2
Sappiamo che il diritto ha la funzione, fondamentale in una società civile,
di dirimere le controversie, ha cioè il compito di sostituire all’autotutela
privata (c.d. legge del più forte) la “forza della legge”, se lo stato, il cui
compito principale è proprio quello di garantire tale forza, trascurasse la
bioetica, abbandonerebbe una fetta dei suoi cittadini in balia del più forte.
Un embrione, un anziano, un malato in coma non possono difendersi da
soli: occorrono leggi che li proteggono? Queste categorie devono essere di
volta in volta tutelate o abbandonate al loro destino? La vita umana in cer-
te condizioni non vale più nulla per il diritto? Oppure è un valore indispo-
nibile sempre? Che rapporto esiste tra la Dichiarazione dei diritti dell’uomo
e la bioetica?
Queste sono solo alcune delle questioni che bioetica e diritto sono chiama-
te ad affrontare, in un’avventura difficile ma appassionante.
Quello appena descritto è lo scenario che si presenta agli occhi del giurista
del terzo millennio, caratterizzato dall’inevitabile analisi delle norme alla
luce dei principi etici, morali, medici e filosofici.
3
INTRODUZIONE: LA BIOETICA
1.1 Cenni storici. -1.2 Bioetica e diritto. -1.3 Bioetica cattolica e bioetica laica. -1.4 Alcune que-
stioni di bioetica inerenti l’inizio della vita umana. -1.5 Critiche.
4
1.1 CENNI STORICI
Si parla per la prima volta di bioetica nel 1970, all’interno dell’articolo
dell’oncologo americano Van Rensselaer Potter1; Potter considera la bioe-
tica una nuova disciplina in grado di armonizzare le conoscenze scientifiche
e quelle umanistiche, un ponte tra le scienze sperimentali e quelle umane
utile per rispondere a questioni etiche vicine non solo all’uomo o alla pra-
tica medica ma anche riguardanti l’ambiente e l’intera biosfera del piane-
ta. Sarà sempre lo stesso Potter , in un saggio pubblicato nel 19712, ad az-
zardare una prima definizione scientifico-ecologica di bioetica. A partire
dagli anni settanta sorsero in tutto il modo vari comitati di bioetica, intesi
in un primo momento come organi di studio della bioetica, intesa nel sen-
so potteriano. Solo in seguito la parola verrà usata per indicare coloro che
si interessano ai rapporti tra tecnologie biologiche ed etica, spesso in posi-
zione particolarmente critica relativamente allo sviluppo e applicazione
delle prime, ad esempio da un punto di vista cattolico. In Italia il Comitato
Nazionale per la Bioetica (C.N.B.) è sorto nel 1990 ed è un organo consulti-
vo della presidenza del consiglio dei ministri: la funzione del C.N.B. è di o-
rientamento per la predisposizione di strumenti ed atti legislativi e ammi-
nistrativi volti a definire i criteri da utilizzare nella pratica medica e biologi-
ca per tutelare i diritti umani ed evitare gli abusi. L’organo è stato, di re-
cente, soppresso.
Non è tutto: infatti comitati etici sono presenti in tutte le aziende sanitarie
italiane (AA.SS.LL, aziende ospedaliere ecc.) e sono composti da personale
medico e paramedico, ed esperti di psicologia clinica, filosofia, sociologia,
materie giuridiche, teologia…3
1
V.R.Potter , Bioethics: The science of Survival (la scienza della sopravvivenza), Persp, Biol., Med.,
1970.
2
Bioethics: Bridge to the future (bioetica: un ponte verso il futuro)
3
I comitati etici sono stati istituiti con il D.M. del 18/03/1998, il quale definisce il c.e. come orga-
nismo indipendente, senza scopo di lucro, costituiti nell’ambito di strutture sanitarie o di ricerca
scientifica e composto secondo criteri di interdisciplinarità. Per le loro decisioni e discipline fanno
5
Attualmente il fenomeno bioetico sta assumendo sempre più rilevanza an-
che in ambito accademico: infatti tale materia non solo viene inserita in in-
segnamenti come storia della medicina o filosofia morale, ma addirittura
nel 2001 è stata istituita la prima Facoltà di Bioetica del mondo presso
l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma.
