1
CAPITOLO 1
BREVE STORIA DELL’ IDEA DI SVILUPPO
1.1 Dalle origini alla confusione con la crescita
Prima di approfondire l’oggetto della tesi, lo sviluppo umano, si cercher di
ricostruire una breve, e quindi necessariamente incompleta e non esaustiva, cronaca
dell’evoluzione dell’idea di sviluppo.
1
Pochi concetti economici hanno assunto nel tempo un ventaglio di significati ampio
come quello di sviluppo: H.W. Arndt afferma a proposito: "Lo sviluppo, nella vasta
letteratura esistente sull’argomento, sembra comprendere tutti gli aspetti della societ
ottimale, la strada che ognuno di noi percorre verso la propria utopia".
2
I "padri" dell’economia classica diedero grande rilievo al tema dello sviluppo, o
"natural progress of opulence" secondo gli scritti di A. Smith; si pu ricordare a
riguardo l’importanza della dinamica divisione internazionale del lavoro -
allargamento del mercato per lo stesso A. Smith e la forza espansiva del capitalismo
per K. Marx.
Dalla seconda met dell’Ottocento le attenzioni degli economisti si spostarono:
l’evoluzione del reddito venne considerata come scontata, e si concentrarono sulla
distribuzione, l’unica variabile decisiva per i paesi progrediti secondo J.S. Mill (il
resto del mondo era ignorato, se non disprezzato, per la sua presunta barbarie).
Si dovette aspettare il clima politico instauratosi nel secondo dopoguerra per vedere
risorgere l’idea di sviluppo. P. Streeten elenca quattro elementi dello scenario
economico internazionale come cause della nascita, e poi ascesa della teoria dello
sviluppo: la ricchezza diffusa dell’Occidente, in stridente contrasto con la povert del
resto del mondo; la guerra fredda, che indusse le superpotenze ad elaborare piani per
il riscatto economico di paesi potenzialmente alleati; l’esplosione demografica,
ritenuta uno dei principali ostacoli al progresso; la decolonizzazione, che implic il
risveglio delle coscienze nazionali.
3
Probabilmente l’elemento decisivo che permise l’elaborazione di questa nuova branca
della teoria economica fu il cambio di mentalit prodotto dalla seconda guerra
1
I testi di riferimento sono stati: Arndt H.W. (1990) Lo sviluppo economico. Storia di un idea , Il Mulino, Bologna;
Meier G. M. (1988) Il periodo formativo , in Meier G. M., Seers D. (1988) I pionieri dello sviluppo , ASAL, Roma,
pagg.15-39; Hirschman A.O. (1983) Ascesa e declino dell economia dello sviluppo , Rosenberg & Sellier, Torino,
pagg.191-216; Sen A.K. (1992c) Sviluppo: quale strada ora? , in Sen A.K. (1992a) Risorse, valori e sviluppo ,
Bollati Boringhieri, Torino, pagg.313-339; Streeten P. (1988) Le dicotomie dello sviluppo , in Meier G. M., Seers D.
(1988) I pionieri dello sviluppo , ASAL, Roma, pagg.431-461; Streeten P. (1981) Development perspectives ,
MacMillan, London, pagg.100-132; Little I.M.D. (1982) Economic development. Theory, policy, and international
relations , Twentieth Century Fund Book, 3-15; Volpi F. (1996) Sviluppo Jaca Book, Milano; World Bank (1991)
World development report 1991 , Oxford University Press, New York, pagg.31-51
2
Arndt H.W. (1990), op. cit., pag.9
3
Streeten P. (1981), op. cit., pagg.110-114
2
mondiale, per quanto concerne il destino dell’umanit intera. Per la prima volta fu
evidente che l’interdipendenza era inevitabile. In quest’ottica, segnali della nuova
visione del mondo furono la creazione del sistema di cambi fissi di Bretton Woods e
di istituzioni finanziarie internazionali (Banca Mondiale e Fondo Monetario
Internazionale). Gli economisti parteciparono al dibattito per la progettazione e la
realizzazione del sogno di un pianeta in pace e sulla via dello sviluppo, dopo la
disastrosa esperienza di due conflitti mondiali.
La data di nascita piø citata dai libri di storia della teoria dello sviluppo Ł il 1943,
anno in cui apparve sull’Economic Journal l’articolo di P. Rosenstein-Rodan titolato
"Problems of industrialization of Eastern and South Eastern Europe".
A livello accademico fu indubbia la notevole influenza esercitata dall’ascesa della
teoria keynesiana quasi a nuovo paradigma. Nei primi decenni (anni ’50 e ’60) lo
sviluppo fu quasi sempre interpretato come crescita economica, sulla base delle
impressioni create dalla modellizzazione dinamica del sistema keynesiano di R.F.
Harrod e E.D. Domar.
Il motivo di divisione tra i teorici era la chiave della crescita, non la correttezza della
sua identificazione come indice di benessere.
