MARIA ELENA FUSACCHIA
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creazione di segnali. Invece si pensa che la “macchina”
raffreddi i messaggi. Si imputa alla televisione, e ai
computer (massimi esponenti dell’immaginario
tecnologico), la disumanizzazione dei rapporti umani,
l’annichilimento della sensibilità emotiva e la difficoltà ad
avere un “buon pubblico” teatrale. In parte è vero, ma solo
nel senso che queste tecnologie della comunicazione hanno
contribuito a rendere evidente, moltiplicandolo in forma
esponenziale, un problema già esistente: il dominio della
parola scritta e della vista sulle altre forme di percezione-
descrizione del mondo.
(diffidate anche di questo testo)
Capisco quindi l’accanimento contro i media da parte di chi
usa in scena tutto se stesso, richiedendo quindi spettatori in
grado di percepire con tutti i loro sensi, ma questo
accanimento considera come responsabile del “disastro” il
“messaggero” piuttosto che il re. Ma è il re che va
incolpato e detronizzato.
Mi spiego meglio. Negli ultimi secoli, con l’avvento della
cultura industriale, il valore dato alla parola scritta e al
senso che ne permette la lettura (la vista) è andato
crescendo, fino a svalutare qualsiasi tipo di conoscenza
diretta del mondo che non fosse confutata da un testo, sia
scientifico che poetico o religioso. Le culture orali, nomadi
o contadine, sono state spazzate via da installazioni
industriali e città fatte di ferro e contratti scritti. Le parole
delle insegne dei negozi sono diventate la principale forma
d' informazione sul prodotto in vendita; la vetrina ha
sostituito la bancarella; la messa in bella vista del prodotto
ha sconsigliato la prova d’assaggio. L’insegnamento
scolastico a tutti i livelli si è strutturato sul passaggio di
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“informazioni scritte”, piuttosto che sullo sviluppo di
capacità cognitive basate sull’esperienza.
Contemporaneamente in teatro si è passati a una
supervalutazione del testo scritto (e della regia)
dimenticandosi che le parole sono solo una delle
componenti della rappresentazione e che i migliori copioni
sono stati scritti in scena, verificando nella carne degli
attori e nell’eco della sala l’efficacia delle parole.
Con l’avvento degli schermi, prima cinematografici e poi
televisivi, l’importanza data all’informazione mediata dalla
vista, come sostituto della conoscenza diretta, è cresciuta a
dismisura anche grazie alle premesse create dalla “cultura
del libro”.
Infatti lo scontro tra cultura delle immagini (cinema e tv) e
cultura scritta (letteratura e università) è stata una falsa
battaglia tra fratelli della stessa famiglia: figli dell’occhio e
della regola prospettica. I letterati, umanisti, che si
accanivano contro le tv, il mercato delle immagini e le
tecnologie (facendo di ogni erba un fascio) rivendicavano
una “sapienza” che non riusciva a stare al passo con la
velocità di trasformazione data dalle macchine. In realtà
erano (sono) le loro istituzioni a essere lente e non le
macchine troppo veloci. Mentre i “costruttori d'immagini”,
che prima rivendicavano un’autarchica “modernità
vincente”, hanno poi iniziato ad appropriarsi dei contenuti
più sofisticati che la tradizione letteraria aveva elaborato in
modo da adattarli alle forme più mature della percezione
audiovisiva ed elettronica.
Non è un caso, infatti, che ormai si stiano creando alleanze
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sempre più strette, tra i due contendenti, per la
realizzazione di trasmissioni didattiche a distanza, sia via
satellite-tv che attraverso Internet: entrambi stanno
riconoscendo che attraverso la loro rappacificazione
possono amministrare meglio l’eredità di famiglia: il
controllo del corpo e degli altri sensi attraverso la
mediazione visiva.
È il dominio della vista che va abolito, per un recupero del
corpo e di tutto il suo bagaglio sensitivo, e non la diffusione
di televisioni e computer. È il re occhio che deve abdicare.
Questo non vuol dire abolire schermi e libri, ma farli
convivere in armonia con gli altri sensi relativizzandone il
valore. Infatti non si può negare che l’alfabetizzazione
scolastica, la diffusione dei mezzi di informazione di massa
e l’avvento dell’elettronica abbiano comunque contribuito a
un miglioramento della qualità della vita e della cultura,
nonostante le suddette aberrazioni.
Il problema vero è la confusione tra immagine e realtà che
si è instaurata, attraverso il re occhio, nelle nostre
esistenze.Recuperare i sensi del corpo vuol dire recuperare
il senso della realtà.
Il potere della comunicazione scritta-visiva è quello di
rendere condivisibile, esplicito ed elaborabile il nostro
immaginario, e questo è un potere che non va perduto e che
se si riesce a integrare con gli altri sensi ci permette di
vivere la nostra “realtà aumentata di immaginario” con
modalità coscienti finora impensabili.
(fare esperienze tattili sviluppando connessioni)
A teatro gli spettatori si comportano passivamente come di
fronte a un film o a una televisione: sono ormai abituati a
percepire il mondo come se fosse solo immagine (così come
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per certi teatranti pare che il mondo sia principalmente
letteratura). Pare che l’unico modo per riconquistare una
fruizione attiva, tridimensionale, capace di far sentire il
“qui e ora” proprio del teatro, sia creare azioni fisicamente
coinvolgenti o sconvolgenti al limite dello scandalo. Questo
in parte è vero: ma ciò che spesso in questi casi viene a
mancare è la percezione mitica, archetipica o immaginifica
dell’evento; percezione che una volta veniva creata dallo
sviluppo drammaturgico (quando il senso comunitario del
teatro era più forte o semplicemente più evidente).
Durante questi ultimi anni di esperienza teatrale ed extra-
teatrale (con la tecnica del Tele-Racconto e con lo sviluppo
del personaggio virtuale Euclide) mi sono convinto che
l’uso di tecnologie della visione (schermi) in scena può
aiutare a recuperare il senso del teatro più di tante
“sollecit' azioni” cruente ma drammaturgicamente deboli.
Il fatto di vedere sulla scena i corpi di attori e immagini
elettroniche che entrano in dialogo diretto tra di loro può
fare “magicamente” notare lo scarto e il dialogo possibile
tra “persona-tridimensionale” e “cosa-bidimensionale”,
tra consistenza del corpo e immaterialità del mito: le loro
intrinseche potenzialità possono mostrarsi ai nostri sensi
aiutandoci a comprendere la “realtà tecnologica-mente
aumentata” in cui ci troviamo a vivere.
Ma perché ciò accada bisogna che le immagini siano
prodotte in tempo reale e che gli attori siano dei narratori,
in grado di guardare gli spettatori in faccia e di modificare
palesemente l’andamento della loro performance; insomma
bisogna che si crei una sorta di “techno-commedia-
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dell’arte” che faccia sentire lo spettatore “necessario” alla
rappresentazione.
Le immagini, o le azioni tecnologiche, devono essere
prodotte in tempo reale in modo da rispecchiare l’umore, il
ritmo e la qualità della serata così come vengono generati
dall’incontro tra gli attori e il pubblico. La tecnologia deve
essere un mezzo che amplifica il contatto, il tempo reale, e
non una gabbia che detta regole e ritmi immutabili,
altrimenti non è possibile usarla per fare teatro.
(essere o non essere non è più un problema)
Oggi con la diffusione delle tecnologie della interattività
(dal computer ai lettori CD-rom, dai video games a
Internet) ci troviamo di fronte a un salto cognitivo dove la
separazione tra produttore e consumatore, autore e fruitore
diventa sempre più labile. Questa è una mutazione difficile
da comprendere per chi non ci riflette quotidianamente, ma
che comunque influisce sulla vita di tutti. Anche se si pensa
di non essere responsabili di come “va il mondo”, se si
pensa di essere inattivi e quindi innocenti, siamo comunque
coinvolti, attraverso una rete di connessioni elettroniche-
economiche-emotive, in modo che qualunque sia il nostro
comportamento diventiamo un dato rilevabile e connesso a
mille altri. È sempre stato così ma ora risulta
“tecnologicamente” evidente, e il sentimento di interazione
responsabile con il mondo si manifesta attraverso
un’infinità di scelte individuali.
