propri.
La fine degli anni Cinquanta coincide con il lento declino del fasto
degli «Studios». La televisione diviene una temibile concorrente e le misure
antitrust obbligano le Majors, unitesi in un “cartello”, ad abbandonare lo
sfruttamento congiunto del settore produttivo e distributivo,
ridimensionando il loro potere. La Corte Suprema pone fine al monopolio
degli «Studios» nel 1948, con la sentenza pronunciata nel caso United States
vs. PARAMOUNT PICTURES, INC., et al.
1.1 STRATEGIE PRODUTTIVE DEGLI «STUDIOS»
Lo «Studio» è un centro di produzione che riunisce in una sola
struttura, sia fisica sia organizzativa, quanto necessario alla realizzazione di
un film. Sul luogo delle riprese, la produzione dispone di materiale sonoro e
di impianti d’illuminazione propri. Non deve sorprendere la presenza di
laboratori di falegnameria e di pittura, nei quali si realizzano le scenografie
per i set; per completarle, operai, arredatori e chi si occupa dei costumi
attingono a magazzini fornitissimi. Gli attori più importanti dispongono di
camerini per il trucco e l’acconciatura. Nella fase di “edizione” di un film, il
regista e gli altri tecnici che lo affiancano utilizzano le sale di montaggio e
quelle di missaggio. La concentrazione di tutti questi servizi permette di
guadagnare tempo e denaro, tenendo sotto controllo ogni fase creativa del
film. Pertanto, lo «Studio», offre tutti i mezzi per gestire ogni imprevisto,
per lavorare in qualunque condizione climatica e per ritoccare singoli
fotogrammi, o intere scene, nel corso delle riprese e in sede di montaggio.
I lungometraggi sono curati nei minimi particolari: la maggior parte
della produzione è di prima qualità e circola nelle migliori sale statunitensi,
garantendo ingenti entrate; quest’attività favorisce, principalmente, le Big
Five che producono e distribuiscono quelle stesse pellicole. Gli otto
«Studios» più importanti, istituendo un oligopolio, ostacolano l’attività dei
produttori indipendenti. Il potere economico di Majors e Minors rende loro
impossibile l’accesso al mercato; gli “indipendenti” non riescono a
contrastarlo, non potendo offrire solide garanzie agli istituti bancari, quali la
distribuzione sul territorio nazionale e la proiezione nelle sale di
prim’ordine.
In ogni caso, la forza economica delle Big Five, garantita dallo
«Studio system», influenza notevolmente la qualità, la quantità e il
contenuto dei film. La necessità di saturare il periodo di programmazione
porta gli «Studios» a differenziare la produzione: i film di “serie A” sono
girati con stars, scenografie e costumi costosi e grossi investimenti; i film di
“serie B” sono lavori di scarsa qualità, a budget ridotto e girati per rientrare
nel numero di pellicole stabilite dal piano di produzione annuale. Le
realizzazioni sono, poi, ordinate: “verticalmente”, organizzate in cicli;
“orizzontalmente”, distinte in base alle fonti materiali, come questioni
politiche, adattamenti letterari, articoli giornalistici, etc.
L’esistenza dello «Star system» e la propensione a riproporre gli
stessi generi si spiega con una ricerca della regolarità nella produzione;
questa permette alla distribuzione di prevedere, con una certa precisione, gli
introiti ottenibili dallo sfruttamento di una pellicola. Una sorta di
conservatorismo aleggia intorno al rapporto tra «Studio» e «Star system»
perché è indubbio che le stars siano una necessità economica. Il produttore
investe sulla fama di un’attrice o di un attore, per valorizzare il suo
prodotto; la presenza di una star è una garanzia per il pubblico, un marchio
di fabbrica a riprova della validità della pellicola. Un’attrice o un attore di
successo arrivano a girare numerosi film, anche interpretando lo stesso tipo
di personaggio; la definizione di un genere e la scoperta del suo successo
concorrono a minimizzare i rischi d’investimento: meglio produrre qualcosa
già sperimentata, piuttosto che tentare nuove strade.
