2
confondersi con quella di uno Stato federale, tant’è che nel 1993 il Belgio è
diventato uno Stato federale vero e proprio, con una rigida separazione
delle competenze, di carattere residuale per le Regioni.
Il fenomeno del governo regionale non si è affermato solo in Occidente ma
ha interessato anche Paesi che hanno vissuto l’esperienza della dittatura.
L’ideologia comunista ha da sempre osteggiato la divisione orizzontale dei
poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) perché di origine borghese.
Tuttavia, ha dovuto sostenere, per esigenze di pace sociale, un’altra
invenzione ugualmente borghese, la divisione verticale dei poteri (lo Stato
federale). Le varie esperienze in questo senso, sono dettate dall’esigenza di
dover placare le spinte autonomiste delle diverse etnie presenti sul
territorio, come nell’ex Urss, nell’ex Jugoslavia e nell’ex Cecoslovacchia.
E’ doveroso accennare ad alcune differenze tra lo Stato regionale ed altre
forme di federalizzazione. L’Unione Confederale di Stati consiste nel
conferimento di una serie di poteri (difesa, politica estera, economia) da
parte di una pluralità di Stati nei confronti di un’autorità centrale, le cui
decisioni vincolano gli Stati membri, ma non possono riguardare
direttamente la sfera dei singoli individui. Ciascuno Stato ha il diritto di
recedere dall’Unione.
L’Organizzazione Sovranazionale di Stati ricalca, in una certa maniera, la
struttura precedente: l’autorità centrale amministra alcuni poteri (economia
ma non difesa); le singole decisioni possono intaccare anche gli interessi
dei cittadini.
Nello Stato federale, l’autorità centrale ha tutti i poteri di natura statale
(funzione legislativa, esecutiva e giudiziaria, politica estera, difesa,
riscossione tributi) e le sue decisioni possono vincolare direttamente i
singoli individui. Esiste, tuttavia, una ripartizione delle sfere di competenza
3
tra l’autorità centrale e gli Stati membri che assicura una suddivisione dei
poteri. Si esclude che lo Stato membro possa recedere dallo Stato federale.
Nello Stato regionale la ripartizione dei poteri è dettata dalla Costituzione
che riserva allo Stato centrale la competenza di alcune materie. Alla
Regione non è mai concesso il potere giurisdizionale e nemmeno la facoltà
di separarsi dallo Stato.
2
1.1.2 Evoluzione storica del regionalismo italiano.
Passando all’esame storico del regionalismo italiano, possiamo constatare
che i primi segni sono rintracciabili nel periodo dell’Unità d’Italia, quando
furono elaborati diversi progetti che identificavano le Regioni come enti di
decentramento burocratico. Le proposte di riordino dello Stato in senso
regionale di Farini prima, e Minghetti poi, furono entrambe bocciate dal
Parlamento; il Cattaneo andò addirittura oltre proponendo di stringere un
patto federale per l’Italia. Comunque, le paure per una nuova disgregazione
appena ricomposta erano ampiamente giustificate dalla tendenza
all’accentramento del potere in questo periodo storico. Anche la
valutazione del notevole impegno economico che avrebbe caratterizzato
una riforma regionalista contribuì ad abbandonare un progetto lungimirante
come quello del decentramento. Nel 1919 Don Luigi Sturzo, insieme a
Toniolo e Murri, inserì nel programma del partito popolare un progetto di
definizione regionale dello Stato italiano. Il regionalismo diventava una
rivendicazione qualificante del programma, poiché inteso anche come
valido strumento di partecipazione e quindi di educazione civile, nonché di
selezione della futura classe politica. A sinistra non si era insensibili al
2
Cfr. Bognetti G., op. cit., pag. 13 e ss.
