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INTRODUZIONE
"A Locris Italiae frons incipit,
Magna Graecia appellata"
Da Locri ha inizio la base dell'Italia,
chiamata Magna Grecia
(Plinio il Vecchio, Naturalis Historia III 95)
Il motivo principale che mi ha spinto ad intraprendere questo lavoro di ricerca è stata
l’opportunità di poter parlare della terra dove sono nata e che porto nel cuore.
Da sempre ho visto in maniera superficiale molte cose che definivo in modo generico far parte
dell’antichità; oggi, attraverso i miei studi recenti, sono in grado di percepire e sentire queste
antichità in termini molto più precisi e con un’emozione prima sconosciuta.
Il mio paese, Roccella Jonica (RC), si trova a soli 20 km dall’antica Locri Epizefiri, la colonia che
fu una delle protagoniste della vita politica e culturale della cosiddetta Magna Grecia e che
sopravvisse per tutto il periodo romano e tardo antico fino a che le incursioni arabe e la malaria
non ne decretarono l’abbandono.
Lo scopo di questo lavoro è proprio quello di mettere in risalto ciò che è rimasto a testimonianza
della polis: la mancata sovrapposizione di un abitato moderno all’area urbana antica ha dato ,
infatti, la possibilità di effettuare numerosi scavi nel corso del tempo e quindi oggi consente di
visitare questi luoghi che sono continuamente oggetto di studio e di ricerca.
Il primo capitolo del mio lavoro presenta le varie fasi della vita di Locri Epizefiri, dal periodo
prima della fondazione fino a dopo la decadenza.
Il secondo capitolo evidenzia tutte le scoperte archeologiche della zona dal XVII secolo fino ai
giorni nostri ed elenca le testimonianze archeologiche dell’antica polis: quindi la cinta muraria, le
necropoli, i santuari, gli edifici pubblici, gli spazi abitativi ecc.; l’ultimo paragrafo mette in
evidenza, invece, i resti archeologici di età romana, poco conosciuti ma di grande valore.
Il terzo capitolo parla in maniera specifica del Museo Archeologico Nazionale di Locri Epizefiri,
inaugurato nel 1971, il quale conserva reperti provenienti dall’ex Museo Civico e da collezioni
private formatesi al principio del secolo scorso ed introduce alla visita delle vicine aree di scavo.
Sempre all’interno dello stesso capitolo ho inserito un questionario di indagine che ho realizzato
al fine di verificare la conoscenza del Museo sul territorio della Locride e, in base ai risultati di
questi test ma soprattutto in base alle problematiche che oggi gravitano attorno alla struttura, ho
infine proposto alcune soluzioni per una maggiore valorizzazione della stessa.
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CAPITOLO 1
STORIA DI LOCRI EPIZEFIRI
1.1 LA COLONIZZAZIONE DELL’ITALIA MERIDIONALE E LA FONDAZIONE DI LOCRI
EPIZEFIRI
Nel tempo in cui Roma cominciava ad uscire dalle barbarie, una serie di città di origine greca,
distribuite lungo le coste dell’Italia Meridionale e della Sicilia, aveva già raggiunto una
straordinaria prosperità. La fondazione di queste città era collegata al grande movimento
colonizzatore della Grecia dei secoli VIII e VII a.C. ed, infatti, aveva procurato al
Mezzogiorno della penisola il nome di “Magna Grecia”, anche se secondo una tradizione
leggendaria la loro origine risaliva molto più in la nel tempo nell’età eroica della guerra di
Troia
1
(Figura 1).
La nascita di Locri Epizefiri si colloca, quindi, nel quadro della colonizzazione greca, in
sostanziale sincronia con le altre fondazioni coloniali in Occidente, avvenute nell’arco di un
trentennio entro la fine dell’VIII sec. a.C., ad opera principalmente di popolazioni achee
(Sibari, Crotone, Metaponto), calcidesi (Naxos, Zancle, Reggio, Catania, Leontini), corinzie
(Siracusa), laconiche (Taranto), ioniche (Siris). Questo genere di spedizioni erano guidate da
un capo detto ecista che aveva, tra gli altri, l’importante compito di organizzare e stabilire i
culti della nuova comunità, nei quali tutti i coloni potessero riconoscersi, assicurando
coesione alla nuova polis sotto la protezione della divinità; dopo la morte all’ecista venivano
attribuiti onori e culto come agli eroi del passato mitico.
