1. LA NEW ECONOMY: UN NUOVO PARADIGMA
ECONOMICO E FINANZIARIO
In tutti i più significativi cambiamenti che, nel corso della
storia, sono intervenuti in ambito economico, soprattutto quando gli
effetti di questi cambiamenti hanno generato ripercussioni sull’intera
società, i risultati a cui la ricerca storica ed economica è giunta, non
si sono mai potuti classificare come definitivi.
Le diversità di approccio o di analisi dei risultati diventano poi
ancora più complesse nel momento in cui bisogna fare i conti con
fenomeni piuttosto recenti per i sistemi economici, o addirittura per
fenomeni ancora in corso.
La nascita della cosiddetta New Economy rientra sicuramente
in uno di questi casi: i suoi profili normativi ed i suoi effetti appaiono
ancora, ad oggi, incerti, sia dal punto di vista macroeconomico (per
quanto riguarda la crescita e lo sviluppo), sia dal punto di vista
microeconomico (ad esempio in tema di costi di transazione, di
rendimenti connessi alle nuove tecnologie, di ampliamento e
variazioni nella struttura di alcuni mercati).
La New Economy è conosciuta come l’economia della Rete e
delle Telecomunicazioni, e si è sviluppata principalmente grazie alla
nascita, alla crescita e allo sviluppo di Internet, cioè quel sistema
telematico che connette in un unico insieme milioni di computer in
tutto il mondo, rendendo possibile scambiare messaggi, acquisire
informazioni, ricevere e spedire file, realizzare transazioni, in tempo
1
reale.
1
«L’Era della Rete è la possibilità, emersa negli anni ottanta, di connettere in
rete i personal computer all’interno di una organizzazione. […] La Rete nella forma
aperta e mai totalmente controllabile con la quale a partire dai primi anni ’90 ci
confrontiamo, appare con l’esplosione del fenomeno Internet (e delle Web
Tecnologies). Tale esplosione ha proseguito e accelerato il processo di
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Dal punto di vista strettamente economico, le conseguenze
più importanti del fenomeno, hanno riguardato l’ampliamento dei
mercati nelle loro dimensioni, e la velocizzazione dei loro
meccanismi di funzionamento.
La New Economy si è proposta come nuovo paradigma
economico e finanziario intorno all’ultimo decennio del ventesimo
secolo.
Due sono gli eventi principali, da un punto di vista ufficiale ed
istituzionale, che hanno permesso di datare le origini di questo
fenomeno, rivelatosi poi nel corso degli anni di fondamentale
importanza per le economie di tutto il mondo. Innanzi tutto la presa di
coscienza da parte degli Stati Uniti, durante una riunione della
Federal Reserve, o Banca Centrale nel dicembre del 1994, del
prolungato trend positivo che stava caratterizzando, ormai da quattro
anni, il tasso di crescita ed il tasso di inflazione. In secondo luogo, la
quotazione sulla borsa di New York di Netscape nell’agosto del 1995,
e la nascita nello stesso periodo del “World Wide Web”, che segna la
definitiva nascita di Internet come strumento di comunicazione e di
mercato di massa. Nella primavera del 1994, infatti, venne fondata
proprio la società Netscape, che lanciò sul mercato il primo browser
di tipo commerciale, il Navigator.
La nascita della New Economy, quindi, va a legarsi ad un
periodo di straordinaria crescita dell’economia americana. Intorno
alla metà degli anni Novanta, infatti, negli Stati Uniti si inizia ad
integrazione e di ricerca della maggiore sinergia possibile tra tecnologie e strategie
aziendali. Il concetto di gestione accentrata delle informazioni e dell’elaborazione
dei dati è oggi totalmente ribaltato. La logica dell’interconnessione, che rende tutti
gli individui nodi di un’unica Rete, impone un ripensamento del ruolo dell’ICT
all’interno delle aziende»; A. FRAU – A. STERNIERI, Information and
Communication Technology e produttività: impatti macroeconomici, implicazioni
aziendali e scenario del settore italiano, in «Rivista italiana di Ragioneria ed
Economia Aziendale», maggio-giugno 2008, pag. 4.
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essere sempre più consapevoli del fatto che l’intensa fase di crescita
e di sviluppo che si era registrata all’inizio del decennio, e che si era
poi protratta anche nella seconda metà del decennio stesso, si stava
caratterizzando contemporaneamente, per la prima volta nella storia,
da una quasi assenza di inflazione e da una quasi piena
occupazione. E la spiegazione principale del fenomeno era dovuta in
modo specifico all’innovazione tecnologica, e ad un ciclo espansivo
di processi che mai si erano riscontrati in passato, e che avevano
generato come conseguenza, appunto, un fenomeno del tutto nuovo:
la New Economy.
Anche in epoca precedente al sorgere della New Economy,
economisti classici del calibro di Smith, Ricardo e Marx, avevano
rilevato il peso sempre crescente del progresso tecnologico per tutto
quello che riguardava le dinamiche di crescita e sviluppo economico.
La questione appariva sempre con maggiore evidenza anche
2
attraverso gli studi di altri economisti, come Abramovitz e Solow.
Seppure con metodologie diverse, infatti, sia l’uno che l’altro
giungevano alla conclusione che sulla crescita economica degli Stati
Uniti tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del nuovo secolo,
l’input relativo ai tradizionali fattori della produzione – il capitale ed il
lavoro – incideva solo nella misura del 15%.
C’era un’ampia parte “residua”, dell’85%, che era
necessariamente dovuta ad altre cause, e tra queste, anche se la
conoscenza specifica sull’argomento non era ancora ben
2
I contributi a cui si fa riferimento e a cui si rimanda per una analisi completa
sono M. ABRAMOVITZ, Resource and Output Trends in the United States Since
1870, in «American Economic Review», 1956, e R.M. SOLOW, Technical change
and the Aggregate Production Function, in «Review of Economic and Statistic»,
1987.
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approfondita, un ruolo certamente non trascurabile era svolto
dall’accumulo di conoscenza e tecnologia.
Si trattava comunque di affermazioni incerte ed
approssimative, che non potevano ancora essere legate a concetti
inerenti la New Economy. Negli anni ’80 del secolo scorso, infatti,
tutti gli studi empirici effettuati sulle nuove tecnologie digitali utilizzate
nell’economia Statunitense, fornivano risultati piuttosto deludenti.
Solo nel decennio successivo inizia a maturare l’idea per la
quale ci si rende cono di trovarsi di fronte ad una vera e propria
novità, che nonostante alcuni pareri ancora contrastanti, continuava
a diventare sempre più solida e ben definita.
2. LA RIVOLUZIONE DELL’INFORMATION E
COMMUNICATION TECHNOLOGY (ICT)
Risultava con evidenza sempre maggiore, il nesso
fondamentale che legava la New Economy con la globalizzazione,
anche se sono stati molti gli studiosi che hanno per lungo tempo
sottovalutato l’importanza di questo legame: questo nuovo
paradigma economico e finanziario rappresentava un vero e proprio
evento di rottura rispetto all’evoluzione storica ed economica
precedente, ed era proprio attraverso esso che il mondo diventava
veramente globale.
Parlando della New Economy in un’accezione più ristretta,
prendiamo in considerazione l’economia dell’Information e
Communication Technology, o ICT, nell’acronimo inglese. L’ICT è
quell’ambito della New Economy che riguarda, insieme ad Internet, le
più avanzate tecnologie relative all’informazione e alla
comunicazione.
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La rivoluzione legata all’Information e Communication
Technology, a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, ha reso
inevitabili svariati processi di ristrutturazione dei principali sistemi
capitalistici, anche come conseguenza del passaggio dalla old-
economy, focalizzata principalmente sui fattori produttivi tradizionali
quali lavoro, capitale e infrastrutture, sulla loro corretta gestione e
3
sulla minimizzazione dei costi, alla cosiddetta economia digitale.
Con il passaggio all’economia digitale, quello che fa la
differenza diventa la capacità di generare e diffondere conoscenza, e
questo crea inevitabilmente un cambiamento nell’impostazione
classica dell’economia: gli asset fisici finiscono sempre di più per
perdere l’importanza che li aveva caratterizzati, ad appannaggio
degli “asset di conoscenza”, che diventano sempre più predominanti.
In questo senso, l’accelerazione legata alla creazione di valore
economico si genera attraverso la produzione e l’utilizzo di
informazioni (ossia di un bene pubblico), e soprattutto attraverso la
differenza tra il suo valore d’uso ed il suo costo.
Fin dalle primissime fasi della loro diffusione, intorno all’inizio
degli anni ’70, le tecnologie dell’informazione sono state ritenute
innovazioni di importanza fondamentale, sia da un punto di vista
economico che da un punto di vista sociale e di collettività. Molti
4
studiosi infatti, tra cui Rosemberg, avevano largamente intuito che le
nuove possibilità che si stavano facendo strada in ambito di gestione
e organizzazione delle informazioni, avrebbero potuto avere delle
3
Per un approfondimento maggiore, si veda, tra gli altri, G. MORELLI,
L’economia digitale tra innovazione e tradizione, in «Economia del servizi», vol.1,
2009.
4
N. ROSEMBERG, Inside the black bow, Cambridge University Press, 1982, e
N. ROSEMBERG, Exploring the black box: Technology, Economics and History,
Cambridge University Press, 1994.
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significative ricadute positive in molti settori dell’economia, con effetti
legati soprattutto all’incremento della produttività del lavoro, alla
crescita della produttività totale dei fattori, alla nascita di nuovi
mercati, e non ultimo, alla crescita del Prodotto Interno Lordo (PIL).
Sono proprio queste le motivazioni per le quali, esperti del
settore, arrivano a definire queste tipologie di innovazioni radicali
come General Purpose Technologies (GPTs), cioè quelle forme
estreme di innovazioni soggette nel tempo a continui miglioramenti e
a riduzioni del loro prezzo unitario, in grado di modificare l’assetto
produttivo di tutto il tessuto economico e di favorire la nascita e lo
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sviluppo di nuove traiettorie tecnologiche ed economiche.
6
Anche la vasta letteratura sulla crescita endogena fornisce
importanti spunti teorici su come il progresso tecnologico genera
rendimenti crescenti nell’intera economia, grazie a effetti di spillover
intra ed intersettoriali, ed in quest’ottica l’ICT può sicuramente essere
accreditata come un importante motore di sviluppo economico, in
grado di garantire rendimenti crescenti grazie al contributo alla
produttività in tutti i settori dell’economia.
5
Tra tutti, per un’analisi delle GPTs e delle loro implicazioni economiche si
vedano, per esempio, T.BRESNAHAN E T. TRAJTENBERG, General Purpose
Technologies: Engines of Growth, in Journal of Econometrics, Vol. 65, pagg. 83-
108, 1995; T. BRESNAHAN, A. GAMBARDELLA, The Division of Inventive Labour
and the Extent of the Market, in E. HELPMAN (a cura di) General Purpose
Technologies and Economic Growth, MIT Press, Cambridge MA, 1998.; P.A
DAVID, G. WRIGHT, General Purpose Technologies and Surge in Productivity:
Historical Reflections on the Future of the ICT Revolution, Discussion Papers in
Economic and Social History, University of Oxford, n. 31, 1999.
6
Sulla letteratura riguardante la Teoria della Crescita Endogena, tra i contributi
pioneristici e fondamentali sull’argomento si devono includere, tra gli altri,
P.ROMER, Increasing returns and long-run growth, Journal of Political Economy,
n. 94 ottobre 1986, pp. 1002-1037; R.E. LUCAS Jr., On the mechanism of
economic development, Journal of Monetary Economics, n. 22/1988, pp. 3-42. Un
ulteriore contributo è quello di C.I. JONES, Introduction to economic growth,
Norton, New York, 1998.
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Alla luce dell’importanza del fenomeno, quindi, risulta sempre
più importante tenere in maggiore considerazione, piuttosto che
sottovalutare come invece spesso è stato fatto, le prospettive e le
possibilità che si presentano grazie a questa vera e propria
rivoluzione; e gli effetti coinvolgono tanto aspetti macroeconomici,
legati alla crescita e allo sviluppo, quanto aspetti microeconomici, in
relazione ai mercati, alle loro configurazioni ed ai profili fiscali e
monetari.
Come si è visto, l’innovazione e lo sviluppo di nuove
tecnologie sono considerati a tutti gli effetti tra i fattori più importanti
quando si parla di crescita economica.
Diventa quindi molto importante cercare di indagare sulle
modalità attraverso cui le Tecnologie ICT vengono ad essere
implementate all’interno delle diverse economie mondiali, e
soprattutto, analizzare se le aspettative su questa tipologia di
investimenti in cosiddette «infrastrutture digitali», sono state (o
saranno nel lungo periodo) soddisfatte.
3. EFFETTI GENERALI DELL’INFORMATION AND
COMMUNICATION TECHNOLOGY SULLA CRESCITA ECONOMICA
Secondo l’OCSE (2003; pp. 38-50) esistono tre diversi canali
attraverso cui l’ICT può impattare sulla produttività e sulla crescita di
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un paese:
i. un’accelerazione della produttività nel settore che si
occupa della produzione delle tecnologie stesse, che
7
L.PUPILLO, Impatto della banda larga sulla crescita economica: evidenze
della letteratura, in «L’industria», n. 4, ottobre-dicembre 2009.
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può diventare più efficiente rispetto al resto
dell’economia e tende quindi ad aumentare la
produttività media del sistema («effetto produzione»);
ii. le imprese degli altri settori, che dotandosi di tecnologie
digitali aumentano il loro stock di capitale per addetto e
di conseguenza aumentano la produttività del lavoro
(«effetto utilizzo»);
iii. l’adozione delle nuove tecnologie, migliorando il modo
in cui le aziende gestiscono e combinano tra di loro i
fattori produttivi, ha degli effetti di ricaduta (o spillover),
su quella che è la «produttività totale dei fattori».
Analizzando il primo di questi effetti, l’OCSE afferma che negli
Stati Uniti, il settore dell’industria che si occupa della produzione di
tecnologie digitali ha registrato una crescita significativa nella
produttività verso la seconda metà degli anni ’90. Il fenomeno è
confermato anche dall’analisi effettuata ad opera di altri paesi, e le
principali statistiche industriali confermano che la produttività del
lavoro nei settori maggiormente coinvolti dall’ICT è cresciuta molto
più rapidamente rispetto al sistema manifatturiero nel suo
complesso.
In relazione all’effetto utilizzo, invece, si sottolinea che gli
investimenti in ICT hanno avuto un impatto notevole sul livello totale
di investimenti dei paesi OCSE. La quota di tali investimenti, infatti,
nel corso degli anni ’90 è cresciuta stabilmente ed ha soprattutto
contribuito alla crescita dell’output totale per ciascuno dei vari paesi
considerati. Questo ha avuto inevitabilmente delle ripercussioni sulla
crescita del PIL e della produttività del lavoro tra 0,3 e 0,8 punti
percentuali nel periodo 1995-2001.
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Infine, in relazione agli effetti di spillover sulla produttività
totale dei fattori, l’OCSE nei suoi studi si trova a dover affrontare una
serie di difficoltà legate principalmente all’impossibilità di identificare
in modo esatto i cambiamenti qualitativi degli stock di capitali e alla
difficoltà, per alcuni paesi, di reperire dati che permettano tali
valutazioni. Per tali motivazioni l’OCSE ha costruito delle proxy
relative a questa grandezza per poter operare confronti e valutazioni
in riferimento al decennio 1990-2000.
Tali confronti hanno permesso di evidenziare delle significative
variazioni nella produttività totale dei fattori soprattutto in Canada, in
Australia e negli Stati Uniti, dove il valore di queste grandezze ha
fatto registrare un deciso recupero rispetto al trend negativo degli
anni precedenti. Al contrario, tutte le misure relative a paesi come
Germania, Francia e Italia, mostrano delle significative diminuzioni.
Sorge naturale, a questo punto, domandarsi quali sono le
motivazioni alla base di queste differenze, in alcune occasioni molto
marcate, tra i vari sistemi economici considerati. Perché alcuni paesi
sono riusciti meglio di altri a sfruttare le opportunità offerte dallo
sviluppo e dall’implementazione delle nuove tecnologie, e di
conseguenza ad affermare settori con tassi di produttività più elevati?
4. ICT ED EVIDENZE DELLA LETTERATURA
Tutti i principali studi e lavori che sono stati effettuati sull’ICT
hanno avuto, ed hanno tutt’ora, come obiettivo fondamentale quello
di indagare in che modo, e soprattutto in quale misura, gli
investimenti in Information e Communication Technology incidono
sulla crescita del PIL, sulla produttività, sul livello di occupazione, e
più in generale quali sono gli effetti a livello macroeconomico e
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microeconomico che un sistema economico che si approccia a
investimenti di questo genere, può aspettarsi.
Come per tante altre «rivoluzioni tecnologiche» che si sono
succedute nella storia (basti pensare alla scoperta dell’elettricità),
l’approccio risulta nella maggior parte dei casi estremamente diverso,
da paese a paese e da situazione a situazione, soprattutto in
relazione all’elevato grado di incertezza circa i risultati, caratteristica
fondamentale di innovazioni tecnologiche radicali. Quando si parla di
incertezza, ci si riferisce tanto all’incertezza tecnica – legata al fatto
che le innovazioni non nascendo perfettamente funzionanti
necessitano di successivi aggiustamenti, ed ogni “tappa” successiva
comporta un rischio – quanto a ragioni di natura ambientale – legate
soprattutto al fatto che ogni innovazione necessita di essere
assimilata, e tali processi sono spesso lenti e soggetti ad una serie di
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condizionamenti.
Altro fattore fondamentale nella diversità di approccio, è quello
legato al superamento delle barriere che derivano dalle cosiddette
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conoscenze tacite: questo superamento può avvenire solo per tappe
che, oltre ad essere numerose, lunghe e lente, richiedono
conoscenza e una certa esperienza pratica. I divari tra i cosiddetti
paesi pionieri e gli inseguitori, finiscono così per ampliarsi sempre di
più.
8
Per un maggiore approfondimento sul tema del trasferimento dell’innovazione
tecnologica si veda L. BOGGIO – G. SERAVALLI, Lo sviluppo economico. Fatti,
Teorie, Politiche, Il Mulino, 2003.
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«Le conoscenze tacite sono competenze sulle tecnologie produttive che
normalmente non possono essere comunicate in modo esplicito e formale e
devono perciò essere acquisite con l’esperienza formale e diretta, eventualmente
assistita da chi già la possiede», L. BOGGIO – G. SERAVALLI, Lo sviluppo
economico. Fatti, Teorie, Politiche, op.cit., pag 193.
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