1
[…] Per una volta, Beniamino accettò di venir
meno alle proprie regole e lesse per lei [la cavalla
Trifoglio] ciò che era scritto sul muro. Non c’era
scritto più niente, se non un unico Comandamento
che diceva: TUTTI GLI ANIMALI SONO UGUALI
MA ALCUNI ANIMALI SONO PIU’ UGUALI
DEGLI ALTRI. Dopodiché non parve strano che il
giorno dopo i maiali addetti a sorvegliare i lavori
avessero delle fruste tra le zampe.[…] – GEORGE
ORWELL, “Animal farm”, in G. ORWELL, La
fattoria degli animali, Oscar Mondadori, 2009,
pagg.106,107.
PREMESSE .
I. L’OGGETTO DELL’ANALISI .
Mi piace introdurre il mio lavoro con questo passo del noto scritto orwelliano perché,
più di altri, mi è sembrato idoneo a descrivere la situazione paradossale che a mio modo
di vedere si era venuta a creare (e in parte sussiste tutt’ora) dopo l’entrata in vigore della
contestata legge n.124 del 2008, meglio conosciuta con il nome - a dir il vero improprio
(e su cui v. infra) - di “lodo Alfano”, dal nome del Ministro Guardasigilli proponente.
E’ noto a tutti, anche in ragione della grande attenzione ad essa riservata dai mezzi di
comunicazione di massa, che la Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla
legittimità costituzionale dell’articolo 1 della legge Alfano, nel quale peraltro essa si
risolve, ha finalmente posto la parola fine alla vicenda processuale costituzionale, con la
sentenza n.262 del 7 ottobre 2009, depositata in cancelleria il giorno 19 dello stesso
mese, avendone dichiarato la incostituzionalità per violazione del combinato disposto
2
degli artt. 3 e 138 Cost. La decisione si inserisce in un panorama politico, istituzionale e
costituzionale molto complesso, che, se non sembra neppure oggi del tutto risolto
1
,
sicuramente vede il suo prius logico e temporale in una precedente vicenda, per molti
aspetti simile, da cui non si può prescindere. Faccio riferimento, come è chiaro, alle
vicende che accompagnarono l’emanazione, entrata in vigore e successiva dichiarazione
di illegittimità costituzionale dell’articolo 1 della legge n.140 del 20 giugno 2003,
recante “Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in
materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato”. La Corte
costituzionale, con la sentenza n.24 del 13 gennaio 2004, dichiarò la incostituzionalità
dell’intero articolo 1 della legge, meglio conosciuta col nome di “lodo Maccanico” o
“lodo Schifani” – a seconda della prospettiva politica dalla quale la si guardava – per
violazione degli artt. 3 e 24 Cost. Entrambe le disposizioni legislative citate
prevedevano, in estrema sintesi, una forma di sospensione dei processi penali che
interessavano alcune “alte cariche” dello Stato, realizzando di fatto un regime – a
giudizio della Corte – irragionevolmente differenziato rispetto al principio
dell’uguaglianza di fronte alla giurisdizione, e anche rispetto ad altri parametri
costituzionali, che saranno esaminati puntualmente nel seguito di questo lavoro.
Risulta chiaro fin da ora che il tema di studio si presta ad essere analizzato da molti
punti di vista diversi; ciò che interessa qui è ovviamente il profilo strettamente giuridico
e, in special modo costituzionale, del tema, ma è altrettanto vero che si renderà
necessario il riferimento ad altri campi non strettamente giuridici (dal giornalismo alla
politica, dalla storiografia alle scienze sociali, per citare alcune discipline) per
comprendere a fondo le problematiche sottese alla più ampia tematica che chiameremo
più genericamente “delle immunità” intese in senso lato. Con ciò intendo riferirmi alle
immunità per come sono viste dal punto di vista dell’uomo della strada, cioè quelle
esenzioni da responsabilità e/o privilegi, che generalmente, e a ragione, sono considerati
in modo negativo, perché come è chiaro, stridono palesemente con i principi che sono
alla base di un moderno Stato di diritto
2
che possa dirsi degno di questo nome.
Ovviamente non è necessario avere delle conoscenze specifiche di tipo giuridico per
rendersi conto che le immunità (in specie dalla giurisdizione) e i privilegi, per come
1
Cfr. Capitolo III: Conclusioni.
2
Sul concetto di Stato di diritto cfr. L. PALADIN, Diritto costituzionale, CEDAM, II edizione (1995),
pagg.40 ss.
3
sono stati appena definiti, in modo del tutto a-tecnico, sono da sempre un terreno di
scontri molto aspri tra teorie diverse sul modo di concepire l’esercizio del potere.
E’ un principio basilare della attuale convivenza civile quello per il quale tutti i
consociati sono uguali davanti alla legge; se viene meno questo presupposto
fondamentale entra in crisi il sistema di potere politico istituzionalizzato, il quale perde
la legittimazione di cui necessita per “governare” e si rischia la destabilizzazione della
società organizzata
3
.
Probabilmente da sempre si sono fronteggiate due modalità tra loro opposte di
concepire la società organizzata e, con essa, il modo di esercitare il potere da parte di
quei pochi che (necessariamente) lo detengono, anche all’interno di una forma di Stato
democratica.
Nel periodo storico in cui viviamo, periodo “di crisi”, non solo economica - come si
sente dire ormai ovunque - si avverte una sempre maggior divaricazione tra queste due
concezioni della politica e della gestione del potere in generale. Probabilmente così non
era nel periodo immediatamente successivo all’entrata in vigore della nostra
Costituzione, dato che più forti erano i sentimenti e le speranze di cambiamento che
animavano coloro che erano sopravvissuti agli anni bui del periodo fascista, e forse,
pian piano questo attaccamento ai valori scritti nella Costituzione è venuto a scemare;
l’impressione e che ci si sia a volte dimenticati di “rabboccare il serbatoio” o
quantomeno si sia fatto rifornimento con un carburante depotenziato per far correre
quella macchina che è la Costituzione, così come amava definirla un grande giurista e
avvocato, nonché padre costituente, Piero Calamandrei (faccio riferimento
all’emozionante discorso che egli tenne di fronte agli studenti dell’Università di Milano,
nel 1955
4
).
Al di là delle metafore, mi sembra che oggi la situazione sia un po’ questa: da una parte
c’è chi tende alla sacralizzazione di un capo che viene sempre più visto come un
salvatore, o “uomo della provvidenza”
5
(nomignolo che rimanda a quei periodi
tristemente bui della storia d’Italia cui si faceva cenno), modello che, in periodi di crisi
3
Cfr. sull’argomento M. BERTOLISSI - R. MENEGHELLI, Lezioni di diritto pubblico generale, G.
Giappichelli, 1996, pagg.15 ss.
4
Il discorso è reperibile in Internet, al sito http://www.youtube.com/watch?v=1lfnFWbfewM, e altri links
per le parti successive.
5
Cfr. ARRIGO PETACCO, L’uomo della provvidenza. Mussolini, ascesa e caduta di un mito,
Mondadori, 2004.