1.2 BIOETICA E DIRITTO
Oggi è abbastanza diffusa l’idea che i grandi temi della bioetica –dall’ euta-
nasia all’aborto passando per la fecondazione artificiale e l’ingegneria ge-
netica- debbano essere estranei al dibattito politico, data la necessaria lai-
cità dello stato. Secondo tale teoria, i dibattiti sulle questioni bioetiche non
riferimento alla Dichiarazione di Helsinky del 1964, alle norme di “Good Clinical Practice”, alle
norme nazionali e internazionali alle raccomandazioni del comitato nazionale della bioetica. Il
comitato etico, con riferimento alle questioni concernenti la sperimentazione clinica deve: -
verificare l’applicabilità delle tecniche di sperimentazione proposta, valutandone il razionale; -l’
adeguatezza del protocollo; - la competenza e professionalità dei ricercatori; - valutare tutti gli
aspetti etici con particolare riferimento a: consenso informato, tutela e riservatezza dei dati per
salvaguardare i diritti, la sicurezza ed il benessere dei soggetti coinvolti nella sperimentazione cli-
nica. Essendo questa attività molto complessa, è necessario che nei comitati etici, siano presenti
soggetti con particolari competenze professionali, per discutere gli aspetti, scientifici e non, pri-
ma di autorizzare un protocollo di ricerca. Il nucleo operativo di un comitato etico, dovrebbe,
presumibilmente, comprendere: due chimici, un biostatistico, un farmacologo, un farmacista, il
direttore sanitario, un esperto in matterie giuridiche. Tale organo deve essere inoltre totalmente
indipendente e imparziale, per collocazione ed interessi, da chi esegue la sperimentazione. Per
tale motivo è necessaria la presenza di elementi non dipendenti dalla istituzione che si avvale del
comitato e di componenti estranei alla professione medica. É preferibile inoltre che la presidenza
del comitato venga affidato ad un componente non dipendente dalla istituzione.
La successiva legge 211 del 2003 ha adattato la definizione all’ambito della sperimentazione clin i-
ca. L’ art 1 c.2. lett (m dà la seguente definizione: “ comitato etico, organismo indipendente,
composto da personale sanitario e non, che ha la responsabilità di garantire la tutela dei diritti,
della sicurezza e del benessere dei soggetti in sperimentazione e di fornire pubblica garanzia di
tale sicurezza, esprimendo, ad esempio, un parere sul protocollo di sperimentazione, sull’idoneità
degli sperimentatori, sull’adeguatezza delle strutture e sui metodi e documenti che verranno im-
piegati per informare i soggetti e per ottenere il consenso informato. L’art 6, dichiara poi la ne-
cessità del parere del comitato etico prima di qualsiasi sperimentazione elencando, nel comma 2
i parametri da tenere in considerazione(pertinenza e rilevanza della sperimentazione, protocollo,
idoneità dello sperimentatore e dei suoi collaboratori…). La legge autorizza il comitato ad assu-
mere le informazioni ed acquisire i documenti necessari. Il parere motivato deve essere comuni-
cato entro il termine non prorogabile, salve poche eccezioni, di 60 giorni, al promotore stesso, al
ministero della salute e all’autorità competente.
6
servirebbero ad altro che ad inasprire il quadro politico seminando “odi e
risentimenti”.
Esistono ragioni ben fondate per contrastare questo punto di vista: la poli-
tica è per Il buon governo del paese, la promozione del bene comune, la
tutela degli interessi di tutti i cittadini e, prima ancora, la tutela organica
dei diritti fondamentali. In effetti tale tutela, intimamente laica ed umana,
non potrebbe attuarsi efficacemente qualora dal quadro dei soggetti meri-
tevoli di tutela ve ne fossero alcuni esclusi. Così come Caligola fece senato-
re un cavallo, il legislatore si permette talvolta di trasformare la realtà, e-
scludendo taluni soggetti dal consesso di esseri umani. Sorprende che a più
di cinquant’anni dalla dichiarazione dei diritti dell’uomo, qualcuno possa
ancora teorizzare la sostenibilità di tesi che presuppongono la negazione
del primo principio di diritto naturale: l’uguaglianza tra gli uomini. Se si
ammettessero eccezioni a tale principio la struttura dello stato di diritto
crollerebbe di schianto: infatti non esiste nulla di più politico che il tema
della difesa della vita umana, nelle fasi in cui essa è più minacciata dal sen-
so comune e dalle aggressioni legalizzate.
1.3 BIOETICA CATTOLICA E BIOETICA LAICA
Gli attuali dibattiti bioetici, specialmente in un ordinamento come il nostro
in cui l’influenza ecclesiastica è molto forte, sono caratterizzati da un con-
trasto tra le c.d. “matrici” cattolica e laica: è così possibile fare una distin-
zione tra “bioetica cattolica” e “bioetica laica”. Tale contrasto fa parte di
una contrapposizione più ampia tra coloro che difendono il principio di “
indisponibilità della vita” e coloro che difendono il principio di “disponibili-
tà della vita”. Tale struttura dicotomica della bioetica contemporanea co-
stituisce un fatto evidente, sebbene taluni si siano ostinati nel negarlo.
7
Come ha documentato Giovanni Fornero4, la bioetica cattolica e la bioetica
laica si muovono all’interno di due opposti paradigmi: la bioetica cattolica
si muove all’interno del paradigma della sacralità e dell’indisponibilità della
vita umana, sostenendo che l’uomo, così come non è l’autore della vita
umana, non ne può essere il distruttore. La bioetica laica si muove
all’interno del paradigma della qualità e disponibilità della vita, ponendo al
centro dell’attenzione, non la vita in sé e per sé considerata ma la qualità
di essa, e quindi considerando l’uomo l’unico soggetto e giudice della sua
stessa vita. Da tali paradigmi dipende la soluzione spesso, bisogna dirlo,
drastica5 che si dà alle varie questioni bioetiche: infatti dal paradigma della
“sacralità e indisponibilità della vita” derivano la proibizione assoluta
dell’aborto in tutte le sue forme, l’illiceità dell’eutanasia, il divieto di mani-
polare l’embrione per fini sperimentali o riproduttivi, il diritto di nascere
da due genitori di sesso diverso e così via. Al contrario, dall’idea della d i-
sponibilità della vita derivano, ad esempio, l’accettazione dell’aborto,
dell’eutanasia e del suicidio, nonché l’apertura alle varie opportunità tec-
nologiche connesse alla sfera riproduttiva.
1.4 ALCUNE QUESTIONI DI BIOETICA INERENTI L’INIZIO DELLA VITA
UMANA
Tra le numerose materie che hanno formato oggetto di discussioni bioeti-
che negli ultimi anni, ritengo opportuno soffermarmi, in questa sede, sulle
problematiche relative all’aborto6, che si avrà modo di approfondire in se-
guito, visti i punti in comune tra i dibattiti concernenti l’interruzione volon-
taria della gravidanza e quelli concernenti la fecondazione assistita, che sa-
4
Sia in G. Fornero, Bioetica cattolica e biotica laica,B. Mondadori, 2005; sia in “laicità debole e
laicità forte: il contributo della bioetica al dibattito sulla laicità”, B.Mondadori,2008.
5
Tale drasticità, a parer mio, nella maggior parte dei casi, dipende dall’incapacità, o forse man-
canza di volontà, di trovare il giusto equilibrio tra queste due matrici della bioetica.
6
La legge italiana in tema di aborto è la l. 22 maggio 1978, n.194.
