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Introduzione
Proibizione dell’interesse, della speculazione e dell ’eccessiva incertezza, nonché obbligo di
devolvere una parte del surplus di ricchezza affinché questa non si concentri nelle mani di
pochi. Sono i quattro principi alla base della finan za islamica, modello orientato al profitto,
ma caratterizzato da una forte cultura di responsabil ità sociale e da uno stretto legame con
l’economia reale. Sono tutte caratteristiche che ma ncano all’attuale sistema finanziario
convenzionale, il cui fallimento nella realizzazion e di condizioni di equità e giustizia sociale
ed economica è stato messo bene in evidenza dalla cr isi globale. Quest’ultima ha riportato
in auge il tema dell’etica nell’agire economico, co sì che è aumentato l’interesse per
l’industria finanziaria islamica. Il settore costituisc e appena l’1% del sistema mondiale, ma
allo stesso tempo ne rappresenta la realtà più dinamica , con un tasso di crescita quattro
volte superiore alla finanza convenzionale. Così nell ’ultimo decennio gli istituti islamici
hanno cominciato a diffondersi anche nei Paesi occid entali, con l’obiettivo di servire la
popolazione musulmana immigrata o di intercettare l’ enorme surplus di liquidità che i Paesi
mediorientali hanno accumulato grazie al petrolio. I maggiori sviluppi si sono visti in Gran
Bretagna, che è ormai diventata un importante centr o a livello mondiale.
Il presente lavoro verte appunto sul panorama bancari o sharia compliant inglese:
soffermandoci sull’analisi delle cinque banche indipe ndenti fondate nel Regno Unito si
vogliono esaminare le opportunità e i limiti dell’in serimento di istituti islamici nel sistema
finanziario convenzionale.
Nel primo capitolo si introdurranno i principi e i metodi alla base dell’economia e della
finanza islamica, fornendo anche una demistificazion e degli equivoci più frequenti che si
sono creati negli anni.
Il secondo capitolo esaminerà i principali contratti commerciali conformi alla sharia,
considerandone l’applicazione nell’ambito della strut tura bancaria di raccolta e impiego.
Seguirà poi un’analisi delle peculiarità del modell o islamico, accompagnata da eventuali
raffronti con quello convenzionale. In particolare, ci si soffermerà sui temi dei rischi, della
regolamentazione e della vigilanza, sugli studi di ef ficienza operativa e sulle similarità con la
finanza etica.
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Nel terzo capitolo si vedrà come, da fenomeno di ni cchia, la finanza islamica si stia
diffondendo a livello mondiale. Dopo di che si entre rà più nel dettaglio, fornendo una
panoramica sullo stato attuale e sulle prospettive del settore nei principali Paesi occidentali,
dall’Europa all’Australia, passando per il Nord Americ a e la Russia.
Il quarto capitolo, il fulcro del lavoro, tratterà dei cinque istituti islamici non dipendenti da
gruppi bancari convenzionali. Per ognuno, l’approfo ndimento riguarderà la compagine
societaria e i prodotti e i servizi offerti, per poi passare all’esame dell’andamento, basandosi
sull’analisi dei dati di bilancio e sulle notizie disp onibili. Verranno poi tratte le dovute
conclusioni generali, costituenti un benchmark per o gni Paese occidentale interessato a
sviluppare un sistema bancario islamico accanto al co nvenzionale.
Infine nel quinto capitolo si guarderà alla situazi one dell’Italia. Il nostro Paese non ha ancora
affrontato in termini operativi la questione, anche se avrebbe le caratteristiche necessarie e
tutto l’interesse ad accogliere le banche islamiche n el proprio sistema finanziario.
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1 La religione islamica e i principi economici fon damentali
Questo primo capitolo vuole essere una breve introduz ione alle pratiche economiche
fondamentali derivate dai testi sacri della religione musulmana. Dopo la presentazione dei
basilari divieti e prescrizioni volti ad un agire eco nomico equo e responsabile, si esaminerà
come gli economisti islamici li abbiano messi in prat ica. Il capitolo si concluderà con la
correzione degli equivoci più frequenti che aleggia no intorno al settore sharia compliant.
1.1 Il Corano come fonte di diritto
Con il termine “finanza islamica” si intende il com plesso di strutture organizzative,
transazioni, contratti finanziari che sono sharia comp liant, ossia conformi ai dettami della
sharia, la legge islamica. Il Corano, il libro sacro, è riconosciuto dai musulmani come
l’inequivocabile parola di Allah e rappresenta un c odice di condotta per la vita di tutti i
giorni, distinguendo tra ciò che è consentito ( halal ) e ciò che è vietato ( haram ). All’interno
del testo sacro si ritrovano i principi fondamentali dell’agire economico, la cui applicazione
richiede l’interpretazione da parte di persone con c onoscenza sia di giurisprudenza islamica
che di finanza. Esistendo una dimensione interpretat iva delle fonti religiose, si sono create
una serie di scuole che fanno uso di criteri di inter pretazione differenti. Si può distinguere
prima di tutto tra scuola sciita e scuola sunnita. Que st’ultima a sua volta si dirama in quattro
principali correnti di pensiero: la scuola hanafita (Turchia, India, Pakistan, Afghanistan),
quella malikita (Maghreb e alto Egitto), la shafiita (Indonesia, basso Egitto, Malesia e Africa
orientale) e la scuola hanbalita , la più tradizionalista (Golfo Persico). Tutte quest e scuole
possono divergere nella certificazione dei prodotti d i finanza islamica, ma sono sicuramente
in accordo riguardo i principi fondamentali che la regolano, che sono pochi ed essenziali:
1
• La proibizione dell’interesse: la sua istituzione rispo nde all’obiettivo di conseguire
condizioni di equità e giustizia economica e sociale, prevenendo ogni forma di
sfruttamento. L’accrescimento del capitale tramite l ’applicazione del tasso di
1
La trattazione di questo paragrafo e del successiv o è largamente tratta da:
Hamaui R., Mauri M. - “Economia e Finanza Islamica” (2009)
Porzio C. (a cura di) - “Banca e Finanza Islamica” (2009)
10
interesse è considerato riba 2
, usura, indipendentemente dal livello applicato. I
giuristi islamici hanno sempre rifiutato l’idea della moneta come riserva di valore: il
denaro genera ricchezza non per sé ma se impiegato i n un processo produttivo o in
una transazione che comporti l’assunzione di un rischi o.
Numerosi sono i riferimenti al riba nella tradizione islamica; i principali recitano:
“Dio ha permesso la compravendita e ha proibito il ri ba […] Ma Dio distruggerà il
riba e moltiplicherà il frutto delle elemosine […] O voi che credete! Temete Dio e
lasciate ogni resto d’usura, se siete credenti!” (Coran o, II, 275-280).
C’è da dire che la proibizione del tasso di interesse e dell’usura non è una
prerogativa dell’Islam, ma ha permeato per lunghi s ecoli anche la dottrina ebraica e
cristiana. Infatti nel vecchio testamento viene depl orata l’usura, poiché
comportamento ingeneroso verso chi è in difficoltà. In particolare: “Se tu presti
denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai
con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun in teresse […] altrimenti quando
invocherà da me l’aiuto, io ascolterò il suo grido, p erché io sono pietoso” (Esodo
XXII, 24). Nel tempo però la tradizione giudaico-cr istiana ha perso queste pratiche
per interessi di bottega, per le prassi del commercio , dell’industria e degli istituti
bancari.
• Il divieto dell’incertezza e della speculazione: ogn i contratto o transazione, affinché
sia valido, deve essere libero da rilevanti forme d i incertezza, dal gharar . Ciò si
riferisce sia a condizioni di informazione incomplet a (sul prezzo, sull’oggetto della
vendita) sia all’incertezza intrinseca nell’oggetto del contratto (eventi aleatori).
Strettamente collegato è il termine maysir, che indica invece il tentativo di
scommettere sul risultato futuro di un evento senza un ’adeguata informazione e
analisi. La proibizione del gharar e del maysir comporta il divieto di ricorso a
un’assicurazione e ai derivati convenzionali: questo perché il prezzo è certo, mentre
la controprestazione no.
2
Termine arabo che significa letteralmente “increme nto”, “eccesso”, “crescita”. Manca nei testi una de ttagliata
spiegazione di cosa si intenda; alcuni studiosi sos tengono che sia da attribuirsi al fatto che tale te rmine era
ampiamente diffuso all’epoca, per cui non vi fu la necessità di fornire ulteriori indicazioni.