4
e di insicurezza diffusa come questo sembra attirare un consenso elettorale molto
importante. “Questa sacralizzazione però, come insegna la storia, se non ha un
aggiustamento nei cc.dd “pesi e contrappesi”, e in un rafforzamento della divisione dei
poteri, può comportare dei costi altissimi sia in rapporto al principio dell’uguaglianza
dei cittadini di fronte alla legge, sia in relazione all’esercizio stesso dell’autorità. La
storia anche recente ha dimostrato che il concepire i detentori del potere di governo
come uomini della provvidenza [con la P maiuscola o minuscola, fa lo stesso] e il
misurarli in base al consenso, anche se enorme, può non di rado trasformarsi in
tragedia”
6
. Senza dover ricorrere ad esempi che esulino dalla storia del nostro Paese,
spesso facendoci perdere il senso pratico dei problemi, basta pensare a quel terribile
periodo che fu per l’Italia quello del ventennio fascista. E’ quasi superfluo ricordare che
da quell’epoca sono trascorsi poco più di sessant’anni ed è soltanto dal 1° gennaio del
1948 che è entrata in vigore l’attuale Carta costituzionale, che è alla base di tutti i
ragionamenti che si faranno in seguito; dovremmo ricordare che il costituzionalismo
moderno, nato dopo il secondo conflitto mondiale per rimediare alle mancanze
dimostrate dagli strumenti costituzionali allora vigenti (una per tutte, la Costituzione
della Repubblica di Weimar), come ha ricordato la professoressa di diritto costituzionale
all’Università di Padova Lorenza Carlassare
7
, in conclusione del suo contributo al
seminario Amicus Curiae di Ferrara del 2009 (dedicato appunto al tema del “lodo
ritrovato”), ha alla sua base il principio secondo il quale il potere deve necessariamente
essere sottoposto a regole e limiti per garantire la sopravvivenza di quel fragile concetto
moderno che è la democrazia, ossia, essenzialmente un governo di eguali. Spesso
l’essenza del costituzionalismo sembra essere dimenticata, o peggio, disprezzata dai
nostri governanti come un fastidioso ostacolo al potere, e il modo più comune di fare
ciò è quello di farsi scudo col fatto di essere legittimati dal voto del popolo, l’unico vero
detentore della sovranità. In realtà, a parere di chi scrive, il concetto di sovranità
popolare è spesso invocato a sostegno di questa tesi in modo del tutto strumentale, nel
senso che lo si fa senza tener conto fino in fondo di quanto prevede il primo articolo
della Costituzione. Come è noto, questo articolo, al secondo comma prevede che “La
6
Cfr. PAOLO PRODI, Sacralità e immunità dei detentori del potere: una chiosa storica, in Il lodo
Alfano a cura di ALFONSO CELOTTO, Nel diritto editore, 2009, pagg.169 ss.
7
Cfr. L. CARLASSARE, La tutela del sereno svolgimento dell’attività delle alte cariche nello Stato di
diritto, in Il lodo ritrovato, e-book, a cura di R. BIN, G. BRUNELLI, A. GUAZZAROTTI, A.
PUGIOTTO, P. VERONESI, G. Giappichelli, 2009, pagg.64-66.
5
sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della
Costituzione”. Concordo pienamente con quanto sostenuto dal prof. Paolo Carnevale
(professore ordinario di “Istituzioni di diritto pubblico” presso la Facoltà di
Giurisprudenza dell’Università di Roma Tre), quando afferma che, con la sentenza
n.262/2009, “la Consulta ha inteso sgombrare il campo da malintese concezioni
surrettiziamente trasformistiche della forma di governo, lanciando implicitamente un
monito a chi, enfatizzando il principio di sovranità popolare, appare dimentico del
chiaro dictum dell’articolo 1 della nostra Costituzione: non sovranità del popolo come
faro accecante e mito assoluto, insofferente a regole e limiti, ma quale “potestas quae
superiorem recognoscit”: la sovranità della Costituzione”
8
.
Ci sono due visioni contrastanti dunque: una che tende a concepire il potere come
“legibus solutus”, in modo quasi medievale, come un monarca assoluto, e che legittima
il “sovrano” a difendersi non nel processo, bensì dal processo, quasi non avesse nulla in
comune con i comuni cittadini, i quali dunque sono considerati implicitamente come
sudditi; l’altra invece, preso atto che la Costituzione è la norma fondamentale di ogni
moderno Stato-ordinamento, e che addirittura la sovranità popolare deve esercitarsi
“nelle forme e nei limiti di essa” (secondo una logica normativistica ovviamente; ché da
un ottica istituzionalistica le cose cambierebbero un bel po’: cfr. il concetto di effettività
sul quale si basa gran parte delle riflessioni degli autori che condividono questa teoria
applicata al diritto pubblico
9
), non può che considerare il potere come certamente
necessario per il raggiungimento degli interessi generali (un potere politico
istituzionalizzato è pur sempre necessario per mantenere in vita una società politica
organizzata), ma al tempo stesso necessariamente sottoposto a limiti precisi individuati,
in modo esplicito od esplicito, nelle norme costituzionali.
