L O N G I N G , S E E K I N G , D E A L I N G , G R O W I N G
4 I N T R O D U Z I O N E
Esistono due tipi di film: quello che effettivamente abbiamo visto e quello di cui ci
ricordiamo. Ricordo di essermi approcciata al cinema di Sofia Coppola per curiosità. Avevo
quattordici anni. Era il periodo di passaggio tra la scuola media e le superiori; quei momenti
in cui senti che tutto intorno a te cambia e realizzi che anche tu stai cambiando, solo quando ti
guardi allo specchio. Rimasi così affascinata dalla fotografia de Il Giardino delle Vergini
Suicide che, qualche anno dopo, quando uscì, andai a vedere al cinema Lost in Translation.
Fu così che quella curiosità, che inizialmente mi aveva attratto, era stata trasformata in
adorazione.
Riuscivo a impersonarmi nelle vicende delle giovani donne raccontate dalla Coppola e
identificavo lei come modello a cui ispirarmi, una volta entrata nel mondo degli adulti. Al
contrario della Coppola, non discendo da una famiglia di cineasti e attori e la mia aspirazione
fino al quel momento era quella di perseguire la strada della legge. Posso dire, con assoluta
sincerità, che Sofia è stata una importante figura nella mia esistenza adolescenziale: lei mi ha
cambiato la vita.
La figura della donna nel panorama cinematografico
Noi donne siamo state abituate da una certa cinematografia, a considerarci come il “sesso
debole”. Angeli terrestri, pure e caste, che hanno bisogno di un uomo per essere salvate e
portate sulla retta via. Abbiamo mentito, facendo finta di essere indifese e siamo diventate,
così, colpevoli di aver cospirato alla nostra oppressione. Tutt’oggi, le donne che si ergono al
ruolo di anti-eroine – coloro che “are motivated by fires of passion other than sexual”
1
– sono
considerate strane, non conformi al senso comune.
Esiste una grande menzogna, che la società ha continuato a perpetrare per secoli, secondo
cui la donna sia inferiore all’uomo. Una menzogna così radicata nella nostra conformazione
comportamentale che riconoscerla sarebbe andare contro l’intera società. Virginia Woolf
scrisse: “Women have served all these centuries as looking glasses possessing the magic and
delicious power of reflecting the figure of man at twice its natural size”
2
. Il pregiudizio nei
1
“Sono motivate dai fuochi della passione, oltre che da quelli sessuali” (Molly Haskell, From revenge to rape. The
treatment of women in the movies, Chigaco, p. XVI).
2
“Le donne sono servite, in tutti questi secoli, come degli specchi che possiedono il potere magico e delizioso di
riflettere la figura dell’uomo due volte la sua dimensione naturale”(Ibidem, p.1).
L O N G I N G , S E E K I N G , D E A L I N G , G R O W I N G
5 confronti del “sesso debole” non possiede fondamenta teoriche: viviamo più a lungo degli
uomini, siamo più resistenti a sforzi fisici e a malattie, lavoriamo, a volte più della controparte
maschile e, non dimentichiamo che, siamo coloro che diamo alla luce la vita, sopportando con
coraggio, il dolore che ne deriva. Eppure le donne non sono considerate “vere donne” a meno
che non trovano un uomo, non si sposano, non hanno figli e, spesso, non rinunciano a un
posto di lavoro per mandare avanti la famiglia e la casa.
Lo show business ha dedicato un intero settore attuo a rafforzare questo stereotipo, che
promuove una fantasia romantica, fatta di happy endings (lieti fine) e frivolezze: il settore
della commedia romantica-sentimentale. La maggior parte degli spettatori non erano
interessati a vedere una donna ambiziosa, appassionata, intelligente come eroina. Si rischiava
di perdere pubblico se si fosse proposto una donna diversa da quella piacevole e
completamente manipolabile. Il mondo intero preferisce vedere le sue donne, ma non udirle.
Women have figure more prominently in film than in any other art, industry, or profession (and film is all
three) dominated by men. Although few have made it to the seignorial ranks of director and producer, women
have succeeded in every other area where size or physical strength was not a factor: as screenwriters,
particularly in the twenties and thirties; as editors; as production and costume designers; as critics; and of
course, and most especially, as actress – as the stars who not only invaded our dream lives but began
shaping the way we thought about ourselves before we knew enough to close the door
3
.
Il bacio o il matrimonio sono la conclusione perfetta a cui siamo state abituate alla fine di
ogni commedia romantica, escludendo le conseguenza che questa scelta avrebbe portato. Non
vi è alcun passaggio tra l’amore e il matrimonio; non esiste crescita, evoluzione, ma piuttosto
un destino che relega la donna a casa, subendo le insoddisfazioni personali e quella che
provengono dal marito e dai figli.