4
problema del decentramento, per ridurre la presenza di uno Stato troppo
accentratore; ma il regionalismo non era un elemento qualificante del
programma dei partiti socialisti, attirati quasi esclusivamente dalla
questione operaia. Restava, comunque, una rivendicazione in termini di
maggiore partecipazione popolare. Il decentramento fu anche una delle
soluzioni elaborate per risolvere l’annosa questione meridionale. Gaetano
Salvemini aveva considerato il federalismo come l’unica via per la
risoluzione dei problemi del Sud; nel 1920 espresse simpatie per le
federazioni regionali con poteri legislativi, osservando che un semplice
decentramento amministrativo non avrebbe potuto risolvere alcun
problema. Durante il regime fascista ogni progetto di decentramento perse
di valore, poiché in netto contrasto con gli ideali di accentramento del
potere della dittatura. Nel 1926 Mussolini introdusse la figura del podestà
nei Comuni; nel 1928 sciolse i consigli provinciali istituendo presidi e
rettori. Per cancellare la presenza di ogni presidio democratico sul
territorio, tutti i poteri vennero concentrati nel prefetto fascista, voluto dal
duce come il più alto rappresentante politico del regime, come il perno di
un sistema locale in cui era vietato fare qualsiasi riferimento alla Regione.
Nel 1944 il Governo Badoglio istituì un “Alto Commissario” per la Sicilia
e una “Consulta regionale”. Tali organi furono il risultato di un forte
movimento separatista, Movimento Indipendentista Siciliano, capeggiato
da Andrea Finocchiaro Aprile, presente nella Regione siciliana, molto
spesso sostenuto dalla lotta armata e visto con qualche simpatia dagli
Alleati ancora presenti sul territorio. Nello stesso periodo organi simili
furono concessi alla Sardegna e alla Valle d’Aosta, in cui erano presenti
fermenti separatisti collegati all’identità bilingue. Molto vivaci furono le
agitazioni separatiste in Alto Adige, annesso al Reich tedesco dopo l’8
settembre 1943. Occupato dagli alleati successivamente, venne
5
riconosciuto come territorio italiano. Per tutelare la popolazione di lingua
tedesca della provincia di Bolzano, fu prevista la concessione di un potere
legislativo ed esecutivo autonomo alle popolazioni altoatesine (tedesca,
italiana e ladina).
Dopo la II Guerra mondiale, tutti gli schieramenti politici furono spinti
dalla necessità di costruire un nuovo Stato sulle fondamenta di una larga
diffusione degli istituti democratici, per consentire la più ampia
partecipazione dei cittadini alla vita civile. Ma non erano pochi i timori di
fughe territoriali all’estremità del Paese. In altri termini, situazioni
ambientali costrinsero il governo italiano ad attuare un primo
decentramento amministrativo ed anche legislativo in alcune aree
periferiche del Paese.
L’avventura regionale vera e propria iniziò nel 1946, quando fu eletta
l’Assemblea Costituente, cui l’Italia affidò il compito di gettare le
fondamenta del nuovo Stato democratico e di progettarne l’organizzazione,
in un ampio disegno di rinnovamento sociale. Si trattava di un compito
difficile, sia per la pesante eredità da gestire, sia per le distanze culturali ed
ideologiche che dividevano le quattro grandi anime dell’Assemblea:
cattolica, liberale, socialista e comunista. La destra liberale avversava
l’idea regionale, con l’autorevole eccezione di Einaudi; temeva la
disgregazione dell’Unità nazionale ed il pericolo di una possibile
espansione della spesa pubblica. La Democrazia Cristiana confermava la
scelta regionalista di Don Sturzo, perché convinta che solo il
decentramento dei poteri potesse garantire la vita alle istituzioni
democratiche; al suo interno non mancavano voci discordi, favorevoli solo
ad un decentramento di tipo amministrativo. I repubblicani propendevano
per il federalismo e parlavano di un’Italia divisa in 5-6 macro-regioni od
anche in Cantoni sull’esempio elvetico. La sinistra, socialista e comunista,
6
era contraria alla piena autonomia legislativa e finanziaria, con qualche
eccezione per i casi particolari di Sicilia e Sardegna, e preferiva un ampio
decentramento amministrativo per conciliare le esigenze dei cittadini con la
centralità dell’azione politica. Alla fine furono tre gli indirizzi maggiori:
mero decentramento amministrativo, federalismo e autonomismo. Dal
ventre dell’Assemblea Costituente furono partorite le Regioni “quali enti
intermedi tra lo Stato ed i Comuni.”
