2
La semplificazione amministrativa consentirebbe ai cittadini di “dedicare”
meno tempo all’amministrazione e più spazio alla propria vita; tutto ciò
comporterebbe una maggiore soddisfazione dei cittadini ma anche
maggiori risparmi per le amministrazioni pubbliche: una riduzione di
appena il 10% dei tempi dei procedimenti amministrativi comporterebbe un
risparmio annuo di 100.000 giornate lavorative dei dipendenti pubblici
2
.
Il problema della regolamentazione eccessiva e di procedure burocratiche
lunghe e tortuose era comune a molti settori dell’attività privata, ma era
maggiormente avvertito in ambito economico, dove, nel corso degli anni, si
erano accumulate vecchie e nuove inefficienze.
Il legislatore nazionale, anche sulla base delle indicazioni provenienti
dall’Unione europea, ha optato per l’unificazione dei procedimenti
autorizzatori riguardanti le vicende dell’impianto produttivo.
La gestione di questa “inedita” procedura è stata affidata ad un apposito
“sportello unico per le attività produttive” (in sigla S.u.a.p.): una struttura
localizzata a livello comunale o sovracomunale, con poteri d’impulso,
sollecitazione, coordinamento e in generale di cura degli interessi del
privato coinvolto nel procedimento autorizzatorio.
La dottrina si è a lungo interrogata sulla configurabilità del procedimento e
si è in particolare chiesta se, con la riforma, il legislatore abbia voluto
alterare l’originaria ripartizione di responsabilità e competenze tra gli enti
di settore; nel corso della nostra trattazione daremo naturalmente conto
delle conclusioni cui si è pervenuti.
Un limite apparso subito evidente è stato quello legato al problematico
raccordo tra le varie discipline di settore, che hanno continuato ad
2
Cfr. C. LACAVA (1998), “I cittadini e le pubbliche amministrazioni”, 62-70. Nel testo, da cui sono
tratti i dati sopra riportati, tali inefficienze vengono qualificate come “costi indiretti” gravanti sulla
società. Nel 1997, il costo totale per spese e adempimenti burocratici e fiscali per le imprese, era pari allo
0,64% del Pi.l. La semplificazione avrebbe consentito di “liberare” una quota importante di tali risorse.
3
applicarsi per la parte sostanziale, e le nuove norme procedurali introdotte
dal regolamento sullo sportello unico per le attività produttive; soprattutto
per le questioni legate alle materie dell’urbanistica e dell’edilizia si è resa
infatti necessaria un’attenta opera di armonizzazione.
Due sono gli iter amministrativi rintracciabili all’interno del procedimento
unico: un procedimento “normale” – poiché sempre esperibile – mediante
conferenza di servizi ed un procedimento “speciale” mediante
autocertificazione, accessibile solo per alcune tipologie d’intervento
3
.
Entrambe si caratterizzano per la grande apertura verso il privato, come
confermato dal pieno accoglimento dei principi dell’oralità e del
contraddittorio. Un’altra delle caratteristiche della normativa è poi, la
certezza dei tempi amministrativi di conclusione del procedimento,
garantita mediante la predisposizione del silenzio – assenso e di molteplici
termini infraprocedimentali.
Nel procedimento mediante autocertificazione è possibile registrare come
l’azione responsabile del privato tende a sostituirsi all’azione dei pubblici
poteri, che da preventivi tendono a divenire successivi all’avvio
dell’attività; in tal modo si voleva permettere alle imprese di cominciare a
produrre senza dover attendere quei controlli che, per la loro natura,
potevano essere svolti senza pregiudizio anche in un momento successivo.
Vedremo quindi le (molteplici) ragioni, anche di natura extragiuridica, che
hanno inciso negativamente sull’autocertificazione e hanno fatto sì che il
ricorso, da parte dei privati, a tale procedimento sia stato al di sotto delle
aspettative.
3
Cfr. F. CARINGELLA e L. TARANTINO (2001), “Il nuovo volto della conferenza di servizi”, 367, in
cui si riconosce che “il raggio di azione della conferenza è stato potenziato da ultimo dal d.p.r. 7 dicembre
2000, n. 440, modificativo del d.p.r. n. 447/1998, in tema di sportello unico per le attività produttive”.
Cfr. inoltre G. GARDINI (1999), “La conferenza di servizi: natura e scopi”, 1275, in cui, l’autore, rileva
come l’applicazione che fa il regolamento della conferenza di servizi rappresenti una tappa importante
nell’evoluzione di questo istituto.
4
Il modello di amministrazione sotteso allo sportello unico avrebbe dovuto
essere l’archetipo ideale di un nuovo modo di porsi e di operare delle
amministrazioni pubbliche
4
, con uffici non più orientati a chiedere
“certificati” ma a produrre ed offrire informazioni e “servizi” per la cura
attiva di una molteplicità d’interessi: in questo caso un interesse del privato
all’attività economica.
La vicenda dello sportello unico per le attività produttive ben rappresenta la
parabola dell’intensa attività riformatrice che ha coinvolto la pubblica
amministrazione nell’ultimo decennio.
Lo sportello unico, infatti, riassume in sé e sviluppa molti degli strumenti e
delle procedure di semplificazione introdotte o sviluppate in questi anni,
quali: autocertificazione, dichiarazione d’inizio attività, silenzio assenso,
responsabile unico del procedimento, conferenza di servizi, e-government.
Mai prima di allora così tanti strumenti di semplificazione avevano trovato
una contemporanea applicazione
5
, ma, come non mancheremo di
evidenziare, se ciò costituiva un’assoluta novità, rappresentava al tempo
stesso anche un aspetto problematico; si trattava, infatti, di istituti (come
nel caso della conferenza di servizi) la cui funzionalità ed efficienza era già
dubbia ed il cui coordinamento all’interno del procedimento unico ha
richiesto non pochi adattamenti.
Nella breve storia del procedimento autorizzatorio per le attività produttive
si possono, in effetti, distinguere tre momenti successivi: la fase di “prima
attuazione” è collegata all’emanazione del decreto legislativo n. 112 e del
4
Cfr. N. ALì (2000), “Il mito dello sportello unico per le imprese”, 898, dove si evidenzia il ruolo, anche
ideologico, assegnato a questa riforma. Sullo stesso tenore cfr. anche A. RINALDI (1998), “Sportello
unico: attacco alla burocrazia”, 94.
5
Cfr. E. CASETTA (1998), “La difficoltà di semplificare”, 342. L’autore (in un discorso più ampio)
afferma che solo l’esigenza di assicurare un risultato, indipendentemente dalle resistenze e dalla difficoltà
che possono verificarsi nel corso del procedimento, “consente di giustificare – sotto il profilo teorico oltre
che in ragione di una scelta operata dal legislatore – l’accostamento di istituti apparentemente tanto
differenti tra loro”.
5
regolamento attuativo, d.p.r. n. 447 del 1998; durante la fase di “seconda
attuazione” si è tentato di chiarire alcuni aspetti della normativa sullo
sportello unico mediante interventi di diversa natura, tra i quali annotiamo
un accordo in conferenza unificata, una circolare della presidenza del
consiglio e l’emanazione del regolamento n. 440 del 2000. Vi è stata,
infine, una terza fase, caratterizzata dall’intervento della giurisprudenza
della corte costituzionale che, con la sentenza n. 376 del 2002, ha fatto
chiarezza sulla configurabilità delle competenze degli enti chiamati a
partecipare al procedimento unico.
Il nostro proposito sarà quello di verificare se gli obiettivi che il legislatore
si proponeva siano rimasti sulla carta e se anche questa riforma, come tante
altre prima di lei, sia divenuta una sorta di manifesto, con la quale più che a
“provvedere” ci si è limitati semplicemente ad “enunciare”.
Da qualche tempo si discute poi, a livello governativo, dell’opportunità di
mantenere ancora in piedi questa struttura; nel corso della nostra
trattazione, daremo naturalmente conto anche delle opzioni sul campo e dei
nuovi obiettivi che la pubblica amministrazione dovrebbe perseguire
6
.
6
Cfr. M. ROGARI (2005), “Il flop degli sportelli unici”, 14. L’articolo riferisce come il governo abbia
intenzione di mettere “in soffitta lo sportello” in favore di “una struttura interamente on-line”.
6
Capitolo I
Il quadro di riferimento
1. Gli interventi di semplificazione adottati in sede internazionale
Le iniziative adottate in ambito internazionale in materia di
semplificazione
1
della pubblica amministrazione sono state promosse
dall’O.s.c.e. (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo
economico), un organismo che annovera tra i suoi membri oltre 30 paesi,
tra cui figura anche l’Italia.
Il primo documento (che rappresenta la presa di posizione ufficiale della
comunità internazionale su questa materia) risale al 9 marzo 1995, quando
il consiglio dell’O.s.c.e. ha adottato la raccomandazione sul
“miglioramento della qualità della regolamentazione ufficiale”
2
; la
raccomandazione, oltre a formulare l’invito agli stati membri affinché
adottino misure efficaci per assicurare la qualità e la trasparenza della
regolamentazione e delle procedure amministrative, contiene un vero e
1
Il termine semplificazione racchiude in sé una molteplicità di significati, che alludono a soluzioni di
natura legislativa e/o regolamentare ed a carattere sia procedimentale che organizzativo, attuate per
rendere più moderna ed efficiente l’attività della pubblica amministrazione. La bibliografia
sull’argomento è praticamente sconfinata: cfr. AA.VV. (1998), “Semplificazione dell’azione
amministrativa e procedimento amministrativo”, 1-159; L. VANDELLI (1999), “La semplificazione nel
quadro delle riforme amministrative”, 11-22; L. CICI (1999), “Attività produttive e semplificazione”,
279-96; A. TONTI (2002), “La semplificazione dei processi e delle procedure”, 1-171; A. NATALINI
(2002), “Le semplificazioni amministrative”, 1-221; V. CERULLI IRELLI e F. LUCIANI (2000), “La
semplificazione dell’azione amministrativa”, 617-56; S. BATTINI (2004), “Le politiche di
semplificazione”, 450-459; G. VESPERINI (1998), “La semplificazione dei procedimenti
amministrativi”, 655-77; M. CLARICH (1998), “Modelli di semplificazione”, 679-97; S. CASSESE
(1998), “La semplificazione amministrativa e l’orologio di Taylor”, 699-703; R. MORZENTI
PELLEGRINI (2002), “Semplificazione amministrativa e sportello unico”, 501-12; G. ARENA (1999),
“Semplificazione normativa: un’esperienza”, 851-75; A. PIZZORUSSO (2000), “L’abrogazione come
strumento di semplificazione”, 799-812; V. MARTORANO (2005), “In equilibrio tra semplificazione e
trasparenza”, 11-16; V. CERULLI IRELLI (2001), “Corso di diritto amministrativo”, 393-94.
2
O.s.c.e. (1995), “Raccomandazione sul miglioramento della qualità della regolamentazione ufficiale” in
www.oecd.org/home.
7
proprio decalogo cui il “buon regolatore” dovrebbe ispirarsi prima di
realizzare qualsiasi intervento legislativo o regolamentare
3
.
Il rapporto dell’O.s.c.e. del 26-27 maggio 1997 è invece incentrato sulla
riforma della regolamentazione; rispetto alla raccomandazione sopra
richiamata è senz’altro un documento più completo nell’analisi delle cause
della complicazione burocratica e più approfondito nell’individuazione
delle strategie d’intervento per contrastare il fenomeno dell’inflazione
regolamentare
4
.
Il rapporto evidenzia come per intraprendere con successo una strategia
riformatrice sia essenziale un forte impulso politico, con un intervento che
sia al tempo stesso globale e non frammentario.
Per la buona riuscita dell’operazione di deregulation è necessario che gli
obiettivi perseguiti siano esplicitati e che il nucleo incaricato della
formulazione delle proposte 1) sia indipendente rispetto alle strutture
direttamente responsabili della produzione normativa; 2) abbia una
competenza orizzontale su tutta l’organizzazione amministrativa; 3) svolga
un ruolo di consulenza altamente specializzata; 4) possa assumere iniziative
d’impulso; 5) operi in collegamento con i vertici politici.
Le raccomandazioni ed i rapporti prodotti dall’O.s.c.e. in questi anni
rientrano nel progetto di regulatory reform; in tal senso si invitano gli stati
membri a sopprimere gli organi che svolgono compiti non più attuali, ad
3
I criteri sono sintetizzati in forma interrogativa e rappresentano la prove del nove del buon regolatore;
ecco la lista: 1) il problema è stato correttamente definito? 2) l’intervento dei poteri pubblici è davvero
giustificato? 3) la regolazione rappresenta la migliore forma di intervento governativo? 4) qual è il
fondamento giuridico della regolamentazione? 5) quali sono i livelli (o il livello) di amministrazione più
appropriato per agire? 6) I benefici della regolazione giustificano i costi? 7) la ripartizione degli effetti
all’interno della società è trasparente? 8) La regolamentazione è chiara, coerente, comprensibile e
accessibile agli utilizzatori? 9) tutte le parti interessate hanno avuto la possibilità di far conoscere i loro
punti di vista? 10) come verrà assicurata l’applicazione della regolamentazione?
4
Cfr. M. CLARICH (1998), “Modelli di semplificazione”, 684-85.
8
evitare le sovrapposizioni dei regolamenti di semplificazione e ad operare
per la riduzione del numero complessivo di procedimenti
5
.
Il fatto che gli orientamenti espressi non abbiano carattere vincolante per i
paesi membri, non deve indurre in errore circa la valutazione del ruolo
svolto dall’O.s.c.e. nell’indirizzare le riforme amministrative in Europa; lo
stesso legislatore italiano, infatti, ha tenuto in grande considerazione i
documenti sopra richiamati e, già alla fine degli anni ’90, ha recepito (con
l’approvazione delle riforme Bassanini) molte delle indicazioni ivi
contenute
6
.
Occorre inoltre ricordare che questo organismo, anche per assicurare un
maggior grado di effettività alle raccomandazioni formulate, procede
annualmente alla elaborazione di studi e classifiche (sull’efficacia delle
misure di semplificazione adottate e sulla competitività del sistema-paese),
giudizi la cui diffusione e pubblicazione implica, per molti paesi
industrializzati, rilevanti conseguenze sul piano della credibilità
internazionale
7
.
5
Cfr. L. CARBONE (1999), “La semplificazione dell’azione amministrativa”, 66-67; L’autore,
riferendosi all’esigenza di semplificazione avvertita in ambito nazionale, ricorda come tutto ciò “si muove
nel quadro di un processo ben più ampio di riforma della regolamentazione che si sta svolgendo a livello
internazionale”, citando come esempi “la lettera dei ministri italiano e spagnolo della funzione pubblica
sulla Better regulation” ed “il progetto di regulatory reform dell’O.s.c.e.”.
6
Cfr. F. PATRONI GRIFFI (1999), “Problemi e prospettive della regulation”, 33-34.
7
Cfr. A. MERLI (2003), “L’Europa schiacciata tra Asia e Usa”, 18, che contiene un commento al
rapporto O.s.c.e. sulla competitività dei paesi membri. La pubblicazione del rapporto è stata seguita da
polemiche e riflessioni, provenienti dal mondo politico e imprenditoriale. Nel rapporto si affermava che il
nostro paese era il più regolamentato fra i paesi O.s.c.e. e che i passaggi richiesti per avviare un impresa
erano pari a 18 pratiche, con tempi di attesa che si attestavano sulle 10 settimane, con inevitabili
conseguenze sul piano dei costi sostenuti dal neo-imprenditore, che superavano i 2.200 euro. Ponendosi in
una prospettiva comparatistica, il nostro paese poteva vantare il record negativo del numero di pratiche
richieste ed era secondo solo alla Spagna per i tempi di gestione della pratica, mentre si collocava al terzo
posto (preceduto solo da Giappone e Francia) per i costi burocratici sostenuti.
9
2. Gli interventi in sede comunitaria e la raccomandazione n.
97/344/CE sul miglioramento e la semplificazione del contesto
delle attività d’impresa
Spostando l’analisi sul piano “macroregionale” occorre inevitabilmente
richiamare le iniziative adottate in ambito comunitario; dai primi anni
novanta le istituzioni appartenenti all’Unione europea hanno dedicato una
grande attenzione ai problemi derivanti dalla crescente complicazione
burocratica, guardando in particolare alle condizioni di svolgimento delle
attività economiche dei privati ed ai rapporti tra impresa e pubblica
amministrazione.
Procedendo in ordine cronologico si deve richiamare il libro bianco del
1993 contenente, tra l’altro, le proposte d’azione della commissione
europea in materia di semplificazione normativa e amministrativa
8
.
L’anno successivo, in data 10 ottobre 1994, il consiglio europeo approva la
risoluzione “sul libero sviluppo del dinamismo e della capacità
d’innovazione delle piccole e medie imprese (in sigla P.m.i.), ivi inclusi
l’artigianato e le microimprese, nell’ambito di un’economia
concorrenziale”
9
.
Il terzo intervento, in ordine di tempo, è rappresentato dalla relazione della
commissione, presentata al consiglio europeo di Madrid del 15 e 16
dicembre 1995, sul ruolo delle piccole e medie imprese come fonte
dinamica di occupazione, di crescita e di competitività nell’Unione
europea
10
.
8
COM (1993), “The white paper 1993”, in www.europa.eu.int/comm/off/white/index_en.htm Nel white
paper la commissione europea individua la questione della semplificazione come parte integrante di una
strategia globale volta a favorire la crescita, la competitività e l’occupazione nell’area dei paesi membri.
Si deve alla Commissione l’insediamento, nel 1994, di una gruppo di esperti incaricati di elaborare
proposte di semplificazione.
9
In G.U.C.E. n. C 294/6 del 22.10.1994.
10
CSE (1995) 2087, Commissione europea, DG XXIII.
10
La commissione, prima di sviluppare ulteriori proposte, allo scopo di
coordinare più efficacemente le politiche comunitarie nel settore, ha
ritenuto fosse opportuno stabilire parametri tecnici e contabili comuni per
meglio individuare le diverse categorie di soggetti imprenditoriali,
precisando così gli ambiti d’intervento delle politiche in materia d’impresa.
Con la raccomandazione del 3 aprile 1996, la commissione ha quindi posto
una definizione comunitaria univoca di piccole e medie imprese (P.m.i.)
11
.
Questa pronuncia conferma l’attenzione dedicata, in ambito europeo, al
ruolo economico e sociale delle attività industriali e artigianali di medie e
piccole dimensioni.
La puntuale identificazione, anche giuridica, dei soggetti economici
strutturalmente più esposti agli oneri della burocrazia (le P.m.i. appunto),
permise di sviluppare nuove proposte d’azione. Già nel corso del 1996, la
commissione sollecitò il consiglio ad adottare, in sede europea, un
programma integrato a favore delle piccole e medie imprese e
dell’artigianato
12
; il consiglio, dopo aver analizzato le proposte della
commissione, le approvava con la risoluzione del 9 dicembre 1996
13
.
L’8 luglio del 1996 il consiglio approvava la risoluzione sulla
“semplificazione legislativa ed amministrativa nel settore del mercato
interno”
14
; nel documento il consiglio muove dalla considerazione che “la
realizzazione del mercato interno comporta già di per sé una
11
Raccomandazione CE n. 96/280 pubblicata in GUCE n. L 107/4 del 30.4.1996. Nel testo si legge che
l’esistenza di diverse definizioni a livello nazionale e comunitario di P.m.i. può generare incoerenze ed
inoltre comportare una distorsione della concorrenza tra imprese; si aggiunge che la definizione si
applicherà non solo a tutti i programmi comunitari e nazionali, in materia di concessione di agevolazioni
all’impresa, ma anche per tutte quelle politiche settoriali che saranno adottate e sviluppate a livello
comunitario.
12
COM (1996) 329 del 9.7.1996.
13
Risoluzione del consiglio del 9 dicembre 1996 “sulla piena realizzazione del potenziale delle piccole e
medie imprese (P.m.i.) comprese le microimprese e l’artigianato, attraverso un approccio integrato volto a
migliorare il contesto imprenditoriale e a stimolare misure di sostegno alle attività imprenditoriali”, in
G.U.C.E. n. C 18/1 del 17.1.1997.
14
Risoluzione del consiglio dell’8 luglio 1996 “sulla semplificazione legislativa e amministrativa nel
settore del mercato interno”, in G.U.C.E. n. C 224/5 del 1.8.1996.
11
semplificazione” perchè si opera sostituendo una norma comunitaria ad una
serie di normative nazionali, soggiungendo che le future iniziative
legislative a livello comunitario e nazionale dovranno tener conto dei
bisogni e degli obblighi delle imprese (ed in particolare delle P.m.i.). Il
consiglio poi, rivolgendosi agli stati membri, concludeva formulando
l’invito di promuovere una “cultura di semplificazione e di snellimento di
formalità burocratiche”.
Sul piano delle politiche comunitarie avviate nel 1997 un posto di primo
piano ricopriva l’iniziativa denominata “S.l.i.m.” (sigla che sta per
“semplificazione legislativa per il mercato interno”) volta a semplificare il
mercato comune, incoraggiando tutte quelle azioni, dei governi nazionali,
tese alla riduzione del numero di leggi e di procedure riguardanti i rapporti
tra pubblico e privato (in tutti i settori economici)
15
.
Nella stessa ottica si muoveva la raccomandazione CE (97) 1161, che si
occupava del miglioramento e la semplificazione delle procedure collegate
alla creazione di nuove imprese promuovendo lo scambio d’informazioni
tra i paesi membri e il confronto delle best practices nei rapporti tra
pubblica amministrazione e imprese
16
.
Principi che sono stati ribaditi anche nel terzo programma pluriennale per
le piccole e medie imprese (P.m.i.) dell’Unione europea, adottato con una
decisione del consiglio europeo il 9 dicembre 1996
17
.
Gli aspetti più interessanti sono contenuti nell’articolo 2 comma I, dove si
sostiene che il programma si prefiggeva di semplificare e migliorare le
condizioni amministrative e normative nel quale erano chiamate ad operare
15
Cfr. M. VERNISI (2000), “Sportello unico: un modello europeo”, 2306-14.
16
Cfr. M. VERNISI (2000), “Sportello unico: un modello europeo”, 2306-08.
17
Decisione del Consiglio (97) 15 CE “relativa ad un terzo programma pluriennale per le piccole e medie
imprese (P.m.i.) nell’Unione europea”, in G.U.C.E. n. L 6/25 del 10.1.97. Tali principi sono stati
confermati anche successivamente, si veda in proposito la decisione del consiglio (2000) 819 CE “relativa
ad un programma pluriennale a favore dell’impresa e dell’imprenditorialità, in particolare per le piccole e
medie imprese (P.m.i.)”, in G.U.C.E. n. L 333/84 del 29.12.2000.
12
le imprese, assicurando che, in tutte le iniziative comunitarie, siano tenuti
nella debita considerazione gli interessi delle P.m.i.
Il 22 aprile del 1997 la commissione emanava la raccomandazione CE (97)
344 sul “miglioramento e la semplificazione del contesto delle attività
d’impresa, per la creazione di nuove imprese”
18
.
Tale raccomandazione era rivolta non solo alle autorità centrali ma anche a
tutti gli enti locali dei singoli paesi membri
19
; la commissione, infatti,
pienamente consapevole dell’importanza organizzativa assunta dal
principio di sussidiarietà, principio che regola i rapporti tra le complesse
articolazioni territoriali interne ai singoli stati membri, sembrava
implicitamente ribadire che la strada della semplificazione passava
necessariamente attraverso la collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti
nell’attività di normazione e regolamentazione, siano essi di livello
comunitario, nazionale o locale
20
.
Nel dispositivo introduttivo la commissione definisce il miglioramento e la
semplificazione del contesto dell’attività d’impresa un obiettivo cui va data
“massima priorità”, aggiungendo che le autorità pubbliche dovrebbero
18
COM (1997) 344 CE in G.U.C.E. n. L 145/29 del 5.6.1997. Per un commento su tale raccomandazione
Cfr. M. ARSì (1998), “La semplificazione dei procedimenti amministrativi di interesse delle imprese”,
21.
19
A conferma della crescente attenzione delle istituzioni comunitarie verso gli enti locali, in un altro
documento, è la stessa commissione europea a sottolineare l’importanza di coinvolgere, nelle politiche
dell’Unione, anche gli enti espressione dell’autonomia territoriale. Si veda COM (2004) 75 final,
“Dialogo con le associazioni degli enti territoriali sull’elaborazione delle politiche dell’Unione”, in
www.europe.eu.int. In questo atto, la commissione parte dalla considerazione che, dopo l’ultimo
allargamento, l’Unione comprende circa 250 regioni e 100.000 autorità locali: appare quindi
indispensabile operare a stretto contatto non solo con i governi degli stati membri, ma anche con le
associazioni esponenziali delle autorità locali.
20
Per quanto attiene al principio di sussidiarietà, prima della l. cost. n. 3 del 2001, a livello normativo tale
principio era già presente nella l. n. 86 del 1989 (cd. legge la Pergola) e nella l. n. 439 del 1989 ed è stato
pienamente recepito con l’introduzione dell’art. 4 comma III l. n. 59 del 1997. Per quanto riguarda invece
i profili di collaborazione fra i vari livelli istituzionali vedi COM (2004) 75 final, “ Dialogo con le
associazioni degli enti territoriali sull’elaborazione delle politiche dell’unione”, in www.europe.eu.int.
Allo scopo di operare in collegamento non solo con i governi degli stati membri ma anche con gli enti
locali, la commissione europea si è impegnata a stabilire un dialogo più sistematico con le associazioni
regionali e locali in una fase precoce dell’elaborazione dei documenti politici; una consultazione
istituzionalizzata che, sempre secondo la commissione, permetterà di mettere in atto i principi di buona
governance quali: apertura, partecipazione, coerenza ed efficacia.
13
prendere urgentemente in considerazione strumenti atti a ridurre il carico
amministrativo gravante sulle P.m.i.
21
Le molteplici normative di settore entrate in vigore negli anni ’70 ed ’80,
unitamente alle numerose procedure amministrative ad esse connesse,
hanno infatti prodotto un effetto cumulativo sulle imprese, con conseguente
riduzione della loro capacità competitiva e soffocamento della loro attività.
Nella raccomandazione si fa presente agli stati membri che un contesto
normativo difficile e complesso può scoraggiare l’imprenditorialità e la
creazione di nuove imprese.
Partendo dall’analisi della situazione normativa preesistente, la
commissione muove una severa critica a “talune normative complesse e
costose” che si rivelano “di difficile applicazione, suscitano critiche e
conducono alla loro elusione”
22
.
Per tentare di porre rimedio a tale stato di cose, nel documento sono
individuate alcune aree d’intervento per semplificare e rendere più agevole
(almeno) la fase di start up di una nuova impresa; le proposte formulate
riguardano più specificamente:
• l’introduzione di misure di monitoraggio delle nuove normative
poste;
• la creazione di punti di contatto unici;
• la predisposizione di un modulo di registrazione unico;
• l’approntamento di un numero identificativo unico;
• la previsione di deroghe di varia natura e di procedure semplificate
per le Pmi;
21
In G.U.C.E. n. L 145/29 del 5.6.1997.
22
In G.U.C.E. n. L 145/30 del 5.6.1997.
14
• l’introduzione di una serie di misure di “incoraggiamento” per le
nuove imprese.
La seconda area di intervento è particolarmente importante ai fini della
nostra trattazione; i “punti unici di contatto” sono centri amministrativi che
svolgono le funzioni di interlocutore unico tra le imprese e le
amministrazioni pubbliche (di ogni livello) variamente coinvolte nelle
pratiche connesse all’avvio di un’attività economica.
Nella raccomandazione CE (97) 344 la commissione non opera
un’esposizione sistematica delle caratteristiche di tale struttura, ma si limita
a fare riferimento ad alcune esperienze che ritiene più significative: quella
francese dei “Centri per le formalità delle imprese” (in sigla C.f.e.)
23
e
quella tedesca dei Gewerbeamter
24
.
Dal punto di vista procedimentale l’impresa deve comunicare tutte le
informazioni richieste al C.f.e., quest’ultimo provvede poi a ritrasmetterle a
tutte le amministrazioni coinvolte o interessate. Rispetto al sistema
precedente i vantaggi per il neo-imprenditore sono molteplici: una drastica
riduzione delle giornate lavorative perse in code e file, la presentazione in
un'unica soluzione di tutte le informazioni richieste, una maggiore celerità
del procedimento e l’eliminazione dell’onere di procedere all’esatta
individuazione delle molteplici autorità pubbliche coinvolte.
23
Per quanto riguarda i C.f.e. (Centres de formalités des entreprises), questi sono stati attivati in Francia
già a partire dal 1991; sono stati creati con l’obiettivo di semplificare l’espletamento di alcune formalità
di natura giuridica, fiscale, sociale e statistica che incombevano sulle imprese. Il C.f.e. funge da punto
unico di contatto e comunicazione tra le imprese e le varie amministrazioni (come camere di commercio,
uffici tributari, amministrazioni pubbliche responsabili della sicurezza sociale e del regime pensionistico
ecc.). Cfr. F. DREYFUS (1999), “Innovazione amministrativa e semplificazione”, 335-40. Nel saggio si
forniscono informazioni sulle politiche di semplificazione procedimentale ed organizzativa attuate in
Francia nell’ultimo decennio.
24
Cfr. D. SCHEFOLD (1999), “La semplificazione dell’amministrazione”, 309-315. L’autore offre un
quadro d’insieme delle riforme poste nel sistema tedesco.
15
La predisposizione di un modulo di registrazione unico rappresenta un
ulteriore tassello nel mosaico delle politiche di semplificazione
amministrativa proposte dal documento. Per gli aspiranti imprenditori
costituirebbe una notevole agevolazione in quanto sarebbero chiamati a
compilare un formulario unico, contenente tutte le informazione richieste
dalle varie amministrazioni per effettuare la registrazione di una nuova
impresa; nel richiamare l’esperienza francese dei “moduli unici” “M0” e
“P0”
25
nel documento si afferma che “la Francia ha compiuto interessanti
esperienze”
26
pur sottolineando come il meccanismo non sia esente da
qualche imperfezione quando si afferma che “tale sistema ha lo svantaggio
di dover essere corredato da documenti di sostegno la cui raccolta e
autenticazione richiedono tempo”
27
.
Con la raccomandazione CE (97) 344, la commissione fa proprio l’assunto,
spesso trascurato, che qualsiasi semplificazione è un’opera di difficile
realizzazione che, oltre a cospicue risorse umane e materiali, richiede un
adeguato livello di autorità e potere rispetto ai dicasteri ministeriali
(tradizionalmente restii al cambiamento e gelosi della riduzione delle
proprie prerogative)
28
.
Da quanto fino ad ora riportato emerge un complesso e variegato mosaico
di proposte, con il quale, gli organi comunitari, oltre a “dettare” agli stati
membri indirizzi ed obiettivi dell’azione riformatrice, hanno anche
25
I questionari francesi M0 e P0 sono elaborati ed approvati da un apposito ente, “il centro per la
registrazione e revisione dei formulari” (C.e.f.r.a.: Centre d’enregistrement et de révision des formulaires
administratifs). Il formulario M0 deve essere compilato da coloro i quali intendono avviare impresa
individuale, mentre il formulario P0 è richiesto per avviare attività economiche in forma societaria.
26
In G.U.C.E. n. L 145/32 del 5.6.97.
27
Tali documenti possono essere allegati in originale o in copia conforme, e comprendono di solito il
certificato di nascita e di cittadinanza (per le persone fisiche ed i membri di una società) ed il testo dello
statuto costitutivo (per le persone giuridiche).
28
In G.U.C.E. n. L 145/30 del 5.6.97. Per avere un commento sull’argomento Cfr. M. CLARICH (1998),
“Modelli di semplificazione”, 683.