11
• La zakat : letteralmente significa “purificazione”, “crescita ” e corrisponde a un
pagamento dovuto sul surplus di ricchezza e di utili p rodotti nell’anno islamico. Si
configura per il credente come un dovere morale vol to al principio di equità e
giustizia economica e sociale, per evitare che la ric chezza si concentri nelle mani di
pochi. La zakat ha rappresentato a lungo l’unica imposta dovuta nei Paesi islamici e
continua a essere un utile strumento di welfare. Il C orano (IX, 60) individua in modo
esplicito come beneficiari i poveri, i bisognosi, i de bitori, i pellegrini, per le finalità di
diffusione dell’islam nel mondo, di liberazione dal la schiavitù e per il sostentamento
dei funzionari che gestiscono la zakat stessa. La base imponibile, a cui applicare
un’aliquota tra il 2,5% e il 10%, è rappresentata d ai beni in proprietà da più di un
anno che non siano sfruttati a fini produttivi e la c ui consistenza sia superiore ad un
certo ammontare. In uno Stato moderno, vi è consenso nel ritenere che siano da
includere anche la produzione degli impianti indust riali, le ricchezze finanziarie, gli
utili di impresa e le risorse naturali.
1.2 La condivisione dei profitti e delle perdite
Basandosi sui concetti e sulle proibizioni insite nei te sti sacri, gli economisti islamici hanno
cercato di creare un sistema finanziario che potesse fa re a meno del tasso di interesse e
della speculazione fondata sull’incertezza, predilig endo transazioni di tipo reale e di
condivisione del rischio. La presenza del riba in un sistema economico rappresenta un
mezzo di sfruttamento; l’eliminazione dell’interesse mira quindi alla promozione di un
sistema giusto, socialmente equo, in cui le azioni sono imperniate su comportamenti
economici etici. L’assegnazione di un interesse predef inito e svincolato dal profitto ottenuto
dal soggetto finanziato non è equo: se l’impresa si r ivelasse di grande successo, un tasso di
interesse stabilito ex ante potrebbe essere poco gener oso per il finanziatore. Al contrario, se
l’impresa finanziata dovesse andare male nonostante l ’impegno e la buona fede
dell’imprenditore, non sembra equo assegnare comunque al finanziatore un tasso di
interesse. Dalla preoccupazione di tutela di entramb i i contraenti nasce lo schema di
condivisione del rischio di impresa alla base dei cont ratti di profit & loss sharing (PLS).
12
Al medesimo scopo di proibire le transazioni inique, è vietato il gharar . Ciò in un’ottica di
protezione del contraente debole di un contratto, p er esempio un uomo in stato di
necessità che si indebiti oltre il dovuto e oltre qu ello che potrebbe ripagare. Il tentativo di
bilanciare la libertà economica con il rischio di ab uso ha fatto sì che alcuni contratti che
contengono il gharar siano permessi da tutte le scuole di pensiero. E’ i l caso del contratto
salam, che prevede la vendita di un bene ancora non esistente: i potenziali benefici
ottenibili dal finanziamento, in particolare per il settore agricolo, sono reputati maggiori
rispetto alla condizione di illiceità insita nel con tratto.
1.3 Gli equivoci più comuni
La poderosa crescita fatta registrare nell’ultimo dec ennio ha portato la finanza islamica agli
onori delle cronache, tuttavia trascinandosi alcune critiche indiscriminate e malintesi,
creatisi per lo più da pregiudizi. Fra gli equivoci più comuni ritroviamo i seguenti:
3
• Finanzia il terrorismo: la sharia considera l’uso ille gale della violenza, soprattutto
contro vittime innocenti, come un crimine atroce; d i conseguenza condanna
categoricamente il terrorismo. Inoltre le istituzion i finanziarie islamiche, al pari delle
convenzionali, sono soggette a leggi e regolamenti sev eri anche in materia di
terrorismo e riciclaggio.
• E’ soltanto per musulmani: non vi è alcun divieto. S oggetti di religioni diverse
possono utilizzare o possedere istituti che offrono servi zi sharia compliant. La
finanza islamica è più una proposta valoriale, con parametri ampiamente condivisi
dalla finanza così detta socialmente responsabile. Da notare che il primo cliente
dell’inglese Islamic Bank of Britain non è stato un musulmano, così come non lo è
un’alta percentuale di clienti negli istituti islami ci malesi.