A.W. Lewis, rappresentante piø famoso dell’approccio classico al problema,
identific nel dualismo tra un settore arretrato e uno moderno il motivo del
sottosviluppo dei paesi "ritardatari", sanabile grazie alla disponibilit illimitata di
manodopera e all’operare del meccanismo della libera concorrenza.
R. Nurske, analizzando il "circolo vizioso della povert ", vide nella limitatezza del
mercato la causa della mancanza di investimenti, e auspic un programma di spesa
pubblica per promuovere una crescita equilibrata.
W.W. Rostow elenc cinque fasi che tutti i paesi in via di sviluppo avrebbero dovuto
attraversare per raggiungere il "take-off" (decollo), evidenziando il ruolo decisivo
dell’industrializzazione.
4
Alcuni tratti comuni di queste teorizzazioni furono: l’evoluzionismo del processo di
modernizzazione (fasi obbligate); la sostanziale omogeneit tra i paesi
sottosviluppati; il commercio internazionale come opportunit positiva di crescita,
considerata la panacea di tutti i problemi economici.
1.2 La crisi del modello ortodosso, capitale umano e basic needs
Dalla met degli anni ’60 si diffuse una profonda critica all’ottimismo del modello
ortodosso di sviluppo, considerato il persistere della povert nei paesi del Terzo
Mondo.
4
La cui possibilit dipendeva dal risparmio prodotto dai settori pesanti, secondo l’interpretazione di Mahalanobis del
modello Harrod-Domar.
3
H. Singer e R. Prebish interpretarono negativamente l’andamento secolare dei "terms
of trade" (ragioni di scambio) nei confronti dei paesi esportatori quasi
esclusivamente di materie prime (Sud del mondo); per questa ragione auspicarono un
processo di sviluppo basato sulla strategia di sostituzione delle importazioni, con
innalzamento di barriere tariffarie per proteggere le industrie nazionali. Questo
approccio, che sosteneva anche un massiccio interventismo statale per ottenere
cambiamenti radicali dei meccanismi economici, fu chiamato strutturalismo e fu
sperimentato in varie fasi soprattutto in America Latina.
Una maggiore attenzione fu dedicata agli aspetti sociali dello sviluppo: H. Chenery e
G. Myrdal si soffermarono sull’importanza della redistribuzione dei benefici della
crescita. D. Seers denunci la miopia e la superficialit della precedente
impostazione: la crescita poderosa del dopoguerra non era stata riuscita a debellare la
povert e a eliminare le disuguaglianze interne e a livello mondiale, lo sviluppo
andava definito diversamente.
Alcuni studiosi spinsero le loro critiche all’intero sistema economico internazionale,
considerato la causa dello sfruttamento dei paesi piø poveri. Il filone neo-marxista
(P. Baran) e quello della dipendenza (S. Amin, A.G. Frank) sottolinearono
l’impossibilit , seppure con sfumature diverse, di un reale sviluppo per il Terzo
Mondo in assenza di un passaggio verso un "Nuovo Ordine Economico
Internazionale", secondo la terminologia usata nel 1974 dal cd. "gruppo dei 77" paesi
in via di sviluppo.
Ancora piø intransigente Ł la posizione di netto rifiuto dello sviluppo inteso in senso
occidentale espressa da alcuni leaders politici come Gandhi, Mao e Khomeini.
Negli anni ’70 la Banca Mondiale cerc di interessarsi al problema della povert ,
basando essenzialmente le proprie elaborazioni sui lavori di G. Becker e T. Schultz.
Essi delinearono l’approccio del "capitale umano" (human capital) allo sviluppo: per
aumentare la produttivit del sistema economico non sono sufficienti il progresso
tecnologico e l’allargamento dello stock di capitale fisico, occorre anche investire
nell’istruzione, nell’alimentazione e nella salute dei lavoratori. Si tratta di
un’evoluzione neoclassica della teoria ortodossa, che ne amplia l’argomento ma non
ne cambia le finalit . Paesi come la Corea del Sud furono usati come esempio da
seguire di crescita basata sulla promozione intensiva del capitale umano e
sull’apertura internazionale.
Le crisi petrolifere e il crollo del sistema dei cambi fissi di Bretton Woods ebbero
profonde conseguenze sulle performances dei paesi in via di sviluppo: il clima di
instabilit port negli anni ’80 a squilibri nella bilancia commerciale, a insolvenze
per il pagamento degli interessi sui debiti contratti e a tensioni inflattive. Fu la piø
grave recessione dagli anni ’30, e la risposta della Banca Mondiale e del Fondo
Monetario Internazionale si imperni sui cd. programmi di aggiustamento strutturale.
