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Il primo capitolo di questo lavoro si incentrerà sui presupposti teorici 
inerenti lo sviluppo dei bambini da zero a tre anni, specializzandolo, vista la 
vastità dell'argomento, sui processi di sviluppo del sistema relazionale, 
comunicativo, linguistico e sociale, che sembrano essere le aree più 
compromesse nell'ambiente dei ristretti. Si prenderà in considerazione, tra l'altro, 
la teoria stadiale di Piaget, gli studi bowlbiani sull'attaccamento, le teorie di 
Vygotskij sul linguaggio e le teorizzazioni di Schaffer sullo sviluppo sociale dei 
primi anni di vita. 
Nel secondo capitolo si cercherà di mettere a fuoco la situazione attuale, sia 
dal punto di vista legislativo che psicologico. In particolare, si effettuerà una 
comparazione tra le teorie psicologiche classiche, citate nel primo capitolo, 
versus la condizione dei bambini in carcere, avvalendosi sia di testi di stimati 
autori, che di studi estrapolati dalle riviste scientifiche internazionali. Inoltre, 
verranno presentate alcune ricerche relative ad altri contesti europei (in special 
modo Spagna e Gran Bretagna). 
Nel terzo capitolo si mostreranno i dati demografici  e sociali, aggiornati 
all'ultima rilevazione statistica effettuata dal Ministero della Giustizia,  della 
popolazione carceraria, e in particolare di quella femminile e infantile; si 
indagherà, anche tramite l'aiuto di Internet, sui limiti della legislazione attuale. 
Verrà mostrato uno studio effettuato in Italia relativo all'osservazione di un 
bambino in carcere e saranno poi presentate delle strutture di detenzione 
alternative al carcere e delle altre iniziative;  verranno analizzate le ultime 
proposte di legge presentate dagli organi atti ed infine saranno evidenziate le 
prospettive ad ampio respiro, per far sì che non esistano più nel nostro futuro 
bambini "dietro le sbarre". 
Nelle considerazioni finali, verranno espressi commenti, alla luce di quanto 
esposto, sulla condizione di segregazione dell'infanzia in carcere, riepilogando i 
fattori di protezione e di rischio evidenziati dal presente lavoro. Si cercherà di 
mettere a fuoco, tra il corollario degli interventi presentati, le forme migliori di 
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sostegno. Verranno indicate le motivazioni per cui vi è ancora necessità di 
effettuare studi più approfonditi, per comprendere se gli effetti della deprivazione 
carceraria possano lasciare segni indelebili nel futuro di questi giovani abitanti 
del prossimo futuro. 
Infine, in appendice, verrà riportata, in forma integrale, la testimonianza di 
una donna affidataria che racconterà la storia di uno di questi bambini, che ha 
subito l'esperienza del carcere presente nella struttura di accoglienza di cui si è 
accennato all'inizio di questa introduzione. 
 
 
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CAPITOLO PRIMO 
 
UNO SGUARDO D'INSIEME ALLE TEORIE SULLO 
SVILUPPO 
 
1. Il processo di sviluppo dell'infante da zero a tre anni. 
Lo studio della psicologia dello sviluppo si occupa dei cambiamenti che si 
verificano nell'individuo durante le fasi della vita, relativamente a comportamenti 
e capacità psicologiche, quali, ad esempio, pensiero, linguaggio, comportamento 
sociale. 
I teorici dello sviluppo cercano, quindi, di spiegare i processi che 
producono i cambiamenti, e, così facendo, costruiscono una storia del viaggio 
umano dall'infanzia attraverso la fanciullezza, l'adolescenza, fino alla senescenza 
(Miller, 2002). 
Nel libro “La nascita dell'intelligenza nel bambino” (1936) Jean Piaget 
afferma che l'intelligenza verbale si fonda sull'intelligenza pratica, o 
sensomotoria, la quale a sua volta trae origine dalle consuetudini e associazioni 
acquisite per costruirne delle nuove. Quindi l'intelligenza è una forma di 
adattamento. L'adattamento si ha “quando l'organismo si trasforma  in funzione 
dell'ambiente e questa variazione ha per effetto un accrescimento degli scambi 
fra ambiente e organismo favorevoli alla conservazione di quest'ultimo” (op. 
cit.). 
Si può affermare, quindi, che l'intelligenza è assimilazione, poiché ingloba 
nei propri schemi i dati dell'esperienza, ma è anche accomodamento, in quanto 
gli schemi assimilati vengono con grande frequenza modificati per adattarli alle 
nuove situazioni (Camaioni, Di Blasio, 2002). 
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Lo sviluppo cognitivo passa attraverso una serie di stadi che rappresentano 
un periodo di tempo nel quale il comportamento ed il pensiero infantile mettono 
in evidenza un particolare tipo di struttura mentale (Miller, 2002). 
Gli stadi hanno precise caratteristiche: hanno forma e regole proprie, i 
passaggi tra stadi avvengono a causa di cambiamenti qualitativi piuttosto che 
quantitativi, seguono una precisa gerarchia di apparizione, in quanto il nuovo 
stadio incorpora la struttura mentale del precedente e la adegua alla nuova 
struttura. 