• E’ una replica della finanza convenzionale: le crit iche più forti solitamente arrivano
dagli stessi musulmani, spesso a causa delle similitudini t ra le due in quanto a
obiettivi economici. Ovviamente i profitti sono impo rtanti, ma i mezzi attraverso cui
vengono realizzati lo sono persino di più. Perciò i prodotti islamici sono
3
Zaid Ibrahim & co, ASSAIF - “La Finanza Islamica D emistificata”
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consapevolmente progettati per rispondere ai principi religiosi basilari,
mantenendo allo stesso tempo alcuni elementi che li r endano facilmente
comprensibili quando paragonati a quelli convenzion ali concorrenti.
• E’ una finanza “per il sociale”: gli istituti islamici sono entità orientate al profitto,
responsabili nei confronti di azionisti, titolari di c onti e altri portatori di interessi.
Non ci si deve aspettare che sussidino la comunità fav orendo l’accesso ai
finanziamenti. E’ anche ingiusto che i clienti appro fittino dei gesti di buona volontà
delle banche: in una sunna Maometto definisce tirann o chi è deliberatamente
inadempiente nel pagamento di un debito senza nessuna motivazione genuina. In
un’ottica di responsabilità sociale di impresa, la mag gior parte degli istituti agevola i
clienti che hanno serie difficoltà a ripagare i prop ri debiti e tende a limitare l’uso del
ricorso legale.
• E’ spinta solo dal boom petrolifero: anche se è vero che i petroldollari sono stati un
elemento catalizzatore, bisogna dire che la finanza islamica ha registrato una
crescita annua a due cifre fin dal suo esordio negli anni ’70. Ora che ha raggiunto un
certo sviluppo può concentrarsi su altre fonti di fo ndi e investimenti, specialmente
in industrie in crescita quali l’alberghiera, i serviz i, le materie prime, la manifattura,
la tecnologia avanzata, ecc. La diversificazione ga rantirà anche una maggiore
stabilità del sistema.
• E’ immune da qualsiasi pratica poco etica: il marchi o “islamico” non garantisce
automaticamente che un prodotto, un istituto, un ban chiere siano immacolati e
incorruttibili. Casi di frodi e abusi, violazione del la fiducia e cattiva gestione sono
accaduti anche nel settore islamico.
• E’ immune alla crisi finanziaria: anche molti istitu ti islamici hanno subito perdite a
causa dello scenario globale, anche se spesso minori dell e controparti
convenzionali. Le banche islamiche dovrebbero quindi imparare la lezione e
sistemare i propri punti deboli. Per esempio la ten denza a replicare gli istituti
convenzionali, in particolare nella creazione di str utture esotiche: prima che il
sistema crollasse erano addirittura partite delle in iziative per progettare degli
strumenti sharia compliant simili ai subprime.
14
• Vuole sostituire il sistema convenzionale per permett ere all’Islam la dominazione
del mondo: è quanto apparso sui alcuni siti islamofob ici. Ci si chiede come questo
sia possibile, visto che l’intero sistema finanziario islamico ammonta a meno dell’1%
del sistema globale e che le nazioni musulmane rimang ono per lo più povere e
sottosviluppate. La piccola minoranza di islamici che proclama la volontà di
dominazione del mondo non può essere considerato l’uni ca voce di un miliardo e
mezzo di persone dalla distribuzione geografica tant o eterogenea.
15
2. L’attività bancaria islamica
Il presente capitolo intende fornire una visione d’i nsieme delle caratteristiche del modello
islamico in campo bancario e finanziario. Si partir à con un esame dei principali contratti
ammessi dalla giurisprudenza islamica in campo econom ico, soffermandoci su
caratteristiche, funzionamento e possibili applicazion i. Seguirà poi l’esposizione della
struttura operativa degli istituti sharia compliant, su ddivisa in un’analisi del lato della
raccolta e degli impieghi, nonché delle pratiche di gestione della tesoreria. Presentato il
modello bancario islamico se ne tratteranno le pecul iarità, in particolare in tema di gestione
dei rischi, di regolamentazione e di vigilanza. L’an alisi sarà svolta avanzando dei paragoni
con il sistema convenzionale e si svilupperà ulterior mente riguardo gli studi efficienza
operativa e la vicinanza con la finanza così detta so cialmente responsabile.
2.1 I contratti secondo la legge islamica
Un esame del funzionamento della banca islamica non può prescindere dall’analisi delle
strutture contrattuali che poggiano sulla giurispruden za commerciale islamica
4
. Se in alcuni
Paesi a maggioranza musulmana il diritto nazionale è costituito proprio dalla sharia, in
generale da essa derivano i principi e le regole etic he su cui i legislatori devono basarsi,
poiché contiene tutti gli elementi che giustificano la validità dei contratti. La giurisprudenza
islamica prevede che i rapporti fra le parti possano configurarsi come promessa unilaterale o
bilaterale e come contratto. Nelle operazioni finan ziarie il contratto è la forma più utilizzata,
a sua volta distinguibile in unilaterale e bilaterale . La prima è solitamente gratuita e non
richiede un’esplicita accettazione dell’offerta. La categoria di contratti bilaterali include
invece diverse tipologie: contratti di scambio, di p artecipazione, di trasferimento
dell’usufrutto e di garanzia.
4
Gli argomenti trattati in questo capitolo sono bas ati principalmente su:
Hamaui R., Mauri M. - Economia e Finanza Islamica ( 2009)
Porzio C. (a cura di ) - Banca e Finanza Islamica ( 2009)
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2.1.1 I contratti partecipativi: mudaraba e mushara ka
I contratti di partecipazione sono ritenuti la forma più pura di finanza islamica, in quanto ad
equità nei diritti e nella condivisione dei rischi. Più di tutti esprimono il principio ispiratore in
base al quale non ci può essere rendimento senza assunz ione di rischio. I principali sono il
mudaraba e il musharaka, che regolano le fattispecie in cui le parti coinvolte, apportando
capitale e/o lavoro, partecipano ai guadagni e/o al le perdite derivanti dal progetto.
Formula contrattuale ampiamente utilizzata nel cont esto bancario e finanziario islamico, il
mudaraba si configura come un negozio associativo ne l quale un soggetto apportatore di
capitali (rabb-al-mal) sopporta interamente il rischi o finanziario, mentre il socio (mudarib)
non investe nulla in termini economici, pur essendo l’ unico soggetto deputato alla gestione
dell’affare. Il fatto che, escludendo malafede o co mportamenti fraudolenti, l’eventuale
danno patrimoniale cada per intero sul rabb-al-mal s i spiega pensando al ruolo del mudarib,
che nell’attività avrebbe già profuso competenze, im pegno e tempo. Inoltre quest’ultimo
dovrebbe essere prevenuto dal commettere atti di mor al hazard, scaricando così il rischio
sul finanziatore, dato che la sua remunerazione non a vviene in forma salariale, bensì in
parte come commissione per la prestazione lavorativa e in parte secondo uno schema di , le
cui percentuali devono essere stabilite ex ante nel contratto come requisito di validità
secondo la sharia. La varie fasi del contratto possono e ssere così schematizzate:
Grafico 2.1: Funzionamento del mudaraba
Fonte: Hamaui-Mauri, 2009
17
Si possono distinguere due fattispecie, a seconda che si applichi o meno una restrizione
riguardo l’utilizzo dei capitali. Nel mudaraba vinc olato il rabb-al-mal indica settore,
tempistica e condizioni dell’investimento, pur non a vendo potere gestorio, a meno di
un’espressa licenza. Nella tipologia unrestricted il soggetto finanziato è invece libero di
investire il capitale per la realizzazione del proge tto, fermo restando il diritto, in capo al
finanziatore, di supervisionare e accertarsi che il lavoro stia procedendo onestamente ed
efficientemente.
Il contratto di mudaraba risulta utile per far frut tare i capitali procurando un finanziamento
agli operatori che non dispongono di risorse sufficient i per svolgere un’attività, pur
avendone sviluppato l’idea. Nel caso rappresentato n el grafico 2.1 la banca assume il ruolo
di rabb-al-mal ponendosi come finanziatore di impres e commerciali o di attività di project
financing. Allo stesso tempo la struttura inversa del c ontratto può essere usata per regolare
le gestioni patrimoniali; in quest’altro caso l’istitut o svolge il ruolo di mudarib, raccogliendo i
risparmi di una pluralità di soggetti con il compito di gestirli in monte come mandatario. Lo
schema quindi si presta bene tanto per l’offerta di c onti bancari di risparmio quanto per
quella di fondi di investimento.
ll musharaka è un contratto nel quale ogni socio part ecipa alla società, con l’accordo di
condividerne sia gli utili che le eventuali perdit e secondo uno schema di Profit and Loss
Sharing (PLS), con percentuali di ripartizione stabilite e x ante. Il contributo è generalmente
di denaro liquido, per evitare discussioni relative a l valore dei beni, ammessi comunque con
l’accordo degli altri soci. Ogni partner ha il dirit to di partecipare alla gestione, ma anche solo
uno dei soci può esservi delegato e per questo ricever e una remunerazione aggiuntiva.
Alternativamente si può nominare un amministratore e sterno, remunerato su base fissa o
con l’aggiunta di bonus in relazione ai risultati. Le quote di ripartizione dei profitti possono
essere determinate proporzionalmente al capitale impi egato o lasciate alla libera
contrattazione delle parti, pratica che è invece da escludere quando si tratti di ripartire le
perdite, in ottemperanza al principio di equa condi visione dei rischi. Un socio può invece
ricevere una quota di profitti maggiore perché, olt re al capitale, ha profuso impegno
lavorativo nella società. Il contratto può essere sche matizzato in questo modo:
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Grafico 2.2: Funzionamento del musharaka
Fonte: Hamaui-Mauri, 2009
Di base il musharaka non è un contratto vincolante, n el senso che in ogni momento ogni
socio può ritirare la propria quota dalla partnership . Quindi possono venire richieste delle
promesse personali, in modo da dare continuità e stabil ità a un progetto per un certo
periodo di tempo. Nello scenario economico odierno, dove con questi contratti si possono
creare società con numerosi partecipanti, è consentito cedere la propria quota, offrendo il
diritto di prelazione ai membri già esistenti.
Tale schema si presta bene a forme di finanziamento a lungo termine e forse per questo
motivo non rappresenta una tecnica di impiego molto comune in ambito bancario. I
portafogli di raccolta degli istituti islamici sono p revalentemente orientati sul breve o medio
termine, così il mismatching delle scadenze rendereb be problematico l’utilizzo del
musharaka su larga scala. Queste difficoltà portano qui ndi a preferire l’utilizzo di strumenti
alternativi per il finanziamento alle imprese, come il murabaha e l’ijara. Per queste ragioni lo
schema contrattuale è usato principalmente per piccol i progetti in forma di venture capital
per imprese in fase di start-up, nel commercio e nelle forme di project financing in
condivisione.
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2.1.2 I contratti non partecipativi
Si configurano come forniture di beni e servizi, non necessariamente finanziari. A seconda
della finalità si possono suddividere in contratti con nessi al finanziamento del capitale
circolante (murabaha e salam) e in contratti per il finanziamento del capitale fisso (ijara e
istisna). Caratterizzandosi per una remunerazione in f orma di margine di profitto (mark-up)
alcuni studiosi le considerano delle velate forme d i indebitamento convenzionale. Tuttavia
questa formula cost-plus non risulta legata all’evoluzione temporale del co ntratto, né
aumenta in caso di ritardo o mancato pagamento da pa rte del cliente; la sua esistenza e
liceità è legata al servizio posto in essere dalla ban ca nei vari contratti e dall’assunzione dei
rischi derivanti dalle varie operazioni.
2.1.2.1 Il murabaha
Il contratto riguarda l’acquisto di beni per conto d el cliente, che provvederà a rimborsare la
banca in modo differito, in unica soluzione o a rate . Tre sono gli elementi qualificanti un
contratto di murabaha, in accordo con tutte le scuol e di pensiero:
- l’acquisto del bene deve avvenire presso soggetti terzi , privi di rapporti d’affari con il
cliente. Nel caso contrario potrebbe palesarsi un’ope razione di rivendita, vietata
dalla legge islamica;
- la proprietà del bene deve essere in capo alla banca finanziatrice, in modo tale che il
margine di profitto, necessariamente noto al moment o della stipula, sia giustificato
dall’assunzione di rischi sul sottostante. La proprietà passa poi al cliente con il
pagamento dell’ultima rata;
- il rischio di credito è connesso al differimento temp orale del pagamento e al valore
della promessa di acquisto da parte del cliente. Valo re morale, quindi legale nel
contesto islamico, tale da costituire un disincentivo al moral hazard.
La strutturazione del contratto può essere riassunta con il seguente grafico: