Introduzione
Con questo lavoro si vuole dare un piccolo contributo allo studio e alla conoscenza dello
sviluppo dell‟Indonesiana, un paese “emergente” dell‟Asia Orientale e capire se anche
l‟Indonesia può essere annoverata tra gli stati sviluppisti.
Non si può comprendere l‟economia Indonesiana senza tener conto della regione particolare
in cui si trova, una regione che negli ultimi decenni ha attirato l‟attenzione degli studiosi in
quanto teatro di una crescita tanto elevata da far parlare di “miracolo Asiatico”.
Quindi il primo capitolo è dedicato a questa regione, in quanto quadro e cornice di questo
sviluppo, un puzzle di cui l‟Indonesia è uno dei tasselli chiave, e di cui, sono anche esaminate
le diverse teorie elaborate dagli studiosi per cercare di spiegare queste performance
eccezionali.
La teoria più dibattuta tra i vari studiosi, che attribuisce la rapida crescita all‟esistenza di un
particolare modello di stato, lo stato sviluppista, sarà, invece, esaminata nel secondo capitolo,
dove, inoltre, si cercherà di delineare le caratteristiche di questo modello e la sua applicabilità
in futuro e in contesti diversi dall‟Asia Orientale.
Nel terzo capitolo, partendo da un breve excursus politico-economico che darà una visione
globale della situazione dell‟Indonesia, passerò ad esaminare la situazione Indonesiana nei
diversi settori nei quali si esplicano le performance dello stato sviluppista.
Esaminando le condizioni attuali e future dell‟Indonesia di breve termine, infine, cercherò di
capire se lo stato sviluppista avrà un futuro in questo arcipelago.
Capitolo 1 – L’Asia Orientale dal “secolo del Pacifico” al “miracolo asiatico”
2
Capitolo 1
L’Asia Orientale
dal “secolo del Pacifico” al “miracolo asiatico”
L‟Asia Orientale è bagnata dall‟Oceano Pacifico, e comprende:
1. l‟arcipelago giapponese;
2. la penisola coreana;
3. il continente cinese;
4. il promontorio indocinese;
5. la penisola malese;
6. l‟arcipelago indonesiano.
Questa vasta regione si estende su più di 6000 km, caratterizzata da mari ancora oggi molto
importanti dal punto di vista geoeconomico e geopolitico: il Mar del Giappone, il Mare della
Cina orientale, il Mare della Cina meridionale e il Mare di Giava. Questa regione riveste
ancora oggi una grande importanza, dovuta alla presenza di alcuni stretti: lo Stretto di
Malacca, della Sonda, di Formosa e di Corea. Quest‟area geografica è soggetta ad un
vulcanesimo particolarmente attivo e a disastrosi tsunami. Le particolari condizioni della
natura hanno portato le popolazioni a sviluppare un particolare atteggiamento verso di essa,
che non è quello tipicamente occidentale caratterizzato dal dominio su di essa. Queste zone
vivono al ritmo dei monsoni, e il particolare clima caratterizzato da estati calde con
abbondanti precipitazioni spiega la ricchezza della vegetazione e lo sviluppo, di una civiltà
che ha privilegiato la coltura del riso, mentre. In seguito a questo clima particolare, la civiltà
Asiatica ha privilegiato la coltura del riso, mentre la civiltà del Mediterraneo, in conseguenza
delle quattro stagioni ha privilegiato la coltura del grano, e si è avuta una combinazione di
agricoltura ed allevamento in conseguenza del maggese, che invece manca nell‟Asia
Capitolo 1 – L’Asia Orientale dal “secolo del Pacifico” al “miracolo asiatico”
4
Orientale, in quanto il maggese è reso inutile dai monsoni e dalla diffusione della risicoltura, e
allo sviluppo di un senso comunitario sconosciuto in Occidente.
Questa immensa regione raggruppa tre giganti demografici:
- la Cina con un miliardo e trecento milioni di abitanti;
- l‟Indonesia con 230 milioni;
- il Giappone con 130 milioni.
L‟Asia Orientale è entrata nella fase di transizione demografica, in seguito al passaggio da una
demografia naturale, caratterizzata da un tasso di natalità in aumento e di mortalità in
diminuzione, a una demografia controllata, con un tasso di natalità contenuto e un basso tasso
di mortalità.