Locri Epizefiri è una delle poleis greche in Occidente di cui sono meglio note le vicende
relative alla fondazione; alle notizie tramandate dalle fonti letterarie antiche ( in particolare
Strabone, Dionisio d’Alicarnasso, Dionisio il Periegeta e Polibio) si affiancano infatti i dati
archeologici sugli insediamenti indigeni fioriti nella zona prima dell’arrivo dei coloni greci.
A partire dal IX sec. a.C., infatti, nell’immediato retroterra della futura polis greca in contrada
Janchina, si insediò un popolo indigeno costituito da vari nuclei distinti di capanne e basato su
un tipo di economia agricolo-pastorale, di cui si hanno notizie grazie soprattutto ai numerosi
reperti delle corrispondenti necropoli; questi indigeni vennero in seguito definiti “siculi”
dagli storici poiché avevano sviluppato un tipo di tomba a camera scavata nella roccia che
riprendeva il modello di alcune tombe della Sicilia orientale: questo era infatti uno degli
1
Bèrard 1963, pag.13
7
elementi culturali che legava le popolazioni pregreche delle due aree. Dai corredi funerari del
periodo tra il 730 e il 720 a.C. si è intuito che esistevano pacifichi rapporti commerciali tra gli
indigeni di Janchina e i mercanti greci dell’isola di Eubea; questa fase fu interrotta dal
successivo arrivo dei Locresi i quali, a differenza degli Eubei, intendevano non solo stabilirsi
in massa ma anche impadronirsi del territorio per sfruttarne le risorse agricole ed eliminare le
popolazioni preesistenti.
La cronologia della fondazione è però controversa, poiché le fonti letterarie ci hanno
conservato due differenti tradizioni: una risale ad Eusebio, vescovo di Cesarea (IV sec. d.C.)
che indica l’anno 673 a.C., l’altra a Strabone (geografo greco di età augustea), che riferisce
essere avvenuta poco dopo la fondazione di Siracusa (733 a.C.) e di Crotone (710 a.C.),
quindi entro la fine dell’VIII sec. a.C.
2
. Un’altra discussione riguarda invece l’origine dei
coloni: alcuni storici credevano che Locri fosse stata fondata dai Locresi Opunzi o Occidentali
(che abitavano sulle rive del canale dell’Eubea dove era la città di Narica, mitica patria
dell’eroe omerico Aiace Oileo), altri dai Locresi Ozoli o Orientali (che abitavano sulla costa
settentrionale del golfo di Corinto). Sicuramente è più naturale supporre che il movimento di
emigrazione verso l’Italia fosse partito dalla Locride Occidentale piuttosto che da quella
Orientale; tuttavia, eccetto alcuni passi di Strabone, non esiste nessuna testimonianza che
alimenti questa tesi. Invece, altri autori come Pausania raccontano che a Locri era largamente
diffuso il culto di Aiace, il cui centro principale era proprio Narica, e quindi accennano anche
ai vincoli di parentela con gli Opunzi. La questione resta naturalmente oscura, ma è anche
possibile che gli Ozoli abbiano partecipato all’impresa al fianco degli Opunzi, del resto
bisogna pensare che tra i due popoli ci furono sempre stretti legami politici e religiosi, solo
così si spiegherebbe l’opinione di Strabone.
Un’altra polemica tra Aristotele e Timeo si riferisce, invece, alla connotazione sociale dei
coloni locresi: il primo riteneva che essi fossero un nucleo di schiavi fuggitivi, di adulteri e di
briganti; Timeo, invece, considerava la tradizione dell’origine servile un invenzione
denigratoria per screditare i Locresi ed affermava invece che le leggi in vigore a Locri erano
leggi di uomini nobili in quanto discendenti dalla linea femminile delle “cento famiglie”:
queste erano le famiglie più illustri della Locride prima della partenza della colonia tra cui
venivano scelte le vergini da inviare a Troia per espiare la colpa di Aiace secondo l’ordine
dell’oracolo.