8
Cfr. P. CARNEVALE, A futura memoria: dalla Corte “segnali per il dopo”, in Il lodo Alfano, a cura di
A. CELOTTO, Nel diritto editore, 2009, pag.50.
9
Cfr. in proposito M. BERTOLISSI- R. MENEGHELLI, Lezioni di diritto pubblico generale, G.
Giappichelli, 1996, pagg.47 ss. (cap. IV: “Effettività e legittimità dell’ordinamento”); ma v. soprattutto
pagg.157-174, in cui si tratta della costituzione e delle leggi costituzionali:“Se si parte da un punto di
vista istituzionalistico le norme costituzionali sono, quindi, tutte, nessuna esclusa, revisionabili”, ad
evidenziare il fatto che “la sovranità popolare, come ha ritenuto necessario formularli [gli articoli della
Costituzione che più direttamente interessano la struttura liberale e democratica dello Stato] allora, così
potrebbe, un domani, non ritenere più necessaria la loro formulazione, ma la loro revisione, ai sensi
dell’art.138 Cost. Se non potesse far questo la sovranità popolare non sarebbe più tale.”
6
Proprio in ciò consiste l’essenza del costituzionalismo moderno, come ha ricordato la
prof. Carlassare e molti altri nel corso del seminario preventivo ferrarese
10
; perciò a
questo punto risulterà chiara l’idea di fondo cui si ispira questo lavoro; quella di
analizzare e studiare in particolare una legge ed una sentenza di accoglimento della
Corte costituzionale, la legge n.124/2008 e la sentenza n.262/2009, che riguardano
proprio il tema delle immunità dei nostri governanti e mettono in evidenza proprio
questo perenne problema dei rapporti tra autorità e giurisdizione, intesa come pretesa
generale a che qualsiasi cittadino venga sottoposto alla giustizia, ove ne ricorrano i
presupposti, senza irragionevoli distinzioni basate su qualsivoglia criterio. Insomma, si
tratta di verificare se la frase che capeggia alle spalle dei giudici nelle aule di giustizia
“La legge è uguale per tutti” è ancora valida, o se invece sarebbe più opportuno
apportarvi una correzione, magari prendendo spunto dall’idea di George Orwell. Si
tratterà sostanzialmente di verificare se, dopo più di sessant’anni dalla entrata in vigore
della nostra Costituzione, sia ancora valido il principio supremo di cui al 1° comma del
suo articolo 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla
legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche,
di condizioni personali e sociali.”
E’ opportuno ricordare che “L’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge costituisce
uno dei principi supremi del nostro ordinamento, come tale non modificabile nemmeno
con una legge di revisione costituzionale”
11
.
II. L’IMPROPRIETA’ DEL TERMINE “LODO”.
E’ rilevante notare come il termine “lodo”, utilizzato comunemente dai media ma anche
degli stessi giuristi ad indicare due leggi ordinarie (la legge 140/2003, in particolare il
suo articolo 1, e l’articolo unico della legge 124/2008), identifichi lo strumento con il
quale un arbitro, designato tramite compromesso o clausola compromissoria, sancisce la
soluzione di una controversia, quindi dopo un vero e proprio accordo su chi sia il
10
Gli atti e le registrazioni audio-video del seminario ferrarese sono visionabili al sito
http://web.unife.it/convegni/amicuscuriae/, e comunque raccolti nel cit. Il lodo ritrovato.
11
Cfr. Ordinanza 26 settembre 2008, n.9, emessa dal G.i.p. del Tribunale di Roma nel procedimento
penale a carico di Berlusconi Silvio ed altri, punto 2a) del “Considerato in diritto”, ove vengono citate
anche le sentenze Corte Cost., nn.15/1996, 62/1992, 388/1991, 1146/1988, 16 e 18/1982.
