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inevitabilmente l’attenzione sulle variabili “reali” dell’economia , e indirettamente
sulla domanda di credito , piuttosto che sull’offerta , fermo restando che qualunque
proposta normativa non possa in alcun caso prescindere da un riassetto del sistema
bancario meridionale .
Considerare il sistema bancario come un “posterius” e non un “prius” rispetto allo
sviluppo economico , significa dunque imputare alla struttura industriale del Sud
parte delle responsabilità , che hanno reso patologiche , e non fisiologiche , le
imperfezioni e le inefficienze delle banche meridionali .
Questa tesi fungerà da pietra angolare del presente lavoro , ed offrirà anche una
prospettiva eterodossa , attraverso cui analizzare , ed eventualmente giudicare pure ,
la politica creditizia della Banca d’Italia , ispirata sull’accomodamento , se non
addirittura sull’incentivo , dei processi di liberalizzazione e di concentrazione del
mercato del credito . In particolare questa analisi si concentrerà sugli effetti e le
conseguenze causate dalla penetrazione delle banche del Centro-Nord nelle regioni
meridionali , onde verificare se ciò abbia innescato un circuito virtuoso o vizioso .
La domanda cui si cercherà di rispondere è se alla crescita quantitativa dell’offerta di
credito , dovuta alla maggiore concorrenza da parte delle banche con sede legale al
Centro-Nord , ma operanti al Sud , ne sia corrisposta anche una di tipo qualitativo .
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1.2 Approcci recenti : mercati contendibili ed informazione asimmetrica
Occorre a questo punto considerare brevemente i principali modelli positivi , che
hanno ispirato , e continuano ad ispirare , la politica creditizia italiana .
Come si vedrà successivamente i provvedimenti regolamentativi proposti ed attuati
dalla Banca d’Italia , e gli stessi interventi legislativi varati dal Parlamento italiano ,
sembrano trovare riscontro nell’uno o nell’altro modello di riferimento . Qui non si
vuole affatto stabilire una corrispondenza univoca tra modelli positivi e normativi ; si
vuole soltanto porre in evidenza come molto spesso esista un relazione , peraltro
labile e non sempre univocamente specificabile , tra un sistema di provvedimenti
normativi e la prevalenza ( anche e forse soprattutto nel mondo scientifico e
accademico ) di un modello economico sull’altro .
La rassegna non potrebbe non partire dall’approccio Struttura- Condotta-
Performance , d’ora in poi S-C-P , nato e sviluppatosi ad Harvard negli anni ’30 ,
quale tentativo di conciliare l’astrattezza delle proposizioni microeconomiche con le
effettive imperfezioni esistenti nei mercati , tanto evidenti e laceranti , da rendere
inutilizzabili i tradizionali modelli approntati dalla letteratura economica .
Nella sua formulazione più forte , cosiddetta “strutturalista” , l’approccio S-C-P fa
discendere il comportamento delle imprese dalla struttura di mercato , caratterizzata
anzitutto dal numero delle imprese e dalla distribuzione delle quote di mercato tra le
stesse . La ratio del modello può essere sintetizzata nella relazione inversa , che
esisterebbe tra concentrazione e profittabiltà : quanto più un mercato è concentrato ,
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tanto maggiore è il potere di mercato delle imprese , e la conseguente capacità di
stipulare accordi di collusione , conseguendo pertanto extra- profitti . Al contrario ,
quando aumenterebbe il numero di imprese presenti sul mercato , riducendo le quote
di mercato di ciascuna impresa a parità di domanda totale , i crescenti costi di
coordinazione e di vigilanza del cartello , renderebbero sempre più difficile la
collusione , che si trasformerebbe pertanto in concorrenza , con successiva erosione
degli extra- profitti .
Quest’approccio ha indubbiamente influenzato i canoni della politica creditizia ,
almeno sino al 1984 , anno dell’ultimo PIANO SPORTELLI ; l’obiettivo di questi
provvedimenti era quella di determinare esogenamente le caratteristiche strutturali
dell'offerta di credito , mediante una crescita pianificata delle dipendenze ,
coerentemente con un assunto di base , che attribuiva alla stabilità del sistema un
peso ed un valore certamente superiori a quelli riconducibili all’efficienza .
