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INTRODUZIONE
Il pianto di un bambino, le urla di gioia, la paura, la rabbia, lo stupore, l’ansia …
sono emozioni facilmente esprimibili con il linguaggio del corpo e, soprattutto, degli
occhi. Ma sono emozioni altrettanto comprensibili e percepibili da chi ci sta di
fronte? Si sa che l’essere umano sia l’essere vivente più intellettualmente evoluto tra
tutti ed è proprio una capacità particolare che permette di cogliere le emozioni altrui.
Stiamo parlando dell’empatia, una delle capacità cardine che guidano ogni
comportamento e ogni azione. Saper percepire cosa l’altro prova è forse tra le
migliori capacità che contraddistinguono l’uomo. Una carezza, una parola di
conforto, un abbraccio sono dei segni assolutamente normali, ma in momenti
opportuni sono l’unica cosa di cui si ha bisogno. Basta solo riuscire a capire quale sia
lo stato emotivo e mentale della persona che ci sta di fronte.
Spesso ci si chiede se anche i bambini siano in grado di percepire cosa provano gli
altri, cioè se i bambini hanno reali capacità empatiche. Osservandoli si percepisce
che hanno qualcosa di diverso rispetto agli adulti, riescono infatti con semplicità ad
approcciarsi ai coetanei. A volte sembra proprio riescano a percepire cosa provano
gli altri, quando ad esempio abbracciano un genitore che ha lo sguardo triste o
quando si rattristano vedendo un amico o un compagno triste.
Ma queste espressioni sono reali capacità empatiche o si tratta di una forma di
imitazione? Questa domanda ha spinto vari autori a compiere studi sull’empatia in
età infantile ed è anche il quesito che ha portato alla realizzazione di questo lavoro.
Quello infantile è un universo di contraddizioni e studi contrapposti, e allora con
questo progetto si vuole provare a verificare il reale sviluppo dell’empatia nei
bambini di una particolare fascia d’età, ovvero dai 9 ai 12 anni.
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ABSTRACT
Lo studio presentato è una ricerca empirica sullo sviluppo dell’empatia in età
infantile, in particolare lo scopo della ricerca è quello di esaminare in maniera
implicita il grado di empatia che presentano i bambini dai 9 ai 12 anni. L’empatia è
semplicemente la capacità che ci permette di percepire gli stati emotivi e mentali di
un’altra persona.
L’etimologia della parola è molto particolare, infatti significa letteralmente soffrire
(dal greco pathein).
Il termine nel corso degli anni è stato oggetto di studio di molti autori che ne hanno
dato diverse interpretazioni. Da una concezione di tipo filosofico-estetico, tale
concetto è diventato per gli psicoanalisti lo strumento indispensabile del rapporto
terapeuta-soggetto. Tralasciando la posizione di Freud, per altri autori quali
Hartmann, Kohut, Basch e tanti altri, l’empatia è ciò che definisce la psicoanalisi.
Diversamente la pensano i comportamentisti, i quali non si occupano dello studio di
tale capacità. Con l’avvento della psicologia della personalità e del cognitivismo, lo
studio dell’empatia viene ripreso, ma è con gli studi fatti dalla neurologia che si
hanno i maggiori sviluppi. Il merito delle neuroscienze, ed in particolare di due
studiosi italiani che sono Gallese e Rizzolatti, riguarda la scoperta di particolari
neuroni, chiamati “neuroni specchio”, i quali si attivano quando si compie o si vede
compiere una determinata azione.
Teorie contrapposte si trovano anche per quanto riguarda lo sviluppo di questa
capacità, ci sono i sostenitori dell’empatia innata e c’è anche chi sostiene che
l’empatia si sviluppa in maniera graduale, da forme più semplici a più complesse; tali
teorie sono oggi forse le più accreditate.
Nei bambini la capacità empatica può risultare leggermente più complessa da
individuare, in quanto ogni comportamento apparentemente empatico, può
nascondere una forma di egoismo inconscia.
Per tale ragione lo scopo della ricerca è la costruzione e validazione di uno strumento
che permetta di individuare la reale capacità empatica nei bambini, ciò in modo
indiretto ovvero senza la loro consapevolezza.
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Secondo Greenwald e Banaji i processi impliciti sono tutta quella serie di tracce
dell’esperienza passata che non sono state identificate a livello introspettivo, ovvero
tramite metodi d’indagine diretti. Lo strumento che si è deciso di somministrare è lo
IAT, Imlicit Association Test, di Greenwald e colleghi, con le modifiche apportate in
modo da renderlo idoneo per lo studio. La logica sottostante allo IAT si basa
sull’inferenza degli atteggiamenti cognitivi in base ai tempi di risposta che si
registrano in compiti di categorizzazione. Tale strumento misura la forza dei legami
associativi ed è somministrato al computer, mostrando ai soggetti degli stimoli al
centro dello schermo. Il compito dei soggetti è quello di classificare tale stimoli,
associandoli a delle determinate categorie, scelte in base al costrutto che si vuole
esaminare. Nel nostro caso sono stati scelti degli stimoli e delle categorie che
richiamano la sfera emotiva, adatta per uno studio centrato sull’empatia.
La costruzione dello strumento è affiancata dall’utilizzo di test di intelligenza e
personalità, ciò per rendere il più possibile affidabile l’intera ricerca e i risultati
derivanti da questa. Il test di personalità utilizzato è il questionario Big Five nella sua
forma ridotta e adatta ai bambini, la forma Children. Si tratta di una serie di domande
a cui i bambini devono rispondere individualmente ed in maniera semplice,
selezionando una delle tre opzioni di risposta (scala Likert a tre punti). Il test indaga i
cinque grandi fattori che compongono la teoria del Big Five: Energia, Amicalità,
Coscienziosità, Stabilità emotiva e Apertura mentale. Terminato il questionario,
elaborando le varie risposte, si potrà disegnare un profilo di personalità individuale.
Per quanto riguarda il test di intelligenza, si è scelto di utilizzare un test di
intelligenza non verbale, le Matrici di Raven nella forma colore, più appropriate per
la somministrazione a bambini. Si tratta di una serie di figure alle quali è stata tolta
una parte, i soggetti devono individuare la parte mancante scegliendo tra varie
alternative poste al di sotto della matrice presa in esame. Vi sono tre serie di items
(A, A
B
, B), ognuno dei quali indaga una determinata capacità. Alla fine del test,
elaborando le varie risposte si avrà un profilo intellettivo del soggetto.
Con l’ausilio di questi tre strumenti si è cercato di confermare le ipotesi che
riguardano lo sviluppo dell’empatia in una fase dello sviluppo delicata, qual è
l’infanzia e la prima adolescenza.
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1. L’EMPATIA
“La più alta espressione dell’empatia è nell’accettare e non giudicare.”
(Carl Rogers)
La parola empatia affascina. La sua
radice è di origine greca, pathein,e letteralmente significa patire/soffrire; da questa
derivano i termini empatia, empathy ed il corrispondente tedesco einfühlung (sentire
dentro) coniato da Lipps nel 1909. Tutti questi termini, anche se diversi, rimandano
ad una modalità di sentire automatica ed istintiva che produce esperienze emozionali
simili tra “io” e “l’altro”.
L’empatia quindi, si configura come “l’esperienza di un altro in quanto soggetto
vivente di esperienza come me”.
Il concetto di empatia, nella psicologia, trova una doppia collocazione: la psicologia
umanistica considera questo processo come il centro dei suoi metodi terapeutici;
mentre la psicologia scientifica si dimostra ambigua nei suoi confronti.
La moltitudine di approcci fanno sì che vi siano delle differenziazioni nello studio
dell’empatia, che così facendo cambia sempre faccia: a volte è un tratto misurabile,
altre un’attivazione emotiva, altre ancora si parla di tante empatie disposte su un
continuum che parte dalle forme più istintive ed immature fino ad arrivare a forme
più sofisticate e controllate dall’uomo.
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1.1 Cenni storici
Il concetto di empatia compare per la prima volta, in modo esplicito, all’interno della
riflessione estetica alla fine dell’800, anche se è Theodor Lipps a dare al termine una
piena definizione, facendone il centro della propria concezione estetica e filosofica.
Secondo Lipps il vero senso della vita era quello di esprimere la forza interiore e
questa espressione coincide con il sentimento di sé. L’empatia è vista come un
sentirsi in sintonia con gli oggetti, che vengono “empatizzati”, cioè sentiti, come
positivi o negativi, in base a come vengono vissuti in termini di affermazione dell’Io
contemplativo (il cosiddetto “Bello”). Questa teoria, insieme a quelle di Stern e
Volkett, diede vita alla “Estetica della Einfühlung”. Lipps, insieme a Brentano, è
stato tra i rappresentanti dello psicologismo logico a ridurre i contenuti conoscitivi ai
meccanismi psicologici e ai fenomeni della coscienza.
Secondo Brentano tutte le categorie logiche possono essere riconducibili all’attività
intenzionale della coscienza e il significato di un concetto può essere chiarito
partendo dalla sua genesi psichica.
Husserl critica le posizioni dello psicologismo logico, anche se, essendo allievo di
Brentano, trae il punto di partenza della sua teoria proprio dal concetto di
intenzionalità: secondo Husserl ogni atto di coscienza è un’analisi della coscienza
che intenziona gli oggetti e consente di condurre le esperienze ed il sapere alle
operazioni psichiche di base. Propone il metodo della riduzione fenomenologica
(sospensione del giudizio); operata questa riduzione emerge il campo trascendentale
(ovvero un qualcosa che non si riferisce ad un oggetto né appartiene ad un soggetto)
della coscienza pura come un residuo fenomenologico. Quindi il senso del mondo si
costruisce partendo dagli atti intenzionali della coscienza pura.
Il concetto filosofico di empatia è stato stravolto dalla psicoanalisi, che lo ha mutuato
in uno strumento indispensabile del rapporto terapeutico. Sono varie le definizioni
psicologiche e generiche di questo termine.
La posizione di Freud nella sua opera “Psicologia delle masse e dell’Io” è poco
chiara: se da un lato l’autore ritiene l’empatia come “la capacità di farci intendere
l’Io estraneo di altre persone più di ogni altro processo”; dall’altro lato è molto
diffidente e preoccupato che l’analista resti emotivamente neutro e distaccato. Infatti