CAPITOLO I
IL PRINCIPIO DI LEGALITÀ IN GENERALE
1.Genesi del principio di legalità
Per secoli il diritto penale è stato considerato il “braccio armato” dello Stato, ed
è stato caratterizzato dalla notevole atrocità ed illiberalità del proprio sistema
sanzionatorio. Ciò in quanto al centro di questa branca dell’ordinamento giuridico
non era posta la persona dell’individuo, bensì solo ed esclusivamente lo Stato, in
funzione del mantenimento della propria autorità sovrana e dell’ordine pubblico.
Durante il periodo storico convenzionalmente definito come Ancién Regime,
l’assenza di qualsiasi parametro di controllo sull’attività dell’esecutivo (il sovrano e
i suoi organi) e dell’apparato giudiziario favorì un’applicazione della legge penale
ricca di abusi, disparità, ed incertezze, sia sul piano processuale sia su quello
sostanziale con riferimento alla stessa portata dei precetti e delle relative sanzioni,
spesso ritenute sproporzionate ed eccessive. Tutto ciò ebbe come naturale
conseguenza lo sfociare in frequenti esiti arbitrari ed al prezzo di gravi violazioni di
quelli che oggi, secondo la moderna nomenclatura giuridica attualmente acquisita in
prospettiva sia nazionale sia internazionale, definiamo “diritti fondamentali della
persona”.
La norma penale non è un quid a sé stante. Come qualsiasi fenomeno giuridico,
è immersa nel contesto e nei valori politici, sociali, culturali, economici, che una
certa società esprime in un certo momento storico.
L’elaborazione di un sistema di limiti – sostanziali e processuali – al potere
punitivo dello Stato, come reazione alle suddette prassi arbitrarie caratteristiche
dell’Ancién Regime, è una conquista frutto del pensiero illuministico, che ha
successivamente preso corpo nelle Costituzioni e codificazioni europee a partire
dalla fine del XVIII secolo1. Un contributo verso questa conquista fu offerto anche
1
Le conquiste del pensiero illuministico vengono recepite dapprima in Francia nella
Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789) e nelle Costituzioni del 1791 e 1793.
4
dal giusnaturalismo, pur dovendosi distinguere al suo interno tra un filone di diretta
derivazione illuministica ed un ulteriore filone che aveva invece come fulcro il
pensiero di Thomas Hobbes, di altra matrice.
L’avvento dello Stato liberale prima, e dello Stato democratico poi, ha
inevitabilmente condizionato il ruolo della norma penale all’interno della società e
dell’ordinamento. Alle originarie teorie contrattualistiche del giusnaturalismo
riconducibili ad Hobbes2, che erano alla base delle prime concettualizzazioni
embrionali di Stato liberale e nel cui ambito la norma penale era concepita come
elemento concorrente all’organizzazione e preservazione della pace sociale, nonché
come strumento nelle esclusive mani del sovrano cui era “consegnato” tutto il potere,
sono successivamente subentrate nuove teorie per le quali la norma penale doveva
tendere alla stabilità dei rapporti umani in un’ottica evolutiva di un progetto di
società democratica e pluralista3 (e questo sembra essere, tuttora, un punto fermo per
tutti gli attuali ordinamenti democratici).
Negli Stati ad ordinamento democratico, si impone una nuova chiave di lettura:
il fulcro delle decisioni politiche si è spostato dal sovrano (o, più in astratto,
dall’organo esecutivo) al Parlamento eletto periodicamente dal popolo. Si è creato
pertanto, almeno da un punto di vista formale, un rapporto di rappresentanza diretto
tra popolo ed organo legislativo, e a tutela di questa sovranità del popolo si innesta
un altro principio cardine del moderno Stato democratico di diritto: la separazione
dei poteri: l’esecutivo e il giudiziario non possono interferire nel legislativo (e
neanche tra di loro).
Un passo di fondamentale importanza fu mosso da Montesquieu4, che per primo
enucleò questo principio, la cui rilevanza costituzionale è tale da avere implicazioni
dirette anche in materia penale. E’ infatti nell’alveo di questo principio che va a sua
volta ricondotto il principio del primato della legge in materia penale, a garanzia
del cittadino dagli arbitri del potere esecutivo e giudiziario: come conseguenza logica
Successivamente entrano nelle codificazioni ottocentesche: in Francia nel codice penale del 1810; in
Italia nei codici penali sardo-piemontesi del 1839 e 1859, nel codice civile del 1865 (che sancisce il
divieto di analogia) e infine nel codice penale del 1889, noto come codice Zanardelli.
