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INTRODUZIONE
L’elaborato seguente si compone di due sezioni: la prima, va dal 1949 all’ingresso della Cina
all’interno dell’Organizzazione Mondiale del commercio (OMC).
L’obiettivo è quello di arrivare a comprendere come la Cina sia, da circa vent’anni a questa
parte, la protagonista indiscussa all’interno dello scenario economico internazionale.
Dal 1949 in poi il sistema economico cinese è stato in continua evoluzione e lo è tutt’oggi.
Il lavoro cerca di individuare, cronologicamente, quelle che sono state le tappe che hanno
portato la Cina da avere un sistema economico pianificato centralmente ad un’economia di
mercato.
La realtà di questo paese non è di facile decifratura, soprattutto per quanto riguarda la prima
parte della seconda metà del XX secolo.
Questo perché, a causa del suo apparato statistico non del tutto affidabile, e delle sue grandi
dimensioni i dati numerici riportati non possono essere considerati del tutto veritieri.
Come vedremo, a partire dal 1978 il tasso di crescita cinese è stato ampiamente superiore
rispetto a quello medio mondiale (anche se sicuramente inferiore rispetto ai dati forniti dal
governo cinese).
Ciò che colpisce di questo paese è che pur essendosi affacciato molto tardi sullo scenario
economico mondiale, in brevissimo tempo è divenuta la realtà economica trainante il resto
dell’economia mondiale.
Il regime di Mao era riuscito ad affermare una società egualitaria caratterizzata da un’economia
amministrata e ben radicati ideali rivoluzionari.
In meno di un quarto di secolo però, la Cina è stata in grado di cambiare radicalmente il proprio
sistema economico, puntando con sempre maggior decisione verso un’economia di mercato.
Si vedrà come, a causa di questo cambiamento, lo Stato abbia accumulato ritardi nelle sue
nuove funzioni e di come diversi settori, tra i quali quello industriale, finanziario e bancario,
abbiano attraversato periodi di crisi.
Gli anni novanta sono stati caratterizzati dal difficile processo di privatizzazione delle grandi
industrie statali e dalla creazione di istituzioni adatte al nuovo assetto economico.
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La parte finale della prima sezione analizza l’inserimento della Cina nell’economia
internazionale e come da quel momento in poi la Cina abbia assunto sempre più un ruolo di
leader economico a livello mondiale.
La seconda sezione concentra le sue ricerche sull’ultimo decennio, a partire dalle misure
intraprese dal governo cinese per combattere la deflazione fino ad arrivare al delicato tema del
mercato del lavoro cinese odierno.
Il periodo che va da 2002 al 2009 è caratterizzato da una crescita del prodotto interno lordo
cinese quasi sempre a doppia cifra.
Relativamente a tale periodo vengono analizzate le dinamiche che hanno portato la Cina a
scavalcare il Giappone e ad affermarsi come seconda economia mondiale alle spalle degli USA,
cosa ritenuta impensabile solo nel 1998.
“Il periodo d’oro” di questi anni, come lo definiscono diversi economisti, ha consentito
all’apparato economico cinese di affrontare la crisi mondiale subendo una leggera flessione
economica ma rimanendo sempre con un trend di crescita ampiamente positivo.
Vengono analizzati, in proposito, i punti di forza del sistema economico cinese che le
permettono di essere considerata la nazione in grado di far ripartire l’economia mondiale.
In fine, viene fatta un esposizione in merito agli errori, commessi dal governo cinese, che hanno
portato allo scoppio della bolla immobiliare, problema che ad oggi non è ancora stato
completamente risolto.
L’analisi si conclude tramite l’esposizione delle vicende politico-economiche che hanno portato
il governo ad aumentare nel recente passato i salari minimi dei lavoratori, facendone una
priorità all’interno del dodicesimo piano quinquennale di Pechino.
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SEZIONE I
I PUNTI SALIENTI DELL’EVOLUZIONE ECONOMICA CINESE
DAL 1949 AL 2001
SOMMARIO: 1. Sul modello sovietico dal 1949 al 1958. – 2. La fase di instabilità della politica economica dal 1958 al 1978. – 3. Le
strategie di sviluppo. – 4. Il passaggio dal sistema economico chiuso a quello aperto. – 5. Le riforme del sistema industriale
e finanziario: premessa. – 6. Le riforme del sistema industriale. – 7. Le riforme riguardanti il sistema bancario. – 8.
L’ingresso della Cina sullo scenario economico internazionale. – 9. Verso lo scenario economico internazionale: riduzione
ed eliminazione delle barriere tariffarie e non tariffarie sulle importazioni. – 10. L’organizzazione delle esportazioni e gli
investimenti diretti esteri. – 11. Dicembre 2001: l’adesione all’organizzazione mondiale del commercio. – 11.1. Le
disposizioni dell’accordo tra Cina e OMC.