8
ranno l’oggetto principale dei capitoli successivi. Quella sull’aborto è sen-
za dubbio una delle questioni più importanti di cui si sia mai discusso. Da
un lato si pone la domanda relativa allo statuto ontologico del feto7,
dall’altro si pone la domanda sul bilanciamento da operare tra gli interessi
della madre e quelli del nascituro. Al fatto abortivo, grazie alle nuove tec-
nologie, si affianca un implicito giudizio di qualità di vita o un’esplicita in-
tenzionalità eugenetica (diagnosi di anomalie genetiche o malformazioni).
Il punto focale della questione risiede nella netta frattura fra quanti assu-
mono una concezione ontologica della persona, identificando l’individuo
umano con una realtà in se sussistente, e quanti sostengono una posizione
funzionalista, secondo cui la persona s’identifica con le sue capacità tipi-
che.8 A questo proposito il Comitato nazionale per la bioetica9 concorde-
mente con diverse pronunce del Consiglio di Europa, ha definito la que-
stione “identità e statuto dell’embrione umano” in questi termini:
“L’embrione è uno di noi”, ovvero: non è possibile prescindere dalla stretta
affinità che lega il materiale biologico frutto della fecondazione, con
l’essere umano che da esso prende forma. Ciò tuttavia non dirime la que-
stione sullo statuto ontologico dell’embrione e del feto, ovvero dell’essere
umano in formazione, sebbene tutti siano concordi nel ritenere che il con-
cepito vada tutelato sin dalla fecondazione, alcuni ammettono la possibili-
tà di limitare tale tutela, in considerazione di valori, ritenuti primari, come
il benessere e la salute della madre ovvero, secondo alcuni, l’importanza di
ricerche sperimentali, aventi come oggetto l’embrione stesso al fine di in-
dividuare cure per prevenire gravissime malattie genetiche.
7
Di cui si tornerà a parlare più approfonditamente nel capitolo relativo alla tutela dell’embrione,
contenuta nella l. 40 del 2004
8
Tale dibattito verrà trattato più approfonditamente nel capitolo relativo alla tutela giuridica
dell’embrione.
9
C.N.B.
9
1.5 CRITICHE
La situazione attuale dei dibattiti bioetici ha suscitato diverse critiche dan-
do adito a vari dibattiti politici e dottrinali. Ad esempio Maria Chiara Talac-
chini10 considera la bioetica una scienza che ha avuto grande impatto negli
anni ‘60\’70, quando per la prima volta comparirono discorsi interdiscipli-
nari e si considerava la responsabilità sociale della scienza: in tale prospet-
tiva la bioetica costituiva soprattutto una riflessione etico-morale sulla
scienza. Secondo la Talacchini, in seguito la bioetica sarebbe stata istitu-
zionalizzata e burocratizzata e ora tenderebbe a riportare il punto di vista
del potere, o meglio dei vari poteri, istituendo commissioni con il compito
di decidere cosa è meglio e cosa no.
Tale critica si è poi abbattuta sul C.N.B., a causa delle modalità di selezione
dei suoi membri, di nomina governativa e perciò soggetta al variare delle
maggioranze anziché a criteri di merito o di rappresentatività di gruppi o di
categorie sociali. La critica si rivolge poi alle modalità di votazione del co-
mitato stesso: l’adozione di testi a maggioranza è, secondo alcuni, inap-
propriato per un organo come questo, puramente consultivo e che do-
vrebbe giungere ad un consenso unanime e quindi basato su criteri di og-
gettività e laicità.
10
M.Talacchini, Fuga dalla Bioetica, a cura di L.Boella, Bioetica dal vivo, Aut Aut, Novembre-
Dicembre 2003, pagg 107-108.
