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Lo “strappo”
Tutti quei momenti in cui il processo raffinatissimo di perfezionamento di una tecnica, di un gusto,
di un'espressione, di un'intelligenza, di un modo di comprendere il mondo si spezza all'improvviso
per l'avvento di un grande talento e di altre sotterranee e invisibili ragioni e forze che sono all’opera
e, contro ogni logica e in maniera apparentemente pericolosa, sfruttando un pochino magari un pas-
so avanti tecnologico, spalanca un mondo nuovo dove immediatamente tutti accorrono.
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Baricco chiama questi momenti anche “Fosbury” dal nome dell’atleta che alle Olimpiadi di
Città del Messico del 1968 rivoluzionò la tecnica del salto in alto. Fino ad allora gli atleti
saltavano in ventrale, egli, invece, sorprese tutti: scavalcò l'asticella rovesciando il corpo
all'indietro e cadendo sulla schiena. Il risultato ottenuto gli valse persino la medaglia d’oro
e tuttora è la tecnica adottata da tutti i saltatori, definita appunto stile Fosbury. Eppure al
tempo suscitò diverse critiche. Com’era possibile scavalcare un ostacolo voltandosi di spal-
le proprio al momento buono? È pericoloso! Il suo stesso allenatore si pronunciò dicendo:
“ci sarà tutta una generazione di saltatori americani che non vincerà niente per la semplice
ragione che sarà col collo rotto!”
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. Praticamente un folle, ma da lì a poco i folli, o meglio,
gli antiquati saranno tutti coloro i quali continueranno a saltare in ventrale.
Lo shock prodotto da questa rivoluzione sportiva mi è subito sembrato un qualcosa di dav-
vero entusiasmante, un adrenalinico sconvolgimento del presente che nell’arco di pochis-
simo diventa passato catapultando una generazione nel futuro. Un po’ come la rivoluzione
giovanile degli stessi anni Sessanta sconvolse totalmente il modo di concepire l’arte a fa-
vore di una riscoperta dei sensi e del corpo quali “porte della percezione” da spalancare.
Un corpo che, in particolar modo negli anni Settanta, assume un’ulteriore concezione, più
violenta e cruda (si veda la geniale artista Ana Mendieta che in una delle sue splendidi ma-
nifestazioni artistiche decide di inscenare uno stupro mostrando il “vero” orrore del gesto);
sangue, tagli e ferite che saranno punto di forza espressiva per molte body artiste come Gi-
na Pane e Marina Abramovic.
Oggi, invece, fatta esclusione per la tecnologia di cui siamo totalmente imbevuti (pensiamo
solo all’evoluzione del telefono da Meucci a Steve Jobs), appare piuttosto difficile trovare
strappi tanto rivoluzionari. Il nostro stesso modus vivendi ce lo vieta: troppo abituati ad un
andamento rapido, a milioni di stimoli e messaggi che tentano di intaccare menti, abitudini
e desideri per cui difficilmente tendiamo a stupirci
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; novità che si susseguono una dietro
1
A. Baricco, Palladium Lectures. Kate Moss: sul gusto, DVD I, Feltrinelli, Milano 2013
2
Ibidem
3
Rimando alla lettura di G. Simmel, Le metropoli e la vita dello spirito, Armando, Roma 2009
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l’altra senza alcun fine di durata e ricordo (certo, esistono le banche dati a cui poter acce-
dere con un click o meglio ancora con un touch, una sorta di “memoria esterna digitalizzata”
dalla quale ci stacchiamo per necessità di un presente in cui siamo intrappolati e di cui non
riusciamo a vedere il futuro). È necessario, dunque, resettare un po’ le nostre menti affin-
ché siano comprensibili le rotture ed i cambiamenti avvenuti nel passato, che hanno per-
messo di vivere in un ambiente molto più libero e tollerante, e ci sia d’aiuto per scovarne e
analizzarne di attuali.
Dopo questa doverosa premessa è il caso di tornare indietro alla definizione di Baricco che,
per quanto chiara ed esaustiva, merita di essere approfondita.
Bisogna partire innanzitutto dalla parola “strappo”, presa in prestito nel titolo per la grande
forza comunicativa che possiede. Il termine, infatti, lascia intendere di per sé un’azione
violenta ed improvvisa così come sono violenti ed improvvisi i movimenti, le azioni di rot-
tura con il presente -strappi appunto- che appaiono improvvisamente durante il corso
dell’evoluzione umana, da intendersi in senso lato quale sinonimo di movimento. Tanto è
vero che fin dall’origine dei tempi gli uomini si muovono per istinto e curiosità alla ricerca
e scoperta di ciò che vivono e li circonda, talvolta andando oltre il visibile, sé stessi e gli
altri probabilmente senza nemmeno accorgersi di quanto queste ricerche confluiscano in un
punto cruciale, un’azione eclatante ai più e di rottura senza ritorno.
Basta pensare alla rivoluzione vestimentaria attuata da Chanel a inizio Novecento: la prima
ad aver affidato alle donne non solo uno stile, personificato dalla creatrice stessa, bensì una
consapevolezza di libertà e indipendenza all’epoca totalmente irriverenti e mal viste, oggi
tesoro e pane quotidiano; la minigonna di Mary Quant, lo smoking femminile di Yves
Saint Laurent, i jeans, definiti da Marshall McLuhan “un rabbioso strappo contro il siste-
ma”
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; Futuristi, arte concettuale, Street Art (chi avrebbe mai immaginato sarebbe stata de-
finita arte?) e ancora lo sbarco sulla Luna, la storica intervista a Nixon, Barack Obama, in
somma è possibile trovare strappi in ogni campo dalla moda all’arte passando per scienza e
politica, ma ciò su cui desidero maggiormente soffermarmi è l’analisi visuale attraverso la
quale sarà possibile condurre una ricerca di mutamento nell’estetica e nel gusto, non tanto
chiedendomi perché, domanda alla quale non sempre è facile rispondere, quanto come.
In primo luogo è chiaro, parlando di strappo, far riferimento alla velocità: il gesto
dev’essere rapido, deve travolgere e scuotere le masse. Pertanto, si può definire strappo un
evento sufficientemente carico di significato da divenire il simbolo di un cambiamento
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G. Meledandri, La Fotografia Pubblicitaria di Moda: una foresta di simboli, Ed. Nuova Cultura, Roma
2008, p. 189
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(come può esser stata la caduta del muro di Berlino) oppure di una persona abbastanza ca-
rismatica da incarnare i valori di una nuova rappresentazione del mondo (ad esempio Felli-
ni per il cinema), tralasciando l’eventuale processo che ha portato all’avvento del genio
5
.
In secondo luogo deve presentarsi come illogico, questo perché suscita un senso di shock,
percepito come tale proprio per l’andamento contrario alla consuetudine fatta norma. Un
po’ come passeggiare per il centro urbano colmo di gente ed essere attirati dalle persone
più stravaganti, alla maniera di Diane Arbus, non necessariamente di aspetto a noi gradito,
eppure capaci di farci distogliere lo sguardo, producendo curiosità, critiche e domande alle
quali si prova a dare delle risposte. Allo stesso modo l’illogicità dello strappo ci rapisce,
affascinati da una novità inaspettata, una risposta ad un quesito di cui si crede possedere
l’unica soluzione, e si tentenna, perché non basta a conquistare la nostra benevolenza, anzi,
a primo impatto, si è portati a criticare e mettere in dubbio la cosa quali sintomi di ciò che
si prova per istinto dinnanzi a ciò che non si conosce: paura.
Talvolta può essere paura di un nuovo metodo di cura, come il vivissimo dibattito sull’uso
delle cellule staminali o del dilagare di una qualche moda, si pensi ai punk e al loro atteg-
giamento autodistruttivo: escludendo di avere ricevuto i natali da Malcolm McLaren e Vi-
vienne Westwood, sfido a trovare genitori che spingano il proprio figlio a portare chili di
catene sui vestiti e usare spille da balia come piercing!
Paura, “riconfezionamento” e gusto metabolizzato
La paura produce un rallentamento e critiche superati solo attraverso una graduale com-
prensione degli elementi di shock. Ma come si fa ad avviare questo cammino di guarigione
senza andare da un’analista? Il segreto è semplice: basta mettersi comodi a sfogliare reda-
zionali e riviste di tendenza, soffermarsi a guardare i mega cartelloni pubblicitari 3x6 nelle
città o semplicemente farsi sottoporre ad una carrellata di spot pubblicitari in una sorta di
kubrikiana “rieducazione” più soft del “programma Ludovico”
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ma non per questo meno
efficace. Il metodo, garantito da più o meno esperti di comunicazione, assicura il cambia-
mento e la ridefinizione delle nostre scelte grazie ad un processo davvero curioso di “ricon-
fezionamento” degli elementi di disturbo della morale e dell’ordinario. Sarcasmo a parte,
diversi semiologi del calibro di Saussure, Floch e Barthes, per citarne alcuni, hanno speso
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Contesto, limitazioni, epoca, miglioramento tecnologico e via dicendo, sebbene fattori importanti e influenti,
non saranno trattati approfonditamente, affinché l’attenzione resti focalizzata sull’effetto più che sulle cause.
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Mi riferisco alla famosa scena del film Arancia Meccanica (A Clockwork Orange) di Stanley Kubrick, USA
1971, in cui il protagonista, Alex, è costretto a guardare filmati violenti in camicia di forza e con un dilatatore
oculare per mantenere le palpebre aperte con il sottofondo musicale della Sinfonia N°9, Inno alla gioia, di
L.van Beethoven.
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gran parte della loro vita ad analizzare gli aspetti linguistici e sociali, i meccanismi pubbli-
citari ed i loro significati agli occhi dei fruitori (buyers, consumatori finali e non) riscon-
trando dei meccanismi di comunicazione a dir poco affascinanti, ma considerando che le
grandi aziende di moda solitamente non fanno affidamento ad agenzie pubblicitarie bensì a
collaboratori interni e fotografi affermati è interessante come sfruttino gli stili di questi ul-
timi e le novità del momento al fine di rendere attraente il prodotto e vecchio tutto il resto
(in questo modo si creano stimoli e desideri quali parti integranti del frenetico e perverso
circolo vizioso del sistema moda).
Un esempio storico che ha fortemente rivoluzionato moda, fotografia e mindstyle (Riou
1999; Morace 2000) lo si può trovare durante gli anni Sessanta attraverso gli scatti di Da-
vid Bailey, Terence Donovan e Brian Duffy, soprannominati da Cecil Beaton “I Terribili
Tre”. Furono capaci di costruire la componente visuale della Swinging London fatta di di-
vertimento, sesso, freschezza e spontaneità fotografando modelle totalmente diverse dalle
indossatrici senza volto delle decadi precedenti e consacrandole quali simboli di una nuova
era. Mi riferisco a Twiggy, Jean Shrimpton e Veruschka quest’ultima interprete di se stessa
in una tanto piccola quanto eclatante scena del cinema nel film Blow Up di Antonioni, la
cui uscita nel 1966 sancì la figura del fotografo quale freddo, carismatico e inavvicinabile
divo. Lo stesso Bailey, a cui si ispira il film, dichiarerà: “volevo essere come Fred Astaire,
ma non potevo, quindi optai per la cosa più alla moda dopo di quello, cioè essere un foto-
grafo di moda.”
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I Terribili Tre personificarono appieno quegli anni contribuendo con la loro arte a diffon-
dere il cambiamento; chiunque volesse farne parte ed entrare nello star system doveva ine-
vitabilmente far propri i nuovi canoni di bellezza e lifestyle pubblicizzati da stampa, moda
e icone della musica e dello spettacolo, pena l’esser fuori dai giochi. Ed ecco la corsa
all’ultimissimo minidress Biba, all’ashish e all’LP del momento, sicuramente di qualche
nuova boy band che continua ad alimentare sogni. Il riconfezionamento, quindi, è
un’ottima trovata economica per diffondere nuovi stili, indifferentemente dal fatto che pos-
sano essere negativi e/o immorali. Va riconosciuto, però, come questo passaggio faccia da
filtro e allo stesso tempo da diffusore secondo un sistema di sgocciolamento
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da conside-
rarsi positivo in quanto capace di far metabolizzare un nuovo modo di vedere le cose,
un’estetica, un gusto.
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G. Meledandri, op. Cit., p.169
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Rimando a tal proposito a G. Simmel, La Moda, SE, Milano 1996 per l’approfondimento del concetto di
trickle-down