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INTRODUZIONE
Il progetto di questa tesi nasce dall’esperienza di tirocinio svolto durante l’A.A.
2015/2016 presso il Servizio Educativo dell’’Unità Operativa Complessa di
Riabilitazione Specialistica delle Cerebrolesioni Acquisite, presso l’IRRCS “E. Medea”,
Sede Centrale e di Polo Bosisio Parini.
Le Gravi Cerebrolesioni Acquisite (GCA) rappresentano una tra le principali cause di
mortalità e di disabilità, soprattutto in età evolutiva, con esiti spesso severi,
complessi, multipli ed evolutivi. Colpiscono ogni anno dai 200 ai 300 italiani ogni
100.000 abitanti.
Il paziente con GCA ha sempre una storia clinica impegnativa, che passa attraverso
una fase iniziale in cui le condizioni generali sono critiche e richiedono il ricovero
nelle Unità di Terapia Intensiva, alla quale deve seguire il trasferimento presso una
struttura specializzata per la valutazione degli esiti ed il loro trattamento riabilitativo
intensivo, prima del reinserimento familiare e sociale. Per migliorare l’outcome i
pazienti devono poter contare su appropriate metodiche di gestione clinica e di
trattamento, al fine di ottenere il maggior recupero funzionale, uno sviluppo il più
possibile normale, l’apprendimento di strategie finalizzate all’autonomia personale.
Alla luce di queste considerazioni, appare indispensabile affrontare queste
patologie con un approccio multidisciplinare, l’unico che garantisca la presa in
carico globale del paziente, delle sue problematiche e la loro evoluzione, mediante
l’attività di un’equipe di professionisti della riabilitazione. E’ di fondamentale
importanza l’assessment, valutazione clinico-funzionale multidisciplinare che
permette di stabilire le condizioni psico-fisiche del soggetto, per procedere secondo
obiettivi sufficientemente concreti da essere auspicabilmente raggiungibili.
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Questo lavoro ha l’obiettivo di illustrare, attraverso la presentazione di un caso
clinico, come lo sviluppo delle abilità sociali rappresenti una parte integrante del
progetto riabilitativo per pazienti con cerebrolesione acquisita durante la fase degli
esiti, cioè quel periodo successivo al ricovero riabilitativo post acuto. Inoltre si
propone di dimostrare come il tema dello sviluppo delle Life Skills, ritenute
competenze desiderabili per persone normodotate in età evolutiva, possa risultare
applicabile anche con i giovani pazienti di questo contesto clinico.
Il “Progetto Abilità Sociali”, argomento di questa tesi, viene realizzato presso l’IRCCS
“E. Medea”; esso si propone di migliorare il benessere e la salute psico-sociale dei
pazienti tramite l’apprendimento di abilità utili per la gestione dell’emotività e delle
relazioni sociali. Cerca di rispondere all’esigenza di reperire strumenti e modalità
educative che possano aiutare i pazienti con una storia di lunga ospedalizzazione a
far fronte alla complessità dell’interazione con la società, prevenendo dei fenomeni
di malessere e di difficoltà relazionali significativi. L’obiettivo generale di questo
progetto risulta quindi lo sviluppo e l’incremento delle competenze sociali,
raggiungibile attraverso incontri di gruppo in ambiente strutturato, con la
mediazione delle figure professionali dello psicologo e dell’educatore.
I capitoli che costituiscono la presente tesi seguono una logica lineare. Innanzitutto,
vi è una parte introduttiva di taglio prettamente medico: una descrizione delle GCA,
con eziologia, epidemiologia, localizzazione e prognosi e i maggiori deficit cognitivi,
comportamentali, psicologici, emotivi e relazionali che ne conseguono [capitoli 1 e
2]. Nella seconda parte verrà presentato il percorso riabilitativo del paziente e le
tecniche di intervento educativo impiegate nella riabilitazione [capitolo 3]. Al centro
della tesi, vista l’insolita presenza della figura educativa in un contesto ospedaliero,
vengono descritte le varie funzioni che l’educatore svolge all’interno del reparto e
dell’equipe, facendo riferimento anche a strumenti, tecniche e requisiti propri della
professione [capitolo 4]. Nella parte successiva vengono definite le abilità sociali, e
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l’importanza del trattamento per il loro sviluppo, che fungono da preludio
all’esposizione del Progetto Abilità Sociali, con le sue finalità, la definizione dei
destinatari, del setting, delle competenze di riferimento e del modus operandi
[capitoli 5 e 6]. A conclusione, l’esposizione di un caso clinico che ha beneficiato
del progetto, a dimostrazione della sua comprovata applicabilità [capitolo 7].
