7
La realtà de “La Gabbianella” è esempio di come si riescano a raccordare limiti e
potenzialità della Sindrome di Down, grazie alla linea educativa tipica dell’autonomia.
L’obiettivo principale infatti, di questo mio progetto di tesi è quello di cogliere gli aspetti del
delicato rapporto tra Sindrome di Down e pregiudizio e di come, lo sviluppo delle autonomie
diventi opportunità per riscoprire l’infinita ricchezza e possibilità della persona con
Sindrome di Down, riuscendo a vedere l’uomo aldilà della disabilità.
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PRIMO CAPITOLO: LA DISABILITA’ E IL PREGIUDIZIO
Chiamatemi per nome
Non voglio più essere conosciuta
per ciò che non ho
ma per quello che sono:
una persona come tante altre.
Chiamatemi per nome.
Anch'io ho un volto, un sorriso, un pianto,
una gioia da condividere.
Anch'io ho pensieri, fantasia, voglia di volare.
Chiamatemi per nome.
Non più portatrice di handicap, disabile,
handicappata, cieca, sorda, spastica, tetraplegica.
Forse usate chiamare gli altri:
"portatore di occhi castani" oppure "inabile a cantare"?
o ancora: "miope" oppure "presbite"?
Per favore.
Abbiate il coraggio della novità.
Abbiate occhi nuovi per scoprire che,
prima di tutto,
io "sono".
Chiamatemi per nome.
Poesia scelta dall’Associazione “Sesto Senso”, vincitrice del concorso "Chiamatemi per nome" promosso
dall' Associazione "Integrazione" Onlus e dal Centro Documentazione Handicap di Bologna
È questa la voce di una persona con disabilità, ovvero di chi, più di qualsiasi manuale
diagnostico o etichetta medica, può farci comprendere il lato più profondo ed emotivo della
disabilità. È solo una delle tante voci, un grido disperato e rassegnato, in cui però, purtroppo
ancora oggi, si potrebbero identificare la maggior parte delle persone che condividono la
stessa condizione.
Le parole di questa semplice poesia trasmettono la difficoltà, vissuta da gran parte delle
persone con disabilità, di non essere riconosciute se non attraverso la loro condizione di
disabile. Ogni giorno sbattono contro il muro degli sguardi di chi, non riesce a riconoscerne,
oltre la disabilità, le potenzialità e la propria singolare individualità.
E’ proprio partendo dai limiti, dalle limitazioni, dagli enormi ostacoli che incontrano tutti i
giorni le persone con disabilità, che parte il nostro percorso di conoscenza e presa di
coscienza di essa, per arrivare ad una visione della disabilità che, dopo averne considerato i
limiti, ne esalta ed evidenzia le enormi risorse.
9
1.1 Il significato della disabilità: dall’ICIDH all’ICF
Innanzitutto un breve cenno storico a sottolineare il percorso di cambiamento culturale e il
contesto storico-culturale in cui il termine disabilità è oggi inserito.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha elaborato nel 2001 uno strumento di
classificazione che analizza e descrive la disabilità come esperienza umana che tutti possono
sperimentare. Tale strumento, denominato ICF, propone un approccio all’individuo
normodotato e diversamente abile dalla portata innovativa e multidisciplinare.
Tale strumento, poco conosciuto e utilizzato in ambito educativo, rappresenta una fonte
importante di analisi relativa al mondo della disabilità.
A partire dalla seconda metà del secolo scorso l’Organizzazione Mondiale della Sanità
(OMS) ha elaborato differenti strumenti di classificazione inerenti l’osservazione e l’analisi
delle patologie organiche, psichiche e comportamentali delle popolazioni, al fine di
migliorare la qualità della diagnosi di tali patologie.
La prima classificazione elaborata dall’OMS, “La Classificazione Internazionale delle
malattie” (ICD, 1970) risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie, fornendo per
ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed
indicazioni diagnostiche.