In questa area si trovano anche 15 delle 21 megalopoli di tutto l‟interp pianeta con più di 10
milioni di abitanti, e sede di gravi problemi, quali cattive condizioni igieniche, degrado
ambientale e sanitario, povertà, scarsa accessibilità all‟acqua potabile. L‟Asia Orientale
annovera tra i suoi paesi quelli che negli ultimi anni sono stati caratterizzati dai più alti tassi di
crescita, che hanno indotto a parlare di “Miracolo Asiatico”: la Cina, le 4 tigri (Singapore,
Corea del Sud, Taiwan, Hongkong) e i 4 tigrotti (Indonesia, Thailandia, Malesia e Filippine)
(Mazzei e Volpi 2006).
I. 1 – Il “secolo del Pacifico”
L‟attenzione verso quest‟area è cresciuta a partire dagli anni 60 alimentata non esclusivamente
da motivazioni d'ordine politico, militare o connesse alla sicurezza, bensì in seguito alla
constatazione che alcune economie dell‟Asia Sud Orientale e Orientale crescevano più del
doppio dei paesi del mondo sviluppato. Ci riferiamo alle quattro NICs Asiatiche (Newly
Industrializating Countries), Taiwan, Corea del Sud, Hong Kong e Singapore, poi raggiunte
negli ultimi 20 anni da una nuova generazione di NICs, Tailandia, Malesia e Indonesia. Questi
stati, si dice appartengano al club delle HPEA, High-Performing Economies of Asia.
L‟attenzione per quest‟area continua ad aumentare, quando verso la fine degli anni 70 la Cina,
inizia a seguire lo stesso percorso di sviluppo delle NICs e quando il Giappone, nella metà
degli anni 80, rimpiazza gli USA come maggior creditore diventando anche un importante
donatore di aiuti (Masina 2002). Tra il 1937 ed il 1981, la crescita economica di Giappone,
Lo Stato sviluppista in Indonesia: dal “miracolo asiatico” alla crisi finanziaria globale
5
Corea del Sud, Taiwan, Singapore, Hong Kong, Thailandia, Malaysia, Indonesia e Filippine si
è assestata ad un tasso medio annuo del 8% contro quello del 2,7% dell'America settentrionale
e del 1,9% dei paesi rientranti nell‟allora Comunità Economica Europea.
Durante questo periodo, l‟Asia Orientale sembra emergere economicamente e, in un certo
senso, anche politicamente.
La rapida crescita della produzione e dell‟esportazione internazionale così anche i successi
economici in Asia Orientale, sono interpretati come uno spostamento del baricentro politico
ed economico in Asia. E‟ però a partire dalla fine degli anni 80, che la nozione di “secolo del
Pacifico”, o “Secolo Asiatic” che affermava che il centro di gravità del mondo economico si è
spostato dall‟Atlantico al Pacifico, si diffonde e viene largamente usato dagli studiosi e dai
politici. Ricordiamo per esempio che il presidente degli Stati Uniti, Reagan nel 1984 afferma:
“Non puoi aiutare ma sentire che il grande Bacino del Pacifico, con le sue nazioni e i suoi
potenziali per la crescita e lo sviluppo – è il futuro” (Masina 2002). Non c‟è da sorprendersi in
quanto l‟Asia orientale e meridionale per molti secoli aveva occupato un posto preponderante
nel commercio internazionale, in particolare dal 1500 fino al XIX secolo, in quanto gli scambi
commerciali tra i popoli asiatici erano molto superiori di quelli tra i popoli europei. La
situazione si è capovolta solo nel XIX secolo, quando con la Rivoluzione Industriale, l‟Europa
supera l‟Asia (graf. 1). Come affermato da Mazzei, questo ritorno sulla scena della regione
Asiatica fa venire in mente il film: Back to the future (Mazzei e Volpi 2006).
Capitolo 1 – L’Asia Orientale dal “secolo del Pacifico” al “miracolo asiatico”
6
Grafico 1
PIL in PPP 1500–2050 di Cina, Europa Occidentale, Giappone, India, USA
BACK TO THE FUTURE
valori stimati
Fonte: Maddison 2001.
Cina Europa Occidentale Giappone India USA
Lo Stato sviluppista in Indonesia: dal “miracolo asiatico” alla crisi finanziaria globale
7
I. 2 – Il “miracolo asiatico” e i paradigmi interpretativi
La disputa sul “capitalismo dell‟Asia Orientale” è iniziata quando la Banca Mondiale nel 1993
ha rilasciato il report chiamato The East Asian Miracle: Economic Growth and Public Policy
(Masina 2002). Con “miracolo asiatico” si voleva indicare la crescita rapida ed equa e la
riduzione dell‟ineguaglianza che stava caratterizzando i paesi asiatici dagli anni 60. La Banca
identifica otto economie asiatiche ad alta performance: il Giappone, la prima generazione
delle quattro economie di nuova industrializzazione (NIEs, Newly Industrialiating Economies)
o paesi di nuova industrializzazione, NICs, anche chiamate tigri o dragoni, Corea del Sud,
Taiwan, Hong Kong e Singapore, e le tre NICs di seconda generazione dell‟Asia Sud
Orientale, Malesia, Tailandia ed Indonesia (World Bank 1993). Queste economie asiatiche
condividevano altre sei caratteristiche (appendice 1):
una rapida crescita della produzione nel settore agricolo;
elevati tassi di crescita dell‟esportazione di manufatti;
diminuzione della fertilità;
elevati tassi di crescita del capitale fisico, sostenuto da elevati tassi di risparmio;
elevato tasso di crescita del capitale umano;
tassi elevati della crescita della produttività (World Bank 2993).
Il “miracolo asiatico” ha scatenato la curiosità degli studiosi portando all‟elaborazione di
numerosi studi e interpretazioni, dovuti soprattutto al fatto che si è trattato del primo caso di
rapida industrializzazione al di fuori della sfera culturale occidentale. La rapida crescita di
questi paesi ha minato sia la teoria della dipendenza che il mainstream neoclassico, in quanto
nonostante la presenza di un elevato grado di dipendenza commerciale, l‟Asia Orientale è
riuscitz in maniera vigorosa a svilupparsi, non subendo quei danni supposti dalla teoria della
dipendenza (Landsberg 1993).
I. 2. 1 - La spiegazione neoclassica
Il mainstream neoclassico ha sempre insistito sul fatto che il libero mercato fosse efficiente e
che potesse promuovere la crescita in ogni luogo. Secondo la prospettiva neoclassica, le
funzioni essenziali del governo sono:
1. mantenere la stabilità macroeconomica;
2. fornire le infrastrutture fisiche, specialmente quelle che hanno un costo fisso elevato in
relazione ai costi variabili, come le ferrovie, i canali d‟irrigazione;
3. fornire “beni pubblici”, incluse la sicurezza e la difesa nazionale, il sistema scolastico, le
informazioni del mercato, il sistema giudiziario, e la protezione ambientale;
4. contribuire allo sviluppo delle istituzioni per migliorare il mercato del lavoro, finanziario e
tecnologico;
5. compensare o eliminare le distorsioni dei prezzi che si sviluppano in seguito a fallimenti
del mercato;
6. ridistribuire i redditi a favore de poveri in modo da potergli garantire i bisogni di prima
necessità (Wade 1990).
Certamente il mainstream neoclassico non ha cambiato la sua posizione in riferimento
all‟esperienza di crescita asiatica, ritenendo infatti il libero mercato il principale responsabile
della crescita regionale. Anche quando sono emersi in maniera evidente interventi pervasivi da
parte dello stato, il mainstream ha continuato a difendere le sue posizioni, considerando quegli
interventi privi di importanza poiché non interferivano con il libero mercato.
Vi sono tre spiegazioni che i teorici neoclassici fornivano per spiegare il ruolo che gli
interventi governativi hanno avuto nel successo economico dei paesi del Sud Est asiatico:
1. i governi del Sud Est asiatico non sono intervenuti molto;
2. il grado di intervento è stato inferiore a quello di altri paesi;
3. gli interventi non hanno né danneggiato né apportato grandi benefici (tesi della Banca
Mondiale).
Nonostante la prima spiegazione sia stata quella inizialmente più popolare, non ha goduto a
lungo di credibilità, a causa delle numerose dimostrazioni di interventi statali. Pertanto gli
economisti neoclassici hanno mantenuto le ultime due visioni, considerando efficaci solo quei
tipi di intervento statali legati ai meccanismi di mercato amichevole e quegli interventi
prettamente selettivi (Wan-wen Chu 1997).
Lo Stato sviluppista in Indonesia: dal “miracolo asiatico” alla crisi finanziaria globale
9
I. 2. 1 - La versione revisionista
A partire dalla metà degli anni ottanta assistiamo ad una considerevole crescita della critica
all‟interpretazione neoclassica, soprattutto da parte dei cosiddetti “nuovi interventisti”.
Allacciandosi alla vecchia tradizione di studi iniziata con Friedrich List e Alexander
Gerschenkron, questi economisti sostenevano l‟importanza dello stato “sviluppista”
1
nel
promuovere il processo di catching-up dei paesi late comers nel processo di
industrializzazione, perciò lo stato doveva contribuire di più allo sviluppo economico anziché
fornire solamente beni pubblici di una certa importanza (Niels 1997). Secondo i nuovi
interventisti, l‟interpretazione neoclassica non poteva sufficientemente spiegare il successo
economico dei paesi dell‟Est asiatico (Amsden 1989). Un discreto numero di ricerche ha
dimostrato che il governo avrebbe potuto contribuire in maniera positiva alla crescita
attraverso efficaci interventi nel processo economico. Una spiegazione alternativa del
successo asiatico è stata fornita enfatizzando l‟estensione dei problemi riguardanti la
coordinazione economica tra i paesi meno sviluppati (Wan-wen Chu 1993). I critici
sostenevano che il governo dovesse giocare un ruolo importante nello stimolare il processo di
sviluppo economico riducendo i problemi di coordinamento che ostacolano lo sviluppo,
tramite la scelta e la relazione delle decisioni produttive. Tali problemi che riguardavano la
coordinazione, sono il risultato di economie dinamiche di scala di produzione ed effetti esterni
generati dalla reciproca dipendenza di alcune industrie (Neils 1997). Secondo i nuovi
interventisti, gli interventi negli stati dell‟Est asiatico venivano principalmente ammessi per
ridurre questi problemi di coordinazione, stimolando così la crescita economica. La critica fu
principalmente ancorata al fatto che i modelli precedentemente descritti non tenevano conto
delle imperfezioni dei meccanismi di mercato (Stern 1995); infatti sembravano non ammettere
la possibilità che gli interventi statali potessero determinare un‟efficiente allocazione delle
risorse. Gli economisti neoclassici rigettavano l‟assunzione implicita che l‟inefficienza
allocativa legata alle imperfezioni di mercato potesse sempre essere maggiore rispetto
all‟inefficienza risultante dai fallimenti statali. Di conseguenza il governo doveva possedere
informazioni sufficienti tali da generare, per particolari industrie, esternalità positive ed
economie di scala dinamiche. I revisionisti invece avevano un approccio pro fallimento del
mercato e ponevano in rilievo la necessità di una forza maggiore da parte dello stato che
garantisse la possibilità di resistere alle pressioni dei gruppi e di minimizzare gli effetti
negativi dei comportamenti rent-seeking (Wafe 1991). I neoliberali dubitavano molto del fatto
1
Il modello dello Stato Sviluppista sarà descritto nel prossimo capitolo
Capitolo 1 – L’Asia Orientale dal “secolo del Pacifico” al “miracolo asiatico”
10
che tali condizioni potessero esser sufficientemente raggiunte dai paesi in via di sviluppo.
Erano piuttosto convinti del fatto che specialmente taluni fattori , come lobbying o rent –
seeking, avrebbero avuto un effetto negativo sull‟intervento statale; pertanto giungevano alla
conclusione che le imperfezioni degli interventi statali generalmente eccedevano quelle del
mercato. Il compito del governo era quello di “garantire i giusti prezzi” e questo poteva
intervenire solo in alcuni casi garantendo per esempio stabilità macroeconomica, mantenendo
l‟ordine e la garanzia delle leggi.
Alice Amsden, controbatteva le tesi degli studiosi neoclassici affermando che il successo dei
Paesi dell‟Asia orientale era dovuta alla capacità dei governi di “distorcere i prezzi”, secondo i
termini cari alle agenzie internazionali, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca
Mondiale, piuttosto che seguendo il principio neoclassico di “dare i giusti prezzi”.
I. 2. 3 - La prospettiva culturalista
Una variante neoliberale all‟interno del mainstream ha cercato di contribuire alla spiegazione
dello sviluppo delle economie dell‟Asia orientale proponendo una prospettiva culturalista.
Questi teorici hanno sottolineato l‟importanza dei valori, delle attitudini e delle pratiche che
hanno avuto nell‟influenzare il processo di sviluppo. Contrari al paradigma della
modernizzazione, che contrappone la “modernità” alla “tradizione”, l‟approccio culturalista
rigetta la tesi che il ritardo economico possa essere spiegato principalmente attraverso la
sopravvivenza della società e della cultura tradizionale. Nel contesto asiatico, si ritiene che lo
sviluppo abbia beneficiato della tradizione. Contraddicendo la prospettiva Weberiana che
considera la civiltà cinese non adatta al capitalismo, i culturalisti sostengono che la tradizione
confuciana ha contribuito alla stabilità sociale e all‟accettazione della burocrazia sia a livello
governativo che delle imprese.
Tra le file di questo approccio troviamo alcuni leader asiatici come Lee Kuan Yew, ex primo
ministro di Singapore, a cui si deve l'espressione “valori asiatici”. Tale espressione è stata in
seguito adottata dal primo ministro malese, Mahathir, e dai leader politici giapponesi, coreani,
e di Hong Kong. Nel senso in cui è usata da Lee Kuan Yew e dagli altri leader asiatici
l‟espressione è sinonimo di “valori confuciani” ed incorpora un sistema di valori che pone lo
sviluppo economico al di sopra di tutto il resto; ne segue che i diritti civili e politici possono
essere legittimamente sospesi fino al compimento dello sviluppo economico, e anzi il loro
diniego è visto come necessario per assicurare il progresso economico e i benefici. Trova
Lo Stato sviluppista in Indonesia: dal “miracolo asiatico” alla crisi finanziaria globale
11
anche giustificazione un governo burocratico e autoritario dotato del potere di regolare e
controllare capillarmente la vita dei cittadini nel modo che i leader ritengono più appropriato.
I “valori confuciani” sono: il comunitarismo che indica la priorità dei valori del gruppo su
quelli dell‟individuo; la cooperazione; l‟armonia; la pietà filiale, definita da Confucio come il
rispetto per la famiglia; la lealtà verso il proprio superiore; il senso della vergogna per la
riprovazione sociale che costituisce la principale sanzione punitiva; il pragmatismo cioè
adattarsi alle circostanze, dare importanza al caso specifico; il loco-centrismo ossia la
centralità del luogo e della natura e non dell‟uomo; la preferenza per le relazioni
interpersonali; il valore della frugalità, della parsimonia, e del duro lavoro, e infine il
monismo, secondo cui gli opposti possono convivere in pace, non esiste mai una netta
contrapposizione ma un continuum, anche tra il bene e il male. Secondo Mazzei e Volpi
usando i connettivi cari a Crisippo possiamo dire che la civiltà occidentale è quella
dell‟o…o…, essere o non essere, dove è fondamentale il principio di non contraddizione,
mentre la civiltà asiatica può essere definita la civiltà dell‟e…e…, dove si può essere buoni ma
anche cattivi, e per cui è anche possibile l‟esistenza di un‟economia socialista di mercato
(Mazzei e Volpi 2006).
I. 3 - Il mito del miracolo Asiatico
In contrasto con la posizione sostenuta dalla maggior parte degli studiosi, Krugman (1994),
sostiene che non sarebbe possibile parlare di “miracolo asiatico”, poiché non c‟è nulla di
miracoloso nella crescita che hanno sperimentato i paesi asiatici di nuova industrializzazione.
Secondo Krugman, la crescita asiatica sembrerebbe esser stata guidata da una straordinaria
crescita negli input, cioè dovuta all‟aumento di lavoro e capitale impiegati, piuttosto che
dovuta ad un maggiore efficienza dei fattori impiegati, come già accaduto in passato per
quanto riguarda l‟incredibile crescita sperimentata dall‟Unione Sovietica negli anni ‟50. Infatti
anche nel caso della crescita dell‟Unione Sovietica i tassi di crescita erano impressionanti ma
non magici. Krugman prende in esame il caso estremo di Singapore, notando che tra il 1966 e
il 1990 la sua economia crebbe ad un tasso percentuale annuo rimarchevole pari all‟8.5 %, il
che apparentemente porterebbe a parlare di “miracolo economico”. Ma l‟ipotetico miracolo ha
dimostrato di essersi basato su una trasposizione piuttosto che su di una vera e propria
Capitolo 1 – L’Asia Orientale dal “secolo del Pacifico” al “miracolo asiatico”
12
ispirazione; Singapore infatti è cresciuto grazie ad una mobilitazione di risorse enorme. La
quota di occupazione è passata dal 27% al 51%. Gli standard di educazione della forza lavoro
sono migliorati notevolmente; infatti mentre nel 1966 più della metà dei lavoratori rimaneva
priva di istruzione, a partire dal 1990 i due terzi avevano completato la scuola secondaria.
