7
Introduzione
Caratteristica comune a molti esseri viventi è il vivere in gruppo; lo stesso vale per
l’uomo, grazie anche alla sua natura più istintiva e primitiva (basti pensare ai clan, o
ancor prima alle tribù). Identificarsi, riconoscersi e vivere in comunità, infatti, ha
aiutato l’uomo, fin dall’inizio dei suoi tempi, in molti momenti della sua vita
quotidiana, dalle necessità più semplici a quelle più complesse come la difesa e la
salvaguardia della specie o la ricerca di cibo. Non è strano quindi che Aristotele abbia
definito l'uomo, in modo così radicale e deciso, come zòon politikòn, cioè come
“animale politico”. Un animale esattamente uguale a tutti gli altri animali:
“un mammifero che respira, che digerisce, che vede, che sente e che è
dotato di sensibilità esattamente come qualsiasi altro mammifero. Un
animale che deve vivere insieme ad altri; che deve vivere in
comunità”
1
.
Anzi, se l’animale vive in comunità in modo gregario, l’uomo costruisce la sua comunità
e costruisce il suo sistema di relazioni per organizzare gerarchicamente o in condizioni
di eguaglianza i suoi rapporti con gli altri. Aristotele afferma:
“non sono politici né gli animali, né gli dei: solo l’uomo lo è”
2
.
Questo significa, sopra ogni cosa, che l’uomo è legato ad una vita comunitaria con gli
altri. E ancora oggi, a distanza di tanti anni, e forse ora ancor più che in passato, la
nostra vita è contraddistinta dalla partecipazione a gruppi. All’interno, e grazie al
gruppo, noi plasmiamo la nostra identità, la confrontiamo con quella degli altri e la
modifichiamo, in base agli scopi e agli interessi perseguiti. E sono gli stessi scopi ed
interessi ad indicarci il gruppo a cui appartenere e di cui condividere i valori. Perché
esistono milioni di gruppi ed ognuno ha delle sue caratteristiche interiori. Già Rousseau
sottolineava che
1
http://www.emsf.rai.it/aforismi/aforismi.asp?d=111
2
http://www.filosofico.net/politicas.html
8
“la società civile si suddivide a sua volta in un insieme di società
particolari a cui gli individui partecipano sulla base di un interesse che
li accomuna”
3
.
Questi gruppi sono in continua evoluzione e operano sia sul piano micro che sul piano
macro: dei primi fanno parte la famiglia, i gruppi di lavoro e i gruppi sportivi; nei
secondi rientrano, invece, istituzioni come lo Stato, i partiti politici, i gruppi che
difendono gli interessi dei lavoratori o l’appartenenza ad una fede religiosa.
Spesso i gruppi che lavorano sul piano macroscopico derivano da insiemi di gruppi più
piccoli che, per ragioni di convenienza o di necessità, decidono di darsi delle regole per
interagire tra loro. Talvolta sono addirittura i macrogruppi che hanno bisogno di unirsi
per poter meglio convivere e cooperare. Esempio per antitesi di quanto spiegato è,
sicuramente, il fenomeno degli organismi internazionali, nel quale rientra a pieno
titolo la nostra Unione Europea.
“L’unione Europea nasce, infatti, dall’accordo di singoli Stati che si
sono uniti per darsi delle regole di pacifica convivenza e per dettare
politiche comuni che abbiano due obiettivi specifici: migliorare lo stile
e le condizioni di vita degli individui che ne fanno parte; e migliorare
le condizioni socio-economiche degli Stati membri”
4
.
All’interno di queste aggregazioni possono nascere correnti di “pensiero” determinate
da gruppi più piccoli, volti ad indirizzare a proprio favore la politica dell’istituzione
stessa secondo determinati interessi; interessi senza dubbio più vicini ai loro valori e
alle finalità perseguite. Questi gruppi vengono identificati col nome di “lobby” o
“gruppi di pressione”.