Uno dei limiti dell’approccio S-C-P almeno nella sua formulazione più restrittiva ,
risiede nel far dipendere univocamente il livello di profittabilità dalle variabili
esprimenti la struttura dell’industria , tralasciando i meccanismi , che inducono le
imprese a concorrere o a colludere . In particolare , non sempre ad un elevato livello
di concentrazione deve necessariamente corrispondere un elevato grado di collusione.
E’ questo il messaggio centrale della teoria dei mercati contendibili , sviluppata da
Baumol , Panzer e Willing a partire dagli anni ’80 , la quale sposta l’attenzione dai
fattori che determinano l’altezza delle barriere all’entrata a quelli che condizionano le
barriere all’uscita . La presenza di barriere all’uscita , identificate nell’altezza dei
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costi non recuperabili , assurge a variabile fondamentale del modello : non è più il
numero di imprese presenti sul mercato a determinare il grado di collusione , ma è
l’altezza delle barriere all’uscita a incidere sull’intensità della concorrenza potenziale
ed effettiva , ed indirettamente sul prezzo di mercato .
La proposta normativa , che scaturisce da questa teoria , è abbastanza immediato : nei
settori caratterizzati da economie di scala e bassi costi non recuperabili , eventuali
provvedimenti deregolamentativi sarebbero auspicabili per incrementare il grado di
concorrenza e di efficienza dell’industria . Sebbene la stesa regolamentazione possa
dar luogo ad un aumento del livello di concentrazione , la concorrenza potenziale
dovrebbe impedire ad eventuali oligopolisti di fissare prezzi di molto superiore al
costo medio . Tralasciando in questa sede alcune riflessioni di carattere teorico , che
hanno evidenziato come non sempre sia possibile raggiungere un equilibrio
sostenibile ( quanto piuttosto un continuo alternarsi tra posizioni di oligopolio e fasi
di concorrenza distruttiva ) , occorre sottolineare che il messaggio normativo debba
essere calibrato in funzione del contesto economico- istituzionale , nel quale si va ad
operare . Per essere più chiari , nel mercato del credito esistono segmenti di attività ,
caratterizzati da elevati costi non recuperabili , ed altri segmenti , quali quelli dei
titoli di stato o dei prestiti alla clientela primaria , nei quali la recuperabilità di questi
costi è pressochè completa , grazie al basso grado di specificità informativa , che
queste relazioni contrattuali comportano . Non è dunque sufficiente eliminare le
barriere istituzionali all’entrata per ottenere “ipso iure” un miglioramento qualitativo ,
oltrechè quantitativo , dell’offerta : è quanto sembra sia accaduto (e che si cercherà di
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argomentare ) nel mercato del credito meridionale , in seguito alla penetrazione delle
banche dell’Italia centro- settentrionale .In questo caso la concorrenza si sarebbe
intensificata soltanto nei segmenti contendibili , ovvero quelli privi di rilevanti
problemi informativi , quali il mercato dei depositi e quello degli impieghi per la
clientela primaria . Il segmento della clientela problematica sarebbe risultato ,
invece, pressochè impermeabile ad ogni forma di concorrenza , in virtù dei già citati
problemi informativi , che in tale segmento avrebbero prodotto fenomeni di
“fidelizzazione” della clientela .
