2
meno l’aspirazione di Ankara di diventare il trait-d’union imprescindibile
tra l’Occidente e le neo Repubbliche. Ridimensionata nelle sue ambizioni
geopolitiche, la Turchia, adottò, quindi, un basso profilo politico e un
approccio mirato a creare, per mezzo di una fitta serie di accordi, un clima
favorevole ad una cooperazione più intensa e pragmatica con le
“Repubbliche sorelle”. Una via di integrazione alternativa, basata sul
concetto geoeconomico di complementarità funzionale in campo
economico, culturale e tecnologico, che poteva essere sviluppata solo in
presenza di un “agente catalitico”, la Turchia appunto, nel processo di
formazione di uno spazio turcofono, a gerarchia variabile, con forte densità
di interdipendenza.
L’analisi della politica della Turchia verso le Repubbliche turcofone
dell’ex Urss nel periodo compreso tra il 1991 e il 1996 costituisce l’oggetto
di questa dissertazione. L’obiettivo principale di questo studio è quello di
cercare di identificare quali siano stati i fattori interni, regionali e
internazionali che hanno favorito e, al contempo, ostacolato la proiezione
della Turchia verso lo spazio eurasiatico, nonché quello di valutare l’impatto
di questi fattori sull’ostpolitik di Ankara. Attraverso questa analisi ci
proponiamo, inoltre, di esaminare l’influenza della coscienza geografica dei
turchi – che esprime il senso dello spazio proprio di questo popolo e che
affonda le radici nella sua storia e nella sua cultura – sulla formulazione e la
condotta della politica eurasiatica della Turchia. In altri termini, ci
chiediamo se il discorso panturchista che esalta l’esistenza di un’identità
transnazionale türk sulla scala dell’Eurasia abbia o meno un fondamento.
Infine, l’ambizione è anche quella di individuare gli interessi e gli obbiettivi,
e i loro eventuali mutamenti, della politica regionale turca verso il Caucaso
meridionale e l’Asia centrale tenendo conto dell’interazione, in una arco di
tempo compreso tra il 1991 e il 1996, con gli altri attori che operavano nelle
stesse regioni e delle reazioni degli alleati occidentali della Turchia.
Sul piano del contenuto, dato il taglio regionale che si è voluto dare
alla ricerca, sono state prese in considerazione le iniziative politiche,
3
economiche e culturali della Turchia verso le cinque Repubbliche turcofone
dell’ex Urss: Azerbaigian, Kazakistan, Kirghizistan, Turkmenistan e
Uzbekistan. Pertanto, dato l’obiettivo prefissato nella definizione di spazio
geopolitico turco si sono incluse tutte e cinque queste Repubbliche sebbene,
da un punto di vista strettamente geografico, l’Azerbaigian non sia parte
della regione centroasiatica ma dell’area transcaucasica. Al di là del
problema delle definizione del “mondo turco” si tratterà per noi di
esaminare gli attori – ufficiali e occulti – delle relazioni con le nuove
Repubbliche turchesche e di studiare le loro strategie e l’evoluzione del
discorso e delle pratiche delle autorità turche e dei circoli panturchisti di
fronte a questo nuovo orizzonte della politica estera turca. Per ragioni di
accesso alle fonti in questo studio ci concentreremo sull’Azerbaigian e
sull’Asia centrale, detta “media” (Orta Asya) in turco, che si estende dal
Turkmenistan al Kazakistan. Trascureremo così, i margini dell’“area
turchesca” sia a nord (Caucaso: Daghestan e Repubblica dei Calmucchi), sia
a ovest (Balcani), sia all’estremo oriente (Cina: Sinkiang).
Dal punto di vista pratico ed organizzativo, lo studio è stato
strutturato privilegiando una chiave di lettura geopolitica. Una scelta,
questa, che non è neutrale, in quanto, secondo l’autore, il discorso
geopolitico esprime una particolare visione realista, soggettiva, conflittuale
delle relazioni internazionali e della politica estera. Non si vuole, comunque,
attribuire al fattore geografico un valore deterministico, bensì esso viene
costantemente tenuto presente nell’analisi come opportunità e
condizionamento; come fattore di potenza e come condizione di
vulnerabilità; come posta in gioco, come teatro e come contesto generale in
cui si svolge l’azione
1
. E’ quindi attribuita maggiore rilevanza ad altri
fattori, come l’economia, la cultura, l’ideologia, la religione, la cultura
rispetto a quelli fisici, il cui influsso e significato sono stati profondamente
modificati dalla tecnologia.
1
Carlo Jean, Geopolitica, Laterza, Roma-Bari, 1996, p.11.
4
Sul piano metodologico, la scelta è andata in favore del caso singolo
per due diverse ragioni. In primo luogo, non avendo l’ambizione di produrre
alcuna generalizzazione o teoria causale dotata di qualche attendibilità si è
preferito optare per un disegno di ricerca più semplice da realizzare.
Secondariamente, lo studio del caso è stato preferito perché permette di
utilizzare nell’analisi una pluralità di risorse – documenti ufficiali,
quotidiani e periodici, pubblicistica di vario genere, interviste e raccolta di
informazioni in loco, etc. – che hanno il pregio di offire uno spaccato più
ampio delle tematiche affrontate e che, quindi, potevano aiutare chi scrive a
comprendere meglio il tema trattato.
Per quanto concerne l’attività di ricerca, questa è stata condotta in
una prima fase in Italia, ma data la scarsa disponibilità di documentazione in
lingua italiana, è stata successivamente svolta in Gran Bretagna, e in due
diversi momenti, soprattutto in Turchia. Grazie alla borse di studio concesse
dall’Associazione Roberto Ruffilli e dal Centro Italiano di Solidarietà
Sociale Antonio Schiavi, l’autore ha potuto raccogliere una consistente
documentazione presso la biblioteca della School of Oriental and African
Studies (Soas) dell’Università di Londra e svolgere un primo periodo di
ricerca (giugno-luglio 1996) in Turchia della durata di circa due mesi. In
quell’occasione, preziosa è stata l’assistenza prestatami dal direttore e dallo
staff dell’Istituto di politica estera di Ankara (Dış Politika Enstitüsü, Dpe),
grazie alla quale, oltre a poter usufruire delle cospicue risorse del centro,
sono riuscito a condurre una fitta serie di interviste con le autorità e gli
studiosi turchi interessanti, seppur come presumibile con due approcci
diversi, al mondo turchesco. Parallelamente, durante questa prima
permanenza in Turchia frequentai un corso intensivo di turco che mi
permise di conoscere, al termine del mio soggiorno, le nozioni fondamentali
della lingua turca. Successivamente, grazie ad una generosa borsa di studio
della Fondazione internazionale dei Rotary clubs ho avuto la possibilità di
risiedere in Turchia per circa due anni (settembre 1997 - giugno 1999).
Durante questo periodo, per quanto concerne specificatamente questo
5
studio, ho affinato la mia conoscenza del turco in modo tale da poter
utilizzare le risorse disponibili in tale lingua e condotto un’ulteriore attività
di ricerca presso le principali biblioteche universitarie (Università di
Bilkent, Ankara; Università del Bosforo, Istanbul) del paese nonché presso
il centro documentazione del Consiglio statale per l’educazione superiore
(Yüksek Öğretim Kurumu-Yök). La protratta permanenza in Turchia mi ha
permesso inoltre di entrare in contatto con una pluralità di figure – studiosi,
giornalisti, funzionari governativi e studenti universitari – la cui
disponibilità mi ha offerto la possibilità di acquisire, una visione d’insieme
sulla Turchia in generale, e sul tema di questo studio in particolare, che ha
arricchito ulteriormente la mia conoscenza fino allora basata essenzialmente
sulla pubblicistica e sugli studi di carattere scientifico.
6
CAPITOLO I
LA FASE D’ANSIA, 1986-1991.