3
Furono previste 19 Regioni (il Molise
si aggiunse nel 1963), tra cui, 5 a Statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Valle
d’Aosta, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia). L’atteggiamento
politico condizionò fortemente la nascita delle Regioni: i cattolici
sostenevano la piena potestà regionale, mentre la sinistra propendeva per la
soluzione di maggiore potestà di quella integrativo-attuativa. Il
compromesso che si raggiunse diede luogo alla soluzione ibrida di potestà
ripartita o concorrente. Tuttavia la Costituzione è la fonte più importante
relativa alle Regioni. L’art. 5 stabilisce che “La Repubblica, una e
indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che
dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i
principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e
del decentramento”.
4
L’Assemblea Costituente dapprima approvò gli
Statuti speciali della Sardegna, della Valle d’Aosta, del Trentino Alto
Adige (con le due province autonome di Trento e Bolzano) e della Sicilia
(confermando lo Statuto approvato nel 1944); nel 1963 si aggiunse il Friuli
3
Cfr. Martines T., Ruggeri A., Salazar C., Lineamenti di Diritto Regionale, Milano 2002, pag.
5.
4
Cfr. Gambino S., in Diritto regionale e degli enti locali, Milano 2003, pag. 4, afferma che la
Costituzione italiana abbia realizzato il principio del “pluralismo istituzionale” attraverso il
decentramento a favore degli enti territoriali, a scapito del modello dello Stato unitario,
sostenuto fino a quel periodo storico. Nell’art. 5 Cost. va sottolineata l’importanza affidata ai
concetti di indivisibilità e di unità, che segna il limite dell’autonomia degli enti locali,
differenziando, in tal modo lo Stato regionale italiano dagli Stati federali, i cui Stati membri
godono di sovranità.
7
Venezia Giulia. Ma i termini previsti per la nascita delle Regioni (un anno
per l’elezione dei Consigli regionali e tre per l’adeguamento delle leggi
statali alle autonomie locali, dall’entrata in vigore della Costituzione), non
furono mai rispettati, determinando un ritardo le cui conseguenze sono
riscontrabili ancora oggi. Nel 1953 la “legge Scelba” fissò i contenuti dello
Statuto e le modalità di esercizio della potestà legislativa; disciplinò le
funzioni degli organi regionali, i controlli sull’attività regionale e sugli altri
enti locali. La legge non trovò mai effettiva applicazione. Solo con un
governo di centro-sinistra si giunse all’approvazione della legge elettorale
n. 108 del 1968 e successivamente furono eletti i primi Consigli regionali
(1970) che si dotarono di un proprio Statuto a partire dal 1971. Dopo
l’insediamento, le Assemblee regionali affrontarono subito l’unico
impegno che dovevano onorare nell’attesa del trasferimento dei poteri
amministrativi e legislativi: l’elaborazione degli Statuti, previsti dall’art.
123 della Costituzione; i contenuti erano stati indicati dalla “legge Scelba”.
Per la loro stesura avevano 120 giorni, a partire dalla data della loro prima
convocazione. Inizia la fase costituente delle Regioni, perché nella potestà
statutaria loro attribuita dalla Costituzione è stata vista la più elevata
espressione del principio dell’autonomia. Ma i problemi tecnici più
importanti vennero alla luce con il trasferimento delle funzioni dallo Stato
alle Regioni. Nel 1972 decreti delegati operarono il primo trasferimento a
favore delle Regioni. Nel 1977, il D.P.R. n. 616, contribuì in maniera
rilevante a completare il trasferimento di funzioni in maniera organica,
abbandonando il sistema dei settori per materia, adottato nel 1972. In anni
recenti si è accentuato l’interesse per le riforme, soprattutto verso quelle
riguardanti l’assetto delle Regioni e lo snellimento della macchina
burocratica statale. Nel 1997 fu istituita la Bicamerale per riformare la
seconda parte della Costituzione, presieduta dall’On. D’Alema. Il suo
8
fallimento fu dovuto soprattutto ad una serie di ricatti politici cui furono
sottoposti i progetti riformatori. Sempre nel 1997 si intraprese una strada
diversa, cioè quella di riformare lo Stato attraverso la legge ordinaria: la
legge n. 59 del 1997 e il d.lgs. n. 112 del 1998 (Legge Bassanini I e II),
operano un decentramento molto importante attraverso il trasferimento di
funzioni e la riforma della pubblica amministrazione. Da tale espediente
hanno preso vita la legge costituzionale n. 1 del 1999, ma soprattutto la
legge costituzionale n. 3 del 2001, che ha riformato il Titolo V della parte
II della Costituzione, confermata da un referendum nell’ottobre del 2001.