1. SUL MODELLO SOVIETICO DAL 1949 AL 1958
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La situazione della Nazione cinese all’inizio del 1949 non si presenta sicuramente tra le più
rosee: l’inflazione è praticamente inarrestabile, le infrastrutture sono parzialmente distrutte e la
capacità produttiva è pressoché inesistente.
Il partito comunista, forte dell’unità politica del paese sulla quale può contare, si mette a lavoro
per riavviare l’economia; uno dei primi provvedimenti adottati per far ripartire l’economia
consiste nella promulgazione della riforma agraria: la legge 28 del 1950 prevede infatti la
ridistribuzione delle terre tra i contadini in maniere tale che sia assicurato un quantitativo
minimo di terra per ogni adulto (1/6 di ettaro).
Nel settore industriale ed in quello commerciale il nuovo programma economico si caratterizza
per flessibilità e liberalismo ed affida alla borghesia urbana il compito di occuparsi della
ricostruzione dei predetti settori.
I risultati sono subito evidenti: nel 1952 i principali settori industriali hanno una produzione
superiore rispetto alla produzione media annua dei migliori anni del periodo prebellico, prodotto
ottenuto nonostante a partire dall’ottobre 1950 fosse iniziato l’intervento militare cinese in
1
Rif: -L’economia cinese,Bologna,Francoise Lemoine,2005,il Mulino. Cap.1, par.1
-La Chine de 1949 à nos jours,Paris,Armand Colin,2000,trad. il Mulino
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Corea, il quale “richiede” inevitabilmente una parte importante delle risorse del paese e rallenta
il ristabilimento dell’economia cinese.
A ciò deve aggiungersi il fatto che gran parte dei paesi occidentali, come forma di ritorsione,
decidono di optare per l’embargo per la totalità del commercio con la Cina.
Una volta che l’economia cinese riprende a correre, le scelte della dirigenza cinese si orientano
progressivamente sulla via dell’influente e consolidato pensiero economico sovietico, dal quale
il governo cinese assimila, oltre a riferimenti teorici ed ideologici, la quasi totalità dei principi
organizzativi.
All’inizio della serie di riforme la collettivizzazione dell’agricoltura procede alquanto a rilento,
ma quando Mao Zedong, all’inizio del 1955, da un colpo alla formazione delle cooperative,
tutta la classe contadina, nel giro di un anno, vi entra a farne parte.
Verso la fine del 1956, l’enorme influenza dello Stato nell’industria si traduce in un controllo,
sia diretto che indiretto, quasi totale della produzione da parte di quest’ultimo.
A questo punto lo scenario è caratterizzato da due grandi categorie di impresa: per prime le
imprese pubbliche, le quali a partire dal 1956, e per lungo tempo, ricopriranno una posizione
largamente dominante; per seconde le imprese collettive che prevedono metodi di gestione del
tutto identici alle prime: hanno generalmente un giro d’affari modesto e sono poste sotto la
tutela delle autorità locali riuscendo, in questo modo, a non gravare sul bilancio dello Stato.
In parallelo a ciò, ed a partire dal 1952, vengono disposti gli strumenti di una pianificazione
centralizzata, infatti, nello stesso anno, vengono creati la Commissione statale della
pianificazione, l’Ufficio di Stato delle statistiche (che ha il compito di elaborare un sistema di
contabilità nazionale mutuato direttamente da quello dell’URSS) ed alcuni ministeri economici
specializzati.
Al momento, pur essendo fortemente orientato al modello sovietico, la pianificazione cinese è
ancora assai rudimentale rispetto a quest’ultimo; si tratta ancora di una pianificazione che si
concretizza in un economia dalla produzione non sufficientemente differenziata ed all’interno
della quale l’articolazione dei settori industriali è ancora allo stato embrionale.
Nonostante ciò i risultati conseguiti sono eccellenti: il primo piano quinquennale si dimostrerà
infatti essere quello in cui l’organizzazione dell’economia cinese si avvicina di più al suo
modello di riferimento.
Il piano quinquennale sopracitato trova il suo decorso negli anni che vanno dal 1953 al 1957,
periodo nel quale si assiste ad una rapida crescita economica i cui elementi caratterizzanti sono
la forte ambizione ed un uso praticamente illimitato di energie, proprio come nel processo di
industrializzazione staliniana.
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La priorità del governo cinese fu innanzitutto quella di sviluppare l’industria pesante, settore
che, se implementato, avrebbe più facilmente permesso di intraprendere la dura e lunga strada
per il raggiungimento di un’economia completa ed autonoma.
La cosa richiese comunque un notevole impegno sia in termini di investimenti che di prelievi: la
fonte primaria di finanziato consistette infatti in prelievi diretti ed indiretti sui prodotti agricoli, i
cui prezzi vennero mantenuti molto bassi.