In pratica i paesi in difficolt dovevano cercare di ritornare ad una situazione di
stabilit macroeconomica risanando i conti pubblici (tagli della spesa in eccesso,
tassazione piø efficiente e privatizzazioni), eliminando le cause di inflazione (stretta
4
monetaria, abolizione delle indicizzazioni automatiche dei salari e dei sussidi
generalizzati) e le barriere commerciali. Purtroppo, nell’attuare questi piani, molti
governi operarono un brusco ridimensionamento dei programmi sociali, inasprendo
le deprivazioni dei settori piø disagiati delle popolazioni. Proprio questi ultimi per
sarebbero stati tra i beneficiari della crescita successiva, in base alla processo di
"sgocciolamento" (trickle-down), sostenuto dai teorici dell’offerta allora molto
ascoltati.
Il giudizio sugli effetti globali dell’aggiustamento strutturale Ł controverso. G.A.
Cornia, R. Jolly e F. Stewart scrissero per l’Unicef nel 1987 il rapporto "Per un
aggiustamento dal volto umano", che conteneva diversi rilievi sull’azione della
Banca Mondiale negli anni precedenti.
5
In particolare veniva messa in rilievo la
brevit dei tempi con cui la Banca pretendeva risultati da parte dei paesi in fase di
aggiustamento, che impediva di fatto una strategia di ristrutturazione attenta ai
bisogni della gente. Pur ritenendo genericamente positiva la tensione versa la
stabilit macroeconomica, gli autori dimostravano come un aggiustamento "dal volto
umano", cioŁ rivolto alle esigenze di sviluppo dei cittadini, fosse nel lungo periodo
piø vantaggioso in termini di crescita dei consumi (soprattutto del 40% piø povero
della popolazione).
La base teorica del rapporto deriva dalla teoria dei "basic needs", elaborata da un
gruppo di studiosi, tra cui P. Streeten, all’inizio degli anni ’80.
6
Il precursore di
questo approccio fu un economista liberale degli anni ’50, J. Viner, il quale in
pressochŁ totale solitudine (a parte il sostegno di P. Bauer), denunci l’insufficienza
della crescita e l’immoralit degli aiuti indiscriminati, ovvero non indirizzati
esplicitamente al fine dell’abolizione della povert .
7
I basic needs sono i bisogni
fondamentali, considerati come presupposto per l’opportunit di un tenore di vita
adeguato. Rispetto all’impostazione delle politiche anti-povert degli anni ’70,
l’enfasi non Ł piø posta sull’obiettivo della riduzione della diseguaglianza,
considerato astratto e di complessa implementazione, ma sulla possibilit oggettiva
di fornire concrete risorse di base alle fasce di popolazione piø indigenti.
Solitamente i basic needs considerati sono sei: la nutrizione sufficiente, l’educazione
primaria, la salute, l’igiene sanitaria, le disponibilit di acqua potabile e di abitazione
con infrastrutture collegate ad essa.
8
I basic needs sono interpretabili sia in termini di
minime quantit specificate di beni come cibo, vestiti, riparo, acqua e medicine, sia
soggettivamente come soddisfazione dei consumatori, messi in grado di guadagnare
autonomamente il reddito per i basic needs. La prima versione lascia aperte molte
questioni pratiche (ad esempio sull’ammontare ottimale o minimo di quantit ) ma
conduce a un forte appello morale sulla comunit internazionale, soprattutto sapendo
5
Cornia G.A., Jolly R., Stewart F. (1989) Per un aggiustamento dal volto umano , Franco Angeli, Milano
6
Streeten P. e altri (1981) First things first: Meeting basic human needs in developing countries , Oxford University
Press, Oxford
7
Viner J. (1968) Commercio internazionale e sviluppo economico , Unione Tipografico-editrice Torinese, Torino,
pagg.781-801
8
Streeten P. e altri (1981), op. cit., pag.93
5
che fornire i basic needs a tutti comporta una spesa pro-capite irrisoria. Per attuare
questa politica i governi dovrebbero destinare una parte del proprio bilancio a
politiche sociali selettive indirizzate ai poveri, di cui beneficer indirettamente tutta
la popolazione (Ł l’esatto contrario del trickle down ipotizzato negli anni ’80). La non
dimostrabilit di questo effetto diffusivo Ł valsa alla teoria dei basic needs la
connotazione di "miserabilit " affibbiata dai critici, ovvero di attenzione esclusiva ai
diseredati, senza riguardo per l’evoluzione del tenore di vita degli altri ceti sociali.
Ora la teoria dello sviluppo, liberata dai miti
9
che l’hanno afflitta per molti anni, si
pu dedicare ad obiettivi piø ristretti ma piø concreti, pervenendo cos a una
maggiore onest intellettuale e praticabilit politica.
9
Dahrendorf R. (1991) Imiti della politica di sviluppo , Dossier Europa n.9, pagg.89-96
6
CAPITOLO 2
LO SVILUPPO SOSTENIBILE
2.1 Il problema ambientale in economia
Per gli economisti classici le risorse ambientali erano un elemento fondamentale
della produzione.