2
Cfr. HOBBES T., Il Leviatano.
3
MUSACCHIO V., Norma penale e democrazia. Trasformazioni dello Stato e genesi normativa
penale, 2004, 21.
4
De l’Esprit des Lois, 1748.
5
di questa impostazione, i giudici non devono più svolgere alcun ruolo “creativo” e
devono limitarsi ad applicare la legge, come sintetizzato dal celebre epiteto loro
attribuito di “bouche de la loi”.
Un contributo ulteriore fu poi offerto da Beccaria5, il quale, oltre a ribadire
l’importanza della riserva di legge in materia penale, enuclea il principio di
precisione nella formulazione del precetto penale.
Infine, si deve al penalista tedesco Paul Johann Anselm Ritter von Feuerbach la
formula “nullum crimen nulla poena sine proevia lege poenali”6, dalla quale
discendono tre ulteriori e importanti corollari: il divieto di analogia in materia
penale (esclusione di tutti i casi non espressamente contemplati dal precetto), il
principio di determinatezza (il legislatore può reprimere con la pena solo ciò che
può essere provato nel processo) ed il principio di irretroattività della legge
penale. Corollari che confermano quanto sia essenziale il principio di legalità penale
in uno Stato liberale nel quale i cittadini possano:
1)conoscere esattamente quali fatti sono penalmente rilevanti;
2)conoscere le relative sanzioni astrattamente comminabili;
3)conoscere questi due elementi prima che il fatto sia stato commesso, in modo
da poter orientare consapevolmente, in via preventiva e dunque realmente libera, la
propria condotta.
La Rivoluzione francese, il cui fondamento ideologico era fortemente in
contrasto con la precedente prassi creativa e arbitraria dei tribunali, attinse a piene
mani dalla suddetta impostazione illuministica fondata sulla separazione dei poteri,
sul primato della legge : secondo il nuovo assetto costituzionale da essa scaturito, il
Parlamento era divenuto l’organo rappresentativo della volontà generale del popolo
francese, e la legge del Parlamento (non più quella “dei tribunali”) incarnava questa
volontà. Solo dalla legge potevano perciò essere introdotti nell’ordinamento precetti
penali descrittivi di determinate fattispecie criminose con la previsione delle
rispettive sanzioni restrittive o privative della libertà personale, e rispetto alla legge il
5
BECCARIA, Dei delitti e delle pene, 1766.
6
FEUERBACH, Lehrbuch des gemeinen in Deutschland geltenden peinlichen Rechts, Giessen,
1801, p. 20. In realtà la formula “nullum crimen sine lege”, nella sua enunciazione più semplice, è di
Ulpiano ed era già presente nel Digesto. La formula è stata ripresa anche dal codice penale bavarese
del 1813, alla cui redazione Feuerbach prese parte.
6
giudice non deve essere altro che un meccanico esecutore. Soltanto così il popolo
può essere sovrano e garante di sé stesso in un ramo del diritto talmente delicato
come quello penale, in cui entra in gioco la propria libertà personale e la propria vita.
In Austria, nondimeno, l’imperatore Giuseppe II recepì anch’egli diverse
istanze illuministe del tempo: il codice penale del 17877, dopo aver finalmente
sancito l’autonomia sistematica del diritto penale rispetto alle altre branche
dell’ordinamento giuridico, introdusse formalmente il principio di legalità del reato e
della pena assieme al corollario del divieto di analogia, e, accogliendo ulteriori
istanze illuministe, ridusse i casi di applicazione della pena di morte. Analogamente,
in Prussia, il titolo XX del libro II del codice civile ALR8 introdotto nel 1794
conteneva 1577 paragrafi dedicati alla materia penale, al cui interno veniva
riconosciuto il principio di legalità penale.
Per quanto riguarda la situazione italiana, è da segnalare che nel 1786, nel
Granducato di Toscana, fu introdotta la Leopoldina: una codificazione penale e
processuale penale spiccatamente moderna in cui, recependo diverse istanze
illuministe, furono abolite la tortura e la pena di morte. Tuttavia, il principio di
legalità non ottenne ancora un riconoscimento formale espresso, ed era consentito il
ricorso a norme esterne, seppur alla condizione che fossero in armonia con il codice.
Ad ogni modo, un primo passo verso il principio di legalità fu mosso attraverso una
più stringente tipizzazione delle figure criminose presenti.
Una piena espressa formulazione del principio di legalità in Italia si ebbe solo
con il codice penale unitario del 1889 detto “Zanardelli”, principio che fu
formalmente mantenuto anche dal successivo codice penale “Rocco” del 1930
nonostante le marcate influenze del regime fascista.
In sintesi: la nascita del moderno diritto penale imperniato sul principio di
legalità è storicamente legata all’avvento dello Stato liberale e alle sue successive
evoluzioni verso l’attuale Stato democratico. Difatti, un diritto penale imperniato sul
principio di legalità e sulle garanzie ad esso sottese non è compatibile con l’assetto
politico-istituzionale di uno Stato di stampo assolutista, autoritario o totalitario.
7
Codice generale sopra i delitti e le pene (1787).
8
Allgemeines Landrecht (1794).
7
2. Struttura, corollari, garanzie del principio di legalità.
Come accennato, il principio di legalità in materia penale ruota attorno al
presupposto per cui, in uno Stato liberale di diritto, solamente al Parlamento compete
il monopolio della potestà punitiva, in quanto unico organo costituzionale
rappresentativo della volontà popolare. Difatti il potere esecutivo è espressione della
sola maggioranza parlamentare, mentre il potere giudiziario è del tutto privo di
qualsiasi investitura da parte dei cittadini. La legittimazione politico-istituzionale del
Parlamento in materia penale si coglie ancor più agevolmente con l’introduzione del
suffragio universale. Da tutto ciò discende la riserva di legge in materia penale: la
struttura dei reati e la tipologia/quantità (almeno nei suoi limiti edittali) delle pene
corrispettive devono essere fissate dalla legge. E’ chiaro che in un assetto giuridico-
istituzionale così strutturato non risulta esservi alcuno spazio per la consuetudine
quale fonte produttiva o integrativa di precetti penali.
E’ opportuno esaminare gli ulteriori sub-principi che, rispetto al generale
principio di legalità penale, ne costituiscono i corollari.
-Principio di precisione: esso specifica l’obbligo per il legislatore di
disciplinare con precisione il reato e le sanzioni penali, onde evitare che il giudice
assuma un ruolo creativo: pertanto, i confini tra lecito e illecito devono essere posti
in via generale ed astratta dal legislatore, e al giudice compete solo l’applicazione
della legge9. Questo corollario, oltre che espressione della divisione dei poteri, è una
garanzia per la libertà e la sicurezza del cittadino, il quale può essere consapevole di
cosa è illecito e cosa no solamente attraverso una chiara formulazione della norma
penale10. Tra l’altro, il rispetto del principio di precisione è indispensabile anche per
assicurare una serie di esigenze proprie del sistema penale in una prospettiva di
prevenzione generale, in funzione di intimidazione rispetto a potenziali autori di
reati: affinché la norma penale possa orientare il comportamento dei suoi destinatari
è necessario che sia formulata in modo preciso, così da consentire al cittadino di
sapere se il suo comportamento porterà con sé o no una pena.
9
Cfr. LEMMEL, Unbestimmte Strafbarkeitsvoraussetzungen im besonderen Teil des Strafrechts
und der Grundsatz nullum crimen sine lege, 1970, p. 105.
10
Cfr. per tutti ROXIN, Strafrecht, A.T., Bd. I, 1997, p. 103.
8
Diverse sono le tecniche in base alle quali il grado di precisione nella
formulazione delle norme penali può essere più o meno elevato.
Il più elevato grado di precisione è assicurato dalla tecnica casistica, cioè dalla
descrizione analitica di specifici comportamenti, oggetti, situazioni. Il costo di questa
tecnica è però una dilatazione incontrollata della legislazione penale11.
Altra tecnica astrattamente utilizzabile è quella del ricorso a clausole generali:
formule sintetiche comprensive di un gran numero di casi, che il legislatore rinuncia
ad enumerare e specificare. Il ricorso a questa tecnica negli ordinamenti ispirati al
principio di legalità è legittimo nella sola misura in cui i termini sintetici impiegati
dal legislatore consentano di individuare, in modo sufficientemente certo, le ipotesi
riconducibili sotto la norma incriminatrice12.
-Principio di determinatezza: vi è sottesa l’esigenza, già messa in luce dagli
illuministi, che le norme penali descrivano fatti suscettibili di essere accertati e
provati nel processo come ulteriore garanzia contro potenziali arbitri del giudice.
Non basta cioè che la norma penale abbia un contenuto intellegibile, ma occorre che
essa rispecchi una fenomenologia empirica verificabile nel corso del processo, in
base a massime di esperienza o leggi scientifiche.
-Principio di tassatività: si tratta del divieto di analogia in malam partem, e
costituisce un ulteriore sbarramento rispetto agli arbitri del giudice penale13. La
linea di confine tra interpretazione e analogia è molto sottile, ed è delineata dal fatto
che il giudice attribuisca alla norma un significato tale da abbracciare tutti i casi che
possono essere ricondotti al suo tenore letterale (interpretazione) o che piuttosto
riferisca la norma a situazioni non riconducibili a nessuno dei suoi possibili
significati letterali, in particolare estendendola a casi simili a quello espressamente
contemplato dal suo testo, sulla base di una ratio comune di disciplina (analogia).
Anche questo principio-corollario sottintende una concezione liberale del diritto
11
Cfr. ENGISCH, Introduzione al pensiero giuridico, ed. it. a cura di Baratta, 1970, p. 35 ss.;
NOLL, Gesetzgebungslehre, 1973, p. 264 ss.
12
Sulla “fuga verso le clausole generali”, cfr. HEDEHMANN, Die Flicht in die Generalklausen.
Eine für Recht und Staat, 1933.
13
Fra i tanti, cfr. FIORE, Diritto penale, parte generale, vol. I, 1993, p. 75 ss.; GALLO, Appunti di
diritto penale, vol. I, La legge penale, 1999, p. 94 ss.; PALAZZO, Il principio di determinatezza nel
diritto penale, 1979, p. 45 ss.; VASSALLI, Analogia nel diritto penale, in Dig. pen., vol. I, 1987, p. 162
ss.
9
penale, in base alla quale la libertà personale può essere ristretta soltanto in presenza
di ipotesi tassativamente tipizzate dalla legge, come extrema ratio da parte
dell’ordinamento.
-Principio di offensività: in taluni ordinamenti – come quello italiano - ai fini
dell’integrazione di fattispecie criminose è richiesto un ulteriore requisito: che la
condotta del soggetto sia effettivamente idonea a ledere o quantomeno a mettere in
pericolo (oltre una certa soglia di rilevanza) un bene giuridico protetto
dall’ordinamento14. Si tratta di un ulteriore principio qualificante in chiave liberale,
in quanto ne consegue che un soggetto non può essere punito per condotte che, pur
essendo state poste in essere, non presentino un sufficiente livello offensivo rispetto
ai beni giuridici la cui rilevanza giustifichi l’intervento punitivo dello Stato e la
restrizione/privazione della libertà personale dell’individuo. E’ una chiara
esplicazione di quello che viene definito “diritto penale del fatto”, in
contrapposizione al “diritto penale dell’autore”. E’ da tener presente che questo
principio-corollario non risulta però condiviso da tutti gli ordinamenti. Ad esempio,
l’ordinamento penale tedesco può essere definito “eticamente orientato”, in quanto
attribuisce notevole rilevanza al c.d. “Gesinnung”15 (l’atteggiamento interiore del
soggetto) in conseguenza del quale un ruolo centrale ai fini della responsabilità
penale è assunto dall’azione del soggetto agente in sé stessa, a prescindere dalla sua
effettiva offensività rispetto ad un bene giuridico. Si parla a tal proposito di “diritto
penale dell’autore” (in contrapposizione al “diritto penale del fatto”) in quanto lo
scopo è punire il singolo autore che rappresenti una categoria sociale non accettata
secondo prospettive eticizzanti.
Non va infine dimenticato il principio di irretroattività della norma penale
(cui già si è accennato), necessariamente presente in ogni ordinamento penale di
14
Fra i molti, cfr. GALLO, I reati di pericolo, in Foro. pen., 1969, p. 8 ss.; BRICOLA, voce Teoria
generale del reato, in Nss. dig. it., vol. XIX, 1973, p. 82 ss. ; MARINUCCI, Politica criminale e riforma
del diritto penale, in Jus, 1974, ora in MARINUCCI-DOLCINI, Studi di diritto penale, 1991, p. 72;
MANTOVANI, Il principio di offensività nella Costituzione, in Scritti in onore di Mortati, 1977, vol. IV,
p. 444 ss.; FIORELLA, voce Reato in generale, in Enc. Dir., vol. XXXVIII, 1987, p. 793; AZZALI, Offesa
e profitto nella teoria del reato. Prospettive di parte generale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, p. 470
ss.
15
Sui diversi modi di formulare le norme incriminatrici a seconda del modello di reato accolto
dal legislatore (“oggettivistico” o “soggettivistico”), cfr. l'indagine fondamentale di ZIMMERL, Aufbau
des Strafrechtssystems, 1930, p. 89.
10
stampo liberale e democratico improntato al principio di legalità: se lo Stato potesse
incriminare ex post determinati fatti commessi anteriormente rispetto all’entrata in
vigore della nuova norma, verrebbe meno la possibilità per il cittadino di assumere
consapevolmente comportamenti conformi alla legge e lo Stato potrebbe privarlo
della libertà personale in modo del tutto arbitrario. In realtà, soprattutto in ambito
internazionale, questo principio è stato oggetto di palesi violazioni, come vedremo
più avanti. Resta comunque indiscusso che il divieto di retroattività delle norme
penali stabilisce un vincolo di fondamentale importanza sia a carico del potere
giudiziario, sia a carico dello stesso legislatore (in quanto neppure la stessa legge
potrà prevedere l’applicazione retroattiva dei propri precetti): questo vincolo, in
particolare quello a carico dello stesso Parlamento, specializza il principio di legalità
come principio posto a tutela della sovranità popolare: il Parlamento quale organo
rappresentativo del popolo non può operare arbitrariamente contro la libertà di esso.
11
3. Possibili forzature e deviazioni dal principio.
Quanto si è detto sinora sul principio di legalità, sui suoi corollari e sulle sue
garanzie, dovrebbe essere la regola in un qualsiasi ordinamento di stampo liberale-
democratico, per tutti i suoi cittadini.
Purtroppo, la prassi odierna dimostra che, spesso, quella che dovrebbe essere la
regola viene in realtà sostituita dall’eccezione, e ciò avviene non solo in Paesi
dichiaratamente autoritari ma anche in Paesi che, su un piano costituzionale-formale,
sono dotati di un ordinamento democratico. Ciò si verifica allorché viene apportata
un’alterazione di natura sostanziale o procedimentale alla regola-base del principio di
legalità, secondo cui la norma penale è ( = dovrebbe essere) introdotta dal
Parlamento sovrano (nel rispetto di tutti i suddetti corollari), viene formulata e
applicata nel rispetto dell’uguaglianza formale dei cittadini davanti alla legge, e di
fronte ad un giudice terzo precostituito per legge con tutte le relative garanzie
giurisdizionali. Queste “alterazioni” possono dunque prodursi tanto sul piano
sostanziale, per cui a determinate categorie di soggetti viene riservato un diritto
penale ad hoc, quanto sul piano processuale, per cui ad esse viene riservato un
distinto trattamento processuale con attenuazione o eliminazione di quelle garanzie
di cui, per legge, dovrebbero poter fruire tutti. Può anche accadere che, in determinati
ordinamenti esposti a queste patologie, i due fenomeni siano entrambi presenti.
L’attenzione che va prestata a questi fenomeni è massima, non soltanto perché la
regola costituita dal principio di legalità (e dai suoi corollari) non dovrebbe soffrire
eccezioni per la “salute” dell’ordinamento, ma anche perché, una volta legittimata la
presenza in sé stessa di un’eccezione alla regola, questa eccezione rischia di potersi
dilatare in modo incontrollato. Alla base di queste “eccezioni” vi sono quasi sempre
ragioni di natura politica, spesso dettate da istanze demagogiche attraverso le quali il
potere politico ritiene di poter (mostrare di) offrire risposte più energiche e adeguate
a fronte di particolari questioni di politica criminale, sui quali l’opinione pubblica
mostra di essere particolarmente sensibile. Ovviamente, la scelta di questi strumenti
pone problemi molto delicati, sia sul fronte dell’effettiva idoneità di essi ad
affrontare le questioni che si propongono di risolvere, vale a dire sulla loro
12
opportunità, sia sul fronte della loro conciliabilità con le regole cardine dei rispettivi
ordinamenti, vale a dire sul fronte della loro legittimità.
Tra queste “deviazioni” dal canone classico della legalità penale, può essere
tracciata un’approssimativa ripartizione in due gruppi: da un lato può riscontrarsi una
progressiva “amministrativizzazione” del diritto penale; dall’altro si assiste
all’adozione, sempre più diffusa in diversi ordinamenti, di un diritto penale
dell’emergenza, che è stato efficacemente definito “diritto penale del nemico”.
Per quanto riguarda il processo di amministrativizzazione del diritto penale, si
tratta di un processo eterogeneo e multiforme, al cui interno possono a sua volta
riscontrarsi diverse tendenze. Una di esse consiste nel tendenziale svuotamento del
contenuto del principio di legalità, con particolare riferimento all’individuazione
tassativa e precisa delle fattispecie incriminatrici, soprattutto attraverso il rinvio a
fonti giuridiche extra-penali, quando non si tratti addirittura di fonti extra-
giuridiche. In questo modo il diritto penale interviene solamente nel momento
sanzionatorio, rispetto alla commissione di un fatto integrativo di un illecito che, da
un punto di vista sostanziale, ha poco o nulla di “penale”. Un’altra manifestazione di
questa tendenza consiste nella progressiva de-giurisdizionalizzazione del processo di
accertamento (e a volte anche dello stesso trattamento sanzionatorio) della
commissione di determinate categorie di reati e/o da parte di alcune categoria di
soggetti. Ciò in quanto questo accertamento/trattamento sanzionatorio viene
trasferito dalla sede giurisdizionale a quella “amministrativa”, introducendo in
materia prerogative dell’esecutivo (rectius: della polizia e in generale delle autorità
di pubblica sicurezza, controllo, vigilanza ecc.) che non soltanto sottraggono
l’indagato/imputato alle sue tradizionali garanzie sostanziali e giurisdizionali, ma che
in una prospettiva più estesa finisce con l’intaccare la stessa divisione dei poteri,
mettendo in crisi l’impianto dello Stato democratico di diritto.
Occorre soffermarsi separatamente su questi due fenomeni.
13
3.1. La c.d. “amministrativizzazione” del diritto penale e
rischi correlati.
Riprendendo il discorso sul fenomeno dell’amministrativizzazione del diritto
penale, sono necessari ulteriori approfondimenti.
Anzitutto, come è stato osservato16, le tendenze legislative tramite le quali il
precetto penale va semplicemente a recepire una disciplina extra-penale (civile o
amministrativa) eventualmente aggiungendo taluni tratti selettivi, presidiandola poi
con sanzioni tipicamente penali, non costituiscono un fenomeno nuovo. Si tratta
anzi di un fenomeno vecchio e collaudato. Questo fenomeno, tra l’altro, ha sempre
confermato un principio altrettanto tradizionale della teoria del reato: il primato
dell’antigiuridicità sulla tipicità.
Il nodo nevralgico di questo fenomeno va dunque individuato non tanto nella
sua esistenza tout court, ma nella sua estensione. La dipendenza genetica del divieto
penale dalle discipline extra-penali conosce un’elevata accentuazione nel settore
economico: accade di frequente che vengano sanzionati comportamenti soltanto
pericolosi che, in quanto tali, non sono civilmente sanzionabili al tempo dell’ azione
(ad es. alcune ipotesi di distrazione di beni nella bancarotta).
Il problema dell’amministrativizzazione del diritto penale, però, conosce anche
orizzonti più vasti e problematici di quello appena delineato. In alcuni ordinamenti si
assiste alla creazione e diffusione di autorità amministrative con poteri normativi, di
controllo e sanzionatori che le configurano come entità “parallele” rispetto alle
ordinarie sedi legislative e giurisdizionali. Il discorso necessita un approfondimento a
parte.
16
DONINI M., Un nuovo medioevo penale? Vecchio e nuovo nell'espansione del diritto penale
economico, in FOFFANI L. (a cura di), Diritto penale comparato, europeo e internazionale: prospettive
per il XXI secolo, p. 72 ss.
14
3.1.1. L'esempio delle autorità amministrative
indipendenti.
In Italia, e negli altri ordinamenti che sul punto si sono riferiti all’esperienza
tedesca, si è fatta strada negli ultimi decenni la creazione di un sistema sanzionatorio
amministrativo (penale-amministrativo o punitivo-amministrativo), concepito come
moderno strumento di lotta alla criminalità economica, assumendo le vesti di un
sistema alternativo e/o complementare rispetto al sistema penale “classico”. Questo
sistema, in Italia, si è inizialmente consolidato secondo tendenze più o meno
garantiste, durante un processo sfociato nella legge 24 novembre 1981 n. 689
(modifiche al sistema penale). Il vero scopo di questa riforma era in realtà quello di
decongestionare l’apparato giudiziario penale, dilatando oltre misura politiche di
“Stato sociale” a detrimento dei canoni dello Stato di diritto17. L’ illecito e la
sanzione amministrativa sono stati assoggettati – almeno sul piano della legge
ordinaria – al principio di stretta legalità (nonché al principio di colpevolezza, di
proporzionalità della sanzione, ecc.). Tuttavia, è venuta meno la garanzia
giurisdizionale immediata, tipica del sistema penale, e si è aperta in capo alla
pubblica amministrazione una via che le riconosce ampi poteri sanzionatori a tutela
di interessi ritenuti generali. Ciò aveva già indotto una parte minoritaria della dottrina
a ravvisare in questo processo una pericolosa “truffa di etichette” sul piano delle
garanzie18, ed il pericolo che, a fronte di un progressivo passaggio dell’affidamento
di istanze preventive-repressive dal sistema penale a quello amministrativo, il tutto
potesse risolversi in un generale abbassamento di tutela di importantissimi beni
giuridici19.
17
Sul punto, v. RIONDATO S. – ZANCANI S., Le autorità amministrative indipendenti nelle reti
penali e punitivo-amministrative.
18
LATAGLIATA - MAZZA , Luci ed ombre in un recente disegno di legge in tema di
depenalizzazione, in giur. mer., 1978, IV, 218.
19
PATRONO P., Diritto penale dell’impresa e interessi umani fondamentali, Padova, 1993.
15
La logica dell’efficienza e dell’emergenza anteposte alle garanzie ha prevalso,
e, a ben vedere, si tratta della stessa chiave per interpretare tutta una serie di riforme
varate nell’ultimo trentennio20.
La situazione è divenuta più marcata nel tempo, allorché all’originaria
(tendenziale) unità di questo complesso punitivo ha fatto riscontro una crescente
autonomia fisionomica della “costola” costituita dal sistema punitivo amministrativo.
Ma non solo: all’interno di quest’ultimo si è creata una frammentazione dirompente,
tale da rendere ormai impossibile l’individuazione di un comune nucleo di principi.
La maggior parte della dottrina spiega questa situazione, realisticamente,
addebitandola alle interferenze lobbistiche che spingono incessantemente verso esiti
di deregulation attraverso una farraginosa burocratizzazione delle vicende
sanzionatorie21. La situazione è resa più complicata dalla grande difficoltà di
controllo sull’attività della pubblica amministrazione, in particolare proprio delle
autorità indipendenti. Questa situazione, peraltro, sembra essere avallata – se non
favorita – proprio dal sistema normativo comunitario, che alle autorità
amministrative di controllo attribuisce un notevole rilievo22. La questione assume
pertanto rilevanza europea, e sembra legittimare i timori di chi teme “strutture
troppo idonee a favorire il trapasso da modelli di organizzazione sociale
democraticamente improntati a modelli imperiali di stampo neo-
feudaltecnocratico”23. D’altronde, come si vedrà più avanti, la stessa dinamica dei
rapporti tra U.E. e Stati membri in materia penale risulta essere tutt’altro che facile.
La frammentazione di cui sopra riguarda in particolar modo i modelli
sanzionatori amministrativi rivolti all’attività di impresa, finalizzati al (e modulati
sul) controllo di intere sfere di vita imprenditoriale, piuttosto che su singoli
comportamenti tipizzati. Tra l’altro, ad acuire la frammentazione in discorso c’è il
fatto l’organo titolare del potere di irrogare la sanzione (ma talvolta anche di
contribuire alla definizione del precetto) non è uno dei tradizionali organi della P.A.
collocato in posizione gerarchica (autorità di P.S., Prefettura, uffici ministeriali), ma
20
Cfr. MAZZA L., I principi generali dell’illecito amministrativo, in Riv. polizia, 1989, 3.
21
Sul punto, v. RIONDATO S. – ZANCANI S., cit. 4.
22
Cfr. ROSSI P.E., La rilevanza costituzionale e comunitaria delle autorità di garanzia, in Dir.
dell’economia, 1998, 393 ss.
23
RIONDATO S. – ZANCANI S., cit. 4.
16
appunto un organo ad hoc (l’autorità indipendente), dotato al tempo stesso di un
potere di sorveglianza, ingiunzione, e sanzionatorio.
In tale contesto, la sanzione penale viene in rilievo non tanto – come dovrebbe
invece essere – per garantire la tutela di beni giuridici, bensì la tutela delle funzioni
dell’organo (l’autorità indipendente). Il bene giuridico diviene qui molto
evanescente, se non addirittura smaterializzato, e a questo si aggiunge una inevitabile
genericità ed indeterminatezza del precetto. Un esempio eloquente è fornito dai reati
di ostacolo alle funzioni delle autorità amministrative indipendenti, di recente
riformulati dal d.lgs. 61 del 2002 sulla riforma dei reati societari, coniando la
fattispecie del nuovo art. 2638 c.c.24 (che ha implicitamente abrogato pressoché tutte
le discipline speciali in tema di reati contro le varie autorità amministrative
indipendenti, salvo quella delle false comunicazioni alla Commissione di vigilanza
sui fondi pensione ex art. 18 bis, comma 2, d.lgs. 124/1993, che permane come
autonoma).
A parte il già rilevato aspetto che, ai sensi di questa nuova disciplina, oggetto
della tutela è qui la funzione dell’autorità e non il bene giuridico della correttezza e
trasparenza delle informazioni contenute nelle comunicazioni sociali fornite alle
autorità di vigilanza (bene giuridico che risulta tutelato solo in via meramente
mediata), risalta immediatamente un altro aspetto, consequenziale al primo, che
definire “patologico” sul piano strettamente penalistico non sembra troppo azzardato:
la norma citata si caratterizza per una indeterminatezza ed una carenza di precisione
e di tassatività notevoli, soprattutto nel suo ultimo comma laddove si riferisce a
condotte di ostacolo alle funzioni dell’autorità, condotte che la norma prevede come
24
Art. 2638 c.c. - Ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di
vigilanza. - <<Gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori di società o
enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza, o tenuti ad obblighi
nei loro confronti, i quali nelle comunicazioni alle predette autorità previste in base alla legge, al fine
di ostacolare l'esercizio delle funzioni di vigilanza, espongono fatti materiali non rispondenti al vero,
ancorché oggetto di valutazioni, sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei sottoposti
alla vigilanza ovvero, allo stesso fine, occultano con altri mezzi fraudolenti, in tutto o in parte fatti
che avrebbero dovuto comunicare, concernenti la situazione medesima, sono puniti con la reclusione
da uno a quattro anni. La punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni
posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.
Sono puniti con la stessa pena gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori
di società, o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza o tenuti
ad obblighi nei loro confronti, i quali, in qualsiasi forma, anche omettendo le comunicazioni dovute
alle predette autorità, consapevolmente ne ostacolano le funzioni>>.
17
poste in essere “in qualsiasi forma”. E’ palese che, in questo caso, tre preziosi
corollari del principio di stretta legalità penale sono stati sacrificati, e per di più
esplicitamente.
In sintesi, la tutela di determinati interessi (soprattutto in ambito economico) è
stata sottratta alla sfera penale e alle relative garanzie, per essere attribuita alla sfera
amministrativa e specificamente al potere di controllo e sanzione delle autorità
indipendenti. In questo contesto, il diritto penale risulta essere relegato a margine e
avere solo una mera funzione di tutela indiretta: anziché tutelare direttamente il bene
giuridico, si tutela penalmente la violazione di certi obblighi di condotta nei confronti
di queste autorità amministrative (che diventano indebitamente destinatarie delle
prerogative di tutela del bene giuridico), obblighi peraltro – come appena verificato
in merito all’art. 2638 c.c. – formulati in modo tutt’altro che rispettoso dei corollari
del principio di legalità. Anche in ciò consiste il problema cui si era accennato nel
paragrafo precedente, relativo alle ipotesi in cui il precetto penale viene “svuotato”
delle sue caratteristiche, per essere riempito da fonti extrapenali, rispetto alle quali si
interviene penalmente soltanto nel momento sanzionatorio.
Viene da sé che un impianto del genere, per quanto possa essere auspicato o
favorito dall’ordinamento comunitario, pone seri problemi di legittimazione
democratica (il potere punitivo-penale viene indirettamente trasferito dal Parlamento
alle autorità amministrative, nonostante siano qualificate come “indipendenti”, in
quanto resta fermo che, comunque, il Parlamento si spoglia a favore di esse del
potere di definire, parzialmente o integralmente, il precetto penale). Siamo di fronte,
in questi casi, a violazioni esplicite del principio di legalità. Tutto ciò non si concilia,
infatti, con la riserva di legge in materia penale, e con i requisiti di tassatività,
determinatezza, precisione. Ma le violazioni del principio possono essere anche
implicite. Ciò si verifica in tutti i casi in cui la legge attribuisce a queste autorità
l’integrale definizione del precetto ed il rispettivo potere sanzionatorio: pur essendo
in presenza di un precetto e di una sanzione formalmente qualificati come
“amministrativi”, la sanzione amministrativa può raggiungere livelli di afflittività
talmente elevati che su un piano meramente sostanziale poco la distingue da una
sanzione formalmente penale.
18