Nella serata del 20 gennaio 1990, una voce profonda e emozionata
riportò la principale notizia trasmessa dal notiziario di Trt1, il primo canale
della televisione pubblica turca
2
. Le parole erano indistinte, ma
ciononostante comprensibili a tutti. Sera dopo sera, l’attenzione dei turchi fu
insistentemente attirata dalla medesima voce – sempre più rotta
dall’emozione – di un uomo di cui non avevano mai sentito parlare e che si
esprimeva in una lingua che pochi sapevano esistere: l’azero. La voce era
quella di Abulfez Elçibey
3
che, dal suo nascondiglio in Baku, diffondeva al
telefono la notizia dello scoppio di una nuova guerra contro gli Armeni,
annunciava l’avvio di una rivolta nazionalista turca e denunciava la
successiva repressione della stessa da parte dei carri armati dell’Armata
Rossa inviati da Mosca
4
.
I terribili fantasmi della storia erano riapparsi a Baku il 13 e 14
gennaio 1990: i pogrom antiarmeni scatenati da bande di facinorosi, in
assenza di qualsiasi intervento della polizia, provocarono ufficialmente 32
morti, ma la voce popolare armena li ha moltiplicati. Sul terreno politico, gli
eventi armeno-azeri mostrarono che la trasmissione del potere dal centro
alla periferia si era spezzata irreversibilmente. Mosca non era più in grado di
far rispettare le sue direttive e l’uso della forza dispiegata tra il 20 e il 24
2
Nell’ottobre 1997, ho avuto in visione le videocassette dei notiziari trasmessi da Trt1 il
20,21,22,23,24, e 25 gennaio 1990, grazie alla gentile intercessione di un funzionario della
stessa emittente televisiva che vuole rimanere anonimo.
3
Abulfez G. Aliyev abbandonò il suo cognome originale, adottando quello di Elçibey
(inviato del popolo) dopo essere stato nominato Presidente dell’esecutivo del Fronte
popolare azero il 16 luglio 1989. Autodefinitosi Kemalista e aperto sostenitore dell’idea di
una federazione tra la Turchia e l’Azerbaigian, si distinse per il suo orientamento
antisovietico e antirusso e quale fautore del sogno panazero del “Grande Azerbaigian”.
Nominato Presidente dell’Azerbaigian il 7 giugno 1992 fu costretto a lasciare il potere e
Baku a poco più di un anno di distanza (18 luglio 1993), in seguito al colpo di stato
organizzato – con la complicità di Mosca – dall’ex Ministro della Difesa, Suret Gusejnov.
4
Gli eventi del “gennaio nero” di Baku sono raccontati in dettaglio nel libro di Audrey
Altstadt, The Azerbaijani Turks-Power and Identity Under Russian Rule, Hoover Institution
Press, Stanford, 1992, pp.210-219.
7
gennaio a Baku dall’Armata Rossa contro i dimostranti azeri, che provocò,
stando alle fonti ufficiali 83 morti
5
, servì soltanto a riportare una
temporanea apparenza d’ordine nella capitale azera.
Gli eventi del “gennaio nero” di Baku non condussero solamente alla
semplice riscoperta dei “cugini azeri” da lungo tempo dimenticati: il
confronto armato tra azeri e armeni – il primo conflitto che lacerò l’Unione
Sovietica – causò, anzitutto, un brusco risveglio politico ai turchi e al
governo di Ankara
6
. Il corso degli avvenimenti scatenò, infatti, un fermento
nazionalista nelle provincie turche confinanti con il Transcaucaso,
storicamente popolate da una vasta comunità (circa 400.000 individui) di
etnia azera: il 25 gennaio 1990 più di diecimila manifestanti si riunirono
nella cittadina turca di Igdir per dimostrare il loro sostegno alla popolazione
azera di Baku “vittima della violenza armena e di Mosca” e per invocare
l’invio delle truppe turche nella capitale azera. In precedenza, ad Istanbul, si
erano svolte, con il beneplacito delle autorità turche, numerose
manifestazioni di protesta innanzi al Consolato generale dell’Urss,
organizzate da gruppi vicini al Partito nazionalista d’azione (Milliyetçi
Hareket Partisi, Mhp) e alla diaspora azera
7
.
5
La commissione indipendente “Scudo” (Shchit), istituita dalla Procura Militare di Mosca,
nella sua relazione finale concluse che il reale numero dei morti era 120 fra i civili e 12 fra i
militari
6
L’interesse dei turchi nel gennaio del 1990 è attirato dal fatto che per la prima volta dalla
ripresa (1987-88) degli scontri tra armeni e azeri, le vittime sono in maggioranza azeri.