1
Il fattore "terra", disponibile in quantit limitata, era il vincolo da
cui scaturiva la rendita per D. Ricardo e il freno a una crescita demografica
esponenziale perpetua per T.R. Malthus. Nonostante la possibilit del progresso
tecnologico, la scarsit assoluta di terra avrebbe portato in un futuro imprecisato il
sistema economico ad uno stadio di stazionariet .
K. Marx inser la qualit ambientale tra le determinanti del conflitto tra le classi
sociali. La contraddizione nasceva dalla decisione dei capitalisti di adottare tecniche
produttive labour saving inquinanti, la cui conseguenza era la richiesta da parte dei
lavoratori di salari maggiori per poter pagare le cure sanitarie di malattie derivanti
dal degrado.
Il neoclassicismo, fondato sull’individualismo metodologico, trascur questo tema
insieme al concetto stesso di crescita, per elaborare una scienza esatta, basato
sull’equilibrio a cui tenderebbe naturalmente il mercato. La terra scompariva dalla
funzione di produzione, per essere inglobata nel capitale. I prezzi erano interpretati
come la spia e la guida di ogni comportamento razionale degli operatori, la qualit
dell’ambiente era quindi adeguata alle preferenze dei singoli verso tale bene.
Con la rivoluzione keynesiana torn in auge la crescita, ma i teorici si occuparono
soprattutto delle manovre di politica economica per garantirla in senso illimitato, con
l’aiuto di una tecnologia in evoluzione continua.
Negli anni ’70, in seguito alla presa di coscienza, a livello scientifico e poi anche
nella societ , del crescente impatto dell’attivit umana sulle risorse del pianeta,
nacque l’ambientalismo. I pionieri di questo nuovo orientamento in economia furono
K. Boulding e N. Georgescu-Roegen.
Il primo contrappose il comportamento predatorio degli uomini, come cowboys in
una prateria sconfinata, alla realt di una comunit mondiale che pu disporre solo di
risorse limitate, come se si trovasse all’interno di un’enorme astronave.
N. Georgescu-Roegen introdusse la disciplina della bioeconomia sottolineando
l’interdipendenza tra attivit economica ed ecosistema. Analizzando la
trasformazione e il consumo di energia da parte della popolazione, teorizz
1
Per la storia della problematica ambientale nella teoria economica si Ł fatto riferimento essenzialmente a: Pearce D.W.,
Turner R.K. (1991) Economia delle risorse naturali e dell ambiente , Il Mulino, Bologna, pagg.17-40
7
l’inevitabilit dell’esaurimento delle risorse e dell’estinzione della razza umana,
seppure in un futuro lontano.
2
La conclusione deriva dalla soggezione di ogni processo vitale alla legge fisica
dell’entropia, per cui "tutti i tipi di energia si trasformano gradualmente in calore e
alla fine il calore Ł cos dissipato che l’uomo non pu piø utilizzarlo".
3
Anche la
materia subisce un processo simile.
L’ipotesi economicista di natura come stock costante che fornisce gratuitamente e
indefinitamente i propri frutti sarebbe un mito; l’unica salvezza da uno stato
forzatamente declinante del sistema produttivo sarebbe l’evoluzione di tecnologie
che permettessero l’uso dell’unica risorsa inesauribile, se non tra miliardi di anni:
l’energia solare.
Un rapporto pseudoscientifico del 1972 sembrava confermare le funeste previsioni di
N. Georgescu-Roegen: "Limits to growth" di D.H. Meadows e altri colleghi del
M.I.T. per il Club di Roma. La reazione della gran parte degli economisti
all’allarmismo suscitato da questo studio si Ł cristallizzata nella divisione tra
tecnocentristi (o antropocentristi) ed ecocentristi, cos come proposto da D.W. Pearce
e R.K. Turner.
4
Il tecnocentrismo assegna un valore strumentale ai beni naturali rispetto all’obiettivo
del soddisfacimento dei bisogni umani; si pu distinguere all’interno di questo
approccio la visione cornucopiana estrema, che associa al piano o al mercato una
fiducia assoluta nella risoluzione del problema della scarsit , dalla visione
"accomodante" che attribuisce alla conservazione delle risorse, cioŁ al loro utilizzo
razionale, un ruolo decisivo nella dinamica dello sviluppo economico.
L’ecocentrismo associa un valore intrinseco alla natura, indipendente da valutazioni
della capacit di produrne reddito. Anche questo fronte pu essere suddiviso tra una
fazione piø moderata, i comunitaristi che propugnano la preservazione delle risorse e
i vincoli conseguenti alla crescita, dalla frangia piø estremista, rappresentata dai
seguaci della "deep ecology" i quali, richiamandosi a principi bioetici, sperano in un
ritorno all’uso minimo dell’ambiente da parte dell’uomo, come nei secoli precedenti
alla rivoluzione industriale.