L’ICD si delinea quindi come una classificazione causale, focalizzando l’attenzione
sull’aspetto eziologico della patologia. Le diagnosi delle malattie vengono tradotte in codici
numerici che rendono possibile la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati.
L’ICD rivela ben presto vari limiti di applicazione e ciò induce l’OMS ad elaborare un
nuovo manuale di classificazione, in grado di focalizzare l’attenzione non solo sulla causa
delle patologie, ma anche sulle loro conseguenze: “La Classificazione Internazionale delle
menomazioni, delle disabilità e degli handicap” (ICIDH, 1980)
1
L’ICIDH non coglie la causa della patologia, ma l’importanza e l’influenza che il contesto
ambientale esercita sullo stato di salute delle popolazioni. Con l’ICIDH non si parte più dal
concetto di malattia inteso come menomazione, ma dal concetto di salute, inteso come
benessere fisico, mentale, relazionale e sociale che riguarda l’individuo, la sua globalità e
l’interazione con l’ambiente.
L’OMS dichiara l’importanza di utilizzare l’ICD e l’ICIDH in modo complementare,
favorendo l’analisi e la comprensione delle condizioni di salute dell’individuo in una
1
OMS, Classificazione Internazionale delle menomazioni, disabilità e degli handicap
(ICIDH), Cles, 1980
10
prospettiva più ampia, in quanto i dati eziologici vengono integrati dall’analisi dell’impatto
che quella patologia può avere sull’individuo e sul contesto ambientale in cui è inserito.
Nel 1980 l’OMS pubblicò un primo documento dal titolo “International Classification of
Impairments, Disabilities and Handicaps” (ICIDH)
2
. In tale pubblicazione veniva fatta
l’importante
distinzione fra:
• menomazione: perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica,
fisiologica o anatomica;
• disabilità: qualsiasi limitazione o perdita (conseguente a menomazione) della capacità di
compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano;
• handicap: condizione di svantaggio conseguente ad una menomazione o ad una disabilità
che in un certo soggetto limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale per tale
soggetto in relazione all’età, al sesso e ai fattori socioculturali.
Mentre per un individuo la menomazione ha carattere permanente, la disabilità dipende
dall’attività che si deve esercitare e l’handicap esprime lo svantaggio che ha nei riguardi
degli altri individui, i cosiddetti “normali”.
L’aspetto significativo di questo primo documento dell’OMS è stato quello di associare lo
stato di un individuo non solo a funzioni e strutture del corpo umano, ma anche ad attività a
livello individuale o di partecipazione nella vita sociale.
La classificazione ha mostrato invece i suoi limiti nell’eccessivo richiamo al modello
medico. Secondo tale modello la disabilità è un impedimento biologico permanente, un
limite da superare, una “normalità mancata” o perlomeno deficitaria; la persona con
disabilità, o come dicono i sostenitori del modello medico, handicappata, è una persona con
abilità minori rispetto le persone non disabili o che sono guarite: una persona quindi da
curare, e che desidera ardentemente tornare
alla normalità che gli è stata tragicamente negata o sottratta.
Tale modello si occupa quindi esclusivamente della classificazione diagnostica e della
riabilitazione dell’handicap, offrendo terapie strumentali e/o chirurgiche che consentono al
soggetto “celebroleso di progredire verso la strada della guarigione”.
3
2
Tratto da un articolo di Federica Ferraresi, Un nuovo strumento per analizzare i molteplici aspetti della
disabilità: La Classificazione ICF, sul sito www.educare.it, Anno V, numero 4, marzo 2005
3
Dalla brochure di presentazione dell’Institutes for the Achievement of Human Potential, centro di
riabilitazione
fondato a Filadelfia, con sede anche in Italia dal 1987.
11
Il limite quindi di questo modello è quello di considerare l’handicappato come semplice
oggetto di un intervento standardizzato, perdendo di vista la globalità nonché dignità della
persona e il suo contesto sociale.
