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Introduzione
Quando, nel mondo della moda, si parla di moda unicamente in termini di creatività, estro e intuito,
si rischia di cadere nello scontato: è l’errore di coloro che, estranei al sistema e al suo
funzionamento, vengono abbagliati e fuorviati dal racconto mediatico di un mondo favoleggiante e
pailettato. Un mondo che sembra alimentarsi di mere apparenze – star-system, red carpet, copertine,
modelle – e che, nella concezione comune, risulta spesso dipendente alle vite e alle personalità
eccentriche di stilisti e designer. Di conseguenza, la stessa definizione di creativo porterà con sé il
peso di conclusioni semplicistiche, che il più delle volte lo collocano in un immaginario
generalizzante, come una figura capricciosa, eroica o solitaria, dotata di genio e talento innati.
Questa serie di convenzioni, piuttosto caricaturale, non è del tutto inesatta, quanto approssimata, nel
rappresentare la componente più emozionale delle industrie di moda. Ecco allora che in primo luogo
occorre compiere una distinzione fondamentale – seppur fittizia, come dimostrerò nel corso del
testo, poiché basata su due fattori vincolati reciprocamente – tra creatività e management.
L’evoluzione e l’analisi di tale rapporto, che vede all’opera nella moda un’anima creativa agire
accanto a un’anima manageriale, è utile a comprendere il modello gestionale nelle aziende del
sistema moda, andando a sfatare numerose leggende e svelando i meccanismi che possono decretare
successi o insuccessi. Per Pierre Bourdieu
1
non sarebbe di certo una novità spiegare la moda come
un campo intermedio tra quello burocratico e quello artistico
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, una valutazione che ha trovato infatti
la sua corrispondenza concreta in ciò che indichiamo sotto la voce “binomi”: un fenomeno antico,
molto frequente nel settore delle industrie culturali, che sottolinea la natura duale della moda. Se
osserviamo i trionfi storici di celebri aziende, vediamo che i binomi sono composti da un creativo -
uno stilista - e un amministrativo - un manager - accompagnatori l’uno dell’altro, senza dosi di
competitività o agonismo, a dimostrare che nessuna delle due figure deve essere considerata
inferiore o secondaria. Il mio studio intende pertanto osservare l’interazione incessante tra i due
ruoli, cercando di delinearne qualità, compiti e confini. Con tale obiettivo passerò in rassegna casi
esemplari di binomi, di coppie autentiche, scelte sia per la loro importanza nella storia della moda,
sia per la particolarità delle loro sintonie, dove spesso l’affinità lavorativa sfocia in quella personale.
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Pierre Bourdieu [1930 – 2002] è stato sociologo, antropologo e filosofo francese. Tratta svariati e numerosi argomenti
tra cui etnografia, arte, letteratura, pedagogia, linguaggio, costume e televisione. Il suo La distinzione. Critica sociale del
gusto [1979] è stato nominato dall’Associazione Internazionale di Studi Sociologici come uno dei dieci testi di
sociologia più importanti del XX secolo; ce ne interesseremo per introdurre un breve accenno riguardante le teorie della
moda come sistema, o meglio, per dirla alla Bourdieu, della moda intesa come “campo”.
2
Bourdieu in Giusti, N. [2009], Introduzione allo studio della moda, Bologna, Il Mulino, pp. 148-49;
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1
LA CREATIVITÀ E IL CREATIVO
Considererò creatività e management come due luoghi ampi ed estesi. Due territori dai
confini geograficamente frastagliati, non sovrapponibili, poco combacianti. Distanti sulla carta, ma
meno nella vita. Si osservano da lontano, vorrebbero scambiarsi segreti, spifferarsi stratagemmi e
trucchi del mestiere, inseguendosi senza riuscire ad afferrarsi mai per davvero. Come quelle tante
coppie che si amano per conflitto, per differenza, perché ciò che manca all’uno l’altro lo possiede;
coppie di contrari congruenti, che popolano il nostro mondo di complementarietà, correndoci sopra
per farlo girare: cane e gatto, sole e luna, nord e sud, sinistra e destra, maschi e femmine, acqua e
fuoco, avanti e indietro, luce e buio, bene e male. Forse creatività e management sono proprio
l’undicesima coppia degli opposti pitagorici. O forse hanno a che fare con l’eterotopia di Foucault
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,
la dimensione in cui diversi spazi, contrastanti e apparentemente incompatibili, si giustappongono in
un’unica visione. Creatività e management si unificano nel nome della Moda.