Una panoramica alternativa a quella presentata da D.W. Pearce e R.K. Turner Ł data
da P.A. Victor sulla base dei diversi approcci alla teoria del capitale naturale ( K
n
).
5
Si possono distinguere i seguenti filoni:
• scuola neoclassica : capitale Ł "tutto ci che rende un flusso di servizi produttivi
nel tempo e che Ł soggetto al controllo nei processi produttivi";
6
sono compresi
2
Georgescu-Roegen N. (1982) Energia e miti economici , Bollati Boringhieri, Torino
3
Georgescu-Roegen N. (1982), op. cit., pag.30
4
Pearce D.W., Turner R.K. (1991), op. cit., pag.27
5
Victor P.A. (1991) Indicators of sustainable development: some lesson from capital theory , Ecological Economics,
n.4, pagg.191-213
6
cit. in Victor A.P. (1991), op. cit., pag.193, tratta da Herfindahl O., Kneese A.V. (1974) Natural theory of natural
resources , Charles E. Merill, Columbus, OH.
8
nella definizione quindi solo le risorse naturali utilizzate nella produzione. Le
risorse non rinnovabili non costituiscono un limite alla crescita se sono
sufficientemente sostituibili con capitale fisico (fiducia nel progresso tecnico);
• London school: il capitale naturale non Ł assimilabile a quello fisico, la
sostituibilit non Ł completa; incertezza e irreversibilit inducono a mantenere uno
stock costante di K
n
(D.W. Pearce e G. Atkinson);
• scuola post-keynesiana: il capitale non Ł misurabile indipendentemente dai prezzi
(circolarit );
• scuola termodinamica: Ł l’approccio gi visto che deriva da K. Boulding e N.
Georgescu-Roegen, auspica una contabilit dei materiali energetici al fine di
valutare il grado di entropia raggiunto.
Rimangono ancora due paradigmi da citare: l’istituzionalismo e il
coevoluzionarismo.
L’istituzionalismo propone una visione olistica del rapporto ambiente-economia, in
particolare viene messo in evidenza il legame tra la "cultura" degli agenti,
7
e
l’utilizzo delle risorse naturali. Le analisi sociali e ambientali non sono separabili
(J.L.R. Proops),
8
il complesso ecologico (ambiente, popolazione, cultura,
organizzazione e tecnologia) sfocia in un equilibrio dinamico da cui Ł difficile trarre
considerazioni scientificamente settoriali (G.A.J. Klaasen e J.B. Opschoor).
9
R.B. Norgaard Ł l’ideatore dell’approccio coevoluzionarista: i sistemi ecologici e
sociali si sviluppano parallelamente (anche se non congiuntamente), con reciproche
influenze.
10
Non solo la societ si adegua alle variazioni delle condizioni ambientali,
anche la natura si modifica in base al comportamento degli uomini. Esiste, secondo
R.B. Norgaard, un elevato potenziale coevoluzionarista ancora da sfruttare: un
esempio Ł costituito dal patrimonio di conoscenze accumulate in secoli di esperienza
dalle societ contadine tradizionali.
11
Questa panoramica ovviamente non esaurisce tutte le sfumature dei possibili
approcci al problema ambientale in economia, ma rappresenta un’utile guida alla
diversit di opinioni e soluzioni proposte.
Le Nazioni Unite cominciarono a interessarsi della questione nel 1972, quando in
seguito alla Conferenza di Stoccolma, fu approvata la Dichiarazione sull’Ambiente
Umano in 26 principi che entr a far parte della Costituzione ONU.
12
Il carattere compromissorio della dichiarazione fu contestato da autori come J.
Schumacher, la cui critica invest l’intero sistema industriale dei grandi impianti,
7
Intesa come insieme di conoscenze e atteggiamenti.
8
Proops J.L.R. (1989) Ecological economics: rationale and problem areas , Ecological Economics, n.1, pagg.59-76
9
Klaassen G.A.J., Opschoor J.B. (1991) Economics of sustainability or the sustainability of economics: different
paradigms , Ecological Economics, n.4, pagg.93-115
10
Norgaard R.B. (1984) Coevolutionary development potential , Land Economics, vol.60, n.2, pagg.160-172
11
L agricoltura intensiva attualmente praticata rischia di disperderle, quindi Ł insostenibile.
12
Come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell Uomo, anche se pochi commentatori lo ricordano.
9
accusati di violenza nei confronti della natura e dell’umanit , e H.E. Daly che,
rifacendosi alla conclusioni di J.S. Mill, invoc lo stato stazionario per evitare i
danni e le irreversibilit della crescita.
13
Questi effetti negativi del capitalismo (di
mercato e di stato) furono considerati come un sottoprodotto della scarsa attenzione
prestata nelle societ moderne alle tematiche comunitariste e solidariste.
H.E. Daly accusa la teoria economica contemporanea di trascurare la scala, ovvero il
volume fisico della produzione, e di concentrarsi esclusivamente sull’allocazione e la
distribuzione.
14
Mentre i prezzi e i trasferimenti possono costituire mezzi adatti per
affrontare queste ultime due problematiche, sono ritenuti inadeguati per gestire i
flussi di energia da e verso l’ambiente, le cui risorse non sono illimitate.
Un concetto sviluppato negli anni ’80 dall’economia ecologica Ł la cd. carrying
capacity, o capacit di carico, definita come "il limite massimo di individui che
l’ambiente e le risorse sono in grado di sostenere" dallo statistico belga Verhulst nel
1838, occupato a fornire una formalizzazione matematica del modello demografico
malthusiano.
15
Secondo i rapporti annuali "State of the world" del Worldwatch Institute, diretto da
L.R. Brown, diverse zone della Terra avrebbero gi superato, o sarebbero sul punto
di farlo, la carrying capacity, come dimostrato dalle carestie, dalla desertificazione e
dal fenomeno dell’erosione del suolo.
16
Alcuni studiosi hanno pesantemente criticato
questa interpretazione, tacciandola di catastrofismo e denunciando gli indebiti
paragoni tra le evoluzioni delle comunit animali e umane; in particolare Ł
stigmatizzata la pratica di trascurare la produttivit crescente che permette alle
societ di utilizzare in modo sempre piø efficiente le risorse.
17
Le previsioni
pessimistiche del rapporto FAO "Food, land and people"
18
potrebbero essere
smentite dal progresso tecnico; definire quanta popolazione pu sopportare il pianeta
mi pare tuttora impossibile.
P.A. David accusa di millenarismo (nonchŁ di moralismo, antistoricismo ed
elitarismo) la fiorente letteratura sui limiti alla crescita, spesso basata su previsioni a
lungo termine condotte con modelli strutturalmente sbilanciati nella dinamica delle
variabili, ma con coefficienti fissi (ipotesi di invarianza delle relazioni).
19
Con questo
tipo di modellistica, l’insostenibilit in un futuro piø o meno remoto Ł inevitabile
perchŁ gi implicitamente teorizzata al momento della formulazione.
13
Daly H.E., Cobb jr. J.B. (1990) For the common good , Green Print, London
14
Daly H.E. (1992) Allocation, distribution, and scale: towards an economics that is efficient, just, and sustanaible ,
Ecological Economics, n.6, pagg.185-193
15
Tibaldi E. (1992 ) Quanto pu sostenere un ambiente? Quanto pu sopportare una popolazione? , Caos, n.2, pag.14
16
Brown L.R., Wolf B. (1988) Lo sviluppo insostenibile , in WWI State of the world 1988 , Isedi, Milano, pagg.231-
232
17
Bailey R. (1993) I falsi profeti dell apocalisse , Mondo economico, pagg.35-42
18
FAO (1984) Food, land and people , FAO Economic and Social Developmente Series, Roma
19
David P.A. (1979) From growth to millenium: economics and the transformation of the idea of progress , in Boskin
M.J. (1979) Economics and human welfare: essays in honor of Tibor Scitovsky , Academic Press, New York,
pagg.210-248
10
F. Hirsch basa invece la propria critica alla crescita su considerazioni di tipo
sociologico: l’evolversi del sistema economico capitalista porta al moltiplicarsi dei
beni "posizionali", il cui godimento Ł massimizzabile solo attraverso l’esclusione
degli altri.
20
I beni ambientali (soprattutto quelli di valore turistico) entrano a far
parte di questa categoria quando il loro sfruttamento Ł tale da renderli "rari".
F.E. Trainer invece auspica che i paesi in via di sviluppo non seguano l’esempio dei
paesi industrializzati e che, assunto il fallimento delle teorie dello sviluppo
tradizionali, applichino un modello di bassi consumi e autarchia.
21
Mentre il dibattito, a volte anche molto aspro, tra ecocentristi e tecnocentristi
sembrava arenarsi sulla contrapposizione tra le due visioni, sorse l’idea di sviluppo
sostenibile, destinata a occupare una posizione predominante nelle discussioni
sull’integrazione economia-ambiente degli anni successivi.
2.2 Il concetto di sviluppo sostenibile
Il termine "sviluppo sostenibile" appare per la prima volta nel testo "World
conservation strategy" dello IUCN (International Union for the Conservation of
Nature and Natural Resources) nel 1980, ma Ł solo con la pubblicazione delle
conclusioni della World Commission on Environment and Development (WCED)
"Our Common Future", detto comunemente Rapporto Bruntland, che si impone
all’attenzione generale (1987).
22
La definizione WCED Ł la seguente: "per sviluppo sostenibile si intende uno
sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacit delle
generazioni future di soddisfare i propri".