Il periodo che interessa questo lavoro è lo stadio sensomotorio che va fino 
ai tre anni circa (le età di riferimento sono indicative), in cui il bambino cerca di 
inferire il mondo per mezzo delle azioni pratiche che egli stesso compie 
sull'ambiente. Attraverso varie fasi, egli passa da semplici azioni di riflesso ad un 
insieme di comportamenti sensomotori organizzati (Miller, 2002). Ad esempio, 
lo schema della prensione diviene, nel tempo, strumentale all'esecuzione di 
schemi più complessi: l'oggetto viene afferrato per morderlo o lanciarlo 
(Camaioni, Di Blasio, 2002). 
Le caratteristiche dello stadio sensomotorio sono le seguenti: 
z la risposta del piccolo all'ambiente è sensoriale e motoria; 
z la reazione e il pensiero del bambino è nell'immediato, non ha scopi né 
progetti; 
z il bambino non ha rappresentazioni mentali interne. 
Di seguito una breve descrizione dei sei sottostadi (Piaget, 1936): 
Il primo stadio (0-1 mese) è il periodo dei riflessi innati del sistema centrale 
e del sistema autonomo, che agiscono insieme a tutte le reazioni dovute alla 
sensibilità protopatica, come ad esempio le reazioni posturali e la suzione; 
Nel secondo stadio (2-4 mesi), insieme ai comportamenti descritti nel primo 
si sovrappongono delle nuove reazioni circolari, come la protrusione della lingua 
e la suzione del pollice; per “reazione circolare” si intende “l'esercizio 
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funzionale che porta alla conservazione o alla riscoperta di un risultato nuovo e 
interessante” (Wallon, 1984); 
Nel terzo stadio (4-8 mesi) il bambino passa dall'azione sul proprio corpo 
ad azioni sugli oggetti del mondo esterno; egli mette, quindi, in atto 
comportamenti di esplorazione e scopre di poter scomporre e ricomporre 
all'infinito gli schemi interiorizzati, passando così dalle reazioni circolari 
primarie a quelle secondarie, in cui esso, dopo aver riprodotto i risultati 
interessanti scoperti per caso sul proprio corpo, cerca di esercitarli sull'esterno; 
Nel quarto stadio (8-12 mesi), ovvero il periodo della coordinazione degli 
schemi secondari tra loro, i vecchi schemi vengono utilizzati per ottenere fini non 
accessibili direttamente. Iniziano quei comportamenti, veramente “intelligenti” 
definiti reazioni circolari terziarie, in cui si mira a raggiungere un risultato 
grazie a nuove combinazioni. 
Il quinto stadio (12-18 mesi), detto anche stadio dell'elaborazione 
dell'oggetto, è caratterizzato dalla creazione di nuovi schemi attraverso non più 
l'esperienza, bensì la sperimentazione. Nelle reazioni circolari terziarie l'effetto 
ottenuto casualmente non è soltanto riprodotto, ma graduato e variato al fine di 
studiarne la natura e scoprire le fluttuazioni del risultato. Compare la 
differenziazione tra mezzi e fini. 
Nel sesto stadio (18-24 mesi) la ricerca non è più controllata a posteriori ma 
a priori, mediante combinazioni mentali: il bambino cerca di prevedere quali 
manovre falliranno e quali riusciranno. Inizia ad apparire la rappresentazione 
mentale, necessaria  per evocare oggetti e risposte assenti. 
Entro i primi due-tre anni comunque si definisce ed esaurisce la fase 
dell’intelligenza sensomotoria, periodo in cui la caratteristica mentale emergente 
determina situazioni di stimolo-riposta in cui il bambino impara a distinguere le 
sensazioni di piacere-dispiacere, da azioni differenziate e metodiche. 
In definitiva, l'intelligenza sensomotoria si snoda attraverso il passaggio in 
sottostadi, caratterizzati da una progressiva strumentalizzazione delle azioni, 
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dalla permanenza dell'oggetto, (un oggetto che continua ad esistere anche quando 
non è fisicamente presente), insieme all'acquisizione delle nozioni di spazio, 
tempo e causalità; allorquando il bambino riuscirà a costruire delle 
rappresentazioni mentali, egli sarà pronto per passare allo stadio successivo. 
Diversa invece è la posizione di Vygotskij. Egli infatti concentra i suoi 
interessi su ciò che il bambino sarà capace di fare in seguito a nuove esperienze 
sociali e culturali. 
Concetto fondamentale della teoria vygotskijana è la zona di sviluppo 
prossimale (1962). 
Essa rappresenta la distanza tra il livello di sviluppo attuale e il livello di 
sviluppo potenziale, che può essere raggiunto con l'aiuto di altre persone. Infatti, 
a differenza dell'approccio piagettiano, Vygotskij non ritiene che il bambino, 
passando attraverso diversi stadi, e divenga pronto ad apprendere nuove 
conoscenze dalle nuove competenze acquisite, ma sostiene che il bambino 
“cresce” grazie all'interazione e all'aiuto di coloro che si trovano ad un livello di 
conoscenza superiore; se il bambino è efficacemente “aiutato”, la sua zona di 
sviluppo di amplia, includendo la precedente zona di sviluppo prossimale, ed egli 
diviene capace di eseguire autonomamente un compito che prima non sapeva 
eseguire. Nella zona di sviluppo prossimale così acquisita se ne crea una nuova, e 
il processo evolutivo prosegue ciclicamente. 
Ogni funzione intellettiva superiore acquisita nello sviluppo fa quindi la sua 
apparizione due volte su due piani diversi: dapprima tra persone, come categoria 
interpsichica, e poi all'interno del bambino, come categoria intrapsichica (Miller, 
2002). 
In definitiva, si può affermare che, mentre lo studio piagettiano ha come 
unità di base il “bambino scientifico”, cioè il bambino intento a generare e 
verificare costantemente le sue teorie del mondo, quella vygotskjiana ha come 
metafora “il bambino-attivo-in-un-contesto”: infatti “il contesto storico e 
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culturale definisce e plasma ogni bambino e la sua esperienza [..] Allo stesso 
tempo i fanciulli esercitano un'influenza sulla loro cultura” (Miller, 2002). 
2. I sistemi motivazionali e la teoria dell'attaccamento. 
Studiare le motivazioni significa cercare una risposta soddisfacente alla 
domanda: perché le persone pensano e agiscono nel modo in cui lo fanno? 
Le motivazioni, secondo Pine (1990), sono “tutte quelle variabili che danno 
inizio, che sostengono e che dirigono il comportamento”. 
Per promuovere la realizzazione e la regolazione dei bisogni, Lichtenberg 
(2001) indica 5 motivazioni di base: 
z la necessità della regolazione psichica delle richieste fisiologiche; 
z il bisogno di attaccamento e di affiliazione; 
z i bisogni esplorativi ed assertivi; 
z il bisogno di reagire in modo avversativo con antagonismo o evitamento; 
z il bisogno di soddisfazione sessuale. 
L'autore li denomina “sistemi motivazionali” e non semplicemente 
“motivazioni” poiché il termine “sistema”, se da un lato mette chiaramente in 
evidenza il concetto di duttilità e di cambiamento reso possibile dalle relazioni 
tra i vari componenti del sistema stesso, dall'altro pone l'accento sul fatto che non 
è pensabile concepire il bambino come contenitore passivo di spinte pulsionali 
e/o ambientali. 
Lichtenberg sottolinea che, quando un sistema motivazionale è prevalente 
sugli altri, questi diventano suoi sussidiari: ad esempio, se in un momento preciso 
prevale la fame, la spinta motivazionale sarà riportata alle esperienze passate 
delle relazioni di attaccamento con le persone che fornivano cibo, il piacere delle 
curiosità e delle esplorazioni sarà collegato ai sapori, i movimenti avversativi 
riguarderanno determinati cibi e il piacere sensuale si ricollegherà ad esperienze 
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in cui si affiancano sessualità e piacere di cibarsi. Tutti i sistemi motivazionali si 
attiveranno contemporaneamente, ma orientati a quello prevalente. 
La teoria bowlbiana è per sua natura un teoria motivazionale, dove però in 
primo piano non c'è più la gratificazione dei bisogni fisiologici, ma l'interesse 
alla relazione con gli altri, un interesse “primario” che risulta in contrasto con la 
concezione freudiana dell'attaccamento interpersonale secondario al 
soddisfacimento della pulsione somatica originaria (Freud, 1905). Difatti Freud 
afferma che “l'amore nasce dal bisogno, soddisfatto, di cibo” (op. cit.).  
Bowlby (1958) tenta di spiegare il ruolo dei fattori ambientali sullo 
sviluppo infantile ed in particolare l’importanza, per il bambino, della vicinanza 
con le figure di accudimento. 
Uno dei cardini della psicologia dello sviluppo è lo studio della capacità, da 
parte del bambino, di creare relazioni, dando particolare enfasi al legame 
affettivo del bambino con il caregiver. Tale relazione viene chiamata 
“attaccamento” e può essere definita come un legame di lunga durata, 
emotivamente significativo, che il bambino sviluppa nei confronti dell'adulto che 
si prende cura di lui (Bowlby 1969). 
Lo studioso (op. cit.) afferma che il legame madre-bambino è il risultato di 
un sistema di attaccamento su base innata; comportamenti come piangere, 
aggrapparsi, sorridere, sono chiamati dall'autore “schemi pre-programmati”, 
poiché favoriscono prossimità con il caregiver, aumentando quindi, in termini 
biologici, le possibilità di sopravvivenza. 
Ugualmente, è pre-programmata sia la “sensibilità” ai segnali del figlio da 
parte della madre, sia la sua capacità di decodificarne il tipo di segnale (ad 
esempio il pianto di fame o di dolore), che la sua propensione ad accorrere  con 
prontezza al bisogno.