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Capitolo 1
LE CEREBROLESIONI ACQUISITE
Le cerebrolesioni acquisite costituiscono la principale causa di disabilità e di
mortalità nell’età evolutiva e rappresentano un’importante problema per la salute
pubblica. Costituiscono un insieme di condizioni acquisite di diversa origine che si
connotano per il fatto di produrre un danno encefalico severo, le cui conseguenze
motorie, cognitive o comportamentali si protraggono nel tempo, determinando
disabilità temporanea o permanente. (Avesani, R. et al., 2013)
I recenti progressi in ambito medico hanno permesso la sopravvivenza a un numero
sempre maggiore di soggetti con queste patologie, comportando però anche una
notevole percentuale di pazienti in stato vegetativo o di minima responsività come
diretta conseguenza del coma, in cui essi spesso si trovano subito dopo l’evento
acuto. (Liscio, et al., 2003)
1.1 Definizione
Per Grave Cerebrolesione Acquisita (GCA) si intende un danno cerebrale, dovuto a
un trauma cranio-encefalico o ad altra origine (anossia cerebrale, neoplasia,
infezione, vascolare, metabolica), tale da determinare una condizione di coma di
durata più o meno protratta, generalmente non inferiore alle 24 ore, e menomazioni
senso-motorie, cognitive o comportamentali che comportano disabilità grave.
(Boldrini, 2009)
Da questa definizione risultano esclusi i danni cerebrali di origine congenita o ad
insorgenza perinatale e le patologie degenerative del sistema nervoso. (Conferenza
nazionale di consenso, 2005)
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1.2 Eziologia
Per la diversa incidenza nelle varie fasce d’età e per il diverso spettro di
menomazioni e disabilità residue, le GCA si possono dividere in due gruppi: lesioni
acute di origine traumatica, causate da un danno cerebrale diretto (ad esempio
incidenti stradali, cadute accidentali, ferite da arma da fuoco) e cerebrolesioni ad
eziologia varia. Queste ultime, nello specifico, possono essere: encefalopatie
ipossico-ischemiche (dovute ad arresto circolatorio, ipotensione prolungata,
annegamento o soffocamento), lesioni vascolari (causate da un’emorragia
cerebrale o subaracnoidea oppure da un infarto cerebrale), neoplasie del sistema
nervoso centrale o infezioni (da meningite batterica, meningoencefalite virale,
ascesso cerebrale). (Ferro, et al., 2010) (Conferenza nazionale di consenso, 2005)
(Pagani et al., 2014) (Zampolini, 2003)
1.2.1 Il trauma cranio-encefalico
Il trauma cranio-encefalico (TCE) è un danno strutturale e funzionale del sistema
nervoso centrale causato da uno forza meccanica esterna che danneggia le
cellule e i tessuti encefalici, determinando una diminuzione o un’alterazione del
livello di coscienza e possibili successive menomazioni a livello cognitivo, emotivo e
fisico. (Ruggieri & Franzoni, 2012) (Maxwell, 2012)
Tali menomazioni possono essere temporanee o permanenti, fino a determinare una
condizione di disabilità parziale o completa e la relativa difficoltà di adattamento
psicosociale dell’individuo leso. (Yen & Wong, 2007) (Middleton, 2001)
Il danno strutturale a cui viene sottoposto l’encefalo può essere classificato come:
chiuso quando vi sono lesioni al cervello senza la frattura della scatola cranica,
oppure penetrante (o aperto), quando il danno determina la perforazione della
teca cranica e delle meningi, esponendo il parenchima a rischi secondari quali la
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penetrazione di frammenti ossei o di agenti infettivi. La gravità del trauma dipende
dalla durata dell’alterazione della coscienza e dalla presenza di lesioni associate.
(Fabbro, 2014) (Liscio, et al., 2003) (Schwarzbold et al., 2008)
Le lesioni prodotte direttamente dal trauma cranico si definiscono danno primario e
si possono suddividere: in lesioni da contatto (o impatto) e lesioni inerziali (da
accelerazione o decelerazione). (Liscio, et al., 2003) (Ruggieri & Franzoni, 2012)
(Schwarzbold et al., 2008) (Mutani, et al., 2012)
Le prime originano dal contatto osso-encefalo, ove il cervello viene bruscamente a
contatto con le ossa della scatola cranica, e sono correlate alle dimensioni, alla
forma e all’energia cinetica dell’oggetto contundente. Sono localizzate nella sede
dell’impatto: la scatola cranica assorbe parte dell’energia traumatica e trasmette
l’onda d’urto alle strutture cerebrali adiacenti, provocando focolai contusivi
corticali, frontali e temporali. Inoltre nelle sedi di contraccolpo opposte alla regione
dell’impatto, a causa dell’impatto del parenchima cerebrale contro le eminenze
ossee, possono manifestarsi emorragie superficiali e edemi perifocali, da cui
potrebbe generarsi secondariamente un’ischemia. (Ruggieri & Franzoni, 2012)
(Schwarzbold et al., 2008) (Scaglione & Andreoli, 2012)
Nelle lesioni inerziali l’inerzia del parenchima cerebrale dà origine a fenomeni di
strappamento e di rottura dei fasci di fibre della sostanza bianca e dei vasi. Il danno
assonale diffuso (DAI) è la conseguenza più immediata: si crea cioè un distacco
dell’assone dal soma del neurone e l’insorgenza della “sindrome da
disconnessione”, con compromissione delle aree cerebrali frontali e temporali,
deputate alle attività integrative, con conseguente decadimento dei processi
attentivi, elaborativi e di memoria, che sono alla base dello sviluppo cognitivo. La
distribuzione topografica del DAI segue un gradiente esterno/interno, con maggiori
danni nelle zone sottocorticali e via via decrescenti verso le zone tronco-
encefaliche. Nei traumi più gravi il danno di maggior rilevanza è profondo, fino a
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raggiungere i nuclei della base o il diencefalo, causando istantanea perdita di
coscienza o morte. (Liscio, et al., 2003) (Schwarzbold et al., 2008)
Si parla di danno secondario se, oltre al danno cerebrale avvenuto al momento del
trauma cranico, l’insulto prodotto viene ampliato da successive alterazioni
metaboliche e funzionali, che possono compromettere ulteriormente la condizione
clinica del paziente (ischemie, infiammazioni, proliferazione gliale, mancanza di
regolazione automatica del flusso sanguigno). (Scaglione & Andreoli, 2012) (Liscio,
et al., 2003) (Mutani, et al., 2012)
Per la valutazione neurologica della gravità del coma nei traumi cranio-encefalici,
viene comunemente utilizzata la Glasgow Coma Scale, l’unica scala ad oggi ad
essere universalmente riconosciuta. (Teasdale & Jennett, 1974) (Mutani, et al., 2012)
(Liscio, et al., 2003) (Ruggieri & Franzoni, 2012) (Sternbach, 2000)
Il TCE lieve è caratterizzato da perdita di coscienza o di memoria post-traumatica, di
una durata che può variare da pochi secondi ad alcuni minuti, senza che si siano
verificate lesioni strutturali e senza gravi conseguenze neurologiche. Ne segue la
sindrome post-concussiva, caratterizzata da cefalea, vertigini, difficoltà di
concentrazione, amnesia, apatia e disturbi d’ansia. (Zettin & Rago, 1995) (Liscio, et
al., 2003)
Il TCE moderato, cioè di media e severa gravità, è statisticamente il più rilevato
(circa l’85%) e caratterizzato da segni neurologici legati alla localizzazione del
danno: emiplegia, afasia o altra alterazione della parola, compromissione cognitiva,
visiva, dei nervi cranici e sindrome frontale. (Zettin & Rago, 1995) (Liscio, et al., 2003)
I traumi classificati come gravi determinano rigidità da decorticazione, o rigidità
decerebrata, coma, flaccidità motoria diffusa o tetraplegica, pupille dilatate,
perdita dei riflessi oculo-vestibolari e irregolarità del respiro. In questi traumi sono
comuni gli ematomi sottodurali acuti (sotto la dura madre), intracerebrali, epidurali