7
soggetto idoneo a risolvere la controversia giuridica insorta tra le parti
12
. A questo punto
una domanda sorge spontanea: dove era ravvisabile un accordo tra le parti (politiche)
nel caso dei due “lodi”, rispettivamente Schifani ed Alfano? Teoricamente, almeno nelle
intenzioni dei proponenti, avrebbe dovuto esserci l’idea condivisa di un testo normativo,
fatto proprio da entrambi gli schieramenti politici delle aule parlamentari. Tuttavia, data
la perenne frontale contrapposizione delle forze politiche, tale accordo non c’è mai
stato, ed anzi, queste due leggi-provvedimento hanno finito per costituire il terreno di
una delle battaglie più aspre della storia costituzionale italiana, coincidente con la vita
dei governi presieduti da Silvio Berlusconi dal 2001 al 2006 e dal 2008 fino ad oggi. Fu
Antonio Maccanico, deputato del partito de La Margherita, il primo a proporre un testo
sulla immunità per le alte cariche al fine di evitare l’approvazione della c.d. legge
Cirami sul legittimo sospetto (poi divenuta legge n.248 del 2002, che ha modificato
l’art.45 c.p.p., con un sostanziale ritorno al passato
13
), in un ottica che potremmo
definire del “male minore” e che tornerà anche riguardo alla promulgazione del lodo
Alfano da parte del Presidente della Repubblica Napolitano, onde evitare
l’emendamento c.d. “blocca processi”
14
. La scelta del termine "lodo", da parte
di Antonio Maccanico, dipese dall'impostazione "bipartisan" che ispirava la proposta.
Componente essenziale del "lodo" era infatti la negoziazione tra destra e sinistra e
l'apposizione di un termine semestrale alla durata della previsione legislativa. Questo
termine semestrale era stato previsto al fine di evitare che nel semestre di presidenza
italiana del Consiglio dell’Unione Europea potesse essere lesa l'immagine
internazionale dell'Italia con la condanna del suo premier in un processo (era in corso a
carico dell’on. Silvio Berlusconi il c.d. processo SME). Poiché però la proposta fu fatta
propria dalla maggioranza di governo del 2003 senza questo elemento dirimente (il
termine), la parola "lodo" perse il suo significato profondo. Eppure essa rimase
nella vulgata giornalistica, anche quando la proposta fu duramente contestata dalle
opposizioni nel Parlamento e nel Paese.
12
Cfr. libro IV, titolo VIII Dell’arbitrato, artt.806-840 c.p.c., in particolare capo IV “Del lodo”, artt. da
820 a 826 c.p.c.
13
Come è noto, la legge n.248/2002 ha aggiunto un ulteriore caso ai due già esistenti (previsti dall'art. 45
del codice di procedura penale), per il trasferimento di un processo. Si configurano quindi tre possibilità
di rimessione del processo ad altro giudice di altra sede giudiziaria: “[…] quando gravi situazioni locali,
tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili, pregiudicano la libera
determinazione delle persone che partecipano al processo ovvero la sicurezza o l’incolumità pubblica, o
determinano motivi di legittimo sospetto […]”.
8
La contraddizione intrinseca nel termine “lodo”, con cui le parti hanno chiamato le due
leggi sulla sospensione dei processi per le alte cariche sarà ancora più evidente nel
prosieguo di questo elaborato, ove si evidenzieranno i motivi che stanno alla base delle
due contrapposte teorie sulle immunità per le alte cariche, espresse nei due filoni che
sono stati definiti dalla dottrina costituzionalistica “giustificazionista” ed “antagonista”.
III. PREMESSA METODOLOGICA: RELATIVITA’ DEI CONCETT I DI TEORIA
“GIUSTIFICAZIONISTA” E DI TEORIA “ANTAGONISTA”.
Nel seguito del lavoro si presupporranno spesso dei concetti, quelli di teoria c.d.
giustificazionista e di teoria c.d. antagonista. Sembra questo il luogo adatto per precisare
che con queste espressioni ho voluto intendere l’insieme di argomentazioni logiche e
giuridiche, di fatto e di diritto, portate rispettivamente a sostegno e contro la legittimità
costituzionale, prima dell’art.1 della legge 140/2003 (teorie giustificazionista e
antagonista in senso proprio), poi dell’art.1 della legge 124/2008 (teorie
neogiustificazionista e neoantagonista)
15
. Queste argomentazioni, più o meno
convincenti, sono state sostenute non solo da giuristi ed addetti ai lavori, ma anche da
giornalisti, esponenti politici dei diversi schieramenti, storici, ed altri studiosi ancora, a
riprova del fatto che i principi che sono sottesi a queste problematiche sono avvertiti
come “fondamentali” non soltanto da chi vive quotidianamente a stretto contatto con il
diritto, ma anche da altri, in definitiva da tutti i consociati che condividono una cultura
democratica, necessariamente contraria alla c.d. tirannia della maggioranza.