In an issue of Film comment, historian Richard Henshaw compiled filmographies of the 150 women know to
have directed films. Of the forty-five Americans, no more than five or six names are known to the general
public (and of these, several – Lilian Gish, Ida Lupino, Barbara Loden – are known as actresses rather than
3
Le donne hanno figurato più preminentemente nei film che in qualsiasi altra arte, industria o professione (e la
pellicola è tutte e tre) dominata dagli uomini. Anche se poche sono passate al rango signorile di regista e produttrice,
le donne hanno avuto successo in ogni altro settore dove la dimensione o la forza fisica non è stato un fattore: come
sceneggiatrici, in particolare negli anni Venti e Trenta; come editor; come scenografe e costumiste; come critiche; e,
naturalmente, e soprattutto, come attrici - come le stelle che non solo hanno invaso le nostre vite da sogno, ma hanno
cominciato a dare forma al nostro modo di pensare noi stesse, prima che conoscessimo abbastanza per chiudere la
porta (Ibidem, p. 8).
L O N G I N G , S E E K I N G , D E A L I N G , G R O W I N G
6 as directors), and hardly more to film buffs. The reason , aside from union prejudice, is obvious. Directing –
giving orders, mastering not only people but machinery – is a typically masculine, even militaristic, activity
4
.
Sofia e le “sue” ragazze
In quest’ottica Sofia Coppola rappresenta un modello importante del suo tempo. Paladina
di un cinema moderno, contemporaneo e prevalentemente al femminile. Sofia dà voce alle
outsider, alle escluse.
La marginalizzazione subita dalle donne nella sfera pubblica contribuisce dunque a proiettarle verso la
ricerca di completezza in un'altra sfera, quella del matrimonio e della maternità. La femminilità si presenta
infine come una costruzione sociale e culturale che, escludendo la donna dall'arena pubblica, la proietta verso
la vita matrimoniale e la maternità, trasformandola in «un riproduttore che completerà se stesso in nuove
relazioni» (Strathern, 1993, p. 49)
5
.
La regista dunque analizza il rapporto tra le “sue” ragazze e la società, quell’ambiente che
le circonda e, il più delle volte, le soffoca, innescando un senso di spaesamento. La Coppola si
rivolge alle giovani donne di ieri e di oggi, intrappolate in ruoli stretti e forzati, che non sono
state udite e capite. Alle ragazze che vogliono un domani nel quale crescere e intraprendere la
loro strada, comprese e stimate.
Prime tra tutte le sorelle Lisbon, che rappresentano le prime “vere donne” analizzate nel
cinema della Coppola. Le sorelle suicide della periferia degli anni ‘70 del film Il Giardino
delle Vergini Suicide, sono creature magiche che lasciano un ricordo immenso nella vita dei
loro vicini. Ricordo che si tramuta in desiderio ossessivo, quando i ragazzi collezionano
maniacalmente qualsiasi oggetti appartenuto alle Lisbon. Fra tutti, il diario di Cecilia, la
sorella minore, la prima ad andarsene, che rappresenta la chiave di entrata in quel mondo
surreale e misterioso delle sorelle, nel quale i ragazzi si perdono. Il diario agisce da oggetto
nostalgico che immobilizza il tempo e fa rimanere il ricordo delle sorelle perpetuo e costante
nella mente dei ragazzi. Tutto ricorda le Lisbon: la casa vuota, l’olmo tagliato nel giardino di
4
In un articolo di Film Comment, lo storico Richard Henshaw ha compilato le filmografie delle 150 donne
conosciute per avere diretto film. Delle quarantacinque americane, non più di cinque o sei nomi sono noti al grande
pubblico (e di questi, alcuni - Lillian Gish, Ida Lupino, Barbara Loden - sono conosciuti come attrici e non come
registe), e poco più agli appassionati. La ragione, al di là del pregiudizio, è ovvia. Dirigere – dare ordini, gestire non
soltanto persone ma anche macchinari – è un’attività tipicamente maschile, persino militaristica (Ibidem, p.33).
5
Silvia Forni, Cecilia Pennacini, Chiara Pussetti (a cura di), Antropologia, genere, riproduzione. La
costruzione culturale della femminilità, Roma, Carocci, 2006.
L O N G I N G , S E E K I N G , D E A L I N G , G R O W I N G
7 casa, la musica che condividevano attraverso il telefono. Anche se il tempo è passato e i
giovani del quartiere sono ormai adulti, presi dalle loro vita, il sentimento nostalgico che si
portano dietro fa in modo che non si dimentichino mai delle ragazze che hanno abitato i loro
sogni, le loro immaginazioni e ossessioni. Le loro vite.
