2
meno l’aspirazione di Ankara di diventare il trait-d’union imprescindibile 
tra l’Occidente e le neo Repubbliche. Ridimensionata nelle sue ambizioni 
geopolitiche, la Turchia, adottò, quindi, un basso profilo politico e un 
approccio mirato a creare, per mezzo di una fitta serie di accordi, un clima 
favorevole ad una cooperazione più intensa e pragmatica con le 
“Repubbliche sorelle”. Una via di integrazione alternativa, basata sul 
concetto geoeconomico di complementarità funzionale in campo 
economico, culturale e tecnologico, che poteva essere sviluppata solo in 
presenza di un “agente catalitico”, la Turchia appunto, nel processo di 
formazione di uno spazio turcofono, a gerarchia variabile, con forte densità 
di interdipendenza.  
L’analisi della politica della Turchia verso le Repubbliche turcofone 
dell’ex Urss nel periodo compreso tra il 1991 e il 1996 costituisce l’oggetto 
di questa dissertazione. L’obiettivo principale di questo studio è quello di 
cercare di identificare quali siano stati i fattori interni, regionali e 
internazionali che hanno favorito e, al contempo, ostacolato la proiezione 
della Turchia verso lo spazio eurasiatico, nonché quello di valutare l’impatto 
di questi fattori sull’ostpolitik di Ankara. Attraverso questa analisi ci 
proponiamo, inoltre, di esaminare l’influenza della coscienza geografica dei 
turchi – che esprime il senso dello spazio proprio di questo popolo e che 
affonda le radici nella sua storia e nella sua cultura – sulla formulazione e la 
condotta della politica eurasiatica della Turchia. In altri termini, ci 
chiediamo se il discorso panturchista che esalta l’esistenza di un’identità 
transnazionale türk sulla scala dell’Eurasia abbia o meno un fondamento. 
Infine, l’ambizione è anche quella di individuare gli interessi e gli obbiettivi, 
e i loro eventuali mutamenti, della politica regionale turca verso il Caucaso 
meridionale e l’Asia centrale tenendo conto dell’interazione, in una arco di 
tempo compreso tra il 1991 e il 1996, con gli altri attori che operavano nelle 
stesse regioni e delle reazioni degli alleati occidentali della Turchia.  
Sul piano del contenuto, dato il taglio regionale che si è voluto dare 
alla ricerca, sono state prese in considerazione le iniziative politiche, 
 3
economiche e culturali della Turchia verso le cinque Repubbliche turcofone 
dell’ex Urss: Azerbaigian, Kazakistan, Kirghizistan, Turkmenistan e 
Uzbekistan. Pertanto, dato l’obiettivo prefissato nella definizione di spazio 
geopolitico turco si sono incluse tutte e cinque queste Repubbliche sebbene, 
da un punto di vista strettamente geografico, l’Azerbaigian non sia parte 
della regione centroasiatica ma dell’area transcaucasica. Al di là del 
problema delle definizione del “mondo turco” si tratterà per noi di 
esaminare gli attori – ufficiali e occulti – delle relazioni con le nuove 
Repubbliche turchesche e di studiare le loro strategie e l’evoluzione del 
discorso e delle pratiche delle autorità turche e dei circoli panturchisti di 
fronte a questo nuovo orizzonte della politica estera turca. Per ragioni di 
accesso alle fonti in questo studio ci concentreremo sull’Azerbaigian e 
sull’Asia centrale, detta “media” (Orta Asya) in turco, che si estende dal 
Turkmenistan al Kazakistan. Trascureremo così, i margini dell’“area 
turchesca” sia a nord (Caucaso: Daghestan e Repubblica dei Calmucchi), sia 
a ovest (Balcani), sia all’estremo oriente (Cina: Sinkiang).  
Dal punto di vista pratico ed organizzativo, lo studio è stato 
strutturato privilegiando una chiave di lettura geopolitica. Una scelta, 
questa, che non è neutrale, in quanto, secondo l’autore, il discorso 
geopolitico esprime una particolare visione realista, soggettiva, conflittuale 
delle relazioni internazionali e della politica estera. Non si vuole, comunque, 
attribuire al fattore geografico un valore deterministico, bensì esso viene 
costantemente tenuto presente nell’analisi come opportunità e 
condizionamento; come fattore di potenza e come condizione di 
vulnerabilità; come posta in gioco, come teatro e come contesto generale in 
cui si svolge l’azione
1
. E’ quindi attribuita maggiore rilevanza ad altri 
fattori, come l’economia, la cultura, l’ideologia, la religione, la cultura 
rispetto a quelli fisici, il cui influsso e significato sono stati profondamente 
modificati dalla tecnologia. 
                                                          
1
 Carlo Jean, Geopolitica, Laterza, Roma-Bari, 1996, p.11. 
 4
Sul piano metodologico, la scelta è andata in favore del caso singolo 
per due diverse ragioni. In primo luogo, non avendo l’ambizione di produrre 
alcuna generalizzazione o teoria causale dotata di qualche attendibilità si è 
preferito optare per un disegno di ricerca più semplice da realizzare. 
Secondariamente, lo studio del caso è stato preferito perché permette di 
utilizzare nell’analisi una pluralità di risorse – documenti ufficiali, 
quotidiani e periodici, pubblicistica di vario genere, interviste e raccolta di 
informazioni in loco, etc. – che hanno il pregio di offire uno spaccato più 
ampio delle tematiche affrontate e che, quindi, potevano aiutare chi scrive a 
comprendere meglio il tema trattato. 
Per quanto concerne l’attività di ricerca, questa è stata condotta in 
una prima fase in Italia, ma data la scarsa disponibilità di documentazione in 
lingua italiana, è stata successivamente svolta in Gran Bretagna, e in due 
diversi momenti, soprattutto in Turchia. Grazie alla borse di studio concesse 
dall’Associazione Roberto Ruffilli e dal Centro Italiano di Solidarietà 
Sociale Antonio Schiavi, l’autore ha potuto raccogliere una consistente 
documentazione presso la biblioteca della School of Oriental and African 
Studies (Soas) dell’Università di Londra e svolgere un primo periodo di 
ricerca (giugno-luglio 1996) in Turchia della durata di circa due mesi. In 
quell’occasione, preziosa è stata l’assistenza prestatami dal direttore e dallo 
staff dell’Istituto di politica estera di Ankara (Dış Politika Enstitüsü, Dpe), 
grazie alla quale, oltre a poter usufruire delle cospicue risorse del centro, 
sono riuscito a condurre una fitta serie di interviste con le autorità e gli 
studiosi turchi interessanti, seppur come presumibile con due approcci 
diversi, al mondo turchesco. Parallelamente, durante questa prima 
permanenza in Turchia frequentai un corso intensivo di turco che mi 
permise di conoscere, al termine del mio soggiorno, le nozioni fondamentali 
della lingua turca. Successivamente, grazie ad una generosa borsa di studio 
della Fondazione internazionale dei Rotary clubs ho avuto la possibilità di 
risiedere in Turchia per circa due anni (settembre 1997 - giugno 1999). 
Durante questo periodo, per quanto concerne specificatamente questo 
 5
studio, ho affinato la mia conoscenza del turco in modo tale da poter 
utilizzare le risorse disponibili in tale lingua e condotto un’ulteriore attività 
di ricerca presso le principali biblioteche universitarie (Università di 
Bilkent, Ankara; Università del Bosforo, Istanbul) del paese nonché presso 
il centro documentazione del Consiglio statale per l’educazione superiore 
(Yüksek Öğretim Kurumu-Yök). La protratta permanenza in Turchia mi ha 
permesso inoltre di entrare in contatto con una pluralità di figure – studiosi, 
giornalisti, funzionari governativi e studenti universitari – la cui 
disponibilità mi ha offerto la possibilità di acquisire, una visione d’insieme 
sulla Turchia in generale, e sul tema di questo studio in particolare, che ha 
arricchito ulteriormente la mia conoscenza fino allora basata essenzialmente 
sulla pubblicistica e sugli studi di carattere scientifico. 
 6
CAPITOLO I 
LA FASE D’ANSIA, 1986-1991. 
 
Nella serata del 20 gennaio 1990, una voce profonda e emozionata 
riportò la principale notizia trasmessa dal notiziario di Trt1, il primo canale 
della televisione pubblica turca
2
. Le parole erano indistinte, ma 
ciononostante comprensibili a tutti. Sera dopo sera, l’attenzione dei turchi fu 
insistentemente attirata dalla medesima voce – sempre più rotta 
dall’emozione – di un uomo di cui non avevano mai sentito parlare e che si 
esprimeva in una lingua che pochi sapevano esistere: l’azero. La voce era 
quella di Abulfez Elçibey
3
 che, dal suo nascondiglio in Baku, diffondeva al 
telefono la notizia dello scoppio di una nuova guerra contro gli Armeni, 
annunciava l’avvio di una rivolta nazionalista turca e denunciava la 
successiva repressione della stessa da parte dei carri armati dell’Armata 
Rossa inviati da Mosca
4
.  
I terribili fantasmi della storia erano riapparsi a Baku il 13 e 14 
gennaio 1990: i pogrom antiarmeni scatenati da bande di facinorosi, in 
assenza di qualsiasi intervento della polizia, provocarono ufficialmente 32 
morti, ma la voce popolare armena li ha moltiplicati. Sul terreno politico, gli 
eventi armeno-azeri mostrarono che la trasmissione del potere dal centro 
alla periferia si era spezzata irreversibilmente. Mosca non era più in grado di 
far rispettare le sue direttive e l’uso della forza dispiegata tra il 20 e il 24 
                                                          
2
 Nell’ottobre 1997, ho avuto in visione le videocassette dei notiziari trasmessi da Trt1 il 
20,21,22,23,24, e 25 gennaio 1990, grazie alla gentile intercessione di un funzionario della 
stessa emittente televisiva che vuole rimanere anonimo. 
3
 Abulfez G. Aliyev abbandonò il suo cognome originale, adottando quello di Elçibey 
(inviato del popolo) dopo essere stato nominato Presidente dell’esecutivo del Fronte 
popolare azero il 16 luglio 1989. Autodefinitosi Kemalista e aperto sostenitore dell’idea di 
una federazione tra la Turchia e l’Azerbaigian, si distinse per il suo orientamento 
antisovietico e antirusso e quale fautore del sogno panazero del “Grande Azerbaigian”. 
Nominato Presidente dell’Azerbaigian il 7 giugno 1992 fu costretto a lasciare il potere e 
Baku a poco più di un anno di distanza (18 luglio 1993), in seguito al colpo di stato 
organizzato – con la complicità di Mosca – dall’ex Ministro della Difesa, Suret Gusejnov. 
4
 Gli eventi del “gennaio nero” di Baku sono raccontati in dettaglio nel libro di Audrey 
Altstadt, The Azerbaijani Turks-Power and Identity Under Russian Rule, Hoover Institution 
Press, Stanford, 1992, pp.210-219.  
 7
gennaio a Baku dall’Armata Rossa contro i dimostranti azeri, che provocò, 
stando alle fonti ufficiali 83 morti
5
, servì soltanto a riportare una 
temporanea apparenza d’ordine nella capitale azera. 
Gli eventi del “gennaio nero” di Baku non condussero solamente alla 
semplice riscoperta dei “cugini azeri” da lungo tempo dimenticati: il 
confronto armato tra azeri e armeni – il primo conflitto che lacerò l’Unione 
Sovietica – causò, anzitutto, un brusco risveglio politico ai turchi e al 
governo di Ankara
6
. Il corso degli avvenimenti scatenò, infatti, un fermento 
nazionalista nelle provincie turche confinanti con il Transcaucaso, 
storicamente popolate da una vasta comunità (circa 400.000 individui) di 
etnia azera: il 25 gennaio 1990 più di diecimila manifestanti si riunirono 
nella cittadina turca di Igdir per dimostrare il loro sostegno alla popolazione 
azera di Baku “vittima della violenza armena e di Mosca” e per invocare 
l’invio delle truppe turche nella capitale azera. In precedenza, ad Istanbul, si 
erano svolte, con il beneplacito delle autorità turche, numerose 
manifestazioni di protesta innanzi al Consolato generale dell’Urss, 
organizzate da gruppi vicini al Partito nazionalista d’azione (Milliyetçi 
Hareket Partisi, Mhp) e alla diaspora azera
7
. 
                                                          
5
 La commissione indipendente “Scudo” (Shchit), istituita dalla  Procura Militare di Mosca, 
nella sua relazione finale concluse che il reale numero dei morti era 120 fra i civili e 12 fra i 
militari 
6
 L’interesse dei turchi nel gennaio del 1990 è attirato dal fatto che per la prima volta dalla 
ripresa (1987-88) degli scontri tra armeni e azeri, le vittime sono in maggioranza azeri. 
Inoltre, è proprio dal gennaio-febbraio 1990, dopo scontri durissimi ma sporadici, che ha 
inizio il confronto armato all’interno del Nagorno-Karabakh che si fermerà nel 1994 grazie 
ad un accordo di cessare il fuoco ottenuto dalla mediazione di Mosca e dell’Osce. Il 
conflitto azero-armeno risale agli inizi del Ventesimo secolo ma il vero punto di svolta fu 
costituito dalla decisione di Stalin di sottrarre, nel 1921, al controllo dell’Armenia il 
Nagorno-Karabakh, un’enclave montuosa popolata in prevalenza da armeni, e sottoporlo 
alla giurisdizione dell’Azerbaigian. Per un’analisi, v. Shireen Hunter, The Trancaucasus in 
Transition. Nation Building and Conflict, CSIS, Washington D.C., 1994, pp.97-104. 
7
 Provincie orientali di Kars e Ağri e le cittadine di Kağızman, Tuzluca, Aralık e Igdir. Si 
veda Hugh Pope, “Turkish azeris call for action against killer armenians”, Independent, 
January 26, 1990, p.8 e Jim Bodgener, “Turkey’s azerbaijani people prepare to demonstrate 
feelings of kinship”, Financial Times, January 24, 1990, p.2. Temendo lo scoppio di 
eventuali incidenti, e secondariamente, l’arrivo di un massiccio numeri di profughi, il 
Governo turco decise di rinforzare le misure di sicurezza nei pressi del confine con le 
Repubbliche Socialiste dell’Armenia e dell’Azerbaigian. Un cospicuo contingente di soldati  
fu inviato nei pressi del fiume Araks, il cui corso marca il confine fra la Turchia e le due 
Repubbliche Transcaucasiche. Vedi Briefing, “Concern in Ankara over developments in the 
 8
Gli inviti alla calma e alla moderazione lanciati dal governo turco si 
scontrarono con le ambiziose visioni di molti esponenti delle fazioni più 
radicali dello stesso partito di maggioranza. Significativamente, numerosi 
deputati del Partito della madrepatria (Anavatan Partisi, Anap) nelle loro 
interpellanze in Parlamento utilizzarono ripetutamente l’espressione “nostri 
cittadini” per riferirsi alla popolazione azera. Il sogno dell’unione di tutte le 
popolazioni turchesche dall’Egeo alla Cina, sino ad allora appannaggio di 
alcuni circoli militanti dell’estrema destra, fu abbracciato da un vasto 
numero di parlamentari che accolsero con entusiasmo le roboanti 
dichiarazioni rilasciate dal ministro di Stato, Ercument Konukman, in 
un’intervista rilasciata al quotidiano Hürriyet. Konukam, esponente di 
rilievo della fazione nazionalista interna all’Anap, annunciò trionfalmente 
che “nei prossimi anni i Turchi nei paesi vicini formeranno degli stati 
indipendenti sotto la bandiera turca. Il vecchio e malato turco-ottomano del 
diciannovesimo secolo riguadagnerà la sua forza originaria”
8
. 
Nonostante però le pressioni esercitate dall’opinione pubblica
9
, dalla 
diaspora azera e dai nazionalisti turchi per un sostegno più attivo agli insorti 
di Baku, il governo turco adottò una politica molto moderata e 
dichiaratamente non interventista definendo gli eventi in Azerbaigian come 
una “questione interna all’Unione Sovietica”
10
. La posizione di Ankara fu 
chiaramente espressa dal Presidente Turgut Özal, all’epoca in visita ufficiale 
negli Stati Uniti. In un suo discorso all’International Club di Washington 
D.C., Özal affermò che “gli eventi di Baku interessano l’Iran e non la 
Turchia poiché gli azeri sono sciiti mentre i turchi sono sunniti…inoltre, è 
                                                                                                                                                    
Caucasus”, Issue 771, pp.10-11 e Hugh Pope, “The Azeri revolt:Turkish troops on border 
alert”, Independent, January 22, 1990, p.8. 
8
 L’episodio e le polemiche scoppiate in seguito all’intervista del Ministro Konukman sono 
ben descritti in Briefing, “Minister fuels nationalist revival theories at a crucial time, Issue 
771, pp.12-13.  
9
 Le posizioni più radicali furono assunte dai quotidiani vicini al Mhp, come Türkiye e 
Ortadoğu, e quelli più dichiaratamente islamici: Milli Gazete e Yeni Şafak. 
10
 Citato in H. Pope, “The Azeri revolt.., Op. cit. 
 9
impossibile per la Turchia intervenire in una questione interna sovietica”
11
. 
Le dichiarazioni di Özal scatenarono, inevitabilmente, le dure reazioni degli 
esponenti dei principali partiti d’opposizione. Il Presidente del Partito 
populista social democratico (Sosyal Demokratik Halkçı Partisi, Sdhp), 
Erdal Inönü, accusò apertamente Özal di discriminazione religiosa, 
parallelamente, il leader del Partito della retta via (Doğru Yol Partisi, Dyp), 
Süleyman Demirel, noto per la sua abituale moderazione, nella circostanza 
non esitò a denunciare “la prostrazione del Presidente turco verso il 
Cremlino”
12
.  
La posizione adottata dal Governo fu sostenuta da principali 
quotidiani del paese che, da un lato, evidenziarono la loro simpatia e 
sostegno morale verso gli “indistruttibili legami fra la Turchia e 
l’Azerbaigian fondati su una comune origine etnica, linguistica e culturale”, 
dall’altro, suggerirono lucidamente che “la Turchia non doveva cadere nella 
trappola che si stava aprendo nel Caucaso”
13
. La Turchia, nel gennaio 1990, 
si trovò, quindi, ad affrontare una situazione ambigua e densa di insidie per 
la quale non era assolutamente preparata, così come suggeriscono Hugh and 
Nicole Pope, “Many turks were confused. Their awarness of the Turkish 
east had been deliberately suppressed by repubblican ideologues”
14
. 
                                                          
11
 Briefing, “Özal’s moderate line resists multiple attacks”, Issue 772, p.5. La stessa 
dichiarazione è riportata anche dal quotidiano turco Cumhuriyet, “Flas Ülke Oluruz” 
(Sorprendentemente, tutti parlano di noi), 19 gennaio 1990 e da Tadeusz Swietochowki, 
“Azerbaijan’s Triangular Relationship: The land between Russia, Turkey and Iran”, in Ali 
Banuzizi & Myron Weiner, M., eds., The New Geopolitics of Central Asia and Its 
Borderlands, I.B.Tauris, London, 1994, p.126. 
12
 Hunter, S., The Transcaucasus…, Op. cit., p.163. Il quotidiano panturchista Tercuman 
censurò il commento del Presidente Özal ritraendo, nella prima pagina del giornale lasciata 
completamente bianca, una scatola nera vuota. Una piccola nota di fondo affermava che le 
dichiarazioni di Özal non apparivano per evitare di infuriare ulteriormente il lettore. 
Tercuman, 22 gennaio 1990. 
13
 Le Monde Diplomatique, “Le drame azeri divise la Turquie”, Marzo 1990, p.10. E’ 
interessante notare che lo stesso quotidiano Tercuman, pur aprendo con delle prime pagine 
zeppe di poemi azeri inneggianti alla libertà e con fotografie dei civili massacrati dalle 
truppe di Mosca, negli editoriali interni evidenziava la necessità di non farsi ingannare dalle 
provocazioni nazionalistiche e da velleità espansionistiche. Tercuman, numeri vari del 
gennaio 1990. 
14
 Nicole Pope & Hugh Pope, Turkey Unveiled, Atatürk and After, John Murray, London, 
1997, p.281. 
 10
L’infondere nelle menti dei giovani alunni delle scuole dell’obbligo 
le tesi della storiografia ufficiale della Turchia kemalista, che magnificano 
le origini centroasiatiche turche e individuano nell’Asia centrale la 
madrepatria, aveva costituito un compito assai più agevole, e certamente 
meno insidioso, rispetto a quello di interessarsi concretamente delle 
popolazioni turchesche dell’Asia Centrale e del Transcaucaso, ancora 
saldamente controllate dal regime sovietico.  
Nel 1990, ogni iniziativa intesa ad espandere l’influenza della 
Turchia verso queste regioni era limitata, se non totalmente preclusa, 
dall’eventualità di un conflitto con l’Unione Sovietica di Michail 
Gorbaciov
15
. 
Allo stesso tempo, la crescente instabilità della regione 
Transcaucasica accentuò ulteriormente il senso di inquietudine che si era 
diffuso in Turchia in seguito al progressivo allentamento dei legami tra 
Ankara e i suoi alleati occidentali. Infatti, se da un lato, gli sviluppi 
rivoluzionari del 1989 nell’Europa orientale e la conseguente 
trasformazione delle relazioni di sicurezza tra l’Est e l’Ovest avevano 
sollevato difficili interrogativi sul ruolo della Turchia nella Nato e, più in 
generale, sulle relazione tra Ankara e l’Occidente, dall’altro lato, la 
sensazione d’ansia percepita da Ankara era stata contemporaneamente 
inasprita dalla decisione di Bruxelles (dicembre 1989) di rigettare la 
domanda turca di adesione alla Comunità, nonché dalla crescente tensione 
che aveva caratterizzato i rapporti tra la Turchia e la Grecia nel corso della 
                                                          
15
 In un documento confidenziale trasmesso al Ministro degli Esteri turco il 21 gennaio 
1990, l’Ambasciatore sovietico ad Ankara, Albert Sergeyevitch Chernishev, pur 
apprezzando il “moderato e realistico atteggiamento adottato da Ankara” in relazione agli 
eventi di Baku, non esitò a indicare che “era essenziale per la Turchia mantenere tale 
posizione”. L’episodio mi è stato riferito da un alto funzionario del Ministero degli Esteri 
turco – che mi ha chiesto di non essere nominato - durante un’intervista nel giugno 1996. 
Il 22 gennaio 1990, in una conferenza stampa, l’Incaricato d’Affari dell’Ambasciata 
dell’Urss, Valter Shonia, attaccò apertamente la stampa turca e certi circoli politici per il 
loro approccio alla questione azera. “Se c’è un incendio nella mia abitazione e il 
dirimpettaio si avvicina con una tanica di benzina, io non credo nelle sue buone intenzioni”, 
aggiunse il diplomatico sovietico. Citato da Briefing, “Latent Tensions Between Ankara 
and Moscow over Azerbaijan”, Issue 772, 29 January 1990, p.3. 
 11
seconda metà degli anni Ottanta. L’apprensione predominante in Turchia 
nel 1990 fu ben sintetizzata dal settimanale Briefing, una pubblicazione nota 
per l’elevata qualità e imparzialità delle sue analisi: 
 
“It is a critical period for Turkish foreign policy, we are told, day after 
day, by the columnists…Turkish minorities in Greece and – still – 
Bulgaria are being oppressed…The West, for its part, is said to be coming 
increasingly under the influence of Greek and Armenia propaganda. 
Witness the way the Azerbaijan crisis has been reported in the Western 
media…the importance of Turkey’s defence role as the outpost of NATO 
has suddenly become minimal, so aid can be cut and the EC does need to 
think twice about shelving Turkey’s application for full membership…In 
summary, everything and everybody on the international scene is against 
Turkey, and her traditional enemies are taking advantage of the 
situation”
16
. 
 
 La Turchia si era quindi trovata, a cavallo tra la fine degli anni 
Ottanta e l’inizio del decennio successivo, all’interno di un campo di forze 
che, già complesso negli anni della Guerra Fredda, si stava ulteriormente 
evolvendo con il disgelo tra l’Est e l’Ovest e la progressiva disgregazione 
dell’Urss, che con la sua scomparsa determinò l’apertura dello scacchiere 
centroasiatico alle influenze di Ankara. 
 
                                                          
16
 Briefing, “A break from the past needed in international outlook”, Issue n.774, 10 
February 1990, pp.10-12. 
 12
1. Le relazioni con l’Unione Sovietica di Michail Gorbaciov. 
 All’inizio degli anni Ottanta i rapporti turco-sovietici si erano 
contraddistinti per il loro dinamismo: una novità rispetto al torpore che li 
aveva caratterizzati nel corso del decennio precedente. Entrambi gli Stati 
avevano adottato un approccio essenzialmente pragmatico inteso a evitare 
che eventuali dissidi su singole questioni di importanza marginale potessero 
inficiare quella che doveva diventare una relazione stabile, il cui scopo 
principale era lo sviluppo di un sempre maggiore interscambio economico-
commerciale che fosse di vantaggio reciproco. A tale scopo, Ankara e 
Mosca conclusero in occasione della visita in Turchia del Premier sovietico 
Nikolai Tikhonov (26-27 dicembre 1984) un accordo decennale di 
cooperazione in campo economico, commerciale e scientifico
17
. 
 In particolare, l’Urss poteva offrire alla Turchia le risorse 
energetiche di cui il paese aveva disperatamente bisogno per poter 
diversificare le fonti di approvvigionamento e, quindi, meglio affrontare 
eventuali crisi petrolifere che negli anni Settanta avevano contribuito, come 
sostiene Temel Iskit, “a causare la peggiore crisi economica nella storia 
della Repubblica”
18
. L’obiettivo comune turco-sovietico di aumentare 
l’interscambio commerciale, e quello turco di rispondere alla crescente 
domanda interna di energia furono ambedue simultaneamente raggiunti 
dallo storico accordo per la fornitura di gas naturale russo siglato il 18 
settembre 1984.  
                                                          
17
 A. Vassiliev, Russian Policy in the Middle East, Ithaca Press, Reading, 1993, p.122. e 
Washington Post, “Soviet’s Turkish Visit Fails to Produce Communique”, 28 December 
1984. 
18
 Temel Iskit, “Turkey: A New Actor in the Field of Energy Policy?”, Perceptions, 
vol.1,n.1, March-May 1996, pp.58-82. La crisi petrolifera del 1973 e i seguenti sbalzi del 
petrolio che caratterizzano tutto il decennio colpirono molto duramente l’economia turca. A 
tal riguardo, basti ricordare che nel 1980, i ricavi delle esportazione furono pari a $2,9 
miliardi, mentre, il solo costo per l’importazione del greggio raggiungeva la cifra record di 
$3,9 miliardi. I dati sono riportati da Temel Iskit nell’articolo menzionato.