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CAPITOLO I
EVOLUZIONE NORMATIVA E SVILUPPI DOTTRINALI
SOMMARIO: 1. Cenni storici. – 2. Natura giuridica dello stato di necessità. – 2.1 La
tesi carrariana. – 2.2 La tesi oggettiva. – 2.3 La tesi soggettiva. – 2.4 Le tesi
dualistiche. – 2.5 Considerazioni sulla natura giuridica dello stato di necessità. –
2.6 Profili comparatistici dello stato di necessità. – 2.6.1 La doppia previsione del
Codice penale tedesco. – 2.6.2 La disciplina del Codice penale austriaco. – 2.6.3
Lo stato di necessità nel Codice penale svizzero. La “doppia valenza” dello stato
di necessità. – 3. La rilevanza extrapenale dello stato di necessità. – 4. Cenni sul
problema dell’estensione analogica dello stato di necessità.
1. – Cenni storici.
Lo stato di necessità, oggi disciplinato dall’art. 54 c.p., è una
delle esimenti previste dal nostro Codice penale che suscita
particolare interesse non solo per l’evoluzione normativa che ha
subìto ma anche per il vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale
che nel tempo ha generato.
Già all’epoca del diritto romano, erano numerosissime le
ipotesi che si prestavano ad essere ricondotte sotto la figura dello
stato di necessità senza che da esse potesse, tuttavia, evincersi una
ratio unitaria
1
. Il fondamento di queste ipotesi è stato rinvenuto, da
un lato, secondo considerazioni di natura soggettiva, sul
1
F. VIGANÒ, Stato di necessità e conflitto di doveri. Contributo alla teoria delle cause di
giustificazione e delle scusanti, Milano, 2000, p. 36. Una delle fattispecie più comuni era quella
dell’abbattimento di un edificio ad opera del proprietario dell’appartamento vicino, in caso di
incendio, per evitare il propagarsi delle fiamme. In questo caso, la non punibilità dell’autore del
fatto costituente reato discendeva, secondo le fonti romanistiche, dalla mancanza di dolus malus
e dal conseguente venir meno del requisito dell’iniura.
2
riconoscimento dell’influenza cogente, sulla volontà del soggetto, del
metus creato dalla situazione di pericolo incombente sulla propria
vita ed incolumità, ovvero su propri beni di carattere molto rilevante;
dall’altro, secondo considerazioni di stampo oggettivo, dando
maggior risalto a dati di natura obiettiva e concreta
2
. Dunque,
l’individuo, quando non poteva tutelare i propri diritti senza
sacrificare quelli altrui, non commetteva reato se la sua azione ledeva
un diritto di minore o uguale importanza di quello in pericolo
3
.
In epoca anteriore al XVII secolo, non rinveniamo ancora una
teoria generale dello stato di necessità. La figura che costituisce la
base della futura scriminante è rappresentata dal “furto per
necessità”, considerato come un fatto intrinsecamente lecito
4
, ma ad
essa si susseguirono nel tempo molteplici figure, anch’esse
caratterizzate da questo stato di bisogno che spingeva l’uomo a
comportarsi in modo non conforme al diritto.
2
F. VIGANÒ, op. cit., p. 38. Si fa riferimento in particolare all’ipotesi, molto ricorrente, dei marinai
che, nel caso in cui la nave stesse per affondare, potevano buttare in mare le merci per
alleggerirla. Si trattava, in questo caso, di un’accettazione, in un ipotetico rapporto bilaterale tra
l’armatore della nave e i proprietari delle merci, del rischio connesso alla navigazione da parte di
entrambi i soggetti.
3
C. AIELLO, voce Necessitò, in Enc. giur., vol. XXX, Roma, 1993, p. 1.
4
M. RONCO, Art. 54 – Stato di necessità, in Codice Penale ipertestuale, a cura di M. Ronco – B.
Romano, 2012, p. 3.
3
Molto importante, al riguardo, è l’impostazione che fornì il
filosofo Ugo Grozio: nella sua opera, il giusnaturalista fondò il suo
pensiero in termini “oggettivi”, considerando lo stato di necessità
“per fame” come un limite generale all’efficacia della legge civile e
sostenendo l’esistenza di un vero e proprio diritto di servirsi delle
cose altrui in gravissima necessitate
5
.
Nel corso del XVII secolo, questo tema comincia a divenire
sempre più cruciale, inizialmente nel diritto pubblico grazie al
contributo del filosofo Thomas Hobbes, il quale elabora una delle sue
più note teorie, basata sull'idea che l'uomo sia un essere per sua
natura antisociale e sull'innato diritto dell'individuo
all'autoconservazione, che spinge l'uomo a preferire la propria
salvezza rispetto a quella altrui
6
.
Nel campo penale, lo sviluppo della teoria dello stato di
necessità è molto lento, perché lo Stato, pur giustificando le relazioni
con i cittadini e con gli altri soggetti, riserva a sé la decisione sui valori
che possono giustificare la commissione di un fatto costituente reato.
Così, solo a partire dall'Ottocento, abbiamo qualche apertura a
questa teoria: si pensi al Codice napoleonico del 1810, il quale, pur
5
U. GROZIO, De iure belli ac pacis, 1625, 1. II, c. II, § VI, pp. 1 ss, in F. VIGANÒ, op. cit., p. 41.
6
T. HOBBES, Elementi filosofici sul cittadino, in Opere politiche, vol. I, Torino, 1988, pp. 29 ss.
4
non disciplinando espressamente lo stato di necessità, stabiliva
all'art. 64 che la punibilità era esclusa quando l'imputato fosse ‹‹in
stato di demenza o fosse stato costretto dall'azione da una necessità
alla quale non aveva potuto resistere››
7
.
Nella legislazione preunitaria, lo stato di necessità venne
inserito fra i vizi della volontà, anche se mancava una disposizione
unitaria che disciplinasse la materia. La dottrina, infatti, considerava
la necessità come una delle cause che riducono o annullano
l'imputazione soggettiva del fatto al suo autore, in quanto l'aver agito
sotto una violenza o una minaccia di un pericolo grave dovrebbe
essere considerato come un fatto non riferibile all'uomo sia dal punto
di vista naturalistico che dal punto di vista giuridico
8
.
Nel nostro ordinamento, fino al Codice Zanardelli non vi è
traccia di una disciplina puntuale dello stato di necessità. A partire
dal Codice Zanardelli, l’esimente, in ragione della frequenza con cui
ricorreva sul piano empirico, venne codificato nell’art. 49, n. 3, c.p. e
venne quindi elevato a scriminante autonoma
9
. La vera novità
7
M. RONCO, Art. 54 – Stato di necessità, in Cod. pen. ipertestuale, p. 4.
8
M. RONCO, Art. 54, in Cod. pen. ipertestuale, cit., p. 6.
9
L’art. 49, n. 3, c.p. recitava: ‹‹Non è punibile chi abbia commesso il fatto per esservi stato
costretto dalla necessità di salvare sé o altri da un pericolo grave e imminente alla persona, al
quale non aveva dato volontariamente causa e che non si poteva altrimenti evitare››.
5
introdotta dal Codice fu l’estensione attribuita al “soccorso di
necessità” che si adeguò ad una visione “oggettivistica”
dell’esimente. In effetti, già da tempo la Commissione della Camera
aveva proposto questo ampliamento per uniformarsi alle recenti
indicazioni del Codice penale tedesco. Le motivazioni al riguardo da
parte del ministro Zanardelli furono molto interessanti: se da un lato
afferma come può sembrare esorbitante rendere lecito sacrificare un
diritto per beneficare un terzo, dall’altro sarebbe ingiusto punire chi
sacrifica un bene minore per salvare un bene di gran lunga più
grande. Mentre la prima osservazione è del tutto compatibile con
uno stato di necessità visto in termini “soggettivi”, la seconda
osservazione rappresenta quantomeno una cauta apertura ad una
possibile visione oggettiva della scriminante
10
.
Nonostante questo, però, la dottrina, prima classica e poi
anche positiva, continuava a concepire l'esimente dello stato di
necessità come una circostanza di non punibilità dovuta alla
anormalità della formazione volitiva
11
, tutt’al più precisandone la
portata: l’espressione “costretto dalla necessità” non indicava che
all’autore del fatto necessitato mancasse la coscienza e la volontà di
10
Le motivazioni sono riportate da F. VIGANÒ, op. cit., pp. 121 ss.
11
C. F. GROSSO, voce Necessità (stato di), in Enc. dir., vol. XXVII, Milano, 1977, pp. 1 ss.
6
commettere l’azione; la non punibilità derivava piuttosto da una
rinunzia del legislatore a punire l’agente per ragioni
generalpreventive
12
.
Infine, come si accennava, nel nostro Codice penale vigente lo
stato di necessità è codificato nell’art. 54 ed è trattato in modo più
analitico rispetto al Codice Zanardelli, in particolare con riguardo
all’elemento della proporzione tra fatto e pericolo (che non era
previsto nel Codice previgente), al particolare dovere di esporsi al
pericolo (art. 54, 2° co., c.p.) e all’estendibilità della disposizione allo
stato di necessità determinato dall’altrui minaccia (art. 54, 3° co.,
c.p.)
13
.
Ma la vera novità fu probabilmente quella di una diversa
visione della scriminante verso una direzione più “oggettiva”, in
quanto essa, come le altre cause di giustificazione, ha come scopo
quello di soddisfare un interesse giuridicamente tutelato nei casi in
cui questa soddisfazione non sia possibile senza la lesione di un altro
bene; il criterio atto a risolvere questo conflitto consisterebbe nel
sacrificio di uno dei due interessi e la scelta sarà effettuata tramite
12
In questo senso, F. VIGANÒ, op. cit., p. 123, il quale afferma che la ragione della non punibilità
deriverebbe dal criterio politico per cui sarebbe opportuno non punire chi ha commesso un fatto
preveduto dalla legge come reato sotto l’impulso dell’istinto di autoconservazione.
13
C. AIELLO, voce Necessità, cit., p. 1.
7
una comparazione di questi diritti, “premiando” quello che procura
un danno minore alla società
14
.
2. – Natura giuridica dello stato di necessità.
Lo stato di necessità dunque rappresenta un’esimente che
rende non punibile l’azione corrispondente ad una fattispecie di
reato che un soggetto è costretto a compiere per salvare se stesso o
altri da un pericolo attuale ed inevitabile nei confronti di beni
rientranti nella sfera giuridica di un individuo estraneo alla fonte del
pericolo che lo ha indotto ad agire
15
.
Il fondamento dogmatico dell’esimente è da sempre stato
molto dibattuto in dottrina, sia a causa dei molteplici tipi di necessità,
sia per le peculiarità della scriminante in esame. La dottrina, infatti,
da sempre sottolinea la “pericolosità” della scriminante in esame, la
quale è considerata un’arma a doppio taglio, tanto nella sua versione
“scusante” quanto in quella “giustificante”.
14
F. VIGANÒ, op. cit., p. 123, il quale afferma che, quindi, anche la liceità dell’azione necessitata
potrà essere spiegata in base a questo principio, giacché colui che, in stato di necessità,
offendendo un interesse altrui penalmente tutelato, salva da un pericolo, da lui non causato e
che non poteva altrimenti evitare, un bene proprio o altrui, la cui tutela, anche a scapito di
quell’interesse, è imposta dalla necessità di esistenza della società giuridicamente organizzata, è
giustificato.
15
E. MEZZETTI, voce Stato di necessità, in Dig. Disc. Pen., vol. XIII, Torino, p. 672.