Charlotte, la ragazza di Lost in Translation è quella che invece assomiglia di più alla
Coppola. La ragazza viaggiatrice, filosofa e sognatrice piena di vita. Charlotte è Sofia a
vent’anni, quando si trovava in Giappone per promuovere la sua linea di abbigliamento. ¨ la
donna sposata con un uomo che la trascura e che non ha tempo per lei. ¨ la ragazza impegnata
in mille attività, che però non ha compreso cosa fare. ¨ la donna che è alla disperata ricerca
della sua strada, che cerca un equilibrio e che vuole trovare un senso alla sua esistenza.
Charlotte è l’emblema di tutte le ragazze di oggi che, superato il periodo scolastico, quando
tutto è ancora in divenire, devono fare i conti con la cruda verità che le si spalanca di fronte e
che le mette nella posizioni di dover prendere delle decisioni. Cosa farà Charlotte il giorno
dopo aver salutato Bob? Ritornerà alla gelida stanza d’hotel, aspettando il marito e facendo
finta che niente sia accaduto? Andrà all’aeroporto, comprerà un biglietto per gli Stati Uniti per
tornare a casa e magari iniziare una relazione con Bob? Oppure avvierà un percorso nuovo,
una strada tutta sua, nella quale essere indipendente e autonoma, lontana da tutti ma
totalmente immersa nella vita?
La Regina di Versailles, del film Marie Antoinette, si pone invece nella fase successiva a
quella di Charlotte: spinta nella vita adulta, alla tenera età di quattordici anni, Maria
Antonietta si ritrova a dover fare i conti con una vita che non le appartiene. Straniera in terra
straniera, come Charlotte, la Delfina si sforza di trovare una sua dimensione nella reggia
dorata, ma tutto ciò le viene difficile, proprio perchØ non ha ancora gli strumenti necessari per
affrontare un onere simile. Abbandonata in un matrimonio senza amore, riversa le sue
frustrazioni nella vita lussuosa e lussuriosa di corte: si diletta tra feste e acquisti sfrenati,
mettendo in luce quell’atteggiamento infantile tipico di una ragazza della sua età. Ma la
Coppola è maestra nel presentare le “sue” ragazze al meglio, quando sono sole, perse tra i loro
pensieri, sole nell’affrontare il mondo. Ed è perfetto il modo in cui utilizza l’iconografia
cinematografica per sottolineare alcuni particolare, come una collana, un vestito o un paio di
scarpe. Nella scena iniziale riesce a presentare appieno la sua eroina: una ragazza maliziosa
che guarda in camera e che richiama all’attenzione il pubblico che la sta guardando,
invitandoli a non perdere nulla.
E che dire della piccola Cleo di Somewhere, che ha vissuto la sua vita con un padre quasi
assente che però quando si trova, dalle circostanze, a dover trascorrere del tempo con lui, non
L O N G I N G , S E E K I N G , D E A L I N G , G R O W I N G
8 si esime da fargli da madre e allo stesso tempo dall’essere una figlia premurosa e
consapevole. Una ragazzina di undici anni che ricorda la piccola Sofia, quando viaggia in
Italia insieme al padre per presenziare alla cerimonia dei Telegatti. Il padre di Cleo, Johnny,
non è certamente Francis, il padre di Sofia, ma è l’uomo che vede negli occhi della sua
bambina, una ragazzina che sta crescendo, che sta diventando grande. E quando pattina così
leggiadramente sul ghiaccio a ritmo di musica, il padre non può che rendersi conto che ha
ancora poco tempo, prima che quell’angelo, si sfili dai piedi i pattini per volare con le sue ali
verso orizzonti lontani, magari senza di lui. Del resto ha tutta la vita davanti.
Come ho detto, esistono due tipi di film, quello che abbiamo visto e quello che ci
ricordiamo. Il film che ho visto, dieci anni fa, mi ha dato delle emozioni grandissime e anche
oggi, posso dire, me ne da altrettante. Riguardando i film della Coppola da adulta rimango
stupita dalle tante sensazioni che ancora mi trasmettono; sensazioni nuove, scaturite da una
conoscenza maggiore e da un trascorso più intenso. Il ricordo del film non delude le nuove
emozioni del vissuto di oggi. Sofia rimane un pezzo indelebile del puzzle che è la mia vita e
quella, sicuramente, di altrettanti giovani donne che hanno sperimentato l’infanzia,
l’adolescenza, la gioventù e infine la maturità, e hanno avuto a che fare con un sentimento
nostalgico, verso tempi migliori; con il cercare un senso alla propria esistenza; con il dover
affrontare ostacoli invalicabili; che sono cresciute spinte dal sentimento di speranza e
consapevolezza.