Finora sono state soltanto accennate le problematiche connesse alla distribuzione
asimmetrica delle informazioni tra banche e mutuatari ; queste ultime hanno trovato
un’adeguata sistemazione nell’ambito della teoria dell’agente- principale , la quale ha
stilizzato le principali situazioni , in cui è possibile rinvenire un problema di
asimmetria delle informazioni . Tali asimmetrie possono generare problemi di “moral
hazard” ed informazione o azione nascosta , dovuti ad asimmetrie emergenti dopo la
conclusione di un contratto ( ex- post ) , oppure problemi di “adverse selection” ,
dovuti ad asimmetrie esistenti sin dal momento in cui il contratto viene stipulato dalle
parti . Problemi di moral hazard possono verificarsi quando i soggetti che prendono a
prestito intraprendono azioni che aumentano la loro probabilità di inadempienza ,
senza che la banca abbia la possibilità di conoscere tempestivamente le intenzioni ;
problemi di adverse selection si manifestano ad esempio quando la banca , nel
tentativo di ottenere un rapporto ottimale tra rendimento e rischiosità del proprio
portafoglio prestiti , fissa un tasso di interesse sufficientemente alto da costringere i
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mutuatari a intraprendere progetti più rischiosi e dunque più remunerativi : in questo
modo però rimangono soltanto i progetti più rischiosi . Ne scaturisce allora un effetto
di selezione avversa , perché un tasso d’interesse più alto influenza i soggetti meno
rischiosi - che anticipano la loro intenzione di ripagare sempre il prestito – più di
quelli più rischiosi – che si rendono conto che il tasso richiesto non è rilevante in
situazioni in cui essi divengono insolventi : al limite , un singolo che fosse abbastanza
sicuro di non ripagare in pieno il prestito sarebbe quasi indifferente al tasso
d’interesse richiesto . Questi problemi si traducono nell’impossibilità , da parte della
banca , di conoscere l’effettiva reddittività di un progetto d’investimento di
un’impresa , di osservare l’effettivo comportamento del mutuatario , ovvero di come
quest’ultimo disponga dei fidi erogatigli dalla banca stessa .
La necessità per la banca di ricomporre questo squilibrio informativo , determina il
sostenimento di costi di screening e di monitoring , la cui ampiezza è proporzionale
allo stato di precarietà della clientela : in genere imprese di piccole dimensioni ,
producenti prodotti standardizzati , scarsamente innovative e con modesto potere di
mercato , rendono particolarmente incerto l’esito di un progetto di investimento , e
conseguentemente , anche il rischio che il credito concessogli si traduca in una
sofferenza per la banca acquista probabilità crescenti . Va poi aggiunto , che quando
un’impresa , ancorchè di modeste dimensioni , non è inserita in sistema produttivo e
distributivo , integrato tanto a valle quanto a monte ( come nel caso del Mezzogiorno
italiano ) , i canali informativi , di cui può disporre una banca , tendono ad
assottigliarsi ulteriormente .
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In queste condizioni , se una banca vuole concedere un credito ad una impresa non
appartenente alla fascia primaria , dovrà sostenere elevati costi di screening e di
monitoring , irrecuperabili una volta sostenuti , che renderanno il rapporto banca-
cliente specifico , se non addirittura unico : addirittura un mercato per ogni contratto .
Queste considerazioni assumono valenza interpretativa ,qualora vengano calate nella
realtà socio- economica meridionale , in cui lo stato di precarietà e di debolezza delle
imprese è tale da rendere patologiche , e non più solo fisiologiche , le inefficienze
derivanti da problemi informativi . Sono questi ultimi , in estrema sintesi , a creare i
già citati fenomeni di “fidelizzazione” della clientela , impedendo che la concorrenza
da parte delle banche del Centro-Nord si sviluppi anche nei segmenti di mercato più
rischiosi e problematici .
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Capitolo secondo
IL MERCATO DE CREDITO ITALIANO
2.1 I parametri strutturali dell'offerta: impieghi e sportelli
Le modifiche strutturali avvenute nel sistema creditizio italiano possono essere
sintetizzate sommariamente attraverso la crescita degli sportelli e degli impieghi .
In particolare il numero degli sportelli in Italia è cresciuto di circa il 58 % ( da 16495
nel 1990 a 26170 nel 1998 ) ; nello stesso arco temporale risulta essersi accresciuto
anche il numero degli sportelli presenti nel Mezzogiorno , sebbene tale crescita risulti
essere sensibilmente più attenuata rispetto a quella verificatasi in Italia (+29 % a
fronte di un +58 % in Italia ) .
Tavola 2.1 : Sportelli in Italia e nel Mezzogiorno
Anni 90 91 92 93 94 95 96 97 98
Tot. sportelli in Italia
16495 18296 19074 21176 22340 23312 24301 25144 26170
Tot. sportelli nel Sud
3892 4307 4707 5056 5300 5434 5576 5680 6023
Fonte : Rapporti annuale SVIMEZ , anni vari
Straordinaria risulta invece essere la crescita del numero degli sportelli aperti nel
Mezzogiorno dalle banche aventi sede legale nel Centro- Nord , passati da 969 nel
1990 a 2150 nel 1998 , facendo registrare una crescita del 120 % , più che doppia
rispetto allo stesso dato nazionale . Tuttavia , misurando questa crescita in termini di
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variazione di quote percentuali , la crescita si dimostra molto più moderata , facendo
registrare un aumento del 11,6 % nell’arco di quasi un decennio .
Questo dato appare ancora più significativo se confrontato con quello relativo alla
crescita delle quote di mercato detenute nel Mezzogiorno dalle banche con sede
legale nel Centro- Nord ; la crescita è di 4,3 punti percentuali (38 % nel 1990 a
fronte del 42,3 % nel 1998 ) , ed appare in stridente contraddizione con i dati
esprimenti l’andamento del numero di sportelli ( +120 % ) e delle relative quote
percentuali ( +11,3 % ) .
Tavola 2.2 : Sportelli ed impieghi di banche centrosettentrionali nel Mezzogiorno
Anni 90 91 92 93 94 95 96 97 98
Sportelli di banche del
Centro- Nord al Sud
969 1173 1376 1539 1787 1876 1980 2073 2150
Quota sportelli di banche del
Centro- Nord al Sud (%)
24.9 27.2 29.2 30.4 33.7 34.5 35.5 36.5 36.5
Quota impieghi di banche
del Centro- Nord al Sud (%)
38.0 38.6 37.3 36.8 39.4 36.2 38.7 40.4 42.3
Fonte : Rapporto annuale SVIMEZ , anni vari
Questa differente dinamica dei tassi di crescita delle quote di sportelli e delle quote di
mercato può trovare molteplici spiegazioni ( per un confronto vedi Busetta e Sacco
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1997 ) . Anzitutto essa può essere il risultato di una procedura contabile diffusa tra le
banche , consistente nel registrare i fidi presso le sedi centrali delle banche ; in
secondo luogo potrebbe avere inciso una particolare strategia di localizzazione degli
sportelli , secondo cui in una prima fase sarebbero stati aperti nuovi sportelli nei
centri più importanti dal punto di vista produttivo e commerciale , mentre
successivamente sarebbe stata inaugurato una seconda fase di apertura di nuovi
sportelli nei centri più periferici , con maggiore attitudine all’attività di raccolta che
non a quella di impiego .
Va inoltre sottolineato che molto spesso è stata preferita una strategia di crescita
mirante a dotare le banche di una struttura agile , flessibile e dalla dimensione
contenuta dei singoli sportelli : i cosiddetti sportelli “leggeri” , concepiti per
sopportare un volume più contenuto di impieghi .
Quale che sia stato il fattore preponderante nello spiegare i differenti tassi di crescita
delle quote sportelli e di quelle di mercato detenute dalle banche del Centro- Nord nel
Mezzogiorno , va sottolineata fin d’ora come tale tendenza dimostri indirettamente il
fatto che il mercato del credito del Mezzogiorno sia stato considerato
prevalentemente come un mercato di raccolta . Questi dati sui parametri strutturali del
sistema bancario sembrerebbero dimostrare “prima facie” una crescita meramente
quantitativa dell’offerta di credito : la crescita del numero degli sportelli delle banche
del Centro- Nord avrebbero innescato processi competitivi soltanto sul lato della
raccolta , laddove il lato dell’offerta di fondi sarebbe stato investito da un aumento
della concorrenza soltanto nel segmento della clientela primaria e maggiore .