10
FECONDAZIONE ASSISTITA E LEGGE 40 DEL 2004
2.1 Introduzione: la fecondazione assistita tra diritto e morale. -2.2. La situazione anteriore alla
legge. -2.3 La legge 40 del 2004. -2.4 I contenuti della legge italiana sulla procreazione medical-
mente assistita: la procreazione assistita come strumento terapeutico residuale. -2.5 I destinatari
delle tecniche di procreazione medicalmente assistita. -2.6 La mancanza di una definizione di
embrione (cenno). -2.7 Il divieto di produrre più di tre embrioni: rinvio. -2.8 Le sanzioni nella leg-
ge n. 40. -2.9 La posizione del medico: la compressione delle scelte terapeutiche posta dalla legge
n. 40 del 2004. -2.10 (segue) obblighi e responsabilità del medico: gli obblighi di accertamento. -
2.11 (segue) il principio di gradualità. -2.12 (segue) i diversi piani della responsabilità del medico.
11
2.1 INTRODUZIONE: LA FECONDAZIONE ASSISTITA TRA DIRITTO E
MORALE
In questi ultimi anni le scienze hanno compiuto passi da gigante nella cura
della sterilità e nella diagnosi prenatale delle malattie genetiche. Tali pro-
gressi scientifici hanno tuttavia dato spazio al prospettarsi di conseguenze
inquietanti, come quella della selezione della razza (eugenetica) già tragi-
camente sperimentata nella Germania nazista, o quella della clonazione
umana. Di fronte a tali prospettive, conseguenze inevitabili del progresso
scientifico, lo stato non può restare inerte, lasciando che la scienza prose-
gua per la sua strada, con i possibili esiti catastrofici che ho detto. Per far
fronte a queste necessità, il parlamento nel febbraio del 2004 ha approva-
to la legge 40, contenente “norme in materia di procreazione medicalmen-
te assistita”. Si può dire che la legge affronti un “tema della modernità”11,
cerca cioè di risolvere problemi nuovi, emersi sotto l’impulso di una ricerca
scientifica che procede a passi incredibilmente veloci. Il tema è reso più
scottante dalle critiche rivolte dalla chiesa alle tecniche di procreazione as-
sistita: in particolare alla fecondazione in vitro ma non solo; infatti il cardi-
nale di Milano Dionigi Tettamanzi, attaccò la c.d. fecondazione omologa
avvenuta durante il matrimonio sostenendo che “nel momento in cui, per
la procreazione, si utilizza il supporto di tecniche scientifiche, il figlio che
ne deriva risulta essere il frutto di tali procedure tecniche anziché
dell’amore coniugale”.12 La legge nasce quindi in un clima di dibattiti pa-
recchio accesi: non è casuale che nel breve arco di tempo seguito
all’entrata in vigore della legge ci siano state discussioni appassionate nelle
sedi più diverse: tra gli scienziati, tra i giuristi, tra i politici, sui mezzi di co-
municazione di massa.
11
Federico Stella, Giustizia e modernità, Milano, 3 ed. 2003
12
D. Tettamanzi, Nuova bioetica cristiana, ed piemme, Milano, 2000
12
2.2 LA SITUAZIONE ANTERIORE ALLA LEGGE
Come già accennato, le pratiche di procreazione assistita mediante inter-
vento medico sono, come è noto, diffuse da ormai molti anni, ma si sono a
lungo svolte in un “vuoto normativo”, nell’assenza di una precisa regola-
mentazione giuridica della materia, in particolare con riguardo alle tecni-
che di fecondazione assistita e allo status del figlio nato in conseguenza di
un tale intervento. Sotto quest’ultimo profilo una questione particolar-
mente controversa si presentava nel caso in cui un uomo coniugato, dopo
aver prestato il consenso all’inseminazione artificiale eterologa13 della mo-
glie, avesse proposto un’azione di disconoscimento di paternità del nato,
allegando a fondamento di una tale domanda proprio quell’impotenza ge-
nerandi del marito che aveva indotto la coppia a ricorrere alle tecniche di
procreazione assistita14. Il problema è stato più volte oggetto di decisioni
giurisprudenziali, con risultati controversi. La prima decisione in tema (tri-