La riforma è un primo passo verso una modifica profonda dell’assetto delle
Regioni, e non può essere considerato un atto finale.
1.1.3 Natura e caratteri della Regione.
La Regione va considerata come un ente dotato di:
- Autonomia normativa: le Regioni hanno la possibilità di emanare
norme e dotarsi di uno Statuto che regoli la propria organizzazione.
- Autonomia amministrativa: è la facoltà di emanare atti esecutivi per la
tutela degli interessi dei cittadini.
- Autonomia politica: ciascun ente ha la facoltà di darsi un indirizzo
politico anche parzialmente diverso da quello dell’organo centrale
statale.
- Autonomia finanziaria: è intesa come autosufficienza dell’ente nella
provvista delle proprie risorse economiche.
5
5
Cfr. Cavaleri P., Diritto Regionale, Padova 2003, pag. 48. Egli afferma che le Regioni abbiano
autonomia politica, statutaria, normativa, amministrativa e finanziaria. Diversamente, Martines
T., Ruggeri A., Salazar C., op. cit., pag. 11, in cui si sostiene che le Regioni siano dotate di
autonomia normativa, organizzatoria (intesa come possibilità “di talune figure soggettive di
godere di un trattamento parzialmente diverso da quello riconosciuto come proprio di altre
figure soggettive omogenee”), politica e finanziaria. La diversità di ripartizione, tuttavia, non
9
L’aspetto cruciale riguarda sicuramente l’autonomia di natura politica, dal
momento che essa deriva direttamente dalla volontà popolare e si esercita
nel più totale rispetto della libertà democratica. Purtuttavia essa è
subordinata ad un limite ben preciso, ricavabile direttamente dall’art. 5
della Costituzione: l’autonomia politica va esercitata nel rispetto del valore
fondamentale dell’unità statale, mai oggetto di compromesso.
6
Oltre all’aspetto delle varie forme di autonomia bisogna analizzare gli
elementi costitutivi della Regione. Se per lo Stato gli elementi essenziali
sono la sovranità, il popolo e il territorio, per la Regione le cose cambiano,
soprattutto partendo da un elemento di fondamentale importanza: essa non
è dotata di sovranità, ed è questa la differenza sostanziale più importante tra
Stato e ente regionale. Gli elementi costitutivi della Regione sono:
- La comunità regionale: è un elemento personale che si distingue dal
concetto di cittadinanza, ma si lega piuttosto al concetto di residenza.
Può essere definita come l’insieme dei residenti dei Comuni che
fanno parte della Regione. Successivamente alla riforma del Titolo V
della Costituzione, i bisogni esprimibili dalla comunità regionale
sono sicuramente aumentati rispetto al passato. In questo senso, tale
incide sul consenso unanime che la dottrina ha relativamente al contenuto concreto
dell’autonomia complessiva della Regione.