Per molti anni, però, le lobbies sono state considerate sotto un’ottica negativa, come
qualcosa di oscuro e persino di illecito. Questa tesi ha, come generico obiettivo, quello
3
J. J. Rousseau, Il Contratto sociale, Torino, Einaudi, 2005
4
http://ec.europa.eu/publications/booklets/move/67/it.pdf
9
di appoggiare tutti coloro che hanno definito le lobbies in un’accezione positiva, quali
mezzo attraverso il quale anche i più piccoli gruppi possono far “sentire” la loro voce e
“urlare i propri interessi”. In che modo? Fornendo gli strumenti idonei alla
comprensione di questo fenomeno. Analizzare e comprendere i gruppi di pressione,
che come si vedrà in seguito, risalgono a tempi antichi e si sono evoluti fino ad arrivare
ai giorni nostri, non solo
“aiuta a inquadrare il processo decisionale in un ambito
comunitario”
5
;
ma aiuta anche a comprendere cosa fa dell’Unione Europea una democrazia, e qual è il
suo spirito di fondo. Il tutto ruota, come già detto, attorno alla nozione di interesse:
“la questione del lobbying solleva la questione più ampia
dell’interesse generale e di chi lo detiene”
6
.
In particolare, ci si chiede se sia giusto influenzare le scelte delle pubbliche istituzioni
(che dovrebbero difendere gli interessi generali) mettendo in primo piano interessi
particolari. Anzitutto va constatato che
“l’interesse generale non sempre coincide con la somma di interessi
particolari”
7
;
in seconda analisi, gli interessi generalmente al centro dell’attenzione sono quelli più
forti e meglio organizzati della società, quindi anche quelli meno bisognosi di appoggio
5
http://www.amministrazioneincammino.luiss.it/wp-content/uploads/2011/08/Locchi_Principio-di-trasparenza_e-
Governance.pdf
6
http://www.lobbyingitalia.com/__P_U_B_L_I_C__/ItemsUploaded/file/Lobbying%20e%20gruppi%20di%20pressio
ne%20negli%20USA%20-%20Franco%20Spicciariello.pdf
7
http://www.amministrazioneincammino.luiss.it/wp-content/uploads/2011/08/Locchi_Principio-di-trasparenza_e-
Governance.pdf
10
politico proprio in quanto già espressione di posizioni dominanti. Ecco perché, tra
l’altro, le lobbies sono organismi costruiti per influenzare il potere, e non per
amministrarlo in prima persona.
Al di là di ogni ragionevole dubbio, ciò che è certo è che oggi il fenomeno del
lobbyismo è in costante aumento, e ciò sembra riconducibile alla
“graduale crescita del potere degli esecutivi e dei partiti, a discapito
delle istituzioni parlamentari”
8
.
Ciò fa sì che nelle istituzioni moderne in cui viviamo, il luogo delle decisioni politiche si
stia spostando all’esterno. Non più, in pratica, discussioni all’interno delle istituzioni
deputate a farlo; ma all’esterno, tra deputati e gruppi di pressione. Tra l’altro ciò che
agevola ancor di più il diffondersi del fenomeno lobby è la consapevolezza che questi
rapporti tra deputati e gruppi esterni non sono rapporti unilaterali, in cui il deputato
solo “aiuta” e ascolta gli interessi particolari altrui; bensì sono rapporti basati
sull’interscambiabilità, poiché i deputati per primi hanno bisogno di conoscere gli
interessi, i bisogni e le necessità presenti nel pre-mercato. In pratica, le informazioni
fornite dai gruppi di pressione ai parlamentari sono, il più delle volte, strumenti
preziosi per indirizzare la loro linea politica. Non per nulla molti studiosi parlano, oggi,
di “tesoro informativo delle lobby”
9
. Chi, infatti, lavora in questo ambito sa che
“il controllo in uno stato si basa sulla reale e bilanciata distribuzione
tra potere politico e potere sociale”
10
;
potere che oggigiorno è, purtroppo, sempre meno equilibrato. Tant’è vero che si fa
sempre più grande il divario tra le democrazie cosiddette “partecipative” e i cittadini
che dovrebbero, appunto, partecipare. Pur essendoci, infatti, strumenti democratici
8
L. D'Amato, Correnti di partito e partito di correnti, Milano 1965
9
http://www.caligiuri.it/pubblicazioni/relazioni/lobbies.htm
10
http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/paper/0164_morrone.pdf
11
attivi, questi vengono spesso male impiegati o trattati con indifferenza. Resterebbe da
chiedersi se questo sia la causa, o la conseguenza della diffusa sfiducia tra popolo
elettore e rappresentati eletti nei partiti politici. Tutto questo, comunque, ha
indebolito a tal punto i partiti politici che essi hanno bisogno proprio di appoggiarsi ai
gruppi di interesse, i quali finiscono, a volte, anche col prevalere su di essi.