Il secondo documento pubblicato dall’OMS nel 2001 ha per titolo “International
Classification of Functioning, Disability and Health” (ICF), un titolo già di per sé indicativo
di un cambiamento
sostanziale e rivoluzionario nel modo di porsi di fronte al problema: non ci si riferisce più ad
un disturbo, strutturale o funzionale, senza prima rapportarlo ad uno stato considerato di
salute e, soprattutto, all’ambiente circostante che lo crea.
Viene così spostata la causa di esclusione sociale dalla disabilità all’ambiente: la persona non
può partecipare alla vita sociale non a causa della sua disabilità ma a causa delle barriere
architettoniche che tale società possiede.
I nuovi termini introdotti dall’ICF
4
sono :
• funzioni corporee: funzioni fisiologiche dei sistemi corporei, incluse le funzioni
psicologiche;
• strutture corporee: parti anatomiche del corpo come ad esempio organi, arti e i loro
componenti;
• attività: l’esecuzione di un compito o di un’azione da parte di un individuo;
• partecipazione: grado di coinvolgimento di un individuo in una situazione di vita;
• fattori ambientali: caratteristiche, del mondo fisico, sociale e degli atteggiamenti, che
possono
avere impatto sulle prestazioni di un individuo in un determinato contesto.
L’ICF si delinea come una classificazione che vuole descrivere lo stato di salute delle
persone in relazione ai loro ambiti esistenziali (sociale, familiare, lavorativo) al fine di
cogliere le difficoltà che nel contesto socio-culturale di riferimento possono causare
disabilità.
Tramite l’ICF si vuole quindi descrivere non le persone, ma le loro situazioni di vita
quotidiana in relazione al loro contesto ambientale e sottolineare l’individuo non solo come
persona avente malattie o disabilità, ma soprattutto evidenziarne l’unicità e la globalità.
Lo strumento descrive tali situazioni adottando un linguaggio standard ed unificato, cercando
di evitare fraintendimenti semantici e facilitando la comunicazione fra i vari utilizzatori in
tutto il mondo.
4
ICF 2001, Classificazione Internazionale del Funzionalmento della Disabilità e della Salute, OMS, Erickson,
Trento, 2001
12
1.2 Aspetti innovativi della classificazione ICF
Il primo aspetto innovativo della classificazione emerge chiaramente nel titolo della stessa.
A differenza delle precedenti classificazioni (ICD e ICIDH), dove veniva dato ampio spazio
alla descrizione delle malattie dell’individuo, ricorrendo a termini quali malattia,
menomazione ed handicap (usati prevalentemente in accezione negativa, con riferimento a
situazioni di deficit) nell’ultima classificazione l’OMS fa riferimento a termini che
analizzano la salute dell’individuo in chiave positiva (funzionamento e salute).
L’ICF vuole fornire un’ampia analisi dello stato di salute degli individui ponendo la
correlazione fra salute e ambiente, arrivando alla definizione di disabilità, intesa come una
condizione di salute in un ambiente sfavorevole.
L’analisi delle varie dimensioni esistenziali dell’individuo porta a evidenziare non solo come
le persone convivono con la loro patologia, ma anche cosa è possibile fare per migliorare la
qualità della loro vita.
Il concetto di disabilità introduce ulteriori elementi che evidenziano la valenza innovativa
della classificazione:
- universalismo;
- approccio integrato;
- modello multidimensionale del funzionamento e della disabilità.
L’applicazione universale dell’ICF emerge nella misura in cui la disabilità non viene
considerata un problema di un gruppo minoritario all’interno di una comunità, ma
un’esperienza che tutti, nell’arco della vita, possono sperimentare. L’OMS, attraverso l’ICF,
propone un modello di disabilità universale, applicabile a qualsiasi persona, normodotata o
diversamente abile.
L’approccio integrato della classificazione si esprime tramite l’analisi dettagliata di tutte le
dimensioni esistenziali dell’individuo, poste sullo stesso piano, senza distinzioni sulle
possibili cause.