Senz’altro, tutto questo potrebbe sembrarci un paradosso, suonare come una cacofonia,
un’associazione forzata e stridente, perché chi mai penserebbe che l’estro artistico possa essere
amministrato, guidato o indirizzato? Programmare uno sfogo creativo è pura follia, eppure è risaputo
quanto la Moda viva di contraddizioni e meccanismi d’antitesi. Ma altrettanto folle sarebbe
associarla e ricondurla a una sola componente - quella sognante, che griffa e seduce - senza
analizzarla nel suo complesso: un potente sistema d’organizzazione, produzione e informazione.
Dietro le quinte del fenomeno, creatività e management si amalgamano, diventando così
collaboratori interdipendenti. Al fine di comprendere in che misura le due costituenti entrino in
contatto, occorre compiere però un passo indietro e dare al concetto di creatività un’opportuna
collocazione.
1.1 . Creatività: etimologia e definizioni
Che cosa sia di preciso la creatività è una domanda tanto antica quanto retorica, una di quelle
insopportabili e ridondanti perché prive di un’univoca risposta. Del resto, come riuscire a
determinare un qualcosa di così sfuggevole, sfaccettato e metamorfico, che ora ha una forma ora
un’altra? Come spiegare una parola troppo spesso abusata e di conseguenza desemantizzata? Di
certo, non possiamo appellarci a proverbi o aforismi, poiché sono soliti attingere da un serbatoio di
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voci che sfocia nel luogo comune, associando la creatività a un ripetuto sommario di parole
incantate - arte, fanciullezza, fantasia, genio, idee, inventiva, invenzioni, ispirazione, novità, pazzia,
sogno, talento, vena -, a una lunga gamma di sinonimi generici che risulta piuttosto limitante nel
momento in cui si vuole uscire da una dimensione d’immaterialità. Se però consideriamo come
punto di partenza l’etimologia e la derivazione del termine, la sua astrazione verrà indubbiamente
meno e subentrerà una concezione molto più vicina ad un fare, ad una creatività affine ad un’azione,
un’attività pratica o un’operosità dinamica. Il verbo italiano “creare” infatti, apparso per la prima
volta nel 1276 [De Mauro]
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o nel 1294 [Cortellazzo-Zolli, dizionario etimologico della lingua
italiana]
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, ha origine latina e condivide assieme al verbo “crescere” la radice KAR, la quale si ritrova
nel sanscrito KAR-OTI (creare, fare) e KAR-TR (colui che fa, creatore) e ugualmente nel greco
KRAINO (creo, produco, compio), KRANTOR e KREION (dominatore, colui che propriamente fa,
crea
6
). L’etimo della parola va a riflettersi nelle attuali definizioni da dizionario, che continuano a
rimanere la fonte primaria più adeguata per tracciare i sommi capi del perimetro entro cui la
creatività si muove:
- Zingarelli: Capacità creativa, facoltà inventiva: la c. dei bambini | (psicol). Capacità
di produrre nuove idee, invenzioni, opere d’arte e sim. | (ling.) Capacità del parlante di
capire e di emettere enunciati che prima non ha mai sentito.
- Devoto-Oli: Capacità produttiva della ragione o della fantasia, talento creativo.
In via sintetica, si può dunque affermare che la creatività è prima di tutto una capacità, non
semplicemente una virtù innata, ma un qualcosa che ha bisogno di essere coltivato e sviluppato: in
termini di crescita, sono i fattori DNA e ambiente ad interagire sempre tra loro. Capiamo inoltre che
la creatività è, sì, una capacità, ma una capacità produttiva, quindi non fine a se stessa, bensì volta
a conseguire un obiettivo, quello di concepire nuove idee, di rinnovare, modernizzare, di trovare
soluzioni efficaci, di “trasformare introducendo metodi nuovi” [De Mauro], di “unire elementi
preesistenti in combinazioni nuove e utili” [Poincaré
7
]. Si potrebbe quasi citare la legge chimico-
3
Intr. di Guerrini L. in Iommi, S. [2012], Appunti per un’analisi dell’ambientazione nel film, Vecchiarelli, Bologna.
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Tullio De Mauro [1932] è un linguista italiano, curatore del dizionario omonimo edito nel 2000.
5
Cassese, L. [febbraio 2010], art. La creatività è una competenza misurabile?. Riportato il 26 settembre 2012 da
www.professioneformatore.it.
6
Raffa, S. [giugno 2012], art. La creatività e il pensiero quotidiano. Riportato il 25 settembre 2012 da
www.soniaraffa.com.
7
Il divulgatore francese Henri Poincaré [1854 – 1912] è considerato l’ultimo universalista, poiché eccelse in tutti i
campi della disciplina nota ai suoi giorni: matematico, fisico, astronomo e filosofo della scienza. È all’interno del libro
Scienza e Metodo, che nel 1906 racconta la propria esperienza e il proprio pensiero sulla creatività e sui processi mentali
che generano intuizioni creative. Si tratta di una raccolta di saggi circa questioni di metodologia scientifica, trad. it.
Einaudi, 1997.
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fisica della conservazione della massa, affermando che nulla si crea dal nulla, poiché anche un’idea
creativa trova il suo punto di partenza in elementi che già ci sono, che già esistono e che, una volta
selezionati, vengono combinati e accostati tra loro sotto una nuova veste. Tuttavia la combinazione
prodotta avrà valore creativo solamente se, oltre alla caratteristica di novità, corrisponde a un
secondo sostanziale criterio: essa deve dimostrarsi utile, funzionale, rispondere a uno scopo (“fit for
purpose”
8
). Tale definizione psicologica è riassunta dal grande scienziato francese Poincaré
mediante una norma matematica semplice e generale, che riconduce la varietà dei possibili atti
creativi alla formula
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: C = n u. La creatività ha perciò una natura duale, in cui novità e utilità devono
essere compresenti e mai uguali a zero; in assenza dell’una o dell’altra, non potremmo mai definire
un prodotto “creativo”. Nonostante ciò, è bene sottolineare che novità e utilità sono entrambi aspetti
relativi: un pensiero che per me è nuovo e utile, potrà esserlo in misura minore, uguale o superiore
per altri soggetti. Questo spiega la presenza di un contesto, di una condizione, di un ambiente in cui
viviamo e che influisce sulle nostre percezioni. Margaret Boden
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distingue propriamente due livelli
di innovazione: “P-creativity” - ciò che è nuovo per un individuo - e “H-creativity” - ciò che è
nuovo per il mondo – constatando che un’idea assume un differente valore creativo se nata,
percepita e testata in differenti contesti. La creatività va così a comporsi ancora una volta di due
matrici: una innovativa, legata appunto a novità, differenza e anticonvenzionalità, e una
individualistica, perché condizionata dalle singole circostanze individuali.
È qui che allora si pone un ulteriore problema di determinazione: chi è “creativo”? Da un
punto di vista socio-biologico, ciascuno di noi possiede la capacità di esercitare gesti creativi: la
creatività è una qualità che appartiene a tutti e come tale può essere migliorata o ampliata; è pertanto
un fattore del quotidiano, una parte sostanziale della natura umana, un tratto fondamentale dei nostri
comportamenti
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. L’influenza reciproca tra l’ambiente e le caratteristiche personali – intelligenza,
attitudine, temperamento – aiuta a valutare “l’abilità individuale di fare qualcosa con naturalezza
”12
:
una persona sarà più o meno creativa sia a seconda delle sue singolari peculiarità, sia in base
all’educazione ricevuta e al contesto storico, sociale, culturale e politico in cui si trova. Ogni
soggetto creativo dovrà avere la libertà di esprimersi, di far emergere il proprio talento, la propria
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Bilton, C. [2010], Management and Creativity, USA, Balckwell, p. 4.
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Testa, A. M. [2004], art. Creatività: la definizione di Poincaré. Riportato il 26 settembre 2012 da
www.matematicamente.it; C = n u è la formula base della creatività, intesa come il prodotto di novità e utilità.
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Margaret Boden [1936] è un’autorità internazionale nel campo della Scienza Artificiale, tra i primi fondatori del
programma degli studi cognitivi negli anni ’70, nonché autrice del volume The Creative Mind: Myths and Mechanisms
nel 2003.
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Affermando ciò vado semplicisticamente a sfiorare – e forse in modo non del tutto corretto – un vasto serbatoio di
studi psicologici che negli anni Sessanta si sono concentrati sul rapporto tra creatività e motivazioni individuali; studi
che possiamo ricondurre ai nomi di Teresa Amabile ed Edward Dieci.