Ogni «Studio» redige un piano di produzione annuale, in cui si
indica il numero di film richiesti per la stagione successiva. Il capo della
distribuzione lo stabilisce in relazione alle esigenze del settore – legate alla
domanda delle sale possedute – ed alle produzioni definite dalle concorrenti;
in un secondo momento, si decidono le somme da stanziare, tanto per i film
di “serie A” quanto per quelli di “serie B”. Al piano di programmazione
segue l’ingresso nello «Studio». Da questo quadro si delinea bene la
modalità operativa degli «Studios», in cui autori e realizzatori hanno un
ruolo di secondaria importanza rispetto ai dirigenti: questi ultimi decidono il
tipo di film da girare, il numero di pellicole per ogni genere, il soggetto ed il
cast.
La crisi attraversata nel periodo della Depressione non è soltanto
economica, ma – fondamentalmente – morale: Hollywood non gode di
un’eccellente reputazione e gli scandali non mancano di certo;
necessariamente, la maniera con cui i temi vengono trattati nelle pellicole è
irreprensibile. A disciplinare i contenuti dei film, nel 1930, interviene il
“Codice Hays”
3
che stila la lista di temi, scene e dialoghi da bandire.
Hollywood entra nell’era della censura e, dunque, della trasgressione.
Nonostante i primi segnali di declino ed a scapito dei conflitti interni
alla stessa industria cinematografica, tra il 1930 ed il 1960, Hollywood vive
il suo momento di gloria proprio grazie allo «Studio system». Questa
“macchina macina-soldi”, organizzata, gerarchizzata e taylorizzata, tiene
sotto contratto artisti e tecnici propri, ha delle “specialità” ed un particolare
stile.
Con l’arrivo del sonoro, Hollywood si colloca nell’era del
“classicismo”. Il film “classico” tende a creare l’illusione di un universo
coerente ed omogeneo; per tale ragione, le sceneggiature sono elaborate
intorno ad uno o due personaggi centrali, incarnati da stars e concepiti in
modo da facilitare il processo d’identificazione da parte dello spettatore. Gli
avvenimenti si svolgono secondo una logica di “successione e/o di
casualità”, in maniera tale da evitare ogni iato. La definizione di grandi
generi e delle loro caratteristiche ha rinforzato la standardizzazione della
narrazione. Tuttavia, i perfetti esempi di film classici sono sempre più rari e
le regole facilmente trasgredite: Quarto potere
4
di Orson Welles è diventato
un grande classico perché disattende la norma più di quanto la segua; per
questa ragione ha fatto fare un grande balzo al cinema mondiale.
3
Will H. Hays (1879-1954) dà il nome al Motion Picture Production Code.
4
Quarto potere. Titolo originale: Citizen Kane. Origine: USA. Anno: 1941. Sceneggiatura:
O. Welles, Herman J. Mankiewicz. Regia: O. Welles. Fotografia: Gregg Toland. Musiche:
Bernard Hermann. Montaggio: Robert Wise, Mark Robson. Scenografia: Darrel Silvera.
Produzione: O. Welles per MERCURY PROD. Distribuzione: RKO. Interpreti: O. Welles,
Dorothy Comingore.
Il bianco e nero è progressivamente soppiantato dal colore: nel corso
degli anni Quaranta si utilizza nei film d’evasione, quali commedie musicali
e film d’avventura; il film noir, al contrario, resta fedele ad una certa
estetica del bianco e nero. Negli anni Cinquanta, il colore ed il
«Cinemascope»
5
divengono la norma generale per reagire alla concorrenza
della televisione. Certi generi come il western ed i film più spettacolari
possono beneficiare di un nuovo doppio atout del cinema.
La storia del cinema, a questo punto, s’intreccia con la Storia. La
Seconda Guerra Mondiale, ancora una volta dopo la Prima, non fa altro che
appesantire la presenza delle pellicole americane nelle sale europee. A
questo conflitto, segue la Guerra Fredda che provoca non pochi
sconvolgimenti nell’assetto produttivo d’oltreoceano; il maccartismo
6
assume come obiettivo l’eliminazione da Hollywood del “virus” comunista:
numerosi cineasti e sceneggiatori, come Jules Dassin
7
, emigrano ed agli altri
iscritti nella lista nera viene impedito di lavorare nel mondo dello
spettacolo. C’è chi esprime le proprie opinioni usando simboli o parabole, o
prendendo degli pseudonimi; inoltre, gli artisti esitano nel firmare i contratti
e preferiscono lanciarsi nella produzione, creando delle piccole compagnie
indipendenti.
5
20TH CENTURY-FOX introduce gli schermi giganti su cui le immagini si proiettavano
grazie ad un sistema di lenti anamorfiche; queste schiacciano le immagini per adattarle alla
larghezza dello schermo. Il rapporto tra larghezza ed altezza dello schermo si definisce
formato; lo standard del Cinemascope americano è di 2,35:1.
6
Periodo che prende il nome dal senatore repubblicano McCarthy.
7
Dassin (1911-) raccoglie i maggiori successi internazionali dopo l’iscrizione nella lista
nera e la fuga in Europa. Tra i suoi film, Mai di domenica. Titolo originale: Pote tin
kyrianki – Never on Sunday. Origine: Grecia, USA. Anno: 1960. Soggetto, sceneggiatura e
regia: J. Dassin. Fotografia: Jacques Natteau. Musiche: Manos Harjidakis. Produzione:
MELINA – UNITED ARTISTS. Distribuzione: DEAR. Interpreti: Melina Mercuri, J. Dassin.
Dopo gli anni Sessanta, la fragilità del sistema degli «Studios»
incoraggia, da una parte, un cinema differente, fuori dal sistema; dall’altra,
un cinema commerciale fondato sull’azione, gli effetti speciali e sulle stars.
Infatti, il bilancio di quel periodo è poco roseo: caduta considerevole
dell’afflusso in sala, riduzione del personale negli «Studios», cessione dei
diritti alle televisioni, fusioni, etc.
Gli «Studios», sull’orlo della crisi, sono oramai nelle mani dei grandi
cartelli; i produttori sono sempre più dei finanziatori e sempre meno dotati
del senso artistico di un Irving Thalberg. Tuttavia, il cinema contemporaneo
ha conservato intatto lo «Star system». Le vedettes e stars hanno preso le
sembianze di Meryl Streep, Glenn Close, Sharon Stone, Whoopy Goldberg,
Robert De Niro, Al Pacino, Harrison Ford, Tom Cruise, etc. Le stars sono
sempre, forse più dei registi, garanti del successo: un film come Heat – La
Sfida
8
insiste sul confronto tra due attori di prim’ordine, De Niro e Pacino,
più che su quello che contrappone i due personaggi da loro interpretati.
Dagli anni Sessanta, influenzati da Bergman, Fellini, Godard, alcuni
registi rigettano gli schemi classici hollywoodiani, come fanno Arthur Penn
9
8
Heat – La sfida. Titolo originale: Heat. Origine: USA. Anno: 1995. Soggetto,
sceneggiatura e regia: Michael Mann. Fotografia: Dante Spinotti. Musiche: Elliot
Goldenthal. Montaggio: Pasquale Buba, William C. Goldenberg, Dov Hoenig, Tom Rolf.
Scenografia: Neil Spisak. Produzione: WARNER BROS. – REGENCY ENTERPRISES –
FORWARD PASS. Distribuzione: WB – CECCHI GORI GROUP (1996). Altri interpreti: Val
Kilmer, Ashley Judd.
9
Gangster story. Titolo originale: Bonnie and Clyde. Origine: USA. Anno: 1967. Soggetto
e sceneggiatura: Robert Benton, David Newman, Robert Towne. Regia: Arthur Penn.
Fotografia: Burnett Guffey. Musiche: Charles Strouse. Montaggio: Dede Allen.