3
.
2
Costamagna e Sabbione 1990, pagg.31-33
3
Bèrard 1963, pagg.198 -201
8
La forma completa del nome della polis, “oi Lokroi oi epizephyrioi”, è una forma plurale che
corrisponde, secondo un uso non raro nell’antichità, al nome degli abitanti, cioè “i Locresi
che abitano presso lo Zefirio”. Infatti, secondo le fonti, i colonizzatori si stabilirono dapprima
al Capo Zefirio ( così chiamato perché la sua alte rupe proteggeva da Zefiro, il vento
d’Occidente; oggi è Capo Bruzzano) e in questa zona restarono per tre o quattro anni, poi con
l’aiuto dei Siracusani e la collaborazione dei Tarantini decisero di spostare la loro città un po’
più a nord, sulle pendici della collina Epopi, poiché non avevano trovato sufficienti terre da
coltivare e quella era una zona assai più fertile e ricca di acque (Figura 2).
Ma la località dove doveva sorgere la loro città definitiva era occupata dagli indigeni siculi
che fu necessario cacciare con l’astuzia. Secondo quanto ci tramanda Polibio infatti, i Locresi
si sarebbero impegnati con i Siculi in un giuramento di convivenza pacifica “finché avessero
calpestato la stessa terra e portato la testa sulle spalle”, ma avendo nascosto all’atto del
giuramento terra nei calzari e teste d’aglio sulle spalle, una volta eliminatele ritennero di poter
violare i patti senza risultare spergiuri e alla prima occasione, di lì a non molto, cacciarono i
Siculi dalla zona.
Il rapporto con gli indigeni appare dunque duramente conflittuale solo nel momento in cui i
Locresi si impossessarono del sito definitivo della polis, subito dopo però le relazioni
ripresero in modo pacifico: la documentazione archeologica indica che gli indigeni si
adeguarono progressivamente ai prestigiosi modelli di vita proposti dai greci, la cui comunità
risultava assai più avanzata ed efficiente dal punto di vista sociale, economico e militare, e
infatti nell’arco di circa 150 anni la cultura indigena venne completamente assorbita da quella
greca dominante. Dall’altro canto, Polibio afferma che i Locresi adottarono dai Siculi alcuni
riti religiosi e anche alcuni culti, in particolar modo quello di Persefone; questo era un
fenomeno frequente nelle colonizzazioni poiché serviva a gettare un ponte fra le popolazioni
vecchie e quelle nuove
4
.
1.2 ORGANIZZAZIONE DELLA POLIS
La polis di Locri Epizefiri era organizzata secondo il modello tipico della madrepatria: una
rigida aristocrazia conservatrice deteneva il potere e lo esercitava attraverso l’"Assemblea dei
Mille" che comprendeva, probabilmente, tutti i cittadini che godevano dei pieni diritti politici;
la popolazione era, poi, suddivisa in tre tribù e trentasei fratrie.
4
Costamagna e Sabbione 1990, pag.35
9
Ma il cuore dell’ordinamento locrese era la legislazione di Zaleuco, il primo legislatore
occidentale, risalente, con molta probabilità, al VII sec. a.C. Era, questa, una legislazione
assolutamente straordinaria per l’epoca; innanzitutto era scritta e, quindi, come del resto
sottolinea Strabone, non sottostava all’arbitrarietà dei giudici; inoltre, le sue norme
severissime, basate sulla "legge del taglione", rappresentavano senz’altro un progresso di
civiltà e di umanità ed evitavano vere e proprie faide con vendette familiari in serie le quali
erano una consuetudine per l’epoca, esse inoltre permisero alla polis di prosperare in pace per
un lungo periodo (Figura 3).