La tesi che si intende sostenere in questo lavoro è che il lobbying, se utilizzato nel
rispetto dei valori e delle regole della legalità, può divenire strumento essenziale per la
gestione della res publica, nei quali gli interessi in gioco sono molteplici. Attraverso lo
svolgimento di un’attività di lobbying che rispetti quanto previsto da ciascun
ordinamento, infatti, principi quali pubblicità, trasparenza e partecipazione, possono
manifestarsi concretamente. Analizzando uno specifico caso, quello Parmalat, si vedrà
appunto come, attraverso un’attività di lobbying “libera e senza regole”, risparmiatori
e piccoli azionisti siano stati truffati per quasi venti anni. Si vedrà d’altronde, come,
senza il lobbying, molte verità nascoste non sarebbero venute a galla e anzi,
probabilmente, dinanzi alla prima caduta di capitali, l’azienda avrebbe solo dovuto
vendere in breve tempo.
Comunque, se ad oggi si assiste ad una regolamentazione del lobbying,
“non è per limitare o per eliminare la rappresentanza di interessi;
bensì per disciplinare il lobby stesso ed evitare che se ne manifestino
forme poco professionali o addirittura illegali”
11
.
A questo punto, prima di iniziare il discorso e prima di spiegarne l’obiettivo finale, una
breve sintesi di come sarà strutturato il lavoro e di quali sono gli studiosi/teorici ai
quali si farà riferimento.
11
http://www.lobbyingitalia.com/__P_u_b_l_i_c__/Risorse/Articoli/Docs/%7B1076429235%7D_Cipi%20Report.pd
12
Nella prima parte, attraverso lo studio e la ricerca di studiosi quali Gianfranco Pasquino
e Domenico Fisichella, sarà spiegato da cosa deriva il termine lobby, che forme può
assumere e quali sono gli aspetti tecnici del fenomeno.
Nella seconda parte, citando e studiando autori quali Gloria Pirzio Ammassari e Gigi
Graziano, e attraverso una attenta ricerca sul mezzo Internet, verrà inquadrato il
fenomeno lobbying da due ottiche differenti: quella degli Stati Uniti d’America e quella
europea. Saranno messi a confronto questi due modelli e ne saranno evidenziati punti
di forza e punti di debolezza.
Nella terza parte, per comprendere l’importanza della tesi che si sostiene, attraverso lo
studio di autori quali Malagutti Vittorio, Delsodato Luca, Pini Paolo e Franzini Gabriele,
verrà riportato un caso particolare, quello del crac Parmalat. Dopo una breve carrellata
degli avvenimenti che hanno condotto l’azienda Parmalat al fallimento, sarà
evidenziato, in particolare, il ruolo avuto dalle banche in tutta la vicenda e l’attività di
lobbying svolta impunemente dai soggetti coinvolti.
Infine, grazie allo studio di Noberto Bobbio e Mauro Fotia, il discorso lobby sarà
inserito in quello più ampio e complesso della democrazia, spiegando come sia
possibile superare il pregiudizio del lobbying quale attività oscura ed illecita, a favore di
una comprensione e attuazione del fenomeno nel rispetto dei principi della nostra
democrazia. Verrà inoltra evidenziato, lungo tutto il discorso, la necessità di una
regolamentazione giuridica del fenomeno per evitare che casi come quello Parmalat,
possano verificarsi.
13
Capitolo 1
Che cos’è Lobbying?
Figura 3 Attività di Lobbying in Italia come in Inghilterra?
Fonte: http://giacomopalumbo.blogspot.com/2011/07/lobbyist-activity-in-italy-as-in.html
14
1.1 Il punto di partenza
Lo studio del lobbying comporta notevoli difficoltà nell’approccio iniziale, poiché il
fenomeno si presenta come qualcosa di sfuggente, dai contorni non puntualmente
definiti e che può manifestarsi, secondo forme diverse e talvolta non facilmente
riconoscibili, in ogni settore dell’agire sociale. Spesso questa parola appare anche sui
giornali, ma per indicare in modo inappropriato manifestazioni popolari, gruppi e
individui che, accumunati da uno stesso interesse, incrementano spesso, la confusione
dell’opinione pubblica. E’ necessario, pertanto, un forte sforzo di “isolamento” rispetto
ai condizionamenti provenienti dall’esterno; condizionamenti fatti di pregiudizi e di
parte della letteratura sul tema, i quali hanno contribuito non poco a determinare un
posizionamento oscuro e misterioso del concetto di lobby.
Nella visione convenzionale proposta da Galbraith, entro la quale si colloca il
fenomeno in riferimento allo scenario italiano, con le locuzioni “gruppo di interesse,
gruppo di pressione o lobby” si è soliti indicare
“attività occulte, poste in essere da organismi operanti talvolta ai
limiti del lecito”
12
.
Tale chiave di lettura, però, appare limitata e limitante rispetto all’accezione oggi
diffusa ed accettata nei contesti europeo e nordamericano, in cui il lobbying è inteso
come
“insieme di attività organizzate, poste in essere da un gruppo di
portatori di interessi specifici, volte ad esercitare un’influenza sui
decisori istituzionali ai fini della tutela e della rappresentanza politica
di quegli interessi”
13
.
12
http://www.lobbyingitalia.com/__P_u_b_l_i_c__/Risorse/Articoli/Docs/%7B1252006018%7D_Una%20disamina%
20concettuale%20del%20termine%20lobby.pdf
13
http://www.lobbyingitalia.com/index.asp?IdCt=11&IdNw=374
15
Un’attività, dunque, che assume notevole importanza nell’azione individuale e
collettiva e che gioca un ruolo da protagonista negli studi organizzativi, manageriali,
macro-economici e politici sui processi decisionali di soggetti e sistemi, pubblici e
privati che siano. Un’attività che sul piano internazionale, si manifesta attraverso due
diversi modelli di gestione: uno riferito al contesto degli Stati Uniti d’America e l’altro
inserito nell’Unione Europea. E se in entrambi i casi il lobbying si presenta
sostanzialmente quale
“forma di comunicazione politica, rivolta ai decisori e all’autorità
pubblica, ed avente ad oggetto atti dell’autorità politica”
14
,
le basi della sua legittimazione hanno radici differenti, così come differente è il
ventaglio degli strumenti e delle tecniche che hanno a disposizione.
Occorre, però, un ulteriore passo indietro: nelle discussioni sulla legittimità o meno dei
movimenti e delle azioni che rappresentano l’operato dei gruppi di pressione, vi è
ancora molta confusione in merito ai termini utilizzati. Ancora si ci confonde in merito
a locuzioni quali gruppo di interesse, gruppo di pressione, lobbies; locuzioni utilizzate
spesso alternativamente e senza nemmeno tener conto della loro specifica
qualificazione.