bunale di Cremona, 17 Febbraio, 1994) dichiarò ammissibile l’azione di di-
sconoscimento di paternità esercitata dal marito, dopo avere inizialmente
prestato consenso alla fecondazione eterologa, applicando il terzo caso in
cui l’art 235 riconosce la possibilità di disconoscere la paternità nel caso in
cui il figlio sia prodotto attraverso l’utilizzo del seme di un terzo (sebbene
per mezzo di supporti tecnici e scientifici). Ruolo importante giocò anche la
prova della sterilità del marito nel periodo del concepimento (seconda ipo-
tesi prevista dall’art 235). Anche la Corte costituzionale venne investita
della questione: si riteneva infatti che l’art 235 fosse incostituzionale, in
13
Ossia con seme diverso da quello del marito
14
Infatti l’art 235 c.c. riconosce quale causa di disconoscimento della paternità l’impotentia gene-
randi. art 235: l’azione per il disconoscimento della paternità del figlio concepito durante il ma-
trimonio è consentita solo nei casi seguenti:
-se i coniugi non hanno coabitato nel periodo compreso tra il trecentesimo e il centottantesimo
giorno prima della nascita
-se durante il tempo predetto il marito era affetto da impotenza, anche se soltanto di generare
-se nel detto periodo la moglie ha commesso adulterio o ha tenuto celata la gravidanza e la nasci-
ta del figlio
(omissis)
13
quanto contrario ai valori costituzionali di tutela della famiglia e della per-
sona, per il fatto che non fosse impedito al marito, che avesse inizialmente
acconsentito all’inseminazione eterologa della moglie, di “pentirsi” e di-
sconoscere successivamente il figlio nato in conseguenza di un intervento
sanitario voluto da entrambi i coniugi. La Corte costituzionale ha dichiarato
inammissibile la questione, osservando che la norma di cui all’art 235 c.c.,
scritta in un’epoca in cui simili pratiche procreative non esistevano, non
poteva essere applicata al caso in questione, non essendo previsto dalla
disposizione normativa.
Tuttavia l’intervento della Corte costituzionale si rivelò nel tempo fonda-
mentale, avendo colmato una lacuna legislativa attraverso l’analogia Legis
per cui l’articolo in esame era stato idealmente pensato per i casi in cui il
figlio rappresentava il frutto di una relazione extra-coniugale tra la moglie
ed un terzo soggetto, rendendo altresì evidente come la fattispecie non
potesse essere applicata ai casi in questione.15
L’indicazione offerta dalla Corte ha aperto la via ad un indirizzo della giuri-
sprudenza (della Corte di Cassazione, dei giudici di merito ma anche della
stessa Corte costituzionale) che negava al marito di “pentirsi” del consenso
precedentemente dato alla fecondazione eterologa della moglie. A riguar-
do si deve nuovamente richiamare la sentenza 347 del 1999 della Corte
costituzionale, e una pronuncia della Corte di Cassazione16: tali decisioni
15
“ Il Giudice rimettente, parte dal presupposto che il caso particolare sul quale è chiamato a de-
cidere (nascita di un bambino mediante fecondazione assistita eterologa, in costanza di matri-
monio con il consenso di entrambi i coniugi), rientri nella portata dell’Art 235, primo comma n.2
cod civ. ma solleva dobbi sulla legittimità costituzionale, considerate le conseguenze che egli ri-
tiene di dover trarre dalla predetta disposizione. Sennonchè questa norma riguarda esclusiva-
mente la generazione che segua ad un rapporto adulterino, ammettendo il disconoscimento della
paternità in tassative ipotesi, quando le circostanze indicate dal legislatore facciano presumere
che la gravidanza sia riconducibile, in violazione degli obblighi di reciproca fedeltà, ad una rela-
zione con persona diversa dal coniuge. La possibilità che ipotesi nuove, non previste al tempo di
