alla sofferenza o alla gioia di un proprio amico usa la capacità di condivisione
empatica. L’innamorato che si sintonizza con lo stato d’animo della persona
che ama lo fa grazie alle sue forti capacità empatiche.
Il termine empathy (in italiano empatia) viene coniato da Titchener nel 1909,
come traduzione del temine tedesco Einfuhlung ( sentire dentro ), che era stato
utilizzato nella seconda metà del secolo scorso da alcuni autori a proposito del
gradimento estetico.
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I primi approfondimenti del concetto di empatia provengono dal mondo
filosofico.
Ricordiamo ad esempio Visher ( 1807 – 1887 ), secondo il quale l’empatia,
intesa come capacità di cogliere la vita della natura esterna come se fosse la
vita della natura interna, cioè del corpo umano, è identificata con la fantasia. Il
soggetto, nel momento in cui percepisce un oggetto della natura, lo "aliena" dal
suo essere naturale e lo fa rivivere nel suo valore simbolico. Questo valore
simbolico rivelerebbe ed esprimerebbe l'intima unione della natura e della
fantasia, come se esistesse una corrispondenza misteriosa che fa sì che un
oggetto naturale possa in qualche modo influire sulle emozioni del soggetto.
La fantasia, sempre secondo Vischer, coglie il valore simbolico della natura
attraverso una sorta di "sentire dentro" o "consentire", attraverso il quale il
soggetto esprime la vita della natura come vita spirituale; senza questo atto la
natura rimarrebbe inerte.
La vita spirituale della natura può poi essere colta dal soggetto attraverso il
ponte di passaggio del corpo, che viene da Vischer definito come unità di
natura e di fantasia. E così la capacità del soggetto di cogliere questa
"risonanza" della vita della natura viene definita, dallo stesso Vischer, empatia.
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Titchner ritenne che il termine più adatto a tradurre Einfuhlung fosse la parola empatia,
da lui coniata sulla base del greco empatheia e della sua similarità con il termine simpatia.
L’autore applicò a tale termine sia al rapporto con gli oggetti che alla relazione sociale,
sottolineando la tendenza naturale a “sentire dentro” una situazione o una persona, con la
conseguente tendenza all’imitazione dell’emozione compartecipata. Titchner tuttavia distinse il
significato di empatia da quello di simpatia: la prima riguarda il “sentire dentro” lo stato
emotivo di un altro; la seconda può essere invece definita come “sentire con” o “sentire per”
un’altra persona, ed implica il provare piacere/dispiacere nei confronti degli altri ma non
implica la condivisione del sentire altrui ed il viverne – vicariamente- la stessa emozione.
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Theodor Lipps ( 1914;1951 ) contribuì ad un cambiamento prospettico del
concetto di empatia, essendo responsabile del passaggio del concetto di
empatia da un contesto estetico alla nozione impiantata sulla conoscenza e
sulla comunicazione intersoggettiva. Secondo la sua concezione l'istinto umano
è portato ad imitare, a riprodurre i movimenti e gli atteggiamenti altrui.
Quando ciò avviene il soggetto "imitante" ripete non soltanto le manifestazioni
esteriori, ma anche gli stati emotivi che si accompagnano alle manifestazioni.
Ripercorrendo cioè realmente o idealmente i movimenti altrui sarebbe possibile
"sentire" ciò che l'altro sente e proiettarci in lui, fino a diventare "uno" con
l'altro.
In ambito filosofico fenomenologico, alla base dell'empatia è rintracciabile
quella condizione esistenziale che è "l'essere in un mondo comune a partire
dalle prime esperienze", di natura puramente emozionale. Secondo questa
interpretazione l'uomo vive più negli altri che in se stesso, più nella collettività
che come singolo individuo, ragion per cui buona parte delle componenti di
fondo che sono alla base della struttura comunicativa hanno la loro radice
nell'originaria capacità comprensiva, che si esprime nell'empatia. Al centro di
queste considerazioni troviamo gli studi della Stein, che pone il concetto di
empatia al centro della speculazione husserliana e lo definisce come l'essenza
della capacità di istituire comunicazioni intersoggettive, fino a mettersi nei
panni dell'altro.
Mentre nella cultura ottocentesca lo studio dei pensatori nei confronti
dell'empatia era stato in un certo senso, "leggero", col Novecento e con la
filosofia fenomenologica husserliana l'empatia diventa elemento fondamentale
e istitutivo della genesi della socialità.
La studiosa definisce l’ "esperire empatico" come una sorta di prima
grammatica elementare del conoscere umano: un passaggio, da parte del
soggetto, dalla percezione esterna alla consapevolezza di percepire
empaticamente (appercezione empatica). L'evoluzione interiore sarebbe
l'introspezione mentale e spirituale.
A questo punto sorge l'eterno problema già verificatosi in età postromantica:
come si armonizza questo concetto "unitario" di empatia con i modelli
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cognitivi duali, di derivazione cartesiana (anima e corpo, mente e cervello,
mondo naturale e mondo dello spirito, res cogitans e res extensa)?
La Stein vede la persona empirica come fonte di ogni sintesi unitaria,
attraverso cui passa anche la forma empirica più alta, che la studiosa definisce
empatia spirituale.
Sostiene inoltre che il mondo dello spirito non è meno reale né meno
conoscibile del mondo naturale. Poiché l'uomo appartiene a tutti e due i regni,
la storia dell'umanità li deve prendere ambedue in considerazione. La tensione
tra i due poli, che potrebbe compromettere l'unità della persona empirica, può
essere valorizzata attraverso atti di empatia. Quest'ultima si pone come linea di
collegamento tra la vita personale e quella collettiva, posta l'unità
fenomenologica della realtà.
Non soltanto questo è fondamentale nella visione della Stein, ma anche la
condizione dell'empatia come possibilità di collegare l'autoreferenza originaria
della coscienza (con cui il soggetto autoriflette la propria identità) con
l'autoreferenza dell'altro e viceversa.
In questa ipotesi l'intersoggettività diventa l'origine del noi sociale, possibile
proprio attraverso un esperire di natura empatica.
Secondo la filosofa, come la coscienza è strutturalmente aperta alla realtà
esterna che le è data in modo originario (e tuttavia la coscienza è irriducibile ad
essa), così l'Io è aperto agli altri Io, li coglie come centro di orientamento del
mondo diversi da sé, ne coglie la vita psichica, ne può empatizzare le
esperienze vissute. Tuttavia anche nel momento della massima partecipazione
ed immedesimazione, l'Io non scompare, non si fonde con l'Io dell'altro, ma gli
resta accanto, intimamente solidale, eppure diverso. Ed è proprio il permanere
della diversità che consente l'empatia, vissuta così da un Io che rimane ben
determinato. Se l'Io si annullasse, secondo la Stein, venisse cancellato o
assorbisse l'altro, non ci sarebbe più l'esperienza dell'altro.
L'empatia diventa così la strada per sperimentare l'esistenza di soggetti diversi
da noi, anch'essi al centro di un loro mondo circostante, e per oltrepassare la
visione del nostro mondo e giungere a quella del mondo oggettivo.
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La ricerca di Edith Stein si colloca nel novero degli sforzi per superare la
concezione di una realtà assoluta, così come quella di un soggetto assoluto.
Se all'ambito filosofico sostituiamo quello terapeutico, queste ultime
considerazioni possono essere estese al valore relazionale dell'empatia in
ambito rogersiano senza mutare di una virgola il problema, ma affrontandolo in
un setting molto particolare, come quello della psicoterapia.
La capacità di fare propria l’esperienza di un’altra persona era già stata
descritta ed analizzata da Freud a proposito dell’identificazione isterica. Freud
aveva chiarito (1899) che per mezzo di tale tipo di identificazione i pazienti
riescono ad esprimersi nei loro sintomi le esperienze delle altre persone ed a
soffrire ciò che gli altri soffrono. L’identificazione isterica non è semplice ed
esteriore imitazione, bensì appropriazione profonda di ciò che l’altro vive, sulla
base del riconoscimento inconscio di una comune esperienza emotiva, in
genere di natura sessuale. (Bonino, Lo Coco, Tani, 1998).
A partire dalla prima definizione di empatia in ambito clinico, il concetto è
stato ampiamente usato in psicoterapia. Il focus si è spostato dalla condivisione
dei vissuti altrui alla relazione tra il paziente ed il terapeuta, ed al ruolo svolto
dall’empatia in tale relazione.
Rogers (1959; 1975), in particolare, l’ha considerata una modalità
indispensabile nel rapporto terapeutico, che consente di entrare nel mondo di
un’altra persona senza giudicarla. Nella sua definizione di empatia riemerge il
concetto di immedesimazione non fusionale espresso anni prima da Edith
Stein:
“ Lo stato di empatia, dell’essere empatico, è il recepire lo schema di
riferimento interiore di un altro con accuratezza e con le componenti
emozionali e di significato ad esso pertinenti, come se una sola fosse la
persona - ma senza mai perdere di vista questa condizione de come se.
Significa perciò sentire la ferita o il piacere di un altro come lui lo sente, e di
percepirne le cause come lui le percepisce, ma senza mai dimenticarsi che è
come se io fossi ferito o provassi piacere e così via. Se questa qualità di come
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