Lo studio principale da cui è possibile partire, e a cui si può sempre fare riferimento per
uscire da tale confusione, è costituito dalla group theory of politics, un filone di studi il
cui riconosciuto capostipite, agli inizi del ‘900, fu Arthur F. Bentley. Arthur F. Bentley
(1870-1957), americano politologo e filosofo, ha dedicato i suoi studi interamente al
campo della epistemologia, della logica e della linguistica, contribuendo allo sviluppo di
una vera e propria metodologia di comportamento delle scienze politiche. Secondo la
formulazione originaria del suo pensiero, i gruppi, portatori di interessi specifici,
costituiscono il fulcro di qualsiasi forma sociale, descrivibile esclusivamente quale
interazione tra i soggetti del gruppo e fra le attività di ognuno. In particolare, Bentley
affermava che:
14
http://www.lobbyingitalia.com/__P_u_b_l_i_c__/Risorse/Articoli/Docs/%7B1252006018%7D_Una%20disamina%
20concettuale%20del%20termine%20lobby.pdf
16
“le idee sono reali soltanto in quanto riflettono i gruppi. Le idee
possono essere definite in termini di gruppi, i gruppi mai in termini di
idee”
15
.
Tale concezione fu poi ripresa ed approfondita anche dal collega David Bicknell Truman
(1913-2003) il quale volle porre l’accento sull’attività di rivendicazione delle proprie
istanze, operata da parte di alcuni gruppi nei confronti di altri gruppi sociali, ai fini
dell’instaurazione di una società fondata sulla tutela degli “interessi” di cui essi sono
portatori. Truman era un importante scienziato politico il quale dedicò buona parte del
suo lavoro alla teoria del pluralismo politico; una teoria che sosteneva un sistema di
rappresentanza degli interessi dove: le unità costitutive sono organizzate in numero
indefinito e in competizione tra loro. Sono volontarie, non strutturate
gerarchicamente, non necessariamente riconosciute o organizzate dal governo, e non
esercitano il monopolio della rappresentanza. La nozione di Truman, comunque, fu, nel
tempo, ugualmente criticata. Nonostante ciò, resta notevole l’importanza dell’opera di
Bentley e degli studiosi che hanno seguito le sue orme. Ad essi, infatti, non solo va
riconosciuta la capacità di aver dato inizio al dibattito sul tema; ma va anche assegnato
il merito di aver espresso una nuova concezione della società. In pratica, una società
retta su un equilibrio ottenuto e conservato attraverso il contemperamento degli
interessi espressi dai vari gruppi e l’esistenza di
“un gruppo universale potenziale il cui interesse è quello di non
lasciare alterare le regole del gioco”
16
.
A questo punto, ripercorse le origini, è possibile distinguere diversi tipi di gruppi di
interesse. Una delle classificazioni più ricorrenti si basa sulla distinzione tra le tipologie
di interessi di cui sono portatori i gruppi stessi, le quali portano a distinguere gruppi
economici, da gruppi non economici. In base alla classificazione offerta da Beyme K.
Von (1985), esistono, infatti,
15
F.A. Bentley , The Process of Government: A Study of social Pressures, (1908), The Belknap Press, Cambridge Mass.,
1967 (trad. it. “Il processo di governo: uno studio sulle pressioni sociali” a cura di Buttà G., Giuffrè, Milano, 1983)
16
N. Bobbio, N. Matteucci , G. Pasquino , Dizionario di Politica, Tea, Milano, 1991
17
“gruppi economici, volti a tutelare più espressamente gli interessi
specifici dei loro affiliati; e gruppi promotori, aventi cioè fini di difesa
di interessi sociali”
17
.