La relatività di queste due nozioni risulterà più chiara in seguito, allorché ci si avvedrà
che spesso si può giungere al medesimo risultato – ritenere la legge costituzionalmente
legittima o illegittima – seguendo “vie” logico-giuridiche differenti.
14
Cfr. Decreto sicurezza: la norma blocca-processi, in Repubblica, 1 luglio 2008.
15
Ricorre ad una distinzione in questo senso F. RINALDI, Lo scudo processuale alle “alte cariche dello
Stato”: dal lodo “Maccanico-Schifani”, al lodo “Alfano”, al lodo “costituzionale”, in www.giurcost.org,
per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali.
9
IV. PREMESSA COMPARATISTICA: LE IMMUNITA' PER LE AL TE CARICHE DELLO STATO
IN ALCUNE DEMOCRAZIE OCCIDENTALI. 16
Il tema della sospensione processuale ha negli ultimi anni alimentato un dibattito
giuridico molto vivace nel nostro Paese; tale discussione sembra essersi in parte placata
dopo la sentenza 262/2009 della Corte Costituzionale che ha stabilito che la sospensione
processuale va apprestata (almeno) con legge costituzionale, essendo questa forma
condizione all’uopo necessaria, tuttavia non sufficiente. Nel momento in cui si scrive la
contrapposizione politica – sempre molto dura su questa tematica – sembra essersi
spostata sul campo della prescrizione (breve) dei processi, riaprendo nuove polemiche
legate al fatto che il nuovo ddl sul c.d.“processo breve”
17
sembra ancora una volta
contenere disposizioni particolari, nate da una ratio pratica del tutto contingente e
sicuramente poco “lodevole”. Il tema apertosi negli ultimi anni in Italia ormai da
qualche anno va probabilmente ricollegato al più ampio problema dell’immunità dei
governanti dalla responsabilità giudiziale, tema sicuramente affascinante, su cui sono
state scritte molte opere dottrinali, che richiede a questo punto di volgere uno sguardo
agli ordinamenti di altri Paesi a noi più o meno vicini.
E’ stato ben osservato da più parti
18
che oltre confine l’istituto della sospensione dei
processi penali relativamente agli illeciti extrafunzionali per l’intero arco del mandato
d’incarico è previsto costituzionalmente in soli quattro Stati: Francia, Portogallo, Grecia
e Israele.
Per ciò che riguarda il regime della responsabilità dei membri del Governo e del Capo
dello Stato nelle Costituzioni di paesi occidentali, occorre in primo luogo tenere
presente che, nei regimi monarchici costituzionali, il sovrano gode, di regola,
16
Per quanto riguarda la parte relativa alle discipline costituzionali dei diversi Paesi, ho preso ampio
spunto dal Dossier n.31/2008, approntato dal Servizio Studi del Senato della Repubblica, rinvenibile al
sito: http://www.senato.it/notizie/8766/149647/155226/156599/notiziearchivio.htm; v. pagg.35 ss., in
particolare con riferimento all’ordinamento costituzionale francese.
Cfr. anche il sito http://www.assemblee-nationale.fr/italiano/8db.asp
17
Sul quale v. infra: Capitolo III, punto 3.1.
18
Per tutti, il documento In difesa della Costituzione, sottoscritto da oltre cento costituzionalisti in cui:
“[…] date le inesatte notizie diffuse al riguardo, i sottoscritti ritengono opportuno ricordare che
l'immunità temporanea per reati comuni è prevista solo nelle Costituzioni greca, portoghese, israeliana e
francese con riferimento però al solo Presidente della Repubblica, mentre analoga immunità non è
prevista per il Presidente del Consiglio e per i Ministri in alcun ordinamento di democrazia parlamentare
analogo al nostro, tanto meno nell'ordinamento spagnolo più volte evocato, ma sempre inesattamente.”