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distruttivo, ma anche nanochirurghi superprecisi, in grado di intervenire
con un raggio laser su una singola cellula. Non è più fantascienza ma ciò
che si sta sperimentando nei laboratori di tutto il mondo. La
nanotecnologia è ben più di una nuova moda!
Niels Boeing intitola uno dei sui ultimi libri “L’invasione delle
nanotecnologie” utilizzando una metafora più che appropriata per
descrivere la realtà che ci circonda, perché è proprio questo che stanno
facendo queste nuove tecnologie, ci stanno invadendo.
Le nanotecnologie, infatti, sono diventate uno dei mantra dei nostri
giorni ed il motivo risiede nel fatto che in questo settore i rappresentanti
del mondo della ricerca e dell’industria, ma anche quelli della finanza ed
i pianificatori, vedono un modo totalmente nuovo per realizzare
materiali, prodotti, dispositivi, tale da rivoluzionare sia l’attività di
ricerca che quella industriale e, in ultima analisi, lo stesso modo di
vivere. Queste tecnologie sono in sostanza ritenute capaci di innescare
un vero e proprio ciclo di sviluppo nuovo.
I profeti della rivoluzione nanotecnologica promettono un radicale
cambiamento nel modo di produrre le classi più disparate di oggetti e
beni di consumo: dai vaccini ai pneumatici, dagli aeroplani agli
strumenti chirurgici.
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Tutti i Paesi più industrializzati stanno investendo milioni e miliardi di
euro in progetti innovativi, e le cifre andranno sempre più
incrementandosi, nel prossimo futuro.
Le nanotecnologie sono ancora nella loro “fase iniziale di sviluppo” e
non poche domande vengono poste dai vari scienziati e ricercatori sulla
loro tossicità, sul loro possibile impatto negativo sull’ambiente. Questi
per ora sono solo degli interrogativi che con il passare del tempo, non
troppo però, si spera abbiano presto una risposta.
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CAPITOLO I
LE NANOTECNOLOGIE
1. Cosa s’intende per nanotecnologie?
La nanotecnologia è una tecnologia, ossia l’applicazione pratica di
conoscenze di base. Non basta operare con atomi o molecole o comunque
con oggetti di dimensione nanometrica; occorre poterli manipolare e
collocare dove si vuole. Quindi qualsiasi branca delle tecnologie
esistenti, per potersi definire nanotecnologia, deve avere a che fare con
materiali o sistemi con alcuni requisiti:
ξ almeno una delle dimensioni deve essere tra 1 e 100 nanometri
(1nm=10
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m, ossia un miliardesimo di metro). 1nm, è grosso
modo quattro volte il diametro di un singolo atomo e 10nm
equivalgono, più o meno, al diametro di un capello umano;
Figura 1: Confronto schematico tra diverse scale dimensionali
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ξ devono essere prodotti tramite processi non casuali, tali per cui
esista un controllo completo sulle strutture su scala molecolare
che vengono ottenute.
Le nanotecnologie consentono quindi di agire sulla struttura della
materia, sia organica che non, ad una scala dimensionale che coinvolge
da qualche decina a qualche migliaio di atomi. Le strutture di queste
dimensioni si chiamano abitualmente nanostrutture e il loro campo di
applicazione più avanzato è quello dei dispositivi elettronici molecolari:
attualmente hanno già trovato impiego commerciale alcuni polimeri
conduttori, fotoconduttori, transistor e LED organici. Dispositivi di
questo tipo hanno reso possibile, ad esempio, la produzione di display
luminosi che si presentano sottoforma di fogli di materiale plastico.
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1.1 Un po’ di storia
Se sulla definizione di ciò che sono le nanotecnologie possono esistere
delle incertezze, queste si dissolvono quando si tratta di decidere quando
sono nate.
La loro data di nascita è ben definita e molto recente: il 29 dicembre del
1959. Proprio quel giorno Richard Feynman, premio Nobel per la Fisica,
tenne una ormai famosa conferenza al meeting annuale del California
Institute of Technology (Caltech), dal titolo There’s plenty of room at
the bottom: “C’è un sacco di spazio là in fondo”. In quella occasione
Feynman descrisse per la prima volta le potenzialità legate alla
manipolazione controllata del mondo atomico.
“Considerate la possibilità che anche noi, come la biologia
molecolare, siamo in grado di costruire oggetti piccolissimi, che
facciano quello che vogliamo; allora potremo anche produrre
macchine che manovrino a quel livello [..] Non ho paura di dire che
la questione decisiva sarà se alla fine – in un futuro lontano – saremo
capaci di disporre gli atomi nel modo da noi voluto. Sì, giù giù,
proprio sino agli atomi.”