6
Cfr. Gambino S., op. cit., pag. 4 ss. L’autore con il concetto di autonomia intende “la potestà
da parte del soggetto titolare di curare i propri interessi mediante la definizione delle norme
regolative della propria attività, e…il riconoscimento ai Comuni e alle Province, nella loro
qualità di enti esponenziali di interessi locali, di potestà pubbliche funzionali al perseguimento
di finalità e di interessi delle rispettive collettività”. Pertanto, l’autonomia di uno Stato regionale
non è di carattere assoluto e non si circoscrive all’autarchia, ma si identifica con la potestà “di
adottare propri statuti e regolamenti, nonché di esercitare poteri (legislativi ed amministrativi) e
funzioni nel rispetto dei principi fissati dalla Costituzione”. Ugualmente Martines T., Ruggeri
A., Salazar C., op. cit., Milano 2003, pag. 11, in cui si sostiene che le varie forme di autonomia
di cui godono gli enti locali sono diverse dall’autarchia, intesa come “capacità di adottare
provvedimenti dotati della stessa efficacia dei corrispondenti provvedimenti amministrativi
statali”.
10
concetto ha subito un’estensione particolarmente importante negli
ultimi tempi.
- Il territorio: alla stregua dello Stato e degli enti locali, la Regione è
un ente territoriale. Per avere una visione reale adeguata alle varie
realtà, non bisogna intendere il territorio solo come superficie
ritagliata all’interno di confini, bensì come “centro di riferimento di
interessi”
7
rintracciabili nell’ambito territoriale. A suggello di questa
sottile interpretazione possiamo affermare che una stessa porzione di
territorio può essere considerata regionale, provinciale o comunale,
in base agli interessi che si prenderanno in riferimento. Tuttavia la
Costituzione non agevola questo tipo di interpretazione, poiché,
identificando i confini delle Regioni talvolta in maniera troppo
arbitraria, finisce per separare zone con interessi omogenei e unirne
altre con interessi eterogenei, attraverso una rigida linea di confine.
Nel concetto di territorio regionale rientra la terra ferma, ma è
escluso il mare territoriale, il sottosuolo e lo spazio aereo
sovrastante.
- L’apparato autoritario: secondo l’art. 114 della Costituzione,
“Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, sono enti
autonomi dotati di proprio statuto, poteri e funzioni, secondo i
principi fissati dalla Costituzione”. Con il termine “poteri” la
Costituzione fa riferimento agli organi della Regione: Presidente,
Consiglio e Giunta, attraverso cui l’organo regionale realizza il
proprio indirizzo politico; per “funzioni” si intendono quella
legislativa del Consiglio regionale e quella esecutiva della Giunta
regionale.
7
Cfr. Martines T., Ruggeri A., Salazar C., op. cit., pag. 14.
11
1.2 Gli Statuti regionali.
1.2.1 Formazione e contenuto dello Statuto regionale fino alla legge
costituzionale n. 1 del 1999.
Lo Statuto regionale, regolato dall’art. 123 della Costituzione, è da
considerare l’espressione più alta dell’autonomia regionale, poiché è l’atto
con cui le Regioni, rispettando alcuni limiti, regolano in via autonoma la
loro forma di governo e stabiliscono l’indirizzo politico.
Non è pacifico, in dottrina, individuare la natura giuridica dello Statuto a
causa del processo da cui scaturisce.
8
Originariamente esso era deliberato
dal Consiglio regionale, a maggioranza assoluta dei suoi membri, e
successivamente approvato con legge ordinaria dello Stato, che non poteva
modificarlo, poiché tale competenza spettava solo al Consiglio Regionale.
La legge di approvazione delle Camere (il Presidente del Consiglio
presentava al Parlamento lo Statuto trasmesso dal Presidente del Consiglio
Regionale), quindi, era di carattere formale. Il Parlamento poteva rinviare
lo Statuto al Consiglio regionale cui spettava una nuova deliberazione entro
120 giorni e la pubblicazione doveva essere affiancata dalla legge di
approvazione statale.
9
L’approvazione definitiva dello Stato avveniva con
8
Prima della legge costituzionale n. 1 del 1999, Paladin L., Diritto regionale, Padova 2000,
riteneva che lo Statuto regionale fosse una fonte di natura statale, mentre in Martines T.,
Ruggeri A., Salazar C., op. cit., si sosteneva la natura di legge regionale atipica dello Statuto
regionale.