Il concetto di disabilità preso in considerazione dall’Organizzazione Mondiale della Sanità
vuole evidenziare non i deficit e gli handicap che rendono precarie le condizioni di vita delle
persone, ma vuole essere un concetto inserito in un continuum multidimensionale. Ognuno di
noi può trovarsi in un contesto ambientale precario e ciò può causare disabilità. E’ in tale
ambito che l’ICF si pone come classificatore della salute, prendendo in considerazione gli
aspetti sociali della disabilità: se, ad esempio, una persona ha difficoltà in ambito lavorativo,
ha poca importanza se la causa del suo disagio è di natura fisica, psichica o sensoriale. Ciò
13
che importa è intervenire sul contesto sociale costruendo reti di servizi significativi che
riducano la disabilità.
L’ICF, adottando approcci di tipo universale e multidisciplinare, può essere utilizzata in
discipline e settori diversi.
I suoi scopi principali sono:
- fornire una base scientifica per la comprensione e lo studio della salute, delle condizioni,
conseguenze e cause determinanti ad essa correlate;
- stabilire un linguaggio standard ed univoco per la descrizione della salute delle popolazioni
allo scopo di migliorare la comunicazione fra i diversi utilizzatori, tra cui operatori sanitari,
ricercatori, esponenti politici e la popolazione, incluse le persone con disabilità;
- rendere possibile il confronto fra i dati relativi allo stato di salute delle popolazioni raccolti
in Paesi diversi in momenti differenti;
- fornire uno schema di codifica sistematico per i sistemi informativi sanitari.
L’utilizzazione dell’ICF non solo consente di reperire informazioni sulla mortalità delle
popolazioni, sugli esiti non fatali delle malattie e di comparare dati sulle condizioni di salute
di una popolazione in momenti diversi e tra differenti popolazioni, ma anche di favorire
interventi in campo socio-sanitario in grado di migliorare la qualità della vita delle persone.
A tal proposito, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, tramite l’opera di diffusione
dell’ICF portata avanti dal Disability Italian Network (DIN), si propone di coordinare i
sistemi nazionali e regionali, al fine di sperimentare metodologie uniformi per avere
un’analisi dettagliata della disabilità in Italia.
Le informazioni raccolte dall’ICF descrivono situazioni relative al funzionamento umano e
alle sue restrizioni. La classificazione organizza queste informazioni in due parti, in modo
interrelato e facilmente accessibile.
La prima parte si occupa di “Funzionamento e Disabilità”, mentre la seconda riguarda i
“Fattori Contestuali”. La prima parte è costituita dalla componente Corpo, che comprende
due classificazioni, una per le “Strutture Corporee” e una per le “Funzioni Corporee” e dalla
componente “Attività e Partecipazione”, che comprende l’insieme delle capacità del
soggetto in relazione allo svolgimento di un determinato compito nell’ambiente circostante.
Ogni componente viene codificata facendo riferimento a codici alfanumerici e a qualificatori
che denotano l’estensione o la gravità delle menomazioni a carico delle funzioni e strutture
corporee e delle capacità del soggetto nell’eseguire determinati compiti.
Le componenti sopra elencate vengono influenzate dai fattori ambientali, che comprendono
l’ambiente fisico, sociale e degli atteggiamenti in cui le persone vivono e conducono la loro
14
esistenza. Questi fattori possono infatti avere un’influenza positiva o negativa sulla
partecipazione dell’individuo come membro della società, sulle capacità dello stesso di
eseguire compiti, sul suo funzionamento o struttura del corpo.
I fattori personali (sesso, razza, fattori socio-economici, età, stile di vita, educazione ricevuta,
ecc.) non vengono classificati nell’ICF a causa della loro grande variabilità culturale e
sociale.
La classificazione ICF, tramite l’analisi delle varie componenti che la caratterizzano,
evidenzia l’importanza di avvicinarsi alla disabilità facendo riferimento ai molteplici aspetti
che la denotano come esperienza umana universale, che tutti possono vivere nell’arco della
loro esistenza.