Scenografia: Raymond Paul, Dean Tavoularis. Produzione: Warren Beatty per WARNER
BROS. Distribuzione: WARNER/SEVEN ARTS. Interpreti: Faye Dunaway, Gene Hackman e
W. Beatty. Premi: Oscar 1977 per Miglior Attrice non protagonista (a Estelle Parsons) e
Miglior Fotografia; David di Donatello 1968 per Miglior Attore Straniero (a W. Beatty) e
Miglior Attrice Straniera (a F. Dunaway).
o Sam Peckinpah
10
. Quest’influenza europea prosegue negli anni Settanta
grazie a Francis Ford Coppola
11
– egli stesso padre spirituale di tutta una
generazione di giovani registi – o tra i registi newyorkesi, come Martin
Scorsese
12
e Woody Allen
13
. La crisi morale e politica degli Stati Uniti
ispira un insieme di film incentrati sul malessere delle grandi città –
violenza, delinquenza, criminalità, corruzione, mafia, droga – e sulla guerra
in Vietnam. Dopo l’eliminazione della censura, la violenza invade gli
schermi.
Fin dagli anni Settanta, parallelamente al cinema “tormentato”, se ne
impone uno d’intrattenimento puro che attira di nuovo il pubblico nelle sale,
risollevando la situazione economica. Sul piano tecnologico, la concezione
dell’immagine si rinnova e nuove tecniche di registrazione e di riproduzione
del suono vengono messe in campo
14
.
10
La morte cavalca a Rio Bravo. Titolo originale: The deadly companions. Origine: USA.
Anno: 1961. Soggetto e sceneggiatura: A.S. Fleischman (dal suo romanzo). Regia: Sam
Peckinpah. Fotografia: William H. Clothier. Musiche: Marlin Skiles. Montaggio: Stanley E.
Rabjon. Produzione: PATHÉ AM CARDUSEL. Distribuzione: WB. Interpreti: Brian Keith e
Chill Wills.
11
Regista, nonché produttore e sceneggiatore, è conosciuto principalmente per la trilogia
del “padrino”: The Godfather (1972), The Godfather, Part II (1974) e The Godfather, Part
III (1990). Marlon Brando compare solo nel primo film; di contro, Al Pacino ha interpretato
il ruolo di Michael Corleone in tutt’e tre le pellicole.
12
Taxi driver. Origine: USA. Anno: 1976. Soggetto e sceneggiatura: Paul Schrader (tratte
dal romanzo omonimo di Richard Elman). Regia: Martin Scorsese. Fotografia: Michael
Chapman. Musiche: Bernard Herrmann. Montaggio: Tom Rolf, Melvin Shapiro.
Scenografia: Charles Rosen. Produzione: ITALO-JUDEO “BILL-PHILLIPS”. Distribuzione:
CEIAD - RETEITALIA. Interpreti: Jodie Foster e Robert De Niro. Premi: Palma d’Oro a
Cannes 1976; BAFTA 1976 per la Migliore Attrice Non Protagonista (a J. Foster); Premio
Speciale al David di Donatello 1977 per J. Foster e M. Scorsese.
13
Allen Stewart Konigsberg (1935–) tira fuori le nevrosi del genere umano, messe in scena,
ad esempio, in Io ed Annie. Titolo originale: Annie Hall. Origine: USA. Anno: 1977.
Sceneggiatura: W. Allen, Marshall Brickman. Regia: W. Allen. Fotografia: Gordon Willis.
Montaggio: Ralph Rosenblum, Wendy G. Bricmont. Scenografia: Mel Bourne. Produzione:
Charles H. Joffe. Distribuzione: . Interpreti: W. Allen, Diane Keaton. Premi: Oscar 1977
per Miglior Fotografia, Migliore Attrice, Miglior Regista e Migliore Sceneggiatura.
14
Tra queste, il Dolby, un sistema di registrazione che riduce al minimo i rumori di fondo
nelle pellicole e nella registrazione su nastro.