9
Parte della dottrina (Gambino S., Diritto Regionale e degli Enti Locali, Milano 2003) sostiene
che la legge statale di approvazione dello Statuto regionale avesse solo una funzione di
controllo, non potendo modificarlo di propria iniziativa. Un’altra tesi (De Siervo U., Potestà
statutaria e Costituzione, Milano 2001; Paladin L., Diritto Regionale, Padova 2000) ha definito
lo Statuto regionale un atto complesso, poiché alla sua formazione concorrono la Regione,
attraverso la deliberazione, e lo Stato, con l’approvazione del Parlamento, anche se durante gli
anni ’70, in occasione dell’approvazione dei primi Statuti, si instaurarono delle vere e proprie
trattative per ottenere le modifiche dell’atto suggerite dalle Camere, e le Regioni furono
costrette a cedere su molte richieste dal momento che avevano interesse a farsi approvare gli
Statuti.
12
l’apposizione del visto da parte del Commissario del Governo (eliminato
dalla legge cost. n. 1/99). Contro lo Statuto, il Governo poteva ricorrere alla
Corte Costituzionale entro 30 giorni dalla pubblicazione.
10
L’atto statutario è sottoposto a due pubblicazioni: la prima, che ha solo una
finalità informativa, serve per dare la possibilità di richiedere il referendum
ai titolari di tale iniziativa; la seconda, serve a dare efficacia allo Statuto. Ci
si chiede a quale pubblicazione faccia riferimento il termine di 30 giorni
per l’impugnazione governativa. La dottrina in questo caso non è riuscita a
dare un’interpretazione univoca: alcuni
11
sostengono che il termine per
l’impugnazione decorra dalla prima pubblicazione, perché l’espressione
della volontà popolare potrebbe influenzare il giudizio della Corte, mentre
altri fanno rilevare come il verdetto della Corte non è detto che si abbia
prima della consultazione popolare e che tuttavia una certa influenza si
abbia in ogni caso.
12
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 304 del
10
Cfr. Martines T., Ruggeri A., Salazar C., op. cit., pag. 122. Il procedimento previsto per la
formazione dello Statuto è definito “paracostituzionale” poiché è molto simile a quello dell’art.
138 Cost. previsto per l’approvazione delle leggi costituzionali; la procedura regionale può
addirittura essere considerata più “aggravata” di quella statale, dal momento che, per
l’approvazione dello Statuto, occorrono due delibere del Consiglio regionale a maggioranza
assoluta entro un intervallo temporale non inferiore a due mesi. Il procedimento descritto,
formalmente non costituzionale, ma nella sostanza tale, secondo gli autori potrebbe essere
considerato incostituzionale. Secondo Gambino S., op. cit., pag. 193, il procedimento previsto
per l’approvazione degli Statuti può essere considerato addirittura più aggravato di quello
previsto all’art. 138 Cost., a causa della struttura monocamerale del Consiglio regionale che
sarebbe indice di minor garanzia rispetto alla struttura bicamerale del Parlamento.
11
Cfr. Tosi R., I nuovi statuti delle Regioni ordinarie: procedimento e limiti, Le Regioni,
bimestrale di analisi giuridica e istituzionale, Bologna 2000, pag. 530 ss. e Le “leggi statutarie”
delle Regioni ordinarie e speciali: problemi di competenza e di procedimento, Milano 2001,
pag. 69 ss. A sostegno di tale tesi anche U. De Siervo, Il sistema delle fonti, Le Regioni,
bimestrale di analisi giuridica e istituzionale, Bologna 2000, pag. 595 ss., e I nuovi statuti delle
Regioni ad autonomia ordinaria dopo la modifica dell’art. 123 (e la l. cost. n. 2/2001), in
AA.VV., Osservatorio sulle fonti 2000, a cura di U. De Siervo, Torino 2001, pag. 199 ss.
12
Cfr. Ruggeri A., Nota minima in tema di statuti regionali (con particolare riguardo al piano
dei controlli governativi), alla luce della riforma costituzionale del ’99, in A. Ferrara (a cura
di), Verso una nuova fase costituente delle Regioni?, Milano 2001, pag. 163 ss. L’autore
afferma, innanzitutto, che il controllo della Corte Costituzionale debba aversi quando l’azione
politica e quella normativa siano terminate, e poi, affidare la risoluzione di tale questione ad una
13
2002, stabilisce che il termine di 30 giorni per l’impugnazione statale dello
Statuto decorre dalla prima pubblicazione. La Corte stabilisce anche che,
nel caso in cui esista sia una richiesta di referendum e sia un’impugnazione
governativa, è il giudizio davanti alla Corte Costituzionale a prevalere; in
questo caso, la Corte non sarebbe influenzata da una decisione di tipo
politico-elettorale espressa mediante una consultazione referendaria. La
Regione Emilia Romagna con una legge regionale (n. 29/2000), ha
disciplinato in maniera puntuale questo aspetto affermando esplicitamente
la sospensione del referendum nel caso in cui il Governo impugni lo
Statuto regionale.
1.2.2 La legge costituzionale n. 1 del 1999.
La legge costituzionale n. 1 del 1999 ha modificato gli artt. 121, 122, 123 e
126 della Costituzione, spianando la strada alla successiva legge
costituzionale n. 3 del 2001 che ha riformato l’intero Titolo V della
Costituzione;
13
in particolar modo, essa ha inciso sulla struttura
organizzativa interna della Regione, abolendo, innanzitutto, la fase del
controllo parlamentare, attribuendo in tal modo agli Statuti la connotazione
legge di interpretazione autentica. Cfr. Spadaro A., Le motivazioni delle sentenze della Corte
come “tecniche” di creazione di norme costituzionali, in AA.VV., La motivazione delle
decisioni della Corte costituzionale, a cura di A. Ruggeri, Torino 1994, pag. 356 ss., sostiene
che sia fuori discussione l’attività di interpretazione autentica della Corte Costituzionale, ma
essa non può chiarire le stesse norme sulla produzione giuridica.
13
Cfr. Gambino S., op. cit., pag. 189 ss., sostiene che lo Statuto regionale, in seguito
all’approvazione della legge costituzionale n. 1/1999, sia diventato “un atto interamente
regionale, attraverso il quale le Regioni possono autonomamente definire la propria forma di
governo ed i propri indirizzi politico-programmatici”, nel rispetto dei limiti stabiliti dal
Costituente.
14
di legge regionale,
14
pur se con alcune differenze relative alla formazione e
al contenuto:
15
l’approvazione dello Statuto avviene “con due deliberazioni
successive adottate ad intervallo non inferiore di due mesi, con legge
approvata a maggioranza assoluta dei suoi membri”. Entro tre mesi dalla
pubblicazione, qualora ne facciano richiesta un cinquantesimo degli elettori
della Regione oppure un quinto dei consiglieri regionali, lo Statuto è
sottoposto a referendum. La differenza sostanziale tra il referendum che
riguarda lo Statuto regionale e quello relativo alle leggi costituzionali sta
nel fatto che quest’ultimo può essere chiesto solo se la legge in Parlamento
non sia stata approvata dalla maggioranza di due terzi dei voti di ogni ramo
del Parlamento; il referendum sullo Statuto, invece, può essere richiesto a
prescindere dalla maggioranza ottenuta in Consiglio regionale.
La novità sicuramente più importante introdotta dalla legge del 1999 è la
cancellazione del limite dell’armonia con le leggi di natura statale. E’
rimasto, giustamente, il limite dell’armonia con la Costituzione, comunque
oggetto di discussione, ma sicuramente inteso come armonia con i valori
fondamentali della Repubblica (sent. Corte Cost. n. 304/2002). La
Costituzione prevedeva che gli Statuti dovessero essere adottati “in
armonia con le leggi della Repubblica e con la Costituzione”. Tale
14
Dopo la riforma del 1999 sono venute meno le affinità tra le Regioni italiane, da una parte, e
le Comunità spagnole e i Cantoni svizzeri, dall’altra, dove sussiste ancora un certo controllo
dello Stato centrale; si riscontra, invece, un avvicinamento ai Lander tedeschi, dove tale
controllo non esiste.
15
Cfr. Ruggeri A., Fonti e norme nell’ordinamento e nell’esperienza costituzionale, I,
L’ordinazione in sistema, Torino 1993, pag. 153 ss. L’autore sostiene che le leggi regionali
deputate alla disciplina dell’organizzazione, della forma di governo e del funzionamento della
Regione possano essere definite “leggi statutarie”, adottate attraverso la votazione di una
maggioranza qualificata e nel rispetto del limite dell’armonia con la Costituzione; ciò perché,
secondo l’autore, il rapporto che esiste tra le leggi statali e quelle regionali è misto, cioè
composto di “gerarchia e separazione insieme”. Tale opinione è confermata in Martines T.,
Ruggeri A., Salazar C., op. cit., pag. 120 ss. Cfr. Gambino S., op. cit., pag. 192, in cui si
sostiene che lo Statuto regionale sia una legge regionale atipica poiché si differenzia dalle
normali leggi regionali sia per il procedimento di formazione che per il contenuto.
15
disposizione ha creato non poca confusione soprattutto in merito alla
individuazione delle “leggi della Repubblica” da rispettare. Alcuni, hanno
identificato le leggi statali con i principi generali dello Stato; altri hanno
individuato tale limite nelle “leggi statali espressamente richiamate, caso
per caso, dalla Costituzione”.
16
La Corte Costituzionale,
17
in proposito,
affermò la necessità di rispettare anche leggi non espressamente richiamate
dalla Costituzione, quando esse esprimano principi costituzionali o
essenziali della legge dello Stato che riguardino l’autonomia statutaria. Il
limite in questione è stato espressamente abrogato dalla legge
costituzionale n. 1 del 1999, che in tal modo ha rafforzato l’autonomia
regionale.
18
16
Cfr. Gambino S., op. cit., pag. 197. Il compito della dottrina è stato quello di interpretare il
limite in questione in maniera tale da non vincolare gli Statuti regionali a tutte le norme previste
da tutte le leggi statali, per evitare una sicura confusione sulla materia; vedi anche Martines T.,
Ruggeri A., Salazar C., op. cit., pag. 134 ss. Sugli effetti chiarificatori della legge costituzionale
n. 1/1999, il consenso della dottrina è unanime, ma sull’individuazione delle norme vincolanti,
essa si è divisa: l’autore individua tali norme nelle “leggi statali espressamente richiamate, caso
per caso, dalla Costituzione”.
17
Cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 40 del 1972.
18
Cfr. sul punto, Martines T., Ruggeri A., Salazar C., op. cit., pag. 135; A. Ruggeri, Le fonti di
diritto regionale: ieri, oggi, domani, Torino 2001, pag. 85 ss., sostiene che l’armonia con la
Costituzione non va intesa come riproposizione identica anche in ambito locale delle
disposizioni costituzionali. Diversamente, A. Spadaro, Dalla Costituzione come “atto”
(puntuale nel tempo), alla Costituzione come “processo” (storico). Ovvero della continua
evoluzione del parametro costituzionale attraverso i giudizi di costituzionalità, in Quaderni
costituzionali, 1998, pag. 341 ss., afferma che il limite dell’armonia con la Costituzione va
inteso come “pieno e fermo rispetto dei principi fondamentali dell’organizzazione, non già delle
regole dalla stessa Costituzione poste in svolgimento dei primi e complessivamente idonee a
caratterizzare l’organizzazione stessa”. Contra Martines T., Ruggeri A., Salazar C., op. cit., pag.
136, in cui si critica l’affermazione di Spadaro sostenendo che sia possibile concepire lo stesso
concetto di limite prima e dopo l’introduzione della legge costituzionale n. 1/1999; con il
passare degli anni la Costituzione è mutata in alcuni aspetti e con essa è cambiata
l’interpretazione relativa al suo contenuto. Nel fatto specifico, secondo gli autori, saranno i
nuovi Statuti regionali, in corso di elaborazione, a delineare il concetto di limite in questione.
Cfr. Cavaleri P., Diritto Regionale, Padova 2003, pag. 43, sostiene l’eliminazione dei limiti di
merito, poiché la legge costituzionale n. 3 del 2001 ha espressamente abolito il controllo di
merito sulle leggi regionali.