approvazione di una norma, siano disciplinate dalla stessa non è da escludersi in generale. Ma ta-
le possibilità implica un omogeneità degli elementi essenziali e un identità di ratio, nella cui ca-
renza l’estensione della portata normativa di una legge si risolverebbe in un mero arbitrio” Cort
cost. sent n. 347/1998, in www.giurcost.it
16
Corte Cass. Sent. 16 marzo 1999, n.2315, in “Il foro Italiano”, Giugno 1999
14
hanno affermato come proprio nel consenso del marito, prestato antece-
dentemente all’inseminazione eterologa della moglie, sorga l’obbligo e il
momento di “non ritorno”. In conclusione, l’automatismo legale che sorge,
nella procreazione naturale, con la nascita del figlio e grazie al quale na-
scono determinati rapporti tra padre e figlio, viene, nel caso in esame, su-
perato con il consenso del marito, inteso come un’assoluta consapevolezza
dell’assenza di un legame, dal punto di vista biologico, unitamente alla
consapevolezza di assumersi il compito di padre del bambino: siamo di
fronte ai primi casi in cui la giurisprudenza ha creato un orientamento tan-
to completo e uniforme da anticipare,addirittura, le successive scelte del
legislatore.17
17
“ Non si tratta in alcun modo, in questa occasione, di esprimersi sulla legittimità
dell’inseminazione artificiale eterologa, né di mettere in discussione il principio di indisponibilità
degli status nel rapporto di filiazione, principio sul quale sono suscettibili di incidere le varie pos-
sibilità di fatto oggi offerte dalle tecniche applicate alla procreazione. Tutto ciò resta fuori dal
presente giudizio di costituzionalità. Si tratta invece di tutelare anche la persona nata a seguito di
fecondazione assistita, venendo inevitabilmente in gioco plurime esigenze costituzionali. Premi-
nenti in proposito sono le garanzie per il nuovo nato (v. le sentenze n. 10 del 1998; n. 303 del
1996; n. 148 del 1992; nn. 27 e 429 del 1991; e nn. 44 e 341 del 1990), non solo in relazione ai di-
ritti e ai doveri previsti per la sua formazione, in particolare dagli artt. 30 e 31 della Costituzione,
ma ancor prima - in base all’art. 2 Cost. - ai suoi diritti nei confronti di chi si sia liberamente impe-
gnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità: diritti che è compito del legislatore
specificare.” Corte cost. Sent 374/1998.
“L'art. 235 cod. civ., dettato per tutelare il marito a fronte di nascita ascrivibile alla relazione ses-
suale della moglie con un terzo, non può trovare applicazione nell'inseminazione artificiale, volu-
ta e realizzata di comune accordo, trattandosi di una scelta non vietata, consentita dall'evoluzio-
ne della scienza accettabile anche moralmente, ed idonea alla costituzione di un cosciente rap-
porto di "filiazione civile", cui deve conferirsi cittadinanza e dignità pari a quello di filiazione natu-
rale. (OMISSIS) “….va osservato che la domanda di disconoscimento, indirizzata a privare il figlio
concepito durante il matrimonio, della presuntiva condizione di frutto legittimo di entrambi i co-
niugi, per il tramite della dimostrazione di specifici fatti idonei ad evidenziarne la non risponden-
za a realtà, integra azione di accertamento di tipo costitutivo, in quanto configura esercizio del di-
ritto potestativo di ottenere dal giudice una pronuncia che modifichi la situazione giuridica in at-
to, rimuovendo con effetti retroattivi uno status che sussiste e persiste fino a che la domanda
stessa non sia proposta ed accolta. L'azione di accertamento costitutivo, in assenza di una diversa
(ed eccezionale) previsione, non può spettare proprio al soggetto che abbia posto in essere o
concorso a porre in essere, con atti o comportamenti non vietati dalla legge, la situazione giuridi-
ca per la cui modificazione è apprestata.” Corte di Cass. Sent 16 marzo 1999, n. 2315 in “Il foro i-
taliano”, Giugno 1999.