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messa in luce la difficoltà che la giurisprudenza internazionale dei Tribunali ad hoc ha
dovuto affrontare per cercare di inquadrare lo stupro nell’ambito di atti di genocidio,
piuttosto che nei crimini contro l’umanità o nei crimini di guerra. Il fatto è che le
numerose atrocità che furono commesse durante le guerre combattute nella Ex
Yugoslavia e nel Ruanda, hanno condotto alla creazione di Tribunali ad hoc affinché gli
stessi riuscissero ad inquadrare e a definire determinati crimini, tra i quali, per l’appunto,
c’è lo stupro.
Quindi, per esempio, mentre nel nostro ordinamento il delitto di violenza sessuale, in
base a quanto previsto dall’art. 609 bis c. p., può essere realizzato sia mediante
costrizione che mediante induzione, emergerà che, invece, l’unico punto in comune alle
definizioni di stupro date dalle numerose sentenze internazionali che verranno esaminate
in seguito è quello della coercizione, che in un certo qual modo, sembra essere più vicino
alla violenza sessuale per costrizione. Mentre la definizione data allo stupro dal diritto
interno è quella di un reato a forma vincolata, da alcune sentenze internazionali è visto
come un delitto a forma libera. Mentre nell’ordinamento interno lo stupro è qualificato
come reato monoffensivo, visto che il bene tutelato è la libertà sessuale, nella maggior
parte delle sentenze di diritto internazionale è inquadrato come reato plurioffensivo, dal
momento che i beni violati sono l’integrità fisica e la dignità umana.
Ancora, vedremo come in alcuni casi la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha cercato di
identificare lo stupro nell’ambito del crimine di tortura o nell’ambito dei trattamenti
disumani o degradanti, proibiti dall’art. 3 della Convenzione Europea e ci soffermeremo
sul come e sul quando lo Statuto della Corte Penale Internazionale ha identificato lo
stupro nei crimini contro l’umanità, avvalendoci anche della definizione data allo stupro
dagli Elements of crimes.
Nell’ambito del diritto interno, noteremo che, se è vero che la violenza sessuale è
codificata, risulta essere molto complesso dare una definizione di “atti sessuali” piuttosto
che di “casi di minore gravità”, scevre da dubbi di legittimità costituzionale. Sarà
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interessante capire se può sussistere un concorso di reati ovvero un concorso di persone
nel reato di violenza sessuale. Cercheremo di capire se il regime delle pene previste dal
nostro codice penale sia proporzionato alla gravità del reato, in base anche al regime
delle circostanze attenuanti e di quelle aggravanti previste per la violenza sessuale; ci
soffermeremo sull’elemento soggettivo del reato sulle singole modalità con le quali si
realizza sia la violenza sessuale per induzione che quella per costrizione.
Proveremo, infine, a fare un confronto tra la definizione data dal nostro codice al reato in
questione e quella che è emersa dalla maggior parte delle sentenze internazionali
studiate.
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CAPITOLO I - VERSO UNA GIUSTIZIA PENALE INTERNAZIONALE
1. CENNI DELLO STUPRO NELLA STORIA
Il concetto di violenza sessuale è antico quanto il mondo e si è sviluppato nel corso
della storia a partire dal periodo dell’antica Grecia e dell’impero Romano.
Scorrendo le pagine dell’Iliade, Omero ci riporta un dialogo tra Agamennone e il
semidio Achille il cui oggetto verteva su questioni relative al possesso delle donne
catturate durante la guerra di Troia. E’ noto, inoltre, come, fin dal ratto delle sabine, si
affermava il concetto di stupro. Livio racconta di come Romolo avesse inviato i suoi
messi presso i Sabini ad auspicare nuove alleanze e matrimoni e di come questi si
fossero rifiutati. A causa di questo rifiuto Romolo decise di prendere le prede con la
forza.
Quello che emerge è senza dubbio una considerazione della donna vista come un
oggetto; considerazione in base alla quale chiunque avesse tentato di entrarne in
possesso avrebbe commesso un crimine.