In questo nuovo contesto la separazione tra attore e
spettatore va ripensata. È sempre meno possibile
immaginare opere efficaci che non siano in grado di far
sentire lo spettatore come necessario all’evento. Questo non
vuol dire fare “animazione teatrale”, ma realizzare opere
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che tengano conto del contesto culturale e antropologico di
cui fanno parte sia gli autori che i fruitori. Vuol dire
smantellare la torre dell’artista educatore e prometeico per
fare in modo che la cosiddetta “ricerca teatrale” non sia un
ambito ipocritamente separato e di élite, ma una pratica
quotidiana in grado di trovare le giuste forme (piuttosto che
le nuove forme) di comunicazione per riflettere con la
propria comunità di riferimento. Vuol dire sporcarsi le
mani. E quando si realizzeranno opere sceniche in grado di
far sentire lo spettatore necessario all’evento, non ci sarà
nemmeno bisogno di usare tecnologia in scena perché le
mutazioni antropologiche indotte dalla cultura
dell’interattività, in guerra con la cultura dell’occhio (che
prevede una interazione minima), saranno comunque state
comprese e condivise.
Oppure possiamo immaginare due o più teatri in perenne
compresenza: uno tecnologica.mente vivente, teso a
recuperare un rapporto più stretto tra lo spettatore e il
palco e che tiene conto della mutazione indotta dai mezzi di
comunicazione elettronica, anche rinunciando ad un loro
diretto uso sulla scena; e uno neo-letterario-visivo che crea
opere solo per gli occhi e l’intelligenza di chi gli sta di
fronte, anche usando super tecnologia in scena; nel mezzo
ai due una miriade di ibridi mutanti ...
(chi ha orecchi per intendere ... in Tenda!)
1
1
Per gentile concessione dell’autore da G.Verde, Artivismo politico:
teatro e interviste su arte, politica, teatro e tecnologie.2007 pag. 97-100.
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Il saggio di Giacomo Verde
2
qui riportato è importante per
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Giacomo Verde è nato in provincia di Napoli nel 1956. Diplomato
all'Istituto d'Arte di Firenze attualmente abita a Lucca. Svolge attività
teatrale e artistica dal 1973. Ha collaborato con diverse formazioni come
attore, autore, musicista o regista. Nel '83 inizia a realizzare videotapes
(attualmente più di cento), prima in rapporto alla pratica teatrale poi
come opere a se stanti, con particolare attenzione alle potenzialità
espressive dei mezzi poveri. Nell''85 fonda il gruppo di teatro-musica
"BANDAMAGNAETICA" con cui realizza molte azioni di strada, lo
spettacolo e il radiodramma "Vita in Tempo di Sport" e il mini L-P
"Document'azione 86-87". Dal '86 realizza videoistallazioni
partecipando a diversi festival ed esposizioni nazionali ed internazionali.
Nell '89 inventa il TELE-RACCONTO (performance teatrale che
coniuga narrazione, micro-teatro e macro ripresa in diretta) e da allora
realizza o dirige diversi “teleracconti” sia nell’ambito teatrale che in
quello della ricerca visiva. Dal '92 realizza installazioni interattive e si
occupa di realtà virtuale e computer art. Dal '94 da "vita" con un
cyberglove ai personaggi virtuali EUCLIDE di Stefano Roveda. Nel ‘99
fonda l’associazione culturale ZoneGemma (laboratorio teatrale di
cultura bio-tecnologica) con lo scopo di realizzare eventi teatrali che
mettano in rapporto scena e nuove tecnologie. Nel 2000 realizza l’opera
di net-art QWERTYU (e www.qwertyu.net) per il nuovo sito
www.domusweb.it; lancia con Tommaso Tozzi il NETSTRIKE 214-T
contro la pena di morte (in collaborazione con il sito www.netstrike.it) e
la conseguente opera collettiva di protesta contro la censura NO-CENS-
214-T; avvia le docenze del corso su Video e Teatro all’Accademia
delle Belle Arti di Macerata e del corso su Computer Art all’Accademia
delle Belle Arti di Carrara. Nel 2001 apre il sito
WEBCAMTHEATRE.ORG con la performance CONNESSIONE
REMOTA dal Museo Pecci di Prato; avvia la collaborazione con
www.italy.indymedia.org e realizza il video SOLO LIMONI,
documentazione videopoetica in 13 episodi sull'anti-g8 di Genova
(pubblicato dalla Shake Edizioni Underground). Nel 2002 intensifica
l'attivita' del gruppo Xear.org realizzando installazioni interattive e la
tecno-performance "oVMMO: ovidiometamorphoseon" su Le
Metamorfosi di Ovidio; inoltre realizza i video-fondali-live in diversi
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individuare la situazione teatrale presente in Italia.
Espone con ironia e chiarezza la posizione del panorama
teatrale italiano non “convenzionale”, verso un teatro fatto
di visioni, siano esse con tecnologie o meno.
Nei capitoli successivi infatti riporto l’analisi di spettacoli di
due compagnie che nel panorama italiano si distinguono per
originalità di contenuti e di stile, per l’uso intelligente di
nuovi codici visuali e linguistici.
Sono Fortebraccio teatro e Muta Imago; il primo con il
progetto Radio-visioni ha creato una poetica teatrale fatta di
visioni sonore ed immagini attraverso l’uso delle tecnologie.
Muta Imago invece ha sviluppato la ricerca nel senso
opposto, tornando all’utilizzo della scenografia come
elemento scenico, la modellano utilizzando materiali grezzi.
Nel modo di fare teatro d'entrambe, non convenzionale, il
testo non è più la parte centrale della messa in scena. Il
teatro per essere ancora chiamato tale ha bisogno dell’attore
e dello spazio scenico dedito ad esso. Dalla combinazione di
questi elementi escono fuori visioni, in ambienti di realtà
virtuale o realtà teatrale.
Per realtà virtuale s’ intende un ambiente digitale all’interno
del quale sono simulate delle condizioni d’ esperienza reale,
sperimentabili sinesteticamente mediante apposite interfacce
tra il corpo e l’apparato tecnologico (hardware o software).
L’evoluzione di queste interfacce è costante, dalle tute,
incontri internazionali di poesia e spettacoli teatrali. Continua e' la sua
attività di laboratori video, colaborazioni teatrali, produzioni
videoartistiche, net-art.
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guanti e caschi interattivi agli impianti direttamente
collegati negli occhi.
Il termine “realtà virtuale
3
” è stato creato da Jaron Lanier,
visionario esploratore e pioniere dell’informatica finalizzata
all’interfaccia uomo-oggetti-ambienti virtuali. Jaron Lanier
è tra gli inventori del data-gloove (guanto interattivo
utilizzato da Roberto Latini in Ubu incatenato).
Lavorare sull’interazione tra le tecnologie e lo spettacolo dal
vivo oggi vuol dire soprattutto studiare lo spazio scenico,
analizzare lo spazio che è intorno al fulcro al soggetto
protagonista, sia esso un actor di un software sia esso un
actor in carne ed ossa.
Per far in modo che questo avvenga occorre uno studio
approfondito dello spazio intorno, tant’è che la parola
scenografia divenuta sempre meno didascalica, oggi assume
più il significato di presenza scenica.
L’importante è che la scena respiri, parli, comunichi,
l'interazione dell'opera con lo spazio è importante perchè
l'azione artistica non può più semplicemente occupare lo
spazio ma deve interpretarlo.
L’innovazione riguarda la nuova dimensione drammaturgica
dello spazio, fare dello spazio un elemento o una
dimensione della drammaturgia significa rifiutare l’idea che
lo spazio sia un dato a priori immodificabile ed esterno alla
messa in scena o più precisamente alla composizione
dell’opera teatrale, insomma un contenitore neutro
indipendente dai suoi possibili contenuti. Significa ritenere
che la dimensione spaziale, scenico-architettonica di un dato
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A. Balzala, A.M. Monteverdi, Le arti multimediali digitali. Storia,
tecniche, linguaggi, atiche ed estetiche delle arti del nuovo millennio.
Garzanti 2004. p. 534