Per meglio comprendere la società locrese si deve anche ricordare l’importanza ed il prestigio
sociale della donna che derivava non solo dal ruolo rivestito nei culti cittadini, ma anche dai
notevoli diritti sul piano giuridico, di cui era in possesso, come ad esempio il diritto a
perpetuare nel tempo l’eredità (e quindi il nome) della famiglia anche in caso di scomparsa
degli uomini (mariti, figli, fratelli ecc.); tutto ciò, unito anche a quanto riferisce Polibio sulla
nobiltà locrese (che, secondo lo storico, traeva origine dalle donne e non dagli uomini), ha
portato molti ad ipotizzare a Locri la presenza di una forma di matriarcato che non è, però,
documentata da dati certi
5
. E’ anche lecito pensare che originariamente esistesse un nesso fra
il matriarcato e il costume della prostituzione sacra, poiché l’uno sorgeva più facilmente
accanto all’altro là dove era incerta la paternità della prole e dove non esistevano quindi veri
rapporti giuridici fra il padre e i figli.
A Locri la sacra prostituzione era collegata al culto di Afrodite e alla sua origine aveva
contribuito la posizione stessa della città, a cui affluivano marinai spinti, appena posto piede a
terra, a sacrificarsi alla dea dell’amore; esso derivava da una forma semplice di concezione
religiosa per cui si cercava la comunanza corporale con la divinità di cui si temeva l’ira o
s’invocava la protezione
6
. Le fanciulle scelte sacrificavano tutta la loro vita alla divinità,
diventando sacerdotesse della stessa ma le loro mansioni si districavano nella sfera sessuale:
esse erano considerate come dei tramiti con la dea, grazie alla quale chi vi si rivolgeva poteva
ottenere fertilità, benevolenza, positività, buona sorte, ecc.. Secondo alcuni queste giovani
donne, che passavano la loro vita nel nome di Afrodite, non dovevano appartenere a famiglie
ricche, ma altre fonti, in particolar modo quelle iconografiche, ci fanno intuire che esse non
dovevano essere necessariamente ignoranti ma anzi rappresentavano l’emblema della donna
colta, progredita, artefice dell’amore e ad esso votata.
5
http://www.locriantica.it
6
Ciaceri 1976, pagg. 203-204
10
Se è vero che le colline argillose delle campagne adiacenti offrivano il vantaggio di prestarsi
alla coltivazione dei cereali e dell’olivo, la posizione della città era meno favorevole di quella
delle altre colonie greche fondate prima di essa sulla costa ionica dell’Italia: Locri, infatti, non
possedeva un porto naturale e non aveva neppure vaste pianure come le avevano Metaponto,
Siri, Sibari e Crotone. Oltre a ciò, la sue espansione fu ostacolata sia da una parte che
dall’altra dalle sue due vicine: a sud da Reggio fino al fiume Halex, odierno Alice, e a Nord
da Crotone fino al fiume Sagra. Si comprende, quindi, perché nel corso del VII sec. a.C.
possibili tensioni sociali legate alla crescita demografica spinsero l’aristocrazia locrese a
cercare nuovi spazi agricoli sul versante tirrenico; qui gruppi di popolazione andarono così a
fondare la subcolonia di Medma la cui ubicazione oggi va ricercata sulla riva meridionale del
fiume Mesima, nei pressi del paese di Rosarno. Non è possibile determinare con esattezza
quando Medma fu colonizzata dai Locresi, ma dovette esserlo assai presto perché se i Locresi
non avessero occupato per tempo questa pianura, molto probabilmente altri vi si sarebbero
stabiliti: secondo alcuni resti archeologici la sua fondazione risale alla metà del VI secolo.
Nella parte meridionale della pianura, simmetricamente disposta rispetto a Medma, i Locresi
occuparono la città di Metauro, sulla riva destra del fiume omonimo, considerata la patria del
poeta Stesicoro e probabilmente fondata da coloni calcidesi di Zancle (Messina). Il sito della
città va identificato con quello dell’odierna Gioia Tauro, e l’antico fiume Metauro è l’odierno
Petrace che a quanto pare segnava il confine settentrionale del territorio reggino.
A nord di Medma, i Locresi si impadronirono di una regione collinosa non meno fertile della
pianura, e lì fondarono Hipponion, odierna Vibo Valentia; grazie al suo porto, alla sua
ricchezza agricola si aggiungevano i profitti del commercio e della pesca; nel V secolo infatti
essa dovette essere una delle cittadine più floride, e nel 422 già era capace, come Medma, di
scendere in lotta aperta contro la sua “metropoli”
7
.
Con la fondazione di queste subcolonie Locri Epizefiri controllava ormai una parte notevole
di territorio che andava dallo Ionio al Tirreno e comprendeva le zone montuose racchiuse tra
le due coste; incominciavano così a nascere le storiche rivalità con Crotone e Reggio che
vedevano in Locri un problema ed un pericolo per i rispettivi progetti espansionistici e si
ponevano, quindi, le basi per i futuri scontri
8
(Figura 4).
7
Bèrard 1963, pag.205- 207
8
http://www.locriantica.it
11
1.3 BATTAGLIE E ALLEANZE CON LE ALTRE POLIS
Il VI secolo fu caratterizzato da grandi scontri tra le colonie della Magna Grecia i quali
stabilirono nuovi equilibri e nuovi rapporti di forza e che furono: la battaglia del fiume Sagra
(tra Locri Epizefiri e Crotone), la distruzione di Siri (operata da Sibari e Metaponto), lo
scontro tra Crotone e Sibari (che si concluse con la distruzione di quest’ultima).
All’incirca alla metà del VI secolo le due città, Locri e Crotone, avevano raggiunto un elevato
sviluppo economico e sociale; entrambe si erano espanse territorialmente: Locri verso il
Tirreno, mentre Crotone verso sud, comprendendo nel suo territorio la città di Kaulon. Dal
punto di vista demografico Crotone, rispetto a Locri, era una metropoli: la popolazione di
Locri Epizefiri, infatti, non superava di certo le 40.000 unità e, pur con l’aiuto delle sub-
colonie, il suo esercito contava circa 10-15.000 uomini; al contrario Crotone era in grado di
schierare un esercito di circa 120.000 individui; con tali premesse e visto che il desiderio di
espansione era forte in entrambe, la guerra era solo questione di tempo.
Lo scontro avvenne in campo aperto e precisamente lungo il fiume Sagra (corso d’acqua non
ancora identificato; dovrebbe essere uno tra gli odierni Torbido, Amusa o Allaro): qui i
comandanti locresi scelsero un punto ben preciso stretto tra il mare da una parte e le ultime
pendici delle montagne dall’altra dove era impossibile dispiegare un gran numero di forze e
proprio grazie a questa strategia riuscirono a sconfiggere l’esercito crotoniate e a ferirne il
comandante Leonimo.
Fu una vittoria talmente straordinaria ed inaspettata che numerosi furono i racconti e le
leggende che su di essa fiorirono; tra queste va citata la Leggenda dei Dioscuri: vuole, infatti,
la tradizione che, durante la battaglia, tra le migliaia di soldati, ci fossero due giovani, armati
diversamente dagli altri, che non davano tregua ai soldati crotoniati e che, una volta
conclusasi la battaglia, sparirono nel nulla; questi giovani vennero subito identificati con i
Dioscuri, Castore e Polluce, gemelli figli di Zeus e di Leda, moglie di Tindaro, re di Sparta e
fratelli di Elena e Clitennestra.
La sconfitta di Crotone comportò, ovviamente, pesanti conseguenze sul piano del controllo
del territorio. Locri, infatti, espanse il suo controllo molto più a nord di quanto non avesse mai
fatto, a sud, invece, almeno in questa fase, strinse rapporti di buon vicinato con Reggio
(salvata, grazie alla vittoria locrese, da una successiva avanzata crotoniate). La situazione era
quindi florida per Locri Epizefiri che, infatti, visse in questi anni tra la metà del VI secolo e la
sua fine un periodo di grande prosperità.