23
Come ogni definizione, Ł stata molto discussa, sia per la sua presunta semplicit
ingannevole (O’ Riondan), sia nei suoi contenuti. Per M. Redclift Ł un concetto che
serve solo a oscurare le contraddizioni tra sviluppo economico e ambiente, poichŁ
non implica una rottura del modello di crescita e di accumulazione lineare che mina i
sistemi vitali del pianeta.
24
Per altri studiosi lo sviluppo sostenibile Ł una sorta di rotta, un percorso non
suscettibile di rigorosa precisazione, cos come i concetti di democrazia e giustizia,
ed Ł quindi anche di difficile implementazione.
25
Il Rapporto Bruntland elenca sette imperativi strategici per poter raggiungere uno
sviluppo sostenibile:
20
Hirsch F. (1981) I limiti sociali allo sviluppo , Bompiani, Milano
21
Trainer F.E. (1990) Environmental significance of development theory , Ecological Economics, n.2, pagg.277-286
22
WCED (1988) Il futuro di noi tutti , Bompiani, Milano
23
WCED (1988), op. cit., pag. 71
24
Redclift M. (1989) Sustainable development: exploring the contradictions , Metheuen, New York
25
Pearce D.W. (1990) Un economia verde per il pianeta , Il Mulino, Bologna
11
• rianimare la crescita economica;
• mutare la qualit della crescita;
• soddisfare gli essenziali bisogni umani;
• assicurare un livello demografico sostenibile;
• conservare e aumentare la base delle risorse;
• riorientare la tecnologia e gestire i rischi;
• integrare ambiente ed economia nella formulazione delle decisioni.
Si tratta di obiettivi ambiziosi ancora di realizzazione incerta. E’ comunque evidente
l’intenzione riformatrice dei processi economici internazionali, ma non
rivoluzionaria, nŁ in senso teorico (non si invoca l’esigenza di una nuova scienza
ecologico-economica), nŁ in senso pratico (non si reclama un nuovo ordine
economico mondiale sovversivo rispetto a quello attuale).
Per quanto riguarda l’interazione tra dinamica economica e ambiente, il livello e la
forma dello sviluppo determinano l’ampiezza del fenomeno della miseria e del
degrado delle risorse naturali. I piø poveri esercitano una pressione maggiore
sull’ambiente rispetto al resto della popolazione perchŁ costretti, nella lotta per la
sopravvivenza, a uno sfruttamento piø intenso di terre marginali e beni comuni
limitati.
A livello internazionale il fenomeno si evidenzia nel cd. "Dutch desease" descritto da
S. El Serafy: l’aumento di prezzo dei beni dei beni commerciabili (tra cui i frutti delle
risorse naturali) rispetto ai beni non commerciabili con l’estero incoraggia i paesi in
via di sviluppo a sfruttare a fondo il capitale naturale.
26
A sua volta il degrado ambientale influenza negativamente le prospettive di sviluppo
futuro e rende ancora piø disagevoli le condizioni dei meno abbienti, piø esposti agli
effetti dell’inquinamento in termini di salute e reddito. Lo sviluppo sostenibile Ł una
condizione necessaria (ma non sufficiente) per spezzare questo circolo vizioso.
La dinamica della qualit ambientale rispetto al reddito Ł di natura controversa: per
alcuni tipi di inquinamento (es. concentrazione di solfuro di diossido) si rileva un
andamento a U rovesciata, tale da far ipotizzare una sorta di curva di Kuznets
ambientale, ma per altri (es. emissione di anidride carbonica) la relazione Ł sempre
crescente.
27
Il dramma sovente per Ł costituito dal fatto che i miglioramenti di
qualit ambientale nei paesi sviluppati derivano dall’ "esportazione" delle attivit
inquinanti nei paesi in vai di sviluppo, i quali si trovano cos a soffrire di degrado
delle risorse e sviluppo extravertito.
28
I principi etici che sottostanno alla definizione WCED sono fondamentalmente due:
1. equit intragenerazionale
26
El Serafy S. (1995) Measuring development: the role of environmental accounting , International Social Science
Journal, n.145, pagg.61-74
27
Pearce D.W. (1994) Blueprint 4: capturing global environment value , Earthscan, London
28
Pearce D.W., Atkinson G. (1993) Capital theory and the measurement of sustanaible development: an indicator of
weak sustanaibility , Ecological Economics n.8, pagg.103-108
12
La soddisfazione dei bisogni del presente significa orientare lo sviluppo verso i
"basic needs", attraverso gli strumenti della crescita economica e della
partecipazione allo sviluppo. L’attuale disuguaglianza nelle distribuzione del reddito
sia a livello locale, sia a livello mondiale, rappresenta un fardello per il pieno
dispiegamento delle potenzialit umane e uno scandalo morale.
2. equit intergenerazionale
Un utilizzo inappropriato delle risorse attuali significa minare le possibilit di
sviluppo delle prossime generazioni. Privarle di questa opportunit sarebbe un atto di
egoismo e allo stesso tempo un attentato alla sopravvivenza dell’umanit .