La disabilità non è solo deficit, mancanza, privazione a livello organico o psichico, ma è una
condizione che va oltre la limitazione, che supera le barriere mentali ed architettoniche
5
.
Disabilità è una condizione universale e pertanto non è applicabile solo alla persona che si
trova su una carrozzina, che non vede o non sente. L’ICF sottolinea l’importanza di valutare
l’influenza dell’ambiente sulla vita degli individui: la società, la famiglia, il contesto
lavorativo possono influenzare lo stato di salute, diminuire le nostre capacità di svolgere
mansioni che ci vengono richieste e porci in una situazione di difficoltà.
L’ICF propone quindi un’analisi dettagliata delle possibili conseguenze sociali della
disabilità avvicinandosi con umanità e rispetto alla condizione disabile.
Qui di seguito, i due modelli messi a confronto.
5
Le barriere architettoniche sono tutti quegli ostacoli fisici che possono limitare l’accessibilità non solo alle
persone
con disabilità, ma anche ad esempio alla persona anziana che deve salire sull’autobus, al bambino che deve
imbucare
una lettera, alla mamma a spasso con il passeggino, al ragazzo che si è fratturato una gamba e usa le stampelle.
L’accessibilità quindi diventa un modo di pensare e progettare che includa tutti, non solo le persone con
disabilità. L’abbattimento delle barriere architettoniche è regolamentato da una vasta e consolidata normativa.
15
SCHEDA 1
LA CLASSIFICAZIONE ICIDH DEL 1980 E LA CLASSIFICAZIONE ICF DEL
2001
ICIDH (1980)
ICF (2001)
Menomazioni
Menomazioni della capacità intellettiva
Altre menomazioni psicologiche
Menomazioni del linguaggio e della
parola
Menomazioni auricolari
Menomazioni oculari
Menomazioni viscerali
Menomazioni scheletriche
Menomazioni deturpanti
Menomazioni generalizzate, sensoriali e
di altro tipo
Disabilità
Disabilità nel comportamento
Disabilità nella comunicazione
Disabilità nella cura della propria
persona
Disabilità locomotorie
Disabilità dovute all’assetto corporeo
Disabilità nella destrezza
Disabilità circostanziali
Disabilità in particolari attività
Altre restrizioni all’attività
Handicap
Handicap nell’orientamento
Handicap nell’indipendenza fisica
Handicap nella mobilità
Handicap occupazionali
Funzioni corporee
Funzioni mentali
Funzioni sensoriali e dolore
Funzioni della voce e dell’eloquio
Funzioni del sistema cardiovascolare,
ematologico,
immunologico e respiratorio
Funzioni del sistema digestivo, metabolico e
endocrino
Funzioni genitourinarie e riproduttive.
Funzioni neuromuscoloscheletriche e collegate al
movimento
Funzioni cute e strutture associate
Strutture corporee
Strutture del sistema nervoso
Occhio, orecchio e strutture collegate
Strutture collegate alla voce e all'eloquio
Strutture dei sistemi cardiovascolare,
immunologico e
Respiratorio
Strutture collegate al sistema digestivo,
metabolico e endocrino
Strutture collegate al sistema genitourinario e
riproduttivo
Strutture collegate al movimento
Cute e strutture collegate
Attività e partecipazione
Apprendimento e applicazione della conoscenza
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Handicap nell’integrazione sociale
Handicap nell’autosufficienza economica
Altri handicap
Compiti e richieste di carattere generale
Comunicazione
Mobilità
Cura della propria persona
Vita domestica
Interazioni e relazioni interpersonali
Principali aree della vita
Vita di comunità, sociale e civica
Fattori ambientali
Prodotti e tecnologia
Ambiente naturale e cambiamenti apportati
dall’uomo
all’ambiente
Supporto e relazioni
Atteggiamenti
Servizi, sistemi e politiche
Un cambiamento evidente di questa seconda versione del documento è la sua applicazione
universale: l’ICF infatti non si riferisce solo alle persone con disabilità, ma a tutti. Anche la
terminologia cambia; si nota infatti un rovesciamento dei termini in positivi. Si parla di
funzioni e strutture anziché di impedimenti, di attività invece che di disabilità e
partecipazione piuttosto che handicap.