Quanto alle risorse che il gruppo ha a disposizione per attivare e mettere in pratica la
sua influenza, si possono preliminarmente evidenziare, in termini generali e sempre
secondo gli stessi riferimenti:
la dimensione,ovvero il numero di membri di cui il gruppo è composto;
la ricchezza, la qualità e l’ampiezza delle conoscenze in base alle quali il gruppo
mette in atto la “pressione”;
la rappresentatività, intesa da un lato come proiezione nella leadership di gruppo
delle istanze della base, e dall’altro come inclusione nel gruppo della maggior
parte dei riconosciuti portatori di un determinato interesse.
Ma le distinzioni tra i gruppi di interesse non finiscono qui: ulteriore classificazione
può, infatti, essere fatta in seguito all’introduzione della nozione di “gruppo di
pressione”. Il passaggio dal concetto di gruppo di interesse a quello di gruppo di
pressione riguarda una netta differenza del modo di operare: mentre, infatti, il gruppo
di interesse, portatore di un interesse specifico, resta inattivo dal punto di vista
dell’azione pratica; il gruppo di pressione, portatore anche dello stesso specifico
interesse, si avvale delle risorse e del potere di influenza che ha a disposizione, per
esercitare una pressione concreta e diretta nei confronti di key players istituzionali di
riferimento. Tale pressione, mirata ad influenzare in modo favorevole alla volontà e
agli interessi del gruppo, le scelte del pubblico decisore, è definita come la
“possibilità di far ricorso a sanzioni negative (punizioni) o positive
(premi) al fine di influenzare l’assegnazione imperativa dei valori
sociali attraverso il potere politico”
18
.
17
D. Fisichella, “Partiti e gruppi di pressione, Il Mulino, Bologna, 1972
18
G. Pasquino, “Gruppi d’interesse, di pressione, lobbying e partiti”, in Bobbio N. Matteucci N., Pasquino G.,
Dizionario di Politica, Tea, Milano, 1991
18
Secondo gran parte della letteratura in materia, dunque, il fattore che consentirebbe
di distinguere tra le due nozioni è costituito proprio dall’azione; in quest’ottica, i gruppi
di pressione rientrano di fatto nella categoria dei gruppi di interesse, essendo portatori
di interessi da tutelare, ma non tutti i gruppi di interesse sono automaticamente
gruppi di pressione. Il tutto dipende da se e quanto tali gruppi si attivano
concretamente per la salvaguardia dei valori e dei principi che sostengono. Tuttavia,
per correttezza, è giusto anche specificare che non tutti i teorici del campo sono
concordi con tale affermazione; vi è piuttosto chi sostiene che lo status deriva dalla
semplice appartenenza, e prescinde totalmente sia dall’efficacia che dall’effettiva
capacità di azione e di influenza. In pratica, secondo tale filone teorico, non ci sarebbe
alcuna differenza tra un gruppo che sostiene senza agire, e un gruppo che invece
sostiene agendo, ed agendo magari anche con efficacia. Non è però, questa, la tesi che
si intende sostenere in questa sede.
Il discorso fatto fin qui sui gruppi di interesse/pressione consente non solo di
comprendere quale sia il quadro di riferimento in cui si inserisce il fenomeno lobbying,
ma di trarre anche delle prime riflessioni. Sulla base di quanto detto, infatti, possiamo
riassumere dicendo che
“una lobby è un gruppo la cui organizzazione può costituirsi secondo
forme più o meno strutturate, in base al tipo di interesse che va difeso
(espressione della finalità della lobby), e per il tramite di uno o più
soggetti, i lobbyists appunto, che con l’ausilio di una serie di tecniche
e strumenti, diventano le figure professionali di collegamento e
tramite tra i membri del gruppo e i decisori politici e istituzionali”
19
.
19
http://www.lobbyingitalia.com/__P_u_b_l_i_c__/Risorse/Articoli/Docs/%7B1252006018%7D_Una%20disamina%
20concettuale%20del%20termine%20lobby.pdf