Il crimine consisteva nel sottrarre una donna ai legittimi proprietari e nel caso delle
“vergini”, lo stupro ne distruggeva irrimediabilmente il valore economico, dal momento
che la “figlia violata” o era donata ad un convento o data in moglie a colui che l’aveva
violentata. Si narra come Scipione si fosse adoperato per difendere la castità delle donne
catturate; di come Totila, capo dei Goti, si fosse preoccupato della protezione della
donna da ogni tipo di “violazione” e delle esilio a cui fu condannato Torquato Valerio
per aver usato violenza nei confronti di una prigioniera. Persino la legge Biblica
insegnava ai guerrieri il rispetto delle donne, dei bambini e del bestiame.
Nondimeno durante le crociate, i Cristiani erano ben consapevoli che nessuna
scrittura privata condannava la violenza sulle donne.
Interessante è anche notare come anche i Cinesi, gli Indù, gli Egiziani e gli Assiro-
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Babilonesi avessero, già allora, imposto il rispetto dei civili, anche se non è chiaro come.
Un altro esempio di tutela delle donne risale al 634 a. c. e riguarda l’Islam: Caliph Abu
Bakar impose ai suoi soldati, in procinto di invadere la Siria, di non mutilare e neppure
uccidere bambini, vecchi e donne.
Già nell’antichità, quindi, si poteva parlare degli ancestrali prodromi del diritto
internazionale umanitario, anche se, per la tutela delle donne dallo stupro, si dovrà
attendere la guerra di secessione americana.
Nel Medio Evo le opportunità di stuprare le donne e di saccheggiare erano tra i
pochi vantaggi consentiti ai soldati poco pagati. Con il tempo la violenza sulle donne
divenne un modo per misurare la mascolinità e il successo dei soldati. Nonostante il
trascorrere dei secoli la situazione per la donne non mutava: d’altra parte non si poteva
pretendere per loro un trattamento di favore in tempo di guerra se non lo ricevevano
neppure in tempo di pace!
Durante il Basso Medio Evo( che gli storici collocano a partire dal 476 d. c. fino al X
secolo dopo cristo), forse a causa dei disordini che seguirono alla caduta dell’impero
romano d’Occidente, o forse, per la totale assenza delle previsioni in difesa dei civili, la
situazione per le donne peggiorò. Il diritto canonico statuiva che la donna fosse soggetta
all’uomo e che dovesse obbedirgli in ogni tempo, per cui lo stupro era visto sì come un
crimine, ma contro la “purezza sessuale”. Con l’imperare della religione cristiana, l’asse
di valutazione cambiò, in quanto quella che doveva essere tutelata era la “purezza
virginale”. La tutela doveva essere accordata ad ogni singola conformazione della
società e la famiglia era, già allora, alla base della società e la donna alla base della
famiglia. Attentando alla purezza della donna si attentava alla famiglia. Proprio in questo
periodo emergeva la considerazione dello stupro come crimine contro la moralità, la
decenza, le virtù della donna, intesa come custode della famiglia. E’ necessario, però,
sottolineare che il bene tutelato è la purezza, ma che titolare del bene era pur sempre
l’uomo. Se questa era la situazione in tempo di pace, in tempo di guerra verso la donna
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non era prevista alcuna considerazione.
Con la fine del Basso Medio Evo, la storia si arricchisce di un episodio
straordinario. Vari autori riportano l’esistenza, datata 1474, del primo processo
formalmente internazionale, in cui l’imputato, Peter vo Hagenbach, dovette rispondere
per violazione delle consuetudini di guerra. Il processo si tenne a Breisach, in Germania,
al cospetto di ventisette magistrati del Sacro Romano Impero. L’internazionalità fu
garantita dal pubblico ministero, Henry Iselin da Basilea, e dalle nazionalità dei giudici
del collegio giudicante provenienti da Svizzera, Alsazia e Germania. Tra le diverse
accuse c’era anche quella di stupro. Bassiouni sottolinea, però, che Vo Hagenbach fu
condannato per fatti che se fossero accaduti dopo la formale dichiarazione di guerra,
sarebbero stati permeati dall’aura della legalità. La criminalità quindi non risiedeva nello
stupro e nei reati sessuali, ma nell’aver omesso di intraprendere una “guerra giusta”. Vo
Hagenbach cercò di discolparsi avvalendosi della esimente degli ordini dei superiori. La
questione della responsabilità del superiore gerarchico sarà una delle tante che verranno
affrontate nel processo di Norimberga.