Inoltre, è proprio dal gennaio-febbraio 1990, dopo scontri durissimi ma sporadici, che ha
inizio il confronto armato all’interno del Nagorno-Karabakh che si fermerà nel 1994 grazie
ad un accordo di cessare il fuoco ottenuto dalla mediazione di Mosca e dell’Osce. Il
conflitto azero-armeno risale agli inizi del Ventesimo secolo ma il vero punto di svolta fu
costituito dalla decisione di Stalin di sottrarre, nel 1921, al controllo dell’Armenia il
Nagorno-Karabakh, un’enclave montuosa popolata in prevalenza da armeni, e sottoporlo
alla giurisdizione dell’Azerbaigian. Per un’analisi, v. Shireen Hunter, The Trancaucasus in
Transition. Nation Building and Conflict, CSIS, Washington D.C., 1994, pp.97-104.
7
Provincie orientali di Kars e Ağri e le cittadine di Kağızman, Tuzluca, Aralık e Igdir. Si
veda Hugh Pope, “Turkish azeris call for action against killer armenians”, Independent,
January 26, 1990, p.8 e Jim Bodgener, “Turkey’s azerbaijani people prepare to demonstrate
feelings of kinship”, Financial Times, January 24, 1990, p.2. Temendo lo scoppio di
eventuali incidenti, e secondariamente, l’arrivo di un massiccio numeri di profughi, il
Governo turco decise di rinforzare le misure di sicurezza nei pressi del confine con le
Repubbliche Socialiste dell’Armenia e dell’Azerbaigian. Un cospicuo contingente di soldati
fu inviato nei pressi del fiume Araks, il cui corso marca il confine fra la Turchia e le due
Repubbliche Transcaucasiche. Vedi Briefing, “Concern in Ankara over developments in the
8
Gli inviti alla calma e alla moderazione lanciati dal governo turco si
scontrarono con le ambiziose visioni di molti esponenti delle fazioni più
radicali dello stesso partito di maggioranza. Significativamente, numerosi
deputati del Partito della madrepatria (Anavatan Partisi, Anap) nelle loro
interpellanze in Parlamento utilizzarono ripetutamente l’espressione “nostri
cittadini” per riferirsi alla popolazione azera. Il sogno dell’unione di tutte le
popolazioni turchesche dall’Egeo alla Cina, sino ad allora appannaggio di
alcuni circoli militanti dell’estrema destra, fu abbracciato da un vasto
numero di parlamentari che accolsero con entusiasmo le roboanti
dichiarazioni rilasciate dal ministro di Stato, Ercument Konukman, in
un’intervista rilasciata al quotidiano Hürriyet. Konukam, esponente di
rilievo della fazione nazionalista interna all’Anap, annunciò trionfalmente
che “nei prossimi anni i Turchi nei paesi vicini formeranno degli stati
indipendenti sotto la bandiera turca. Il vecchio e malato turco-ottomano del
diciannovesimo secolo riguadagnerà la sua forza originaria”
8
.
Nonostante però le pressioni esercitate dall’opinione pubblica
9
, dalla
diaspora azera e dai nazionalisti turchi per un sostegno più attivo agli insorti
di Baku, il governo turco adottò una politica molto moderata e
dichiaratamente non interventista definendo gli eventi in Azerbaigian come
una “questione interna all’Unione Sovietica”
10
. La posizione di Ankara fu
chiaramente espressa dal Presidente Turgut Özal, all’epoca in visita ufficiale
negli Stati Uniti. In un suo discorso all’International Club di Washington
D.C., Özal affermò che “gli eventi di Baku interessano l’Iran e non la
Turchia poiché gli azeri sono sciiti mentre i turchi sono sunniti…inoltre, è
Caucasus”, Issue 771, pp.10-11 e Hugh Pope, “The Azeri revolt:Turkish troops on border
alert”, Independent, January 22, 1990, p.8.
8
L’episodio e le polemiche scoppiate in seguito all’intervista del Ministro Konukman sono
ben descritti in Briefing, “Minister fuels nationalist revival theories at a crucial time, Issue
771, pp.12-13.
9
Le posizioni più radicali furono assunte dai quotidiani vicini al Mhp, come Türkiye e
Ortadoğu, e quelli più dichiaratamente islamici: Milli Gazete e Yeni Şafak.
10
Citato in H. Pope, “The Azeri revolt.., Op. cit.
9
impossibile per la Turchia intervenire in una questione interna sovietica”
11
.
Le dichiarazioni di Özal scatenarono, inevitabilmente, le dure reazioni degli
esponenti dei principali partiti d’opposizione. Il Presidente del Partito
populista social democratico (Sosyal Demokratik Halkçı Partisi, Sdhp),
Erdal Inönü, accusò apertamente Özal di discriminazione religiosa,
parallelamente, il leader del Partito della retta via (Doğru Yol Partisi, Dyp),
Süleyman Demirel, noto per la sua abituale moderazione, nella circostanza
non esitò a denunciare “la prostrazione del Presidente turco verso il
Cremlino”
12
.
La posizione adottata dal Governo fu sostenuta da principali
quotidiani del paese che, da un lato, evidenziarono la loro simpatia e
sostegno morale verso gli “indistruttibili legami fra la Turchia e
l’Azerbaigian fondati su una comune origine etnica, linguistica e culturale”,
dall’altro, suggerirono lucidamente che “la Turchia non doveva cadere nella
trappola che si stava aprendo nel Caucaso”
13
. La Turchia, nel gennaio 1990,
si trovò, quindi, ad affrontare una situazione ambigua e densa di insidie per
la quale non era assolutamente preparata, così come suggeriscono Hugh and
Nicole Pope, “Many turks were confused. Their awarness of the Turkish
east had been deliberately suppressed by repubblican ideologues”
14
.
11
Briefing, “Özal’s moderate line resists multiple attacks”, Issue 772, p.5. La stessa
dichiarazione è riportata anche dal quotidiano turco Cumhuriyet, “Flas Ülke Oluruz”
(Sorprendentemente, tutti parlano di noi), 19 gennaio 1990 e da Tadeusz Swietochowki,
“Azerbaijan’s Triangular Relationship: The land between Russia, Turkey and Iran”, in Ali
Banuzizi & Myron Weiner, M., eds., The New Geopolitics of Central Asia and Its
Borderlands, I.B.Tauris, London, 1994, p.126.
12
Hunter, S., The Transcaucasus…, Op. cit., p.163. Il quotidiano panturchista Tercuman
censurò il commento del Presidente Özal ritraendo, nella prima pagina del giornale lasciata
completamente bianca, una scatola nera vuota. Una piccola nota di fondo affermava che le
dichiarazioni di Özal non apparivano per evitare di infuriare ulteriormente il lettore.
Tercuman, 22 gennaio 1990.
13
Le Monde Diplomatique, “Le drame azeri divise la Turquie”, Marzo 1990, p.10. E’
interessante notare che lo stesso quotidiano Tercuman, pur aprendo con delle prime pagine
zeppe di poemi azeri inneggianti alla libertà e con fotografie dei civili massacrati dalle
truppe di Mosca, negli editoriali interni evidenziava la necessità di non farsi ingannare dalle
provocazioni nazionalistiche e da velleità espansionistiche. Tercuman, numeri vari del
gennaio 1990.
14
Nicole Pope & Hugh Pope, Turkey Unveiled, Atatürk and After, John Murray, London,
1997, p.281.
10
L’infondere nelle menti dei giovani alunni delle scuole dell’obbligo
le tesi della storiografia ufficiale della Turchia kemalista, che magnificano
le origini centroasiatiche turche e individuano nell’Asia centrale la
madrepatria, aveva costituito un compito assai più agevole, e certamente
meno insidioso, rispetto a quello di interessarsi concretamente delle
popolazioni turchesche dell’Asia Centrale e del Transcaucaso, ancora
saldamente controllate dal regime sovietico.
Nel 1990, ogni iniziativa intesa ad espandere l’influenza della
Turchia verso queste regioni era limitata, se non totalmente preclusa,
dall’eventualità di un conflitto con l’Unione Sovietica di Michail
Gorbaciov
15
.
Allo stