II
particolare, sono state prese in considerazione quelle
che fanno risalire il disturbo ad eventi traumatici,
tralasciando le teorie che parlano di “deficit” le quali,
fanno risalire il sentimento di solitudine e di vuoto
tipico di tali personalità non all’incapacità ad integrare
gli oggetti buoni e quelli cattivi al fine di costruire
immagini coerenti del Se’ e dell’oggetto (Kernberg 1984)
quanto, all’impossibilità che essi hanno di richiamare
alla memoria esperienze affettive caratterizzate da
sostegno, conforto e contenimento (Adler e Buie, 1979).
Nel capitolo sono state esposte le teorie di alcuni
autori i quali, fanno capo a differenti correnti
psicoanalitiche; i contributi passati in rassegna sono
stati quelli di autori freudiani (Bergeret, Kernberg), di
Knight (ego psycology), della scuola kleniana, della
scuola winnicottiana, e della scuola francese (Green).
In modo particolare in questo capitolo si è
cercato di spiegare come quello che ha permesso agli
psicoanalisti di virare dal modello strutturale delle
pulsioni di Freud è stato l’inserimento delle idee
relative alle relazioni oggettuali e, il fattore originario
che ha permesso tale movimento di trasformazione è
rintracciabile nell’opera della Klein la quale, pur
rimanendo fedele ai principi freudiani, ha costruito un
nuovo punto di riferimento da cui partire per pensare
ai rapporti tra mente e corpo, tra il soggetto e
l’accadere delle sue esperienze.
In particolare, la teoria della Klein ha permesso
la comprensione di quei disturbi ritenuti da Freud non
III
trattabili con il metodo psicoanalitico, e le sue idee
sono state alla base dello studio della personalità
“borderline” effettuata da Kernberg il quale ritiene che
in tali soggetti le modalità di difesa dell’Io predominanti
siano quelle tipiche della primissima infanzia
(scissione, idealizzazione, negazione, diniego,
idealizzazione ed identificazione proiettiva).
Dopo la Klein apporti importanti per lo studio del
disturbo “borderline” in campo psicoanalitico si devono
a Bion (collaboratore ed allievo della Klein) il quale ha
individuato nel pensiero simil psicotico la caratteristica
peculiare del disturbo “borderline” ed ha teorizzato che
questo tipo di pensiero deriva dalla mancanza di
rêverie materna e, a Winnicott definito da Green il
maggior esperto nell’ambito dello studio di questa
personalità.
I concetti di Winnicott più utili alla comprensione
dell’eziopatogenesi del disturbo “borderline” sono quello
di Spazio Potenziale ed oggetto transizionale inoltre, a
lui, si deve l’aver riconosciuto il ruolo della madre reale
nello sviluppo di tale personalità; la madre è definita da
Winnicott sia come “madre ambiente” che come “madre
oggetto” ed alle sue tecniche di holding e di handling si
deve lo sviluppo armonioso della personalità.
Winnicott (1958) pone l’accento su una “madre
sufficientemente buona” la quale deve sapersi adattare
naturalmente alle richieste del bambino in modo da
favorire in lui la fase dell’onnipotenza e la nascita
dell’illusione la quale è assolutamente necessaria per lo
IV
sviluppo; si può accettare la disillusione solo se prima
c’è stata illusione pertanto, coloro che non sono stati
illusi possono solo fallire.
Winnicott, come descritto nel paragrafo del primo
capitolo a lui dedicato, pone molta al ruolo di specchio
della madre e sostiene che il bambino che non può
rispecchiarsi negli occhi della madre perché,
costantemente preso a monitorarne l’atteggiamento in
modo da poter comprendere quali siano i suoi
sentimenti, è impossibilitato nella costruzione
dell’oggetto soggettivo il quale è l’unico oggetto in grado
di far esperire l’onnipotenza e l’illusione e, in questo
modo la continuità tra il Se’ e l’oggetto. E’ attraverso la
percezione dell’oggetto che il soggetto sviluppa la
consapevolezza che l’oggetto è separato da lui e che,
quindi, l’onnipotenza non funziona in quanto, l’oggetto
esterno possiede un’esistenza indipendente.
L’ultimo contributo trattato nel primo capitolo, ed
anche uno tra i più recenti nell’ambito della
psicoanalisi, è quello relativo alla teoria di Andrè Green
il quale sostiene che, in questo momento storico, non
ha più senso parlare di soggetti “borderline” come di
individui con un disturbo situato al limite tra nevrosi e
psicosi ma, piuttosto, dobbiamo riferirci a loro
parlando di individui “ che vivono in una specie di terra
di nessuno, che continuano a girare attorno a una
rotonda da cui potrebbero prendere numerose direzioni
senza essere in grado di sceglierne una per loro
V
(depressione, perversione, disturbi del carattere, o anche
condizioni psicosomatiche)” (Kohon 2007 pag 80).
Tratto caratteristico di questa personalità è per
Green l’incapacità di gestire l’assenza in quanto,
l’assenza non ha mai fatto parte della psiche
dell’individuo; l’infanzia del futuro “borderline” è stata
dominata dalla presenza di un oggetto intrusivo
avvertito come cattivo e dall’assenza di un oggetto
avvertito come buono e per questo idealizzato;
l’intrusione e l’assenza, presenti in maniera
contemporanea non permettono al bambino di
elaborare l’assenza e questo diviene prerogativa di tutta
la loro vita. Ciò che manca in questi soggetti è anche lo
sviluppo di quelle che Green (2002) chiama Formazioni
intermedie e la Funzione inquadrante le quali
consentono l’elaborazione delle rappresentazioni di
cosa in rappresentazioni di parole; ancora Green
(ibidem) sottolinea l’importanza dell’assenza della
Funzione oggettivizzante il che comporta l’incapacità da
parte del soggetto di creare l’oggetto, in questi soggetti
quello che domina è il narcisismo negativo derivante
dalla Funzione disoggettivizzante pertanto egli rimane
invischiato in un narcisismo che lo svuota in quanto
arriva ad intaccare l’Io stesso.
In conclusione quello che emerge dalla trattazione
dei contributi dei vari autori psicoanalitici è che il
disturbo “borderline” di personalità influisce
negativamente sia sui processi di pensiero che, sulla
relazione oggettuale.
VI
Per quel che concerne la stesura del
secondo capitolo, l’impianto è stato differente in
quanto, se è pur vero quello che sostiene Samuel
ovvero che la psicologia analitica dopo Jung si è
diramata in tre scuole: la classica, l’evolutiva e
l’archetipica è pur vero che, per quel che riguarda la
clinica e la visione della psicopatologia gli analisti post
junghiani, rimangono fedeli a Jung il quale ha sempre
sostenuto che la patologia deriva dai Complessi a
tonalità affettiva e che la mente è un sistema
autoregolantesi pertanto, anche episodi di psicosi
vanno visti come un sistema che la mente ha di
ritrovare l’equilibrio.
Nello specifico di questa tesi, i contributi più
interessanti in campo analitico sono stati quelli di
Rushi Lederman (1989) e Nathan Schwartz-Salant
(1997) mentre, per quel che concerne lo sviluppo della
personalità nel secondo capitolo sono stati prese in
considerazione le teorie di Neumann e di Fordham.
Nell’ambito della psicologia analitica il disturbo di
personalità “borderline” è stato trattato a partire
dell’approccio immaginale e, Lopez-Petraza (1977)
inizia ad esplorare il problema del “borderliene” da una
prospettiva mitologica la quale, riconoscendo quale è il
dio che regola l’essere “borderline”, punta ad
individuare in lui uno stile di vita ed una personalità
che può appartenere ad ogni individuo. L’essere
“borderline” o meglio la sua mente appare legato ad
Ermes il quale, è il Signore delle strade che con le sue
VII
erme segna i confini, i territori. Ermes è il nume
tutelare della condizione di duplicità che segna la
perenne condizione del “borderline” quale essere di
confine.
Sempre a livello archetipo oltre ad Ermes
possiamo riferirci ad Attis –figlio della dea Cibale- in
quanto analiticamente il “borderline” appare ancorato
ad un Complesso Materno positivo (Jung,Von Franz,)
che ne impedisce la crescita ed il conseguente
passaggio all’età adulta. Nel “borderline” il processo
d’individuazione, che ha inizio nella seconda metà della
vita, è difficilmente raggiungibile e, se lo è deriva da un
grande sforzo interiore, uno sforzo teso a vedere ciò che
nell’infanzia non si è voluto o potuto vedere e che
riguarda la non accettazione o la collusione con uno
dei due genitori, il bambino ha dovuto scindere la
propria vista interiore per evitare di vedere l’odio nel
genitore (Schwartz-Salant).
Nel capitolo si fa anche una distinzione tra lo
sviluppo del disturbo “borderline” in un uomo e in una
donna in quanto, quel che qui cambia è il ruolo
assunto dalla madre; nelle donne diagnosticate
“borderline” è la madre che impedisce il distacco della
figlia in quanto, sulla figlia lei ha proiettato il suo Se’;
in modo archetipico il disturbo al femminile è fatto
risalire al mito di “Demetra e Core” (Von Franz).
Senza dubbio il contributo più importante, in
campo analitico, è quello di Schwartz-Salant il quale,
in uno studio ampio e sistematico, fonde la visione
VIII
evolutiva con quella archetipica. Per l’analista il
fallimento della sottofase di riavvicinamento nel
processo di separazione-individuazione teorizzata dalla
Mahler (1978) e ripresa da Kernberg (1987) per
spiegare l’eziopatogenesi del disturbo in questione o, il
mancato raggiungimento della posizione depressiva
teorizzata dalla Klein (1921/1958) non bastano a
spiegare la problematica del “borderline” e la sua
vulnerabilità davanti all’irruzione del numinoso.
Secondo Schwartz-Salant (1997) ciò che caratterizza la
personalità “borderline” è l’essere uno stato della mente
al confine tra personale ed archetipico e la sua
incapacità ad incarnare il principio di unione;
l’individuo “borderline” può sperimentare solo il lato
oscuro, destrutturate della coniunctio il che comporta
una incapacità di conferire ordine e ridare senso alla
vita. .
Il terzo capitolo è il punto centrale della tesi in
quanto in esso vengono messe a confronto le teorie
psicoanalitiche e di psicologia analitica al fine di
osservare se ci sia o meno concordanza tra i diversi
autori trattati.
Quello che si può osservare è che spesso vi è più
vicinanza tra analisti di differente scuola che, tra quelli
appartenenti alla stessa scuola inoltre, per quel che
concerne lo sviluppo della personalità gli autori, spesso
partono da una visione nettamente contrastante ad
esempio, Fordham e Neumann sostengono due tesi
differenti perché, per il primo il bambino nasce in una
IX
fase di integrazione e di non fusione con la madre
mentre, il secondo -al pari di Winnicott-, sostiene che
all’inizio bambino e madre sono totalmente dipendenti
e all’inizio della vita –fase definita dell’Uroboros- lei
agisce come Se’ relazionale e corporeo del bambino, il
quale nel corso dello sviluppo, integra questo Se’
pervenendo alla costruzione di quello che Neumann
(1979) definisce l’asse relazionale Io-Se’.
Le idee di Neumann sono più vicine a quelle di
Winnicott mentre, quelle di Fordham possono essere
messe in relazione con quelle di Klein e Bion; la teoria
di Jung relativa allo sviluppo ed all’archetipo e quella
relativa alla Persona ed all’immaginazione attiva sono
state messe in relazione con la teoria di Klein da una
parte e quella riguardante l’oggetto transizionale, il
Falso Se’ dall’altra.
Un ulteriore paragrafo è stato dedicato alla figura
ed al ruolo del padre nello sviluppo della personalità,
tale contributo, -che meriterebbe una maggior
trattazione vista la vastità della sua importanza-, ha
portato alla comprensione che un padre,
psicologicamente o fisicamente assente, non riesce ad
assolvere il suo compito principale che è quello di
staccare la diade madre bambini da qui, deriverebbe
l’impossibilità del soggetto “borderline” di accedere
all’area del simbolico (Mahler, 1978;, Jung 1912/1952;
Kernberg, 1980,; Neumann,1953; Lacan, 1974) inoltre,
questa assenza, impedisce al bambino prima ed
all’adulto poi di saper modulare l’espressione
X
dell’aggressività e, di sviluppare empatia per i
sentimenti altrui (Fonagy, 2001); per quel che concerne
la psicologia analitica, il padre è stato descritto anche
da un punto di vista archetipo poiché, secondo tale
scuola, il padre che fallisce nel ruolo di essere colui che
distacca il figlio dalla “Grande Madre” uroborica lo
predispone a rimanere iscritto nel mondo matriarcale
dal quale consegue un rimanere invischiato in un
Complesso Materno positivo, complesso che, come
sopra indicato, è alla base del disturbo “borderline” di
personalità.