Inoltre il paese effettuò un imponente investimento in capitale fisico, che crebbe dall‟11% a
più del 40 % (Krugman 1994). Quindi anche solo facendo un rendiconto quantitativo
emergono risultati stupefacenti: la crescita di Singapore può essere spiegato per mezzo di un
aumento degli inputs; pertanto non vi sono segnali di crescita efficiente. Il caso di Singapore è
comunque dichiaratamente il più estremo. Altre economie dell‟Est asiatico in rapida crescita
non hanno accresciuto la loro partecipazione alla forza lavoro né tanto meno sviluppato
drammatici miglioramenti in livelli di educazione o significative crescite di tassi di
investimento. La conclusione basilare è comunque la stessa, ossia vi è stata solo un piccolo
miglioramento in termini di efficienza. Quanto invece alle quattro tigri asiatiche, Kim e Lau
(1994) ritengono che l‟ipotesi in base alla quale non vi sia stato alcun progresso tecnico
durante il secondo dopoguerra non possa essere rigettata per questi quattro paesi di nuova
industrializzazione. Inoltre una volta ammessa la loro rapida crescita degli input, la
perfomance produttiva delle quattro tigri è fallita. Le loro conclusioni minano la maggior parte
delle teorie convenzionali sul futuro del ruolo delle nazioni asiatiche nell‟economia e
conseguentemente sulla politica internazionale. Krugman critica la maggior parte degli
scrittori che sostengono che il successo delle economie asiatiche dimostra tre proposizioni:
1. c‟è una maggiore diffusione della tecnologia mondiale;
2. l‟economia mondiale si sposterà inevitabilmente verso i paesi asiatici del Pacifico
occidentale;
3. il successo Asiatico dimostra la superiorità delle economie pianificate e con scarse libertà
civili rispetto a quelle occidentali.
Kim e Lau sostengono che non si sta avendo nessuna convergenza tra le tecnologie dei paesi
di nuova industrializzazione e le potenze industriali. Young ha affermato che i tassi di crescita
dell‟efficienza delle “tigri” Asiatiche non sono alti come quelle dei Paesi avanzati. Inoltre il
flusso dei capitali verso i Paesi in via di sviluppo durante gli anni ‟90, non erano notevoli, ed
erano destinati principalmente verso i Paesi dell‟America Latina e non verso quelli dell‟Asia
Orientale, per di più, alcune delle “tigri” dell‟Asia Orientale recentemente sono diventate delle
esportatrici di capitali.
Lo Stato sviluppista in Indonesia: dal “miracolo asiatico” alla crisi finanziaria globale
13
La crescita guidata dagli input è un processo limitato, ed è inevitabilmente destinato ad una
recessione. Qualora si avrà una diminuzione del tasso di crescita, la credenza convenzionale di
uno spostamento del baricentro dell‟economia mondiale in Asia dovrà essere ripensato.
Secondo Krugman nel lungo periodo le attuali proiezioni delle performance delle economie
Asiatiche saranno considerate sciocche come i pronostici degli anni 60 della supremazia
industriale dell‟Unione Sovietica fatti durante l‟era di Brezhnev. Senza dubbio il successo
delle economie asiatiche ha dimostrato il fallimento dell‟approccio tradizionale alle politiche
economiche, il lassaize-faire (Krugman 1994).
I. 4 - La Banca Mondiale e la traiettoria dell’Asia Orientale
Per molti anni la Banca Mondiale ha occupato una posizione internazionale centrale nella
produzione e diffusione della conoscenza dello sviluppo delle economie dell‟Asia orientale e
del resto del mondo, per questo, a partire dagli anni 80, ha giocato un ruolo importante nella
diffusione della percezione che la traiettoria delle economie asiatiche fosse un vero e proprio
miracolo dello sviluppo capitalistico (Berger e Beeson 1998). Questa interpretazione si basava
su un framework di idee neoliberali. La prescrizione principale che la Banca Mondiale offriva
ai governi dei cosiddetti paesi in via di sviluppo era che il sottosviluppo fosse causato
dall‟intervento eccessivo dello stato nell‟economia. La Banca affermava che la privatizzazione
e la liberalizzazione avrebbero incoraggiato la crescita economica. Per sostenere i suoi
argomenti presentava come esempi di successo la Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong e
Singapore, in quanto avevano adottato il modello di libero mercato, mentre Africa ed America
Latina, avendo seguito il modello che prevedeva un notevole intervento pubblico erano
presentati come esempi di fallimento (Todaro 1989).
Lo sviluppo delle Economie di Nuova Industrializzazione
2
dell‟Asia Orientale era interpretato
come il risultato naturale dell‟espansione capitalista. Uno dei più conosciuti economisti della
Banca Mondiale che ha formulato un‟interpretazione neoclassica del processo di
industrializzazione in Asia Orientale è Stata Bela Belassa. Secondo la prospettiva di Belassa,
il vantaggio comparativo – o l‟idea che i paesi si possano specializzare in quello che sanno
fare meglio – è un fattore chiave nello sviluppo economico. Da questo punto di vista
l‟estendersi naturale dell‟economia mondiale è dovuta al movimento delle economie nazionali
2
NIEs Newly Industrialising Economies
Capitolo 1 – L’Asia Orientale dal “secolo del Pacifico” al “miracolo asiatico”
14
che passano dalla produzione di beni manifatturieri a quelli altamente tecnologici (Belassa
1981). Negli anni 80 Belassa sostenne che, ad eccezione di Hong Kong, tutte le NIEs sono
passate attraverso uno stadio iniziale basato sulla politica di sostituzione delle importazioni,
ma a differenza dei paesi di tarda industrializzazione dell‟America Latina, le NIEs dell‟Asia
Orientale sono passate con successo ad un modello di industrializzazione basato sulle
esportazioni (Belassa 1988). Negli anni ‟90, la Banca mondiale, ha cominciato ad accettare
che l‟intervento statale abbia giocato un ruolo chiave nello sviluppo regionale, soprattutto
perché in quegli anni l‟influenza esercitata dal Giappone era cresciuta, perchè il governo
Giapponese era diventato il secondo azionista della Banca, secondo solo agli USA. Nel 1991
il vicepresidente della Banca, Lawrence Summers, coniò il termine “market friendly” per
ammorbidire gli approcci del libero mercato della versione finale del World Development
Report 1991: The Challenge to Development (Wade 1990). La strategia “market friendly”
prevedeva che lo stato non doveva intervenire in quelle aree dove il mercato funzionava, come
per esempio nel settore produttivo, ma doveva intervenire in quelle aree dove il mercato non
funzionava correttamente. Il ruolo appropriato del governo nella strategia “market friendly” è
quello di assicurare adeguati investimenti nelle persone, creare un clima competitivo per le
imprese, e assicurare apertura al commercio internazionale, e stabilità macroeconomica
(World Bank 1993). Il cambio terminologico non ammorbidì le intenzioni del governo
Giapponese che continuava a promuovere il suo modello di sviluppo economico. La Banca
non poteva sostenere il modello di sviluppo sostenuto dal Giappone in quanto avrebbe minato
il proprio credito, il mercato monetario internazionale e la sua autorità nel sistema economico
internazionale. Inoltre cambiare la sua posizione verso il modello Giapponese avrebbe
rappresentato una sfida maggiore per gli USA, che hanno storicamente utilizzato la Banca per
diffondere il loro potere e la loro influenza. Dal punto di vista della Banca Mondiale, il
modello Giapponese avrebbe anche dato legittimità agli “impulsi interventisti” che esistevano
tra i governi e le elite di numerosi paesi (Wade 1990). Tuttavia per la prima volta in una
pubblicazione della Banca, nel famoso rapporto del 1993 intitolato The East Asian Miracle, si
afferma che l‟intervento governativo ha, e potrebbe, giocare un ruolo importante nello
sviluppo economico di molte economie dell‟Asia orientale, ma si continua ad enfatizzare che
“l‟essenza del miracolo” è stata “ prendere i giusti segnali” (World Bank 1993). Ciò
significava riconoscere il ruolo giocato dallo stato ma non considerarlo di fondamentale
importanza per lo sviluppo delle economie Asiatiche. Attraverso questo studio la Banca
identifica sei tipi di interventi statali, che hanno giocato un ruolo importante in Asia Orientale.