L’incertezza verso le conseguenze del degrado e le evoluzioni tecnologiche future
devono indurre alla cautela.
29
Mentre il primo principio si pu ricondurre a una finalit generica di un programma
di sviluppo globale, il secondo Ł la vera innovazione introdotta dal Rapporto del
WCED. L’equit intergenerazionale era rimasta sullo sfondo della teoria della
crescita, poichŁ si ipotizzava genericamente che l’aumento del tenore di vita presente
sarebbe stato il presupposto per un progresso futuro. Ma questa asserzione sarebbe
vera solo se le precondizioni allo sviluppo si trasmettessero inalterate (o migliorate)
da una generazione all’altra. Purtroppo le risorse ambientali, sia quelle rinnovabili,
sia quelle non rinnovabili, non godono di questa propriet , sono soggette a un
degrado a cui Ł difficile, quando non impossibile, rimediare.
Per questo motivo la condizione per lo sviluppo sostenibile non pu che essere uno
stock di "qualit della vita" costante nel tempo. Secondo D.W, Pearce sono possibili
due interpretazioni:
a) stock di ricchezza, cioŁ beni prodotti dall’uomo (K
m
) + beni ambientali ( K
n
),
costante, o crescente;
b) stock di beni ambientali costante o crescente.
30
La prima deriva da un approccio "debole" alla sostenibilit , alla cui base c’Ł l’ipotesi
di sostituibilit tra K
m
e K
n
. Significa adottare una visione antropocentrica della
relazione uomo-ambiente, in quanto si ipotizza che il capitale fisico (e umano) sia
addizionabile a quello naturale, a sua volta valutato strumentalmente, rispetto ai
bisogni presenti e futuri della popolazione.
La seconda Ł un approccio "forte" allo sviluppo sostenibile, poichŁ implica la
conservazione dello stock di beni ambientali, ritenuti decisivi al di l della propria
valutazione in termini di potenzialit di sviluppo (visione ecocentrica).
H.E. Daly elenca quattro principi operazionali di sostenibilit dello sviluppo:
1) limitazione dell’attivit umana a un livello, se non ottimale, almeno inferiore alla
capacit di carico del pianeta;
29
Pearce D.W., Markandya A., Barbier E. (1991) Progetto per un economia verde , Il Mulino, Bologna
30
Pearce D.W., Markandya A., Barbier E. (1991), op. cit., pag.44
13
2) progresso tecnologico che incrementi l’efficienza e non l’aumento dell’uso delle
risorse naturali;
3) i tassi di utilizzo delle risorse rinnovabili non siano eccedenti i tassi di
rigenerazione, emissione di rifiuti non superiore alle capacit di assimilazione
dell’ambiente;
4) utilizzo delle risorse non rinnovabili a un tasso uguale a quello di creazione di
sostituti naturali rinnovabili.
31
D.W. Pearce, A. Markandya ed E. Barbier elencano quattro considerazioni per cui
l’approccio forte sarebbe piø ragionevole:
a) non sostituibilit di molti beni ambientali;
b) incertezza sugli effetti della perdita di beni ambientali (avversione al rischio);
c) irreversibilit (es. nessuno pu ricreare una specie animale estinta);
d) equit (i poveri sono i piø danneggiati da un ambiente degradato).
32
Lo stesso concetto di stock costante di capitale naturale pu assumere diversi
significati:
• stock costante di capitale fisico: pu valere solo per le risorse rinnovabili, per
quelle non rinnovabili ogni tasso di utilizzo positivo sarebbe scartato;
• valore economico costante dello stock: prezzo x quantit di capitale costante (a
ogni diminuzione di capitale deve corrispondere un aumento di prezzo, in libera
concorrenza ci avviene solo per le risorse rinnovabili).
Secondo gli autori sopracitati Ł appropriata una combinazione dei due criteri,
lasciando agire generalmente il secondo e adottando il primo solo come limite (stock
minimi critici) all’irreversibilit .
La sostenibilit pu essere interpretata in termini di resilienza, cioŁ di capacit degli
ecosistemi di mantenere la propria struttura e i propri modelli di comportamento di
fronte a disturbi esterni (l’attivit economica umana). Il problema Ł stabilire fino a
che punto la manipolazione della natura per soddisfare i bisogni umani pu essere
spinta senza comprometterne la stabilit e riproducibilit .
2.3 Evoluzioni recenti
La Conferenza di Rio de Janeiro del giugno 1992 Ł stato l’evento che ha dato al
concetto di sviluppo sostenibile la rilevanza internazionale anche a livello politico.
Al di l della vaghezza degli impegni assunti dai governi, si tratta del tentativo piø
importante di integrare economia e sviluppo mai sperimentato.
31
Daly H.E. (1990) Towards some operational principles of sustanaible development , Ecological Economics, n.2,
pagg.1-6
32
Pearce D.W., Markandya A., Barbier E. (1991), op. cit., pag.52