Non risulta difficile intuire che la maggior parte degli sforzi e degli investimenti che la Cina
effettua in questi 5 anni sono incentrati all’industria con riferimento a quella pesante (industria
estrattiva, siderurgica, costruzioni meccaniche, ecc..).
In un lustro la Cina è in grado di gettare le basi del proprio apparato industriale.
Dati alla mano, in questo periodo la produzione industriale subisce un incremento tra il 200 ed il
300%, quella del carbone aumenta del 100% (raggiungendo i 130 milioni di tonnellate), quella
di ghisa del 200% (5 milioni di tonnellate circa), l’industria pesante, infine, quadruplica (5,4
milioni di tonnellate).
Per quanto il governo cinese sia stato intraprendente, tuttavia, non bisogna dimenticare che gli
aiuti economici e tecnici provenienti dall’URSS e dagli altri stati dell’Est Europa hanno svolto
un ruolo centrale nella realizzazione del primo piano quinquennale cinese.
Il primo periodo post-bellico vede la Cina del tutto incapace di provvedere autonomamente alla
fabbricazione di macchinari ed equipaggiamenti tecnici, di conseguenza, ogni progetto di
industrializzazione deve essere subordinato all’acquisto all’estero di materiali e tecnologie.
A partire dal 1949, e per gli anni immediatamente successivi, la Cina sposta il fulcro del proprio
commercio estero verso i paesi comunisti, tanto che nel 1957, con essi ha circa il 75% dei suoi
scambi,di cui più del 50% con l’URSS.
Per tale motivo si può affermare in termini assoluti che l’Unione Sovietica sia stata la grande
“co-protagonista” nella realizzazione dei grandi progetti previsti nel piano quinquennale cinese:
le sue consegne di materiale rappresentano circa la metà delle spese per equipaggiamento
effettuate dalla Cina nel corso di quel quinquennio.
Per capire quanto l’URSS abbia svolto un ruolo determinante per lo sviluppo economico cinese
di questo periodo, basta dire che essa concede crediti per circa 500 milioni di dollari (circa 1/5
delle sue vendite totali alla Cina) e che fornisce inoltre un imponente assistenza tecnica.
Nonostante il fatto che i risultati ottenuti alla fine del piano siano stati eccellenti, la crescita è
comunque accompagnata da disequilibri e colli di bottiglia, ed alla fine dei 5 anni si inizia a
mettere in discussione l’efficacia della trasposizione del modello sovietico alla Cina; questo
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perché i trasferimenti dal settore agricolo a quello industriale sono vincolati dal livello di
produzione che raggiunge appena la soglia di sussistenza.
All’indomani del ventesimo congresso del 1956 del partito comunista sovietico, il dissenso tra
l’URSS e la Cina diviene più profondo.
Le cause del “raffreddamento” dei rapporti tra le due nazioni sono identificabili nel fatto che la
Cina non avesse a quel tempo aderito alla condanna dello stalinismo, ne avesse ammesso la
possibilità di una coesistenza pacifica con le potenze imperialiste.
Il riavvicinamento tra Stati Uniti ed Unione Sovietica a seguito dei viaggi di Nixon a Mosca e di
Chruscev negli USA nel corso del 1959, mina il sostegno diplomatico-militare che la Cina si
attende dall’URSS.
Ormai i dirigenti sovietici ritengono che Pechino adotti una politica avventuristica sia all’interno
(con il grande balzo in avanti e le comuni popolari del 1958) sia nei propri rapporti esterni
(bombardamento delle isole Quemoy, appartenenti a Taiwan e con gli incidenti sulla frontiera
sino-indiana).
Nel biennio 1960/61 le tensioni emergono e l’Unione Sovietica opta per il ritiro dei tecnici che
partecipano ai progetti di cooperazione in Cina, inoltre gli scambi economici e commerciali
crollano e la Cina si vede costretta a rimborsare in anticipo i prestiti sovietici.
Si tratta di un duro colpo per l’economia cinese, anche perché a ciò che avviene in questi due
anni deve aggiungersi la grave crisi che si vede costretta ad affrontare a seguito del fallimento
del grande balzo in avanti.
2. LA FASE DI INSTABILITA’ DELLA POLITICA ECONOMICA DAL
1958 AL 1978
2
Al termine del più che positivo piano quinquennale si apre un periodo di forte instabilità per
l’economia cinese; questo perché, a causa degli impulsi lanciati da Mao Zedong, le
preoccupazioni ideologiche “invadono” l’ambito economico, mescolandosi alle problematiche
relative a tale settore.
Il quadro che ci viene proposto dall’economista francese Francoise Lemoine ci fa capire che il
1958 fa da teatro all’alternarsi di diverse fasi: si assiste all’intaccamento delle zavorre
economiche e sociali del paese da parte delle ambizioni rivoluzionarie, per poi passare a
situazioni diametralmente opposte.
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Rif: L’economia cinese,Bologna,F. Lemoine,2005,il Mulino. Cap.1, par.2,3