Risulta quindi evidente il tentativo di sottolineare gli aspetti propositivi e di valorizzazione
della persona con disabilità piuttosto che gli elementi di tragicità ed handicap.
1.3 Evoluzione del linguaggio sulla disabilità
La cattiva coscienza collettiva per il trattamento riservato a chi ha qualche disabilità
congenita o acquisita rispetto a quella che si ritiene la “norma” delle capacità fisiche o
psichiche si è riflessa in Italia nel succedersi di nomi e formule. Attraverso le diverse
denominazioni, veniva pian piano a mutare la concezione che la società aveva delle persone
con disabilità.
Nel tempo, nella storia si è venuta a modificarsi il modo di chiamare, definire e vivere la
disabililtà.
17
La disabilità storicamente è sempre stata ricondotta a un’idea negativa. La nostra tradizione
culturale ci porta a considerare la bellezza come un aspetto di bontà, del bene che è
connaturato al bello, mentre il vizio viene ricondotto all’idea del brutto e alla libertà.
Il disabile viene collegato all’essere brutto perché facente parte della categoria incompresa.
Da sempre persone con disabilità hanno avuto una storia difficile. Considerati elementi di
disturbo, hanno vissuto diverse vicissitudini, usati come saltimbanchi o fenomeni di
attrazione nei cerchi, descritti dalla letteratura come creature disgraziate, infelici, cattive,
naturalmente brutte. Questa non-relazione e non riconoscimento, veniva pienamente a
rispecchiarsi nelle vecchie parole invalido e minorato, invalidità e minorazione, che
sostituivano parole ancor più crude e spesso dall'origine offensiva (idiota, storpio...) che
hanno resistito a lungo non solo nel linguaggio burocratico. La risonanza negativa che un po'
alla volta ha cominciato ad accompagnarle ha spinto ad accettare dagli anni Cinquanta la
parola handicap e handicappato. Ma a sua volta, soprattutto l'aggettivo e il sostantivo
handicappato, già negli anni Settanta ha cominciato ad essere adoperato come insulto. Si è
avuto allora un nuovo rimbalzo eufemistico ed è nata la dizione portatore di handicap. Ma è
parsa insufficiente; così si è tentato di usare in seguito l'aggettivo e sostantivo disabile o
persona con disabilità, anche per influenza dell'inglese disabled person.
Negli ultimi anni, hanno fatto la loro apparizione neologismi quali diversamente abile, od
anche diversabile e diversabilità, che hanno sollevato però aspre critiche: “Ma diverso da
chi? Non è una qualità umana preziosa il fatto che per qualche aspetto siamo tutte e tutti
diversi?”.
L’attenzione alle parole è fondamentale, non esclusivamente per un fatto estetico o formale,
ma perché nelle parole è contenuto il modello operativo a cui si fa riferimento. In questo
caso, è molto importante non fare confusione tra deficit, disabilità e handicap: utilizzare
termini impropri e fare conclusioni linguistiche può essere un modo per aumentare
l’handicap, anziché ridurlo
6
.
Al centro sta la persona, che chiamiamo in vari modi e ciascuna delle definizioni, di cui
sopra si è dato elenco, ha i propri svantaggi e vantaggi.
Il punto di partenza deve però essere chiaro: l’individuo è relativamente handicappato, cioè
l’handicap è un fatto relativo e non assoluto, al contrario di ciò che si deve dire per il deficit.
In altri termini, un’amputazione non può essere negata e quindi è assoluta; lo svantaggio
(handicap) è invece relativo alle condizioni di vita e di lavoro, in una parola della realtà di
cui l’individuo amputato è collocato.
6
Tratto da un articolo sul sito www.asphi.it di Canevaro A., Le parole che fanno la differenza, Edizioni
Erickson, Trento, 1999