Solo nel 1974, però, Norio Taniguchi, dell’Università di Tokio, coniò il
termine nanotecnologia. Taniguchi distinse tra l’ingegneria su scala
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micrometrica, la microtecnologia, e un nuovo livello sub-micrometrico,
che chiamò nano-tecnologia. Per circa un decennio la possibile esistenza
di questo nuovo campo rimase sconosciuta ai più.
Nel 1981, il ricercatore del MIT Eric Drexler pubblicò un articolo
intitolato “Ingegneria molecolare: un approccio allo sviluppo delle
capacità necessarie per la manipolazione molecolare” su Proceedings
of the National Academy of Science, USA. Si tratta della prima
pubblicazione scientifica in cui la fattibilità della nanotecnologia fu
dimostrata. L’esistenza delle complesse strutture molecolari presenti in
ogni sistema vivente è utilizzata da Drexler per dimostrare la possibilità
teorica della progettazione e costruzione di strutture altrettanto o più
complesse con mezzi di ingegneria molecolare. L’intuizione geniale di
Drexler fu la realizzazione che il problema scientifico di come tali
strutture si formino, fosse molto più complicato del problema
ingegneristico di come progettare una struttura proteinica in modo che si
ripieghi in un certo modo.
Nel 1986 però Eric Drexler scrisse Engines of creation: the coming era
of technology l’opera che oggi è considerata la pietra miliare da cui è
partito il rapido e turbolento sviluppo delle nanotecnologie.
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Figura 2: Copertina del libro di Drexler
Pur mantenendo il rigore di una pubblicazione scientifica, Drexler ha
realizzato un’opera di divulgazione scientifica in cui illustra non solo le
basi teoriche della nanotecnologia, ma anche una serie di affascinanti
speculazioni sulle possibili conseguenze dell’arrivo di una
nanotecnologia avanzata sulla condizione dell’umanità e del pianeta,
siano queste positive o negative.
Mentre Drexler fantasticava sulle future applicazioni delle
nanotecnologie, ci furono due importanti scoperte che contribuirono a
dare un impulso determinante alla nascita del settore. Nel 1986 il gruppo
di Richard Smalley alla Rice University faceva un’importante scoperta
identificando una nuova molecola di 60 atomi di carbonio, il fullerene,
che è divenuto in seguito il capostipite di una nuova classe di materiali, i
nanotubi, con numerose applicazioni.
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Più o meno in quegli anni, Gerd Binning e Heinrich Rohrer all’IBM di
Zurigo inventavano il microscopio a scansione a effetto tunnel (STM),
uno strumento in grado di fornire per la prima volta immagini della
materia su scala atomica. Qualche anno dopo veniva sviluppato uno
strumento simile, il microscopio a forza atomica (AFM).
1.2 Informazioni generali
La nanotecnologia si basa su tre ipotesi in fase di sperimentazione:
ξ Qualsiasi struttura chimicamente stabile e modellabile può essere
creata, ossia: ciascuna molecola può essere scomposta ed i suoi
componenti possono essere riuniti in un’altra molecola.
ξ E’ possibile assemblare delle molecole per fabbricare dei motori in
grado di funzionare per un dato periodo di tempo con una quantità
d’energia infinitesimale.
ξ E’ possibile aggregare delle molecole in un dispositivo in grado di
captare delle informazioni e trasmetterle in modo pressoché
invisibile.
La scienza del piccolo è un settore interdisciplinare nel quale scienziati
della materia, ingegneri meccanici ed elettronici, biologi, chimici e fisici
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mettono insieme le proprie competenze per superare i confini della nano-
scala.
Possiamo distinguere tre aree principali dove i ricercatori operano a
livello molecolare:
ξ Nano-materiali: controllare precisamente la morfologia a
dimensioni nanometriche di sostanze o particelle per produrre
materiali dotati di nanostrutture;
ξ Nano-elettronica: continuazione dello sviluppo della
microelettronica, specialmente per i computer, ma a livelli
dimensionali notevolmente più piccoli;
ξ Nano-biotecnologie: associazione tra l’ingegneria su scala
nanometrica e la biologia, per manipolare sistemi viventi o per
costruire a livello molecolare materiali di ispirazione biologica.
Due sono le strade seguite per operare a livello nanometrico: l’approccio
“top down” e quello “bottom up”. Il primo consiste nel ridurre con
metodi fisici le dimensioni delle strutture più piccole verso livelli nano.
Un esempio significativo è la cosiddetta dip pen nanolithography, con la
quale si sfrutta la punta di un microscopio a forza atomica (AFM, Atomic
Force Microscope), che viene ricoperta da molecole come i tioli, in grado
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di reagire chimicamente con una superficie di oro formando forti legami
covalenti con essa. Controllando il movimento della punta sulla
superficie si può sfruttare una goccia d’acqua come canale per far
migrare le molecole dalla punta al campione, ottenendo un processo
analogo alla scrittura con una penna ad inchiostro. I campi principali di
applicazione sono la nanoelettronica e la nanoingegneria.
La seconda strada, sta ad indicare l’approccio nel quale, partendo da
piccoli componenti, normalmente molecole, si cerca di
controllarne/indirizzarne l’assemblaggio utilizzandoli come “building
blocks” per realizzare nanostrutture, sia di tipo inorganico che
organico/biologico. Tale approccio rappresenta il tentativo di costruire
entità complesse sfruttando la capacità di autoassemblamento o di
autoorganizzazione dei sistemi molecolari. E’ pertanto un approccio di
tipo chimico o biologico, potenzialmente in grado di creare strutture
tridimensionali complesse a basso costo e in grande quantità. A seconda
dei casi parleremo di autoassemblamento chimico, autoassemblamento
fisico e di autoassemblamento colloidale.
Le due metodologie descritte non sono in contrapposizione, anzi
attualmente lo sforzo maggiore è ricercare tra esse la sinergia più
adeguata per l’applicazione desiderata.
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Un esempio è la cosiddetta litografia “soffice” (soft-lithography) in cui si
usa uno “stampo” realizzato con tecnologia a fascio di elettroni per poi
trasferire pattern di molecole autoassemblate sulle zone desiderate del
substrato.
Alcuni prodotti derivanti dalle nanotecnologie sono già disponibili sul
mercato, come, ad esempio, nanopolveri con proprietà anti UV per creme
solari e polveri nanostrutturate per coatings o vernici, ma anche “hard
disks” con superfici nanostrutturate per la registrazione di dati ad alta
densità.
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1.3 Curiosità: le nanotecnologie si usavano anche nel Rinascimento
Sulla maestria degli artigiani italiani del Rinascimento non si discute, ma
a quanto pare anche le loro conoscenze scientifiche erano particolarmente
evolute. Secondo uno studio pubblicato da Bruno Brunetti dell’Università
di Perugia sulle pagine della rivista Journal of Applied Physics, le
ceramiche della cittadina umbra di Deruta sfruttavano alcune proprietà
fisiche dei metalli che oggi potremmo definire campo di studio delle
nanotecnologie. La caratteristica dei vasi umbri dell’epoca era infatti una
copertura vetrosa colorata, ottenuta dalla fusione di sabbia, soda e sali
minerali, che rendeva i vasi iridescenti o simili all’oro. Il trucco stava
nelle proprietà di minuscole particelle di metallo di dimensione compresa
tra i 5 e i 100 miliardesimi di metro che riflettevano la luce in varie
frequenze, dando l’effetto iridescente, dorato o anche rosso.
Oltre a ciò, la copertura vetrosa era arricchita con minime quantità di ioni
di rame che alteravano la capacità di condurre la luce del vetro e lo
rendevano più brillante. La tecnica è nota grazie a tre libri sull’”Arte del
vasaio” di Cipriano Piccolpasso risalenti al 1557. Rame, argento ed altri
sali minerali venivano mischiati con aceto, ocra e argilla e quindi
applicati sulle ceramiche.
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1.4 La differenza tra i materiali normali e quelli nanostrutturati
I materiali costituiti da nanostrutture ( che sono ottenuti mediante
interventi a scala nanometrica) si presentano sotto forme diverse che, a
prima vista, non differiscono dai materiali strutturati su scala corrente (es.
un pezzo metallico o ceramico, in cui le dimensioni lineari dei “grani”
costituenti possono variare generalmente tra 0.01 e 0.1 mm). I materiali
nanostrutturati possono essere utilizzati sia sotto forma di manufatti o
polveri finemente divise, sia come film sottili o rivestimenti superficiali
di materiali convenzionali. Le differenze sostanziali con i materiali a
struttura normale riguardano le loro proprietà e la possibilità di
modificarle mediante la manipolazione delle loro strutture a livello degli
atomi che la compongono.
I grani dei normali materiali microcristallini possono contenere milioni o
miliardi d’atomi, di cui la maggior parte si trova all’interno dei grani
stessi, e sono quindi poco influenzati dall’interfaccia tra grani, detta
anche “bordo di grano”. Questa interfaccia ha proprietà diverse da quelle
della massa materiale, ma rappresenta solo circa l’1% del volume di un
pezzo di materiale policristallino usuale e ha quindi un’influenza limitata
sulle proprietà del pezzo nel suo insieme. In altre parole, un pezzo di
materiale le cui dimensioni lineari siano di qualche centesimo di