Dell’inammissibilità dello stupro parlò nel Seicento anche Grozio, il quale
sosteneva, da un lato, che il diritto naturale e delle nazioni non proibiva ogni tipo di
guerra, e, dall’altro, che fosse assolutamente necessario proibire i conflitti che violassero
i diritti dei popoli. Anche Rousseau nell’Illuminismo, diede il suo contributo alla tutela
delle donne visto che, a sua volta, premeva per la protezione dei civili in tempo di
guerra. In realtà non è proprio con gli illuministi che si affermò l’esigenza di distinguere
la necessità di difendersi contro chi bandisce le armi e combatte, da chi rimane inerme.
Purtroppo, però, nonostante la sensibilità e la razionalità tipiche degli illuministi, la
violenza sulle donne non veniva punita, né in tempo di pace né in quello di guerra.
Fortunatamente, però, l’attenzione verso i civili inermi non rimase relegata negli scritti
dei filosofi, basti pensare al trattato stipulato nel 1785 fra Stati Uniti e Prussia. La
peculiarità è contenuta nell’articolo tredici che specificava: “ Se una guerra dovesse
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scoppiare fra le Parti contraenti…le donne e i bambini…non saranno molestati nella loro
persona”.
Con la Prima guerra mondiale l’attenzione si sofferma sulle continue ed incessanti
violenze attuate dai soldati tedeschi del Kaiser Guglielmo II contro le cittadine
fiamminghe. La documentazione, che descrive le poco eroiche gesta, fu redatta dallo
storico britannico Arnold Joseph Toynbee che pubblicò nel 1917 due volumi sul tema:
uno riferito al Belgio ed un altro alla Francia; perciò la questione è tristemente
conosciuta con il nome di “Belgium Humiliation”. Il panorama descritto è purtroppo
noto: da Liegi a Lovanio le armate germaniche realizzarono un regno di terrore: case
bruciate, villaggi distrutti, donne stuprate. In base all’analisi condotta dal Professor
Morgan sulle dichiarazioni di trenta donne stuprate a Bailleul durante otto giorni di
occupazione, gli oltraggi alla dignità delle donne furono così frequenti, che era evidente
che fossero stati permessi dagli ufficiali tedeschi. Tali oltraggi venivano commessi per
indebolire le popolazioni contro cui si doveva combattere: lo stupro veniva utilizzato
come “arma di guerra”. Peraltro il Professore notò che il numero di stupri cominciò a
diminuire verso la fine del 1914, proprio in concomitanza con il mutare delle modalità di
combattimento.
Ciò che si intravede nel corso del primo conflitto mondiale è forse a livello
germinale rispetto a quanto esploderà nel corso dei conflitti in Bosnia e Ruanda.
Il Trattato di Versailles, pur prevedendo di sottoporre l’ex Kaiser Guglielmo II a
giudizio al cospetto di un tribunale internazionale ad hoc, si scontrò con il rifiuto dei
Paesi Bassi di estradare l’imputato; con la protesta delle folle ad estradare i criminali di
guerra; con gli Stati Uniti che si opposero all’istituzione di un tribunale internazionale
privo di precedenti e che non poteva neppure contare su una definizione internazionale
uniforme sulla responsabilità individuale.
Anche durante la Seconda guerra mondiale il numero degli stupri commessi dai
nazisti fu altissimo. Lo stesso ministro degli affari esteri russo, Molotov, denunciò che
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donne e ragazze furono vilmente oltraggiate in tutti i territori occupati.Nei ghetti ebraici i
nazisti organizzavano incursioni notturne allo scopo di stuprare le donne, uniche
destinatarie della violenza sessuale. Purtroppo però non solo i tedeschi si macchiarono di
tale onta. Durante le prime due settimane di occupazione a Berlino si registrarono oltre
centomila casi di stupro. Azioni di rappresaglia furono attuate tramite la violenza
sessuale: dai tedeschi in Francia contro gli attacchi della resistenza; dall’Armata Rossa in
Germania per vendicare la sorte delle donne russe. Lo stupro fu usato anche come un
incentivo per arruolarsi. Fu proprio quello che accadde con l’invasione degli Alleati
marocchini in Italia. Il mondo arabo asiatico offrirà una ulteriore connotazione e non a
caso fu istituito il tribunale di Tokyo. Il caso più famoso riguarda la città di Nanking in
Cina. Il governo giapponese ha persino ammesso che molte donne di nazionalità
Coreana, Cinese, Filippina, Indonesiana furono costrette a garantire favori sessuali ai
soldati giapponesi. Queste donne furono chiamate “confort women”.
Fu proprio a seguito delle appena elencate oltraggiosità che il mondo reagì
mediante “la giustizia penale internazionale” amministrata per la prima volta nei
tribunale di Norimberga e Tokyo.
2. IL TRIBUNALE DI NORIMBERGA
Nel dicembre del 1943 gli Alleati proposero di istituire una commissione che
indagasse sui crimini di guerra commessi dai nazisti. Nel frattempo gli Accordi di
Londra ponevano fine al conflitto nell’agosto 1945. Inoltre gli Stati Uniti e la Francia,
l’Inghilterra, l’Unione Sovietica si accordarono per creare un apposito tribunale militare
internazionale per giudicare i maggiori crimini dell’Asse nazista. Lo Statuto del
tribunale, annesso agli accordi stessi, elenca i crimini che delineano la giurisdizione del
tribunale. Sia il Tribunale di Norimberga, che quello di Tokyo, furono due tribunali
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speciali, con competenza sui soli fatti commessi durante la Seconda guerra mondiale.
Inoltre furono creati ex post facto e furono chiamati a sanzionare condotte che, all’epoca
dei fatti, non erano previste come crimini internazionali. Sotto tale profilo, appare
dunque evidente il contrasto con il fondamentale principio dell’irretroattività della legge
penale, come numerose volte rilevato sia durante la celebrazione di processi che in
letteratura.
Due nuove categorie di crimini emersero: crimini contro la pace e crimini contro
l’umanità. Lo statuto di Norimberga, così come quello di Tokyo, hanno provveduto a
dare una piena attuazione ai principi per i quali:
1. chiunque è responsabile e punibile per aver commesso atti che costituiscono
crimini previsti dal diritto internazionale;
2. la responsabilità dell’autore di un atto costituente un crimine internazionale non
è esclusa, ai sensi del diritto internazionale, per il solo fatto che la legge nazionale non
preveda la punibilità dell’atto stesso;
3. l’aver agito come capo di Stato o funzionario pubblico, non costituisce, per
l’autore di crimini internazionali, circostanza esimente o attenuante, ai sensi di diritto
internazionale;
4. l’aver agito in esecuzione di ordini del governo o di un superiore , non
costituisce esimente ma può essere considerato come circostanza attenuante se lo
richiedono esigenze di giustizia;
5. ogni persona, accusata, di un crimine previsto dal diritto internazionale, ha
diritto ad un processo equo in fatto e in diritto.
L’art. 6 dello Statuto del Tribunale esplicitamente statuisce l’ambito di operatività
del tribunale: il potere di perseguire e punire persone che, agendo nell’interesse dei paesi
europei dell’asse, sia come individui che come membri di organizzazioni, abbiano
commesso i seguenti crimini.
L’elenco dei crimini comprende:
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1) i crimini contro la pace
2) i crimini di guerra
3) i crimini contro l’umanità.
L’articolo prosegue sottolineando che i capi, gli organizzatori, gli istigatori e i
complici che avessero partecipato all’ideazione, esecuzione o cospirazione a commettere
qualsiasi fra i crimini sopra menzionati, dovevano essere considerati responsabili per gli
atti realizzati da chiunque li avesse eseguiti.
Altre particolarità del processo di Norimberga furono: l’ammissione del processo in
absentia; l’impossibilità di ricorrere in Appello; la previsione della responsabilità di chi
avesse commesso crimini in esecuzione di ordini provenienti dai superiori gerarchici.
Le udienze preliminari iniziarono il 14 novembre 1945. Ma quale fu il reale impatto
che i crimini sessuali ebbero in tale processo? Pur non menzionando l’art. 6 la violenza
sessuale o lo stupro come crimine, è tuttavia possibile far rientrare tali condotte
nell’alveo delle fattispecie di “ill treatment” e “deportation to slave labor or for any
other purpose”.
In base alle numerose testimonianze raccolte al processo, sembrava possibile
perseguire chi avesse effettuato lo stupro considerandolo colpevole di maltrattamento.
Non si poteva negare che lo stupro costituisse un male fisico e psicologico, specialmente
se commesso in condizioni di vita già stremate dal conflitto in corso. Inoltre bisognava
tener presente che dai documenti assunti come prove emergevano numerosi casi di stupri
commessi da gruppi di soldati, che aumentò di molto le sofferenze inferte.
Illuminante in materia è il punto © dell’art. 6 relativo ai crimini contro l’umanità,
considerati come un’evoluzione dei crimini di guerra, laddove si parla di “atti inumani”.
Non c’è, infatti, nessun dubbio sul fatto che la violenza sessuale sia un atto inumano,
considerate le sue conseguenze. Il punto, però, era che, in realtà, i crimini contro
l’umanità non rappresentano una copia dei crimini di guerra, ma solo una loro
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degenerazione. Ecco perché, forse, i compilatori dello Statuto ritennero doveroso
specificarne la diversità dai crimini di guerra introducendo una serie di requisiti
indispensabili, affinché si configurasse un crimine contro l’umanità.
L’art. 6 statuisce, per l’appunto, al punto © che, affinché si configuri un crimine
contro l’umanità, è necessario che:
1. la condotta criminale sia indirizzata contro un’intera popolazione;
2. il crimine sia realizzato o prima o dopo la guerra, anche se oggi si tende a
svincolarlo dal concetto di conflitto armato;
3. ci sia una connessione con gli altri crimini sottoposti alla giurisdizione di detto
tribunale.
La stessa definizione di crimine contro l’umanità è ripresa dall’art. 5 lett. c della
Carta del tribunale militare internazionale per l’estremo oriente, firmata a Tokyo il
19/01/1946.
Il problema era che troppi erano gli elementi identificatori e perciò il pubblico
ministero non fu capace di emettere un atto d’accusa che prevedesse come capo
d’imputazione lo stupro.
Stranamente non ci fu neppure nessun atto d’accusa che qualificasse lo stupro come
crimine di guerra nonostante già da tempo la comunità internazionale sanzionava la
violenza sessuale. Bisogna, poi, considerare che anche gli alleati non furono esenti da
colpe per quanto riguarda i crimini sessuali. Ad esempio, anche la stessa corte marziale
degli USA affermò la responsabilità penale di novecentosettantuno imputati per stupro.
L’unico dato da cui poter ricavare che, comunque, durante la celebrazione dei
processi a carico dei criminali nazisti vi fosse consapevolezza circa i fatti di stupro
perpetrati durante la guerra, si rinviene nella famosa affermazione del pubblico
ministero francese: “Il collegio mi perdoni se ometterò i dettagli…Un certificato medico
del Dottor Nicolaides che esaminò le vittime di stupro in questa regione sarà prodotto…”
Forse la comunità internazionale non era ancora preparata culturalmente per
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affrontare le punizioni di tali crimini o forse gli stessi furono giudicati meno gravi degli
altri posti in essere durante la seconda guerra mondiale. Fatto sta che quella del Pubblico
ministero francese fu l’unica attenzione palesata ai crimini sessuali nel processo di
Norimberga.
3. IL TRIBUNALE DI TOKYO
Il 26 luglio 1945, la Dichiarazione di Potsdam annunciò la decisione congiunta
degli alleati di punire i colpevoli dei crimini di guerra di nazionalità nipponica, in
particolare nel caso Nanking: un tribunale che rappresentava l’equivalente asiatico del
tribunale di Norimberga. Fu, però, solo a seguito della decisione unilaterale del 19
gennaio 1946, che nacque il Tribunale di Tokyo. Nel caso Nanking, una particolarità
interessante fu che c’erano tre donne all’interno dell’ufficio del pubblico ministero e
forse fu proprio questo l’elemento determinante per i capi di stupro inclusi negli atti
d’accusa. L’art. 5 dello Statuto di Tokyo rispecchia l’art. 6 di quello di Norimberga. La
competenza del tribunale di Tokyo si estende ai crimini contro la pace, ai crimini di
guerra e ai crimini contro l’umanità.
L’atto d’accusa, però, sottolineò che fra gli atti commessi in violazione delle norme
e consuetudini di guerra erano ben evidenziati “stupri e crudeltà barbariche”. Il pubblico
ministero riportò proprio quegli eventi che portarono all’occupazione di Nanking, in
Cina e li qualificò come segue:
1. trattamento disumano contrario all’art. 4 dell’allegato alla quarta convenzione
dell’Aia del 1907 e all’intera convenzione di Ginevra del 1929.
(…)
4. Maltrattamento dei malati e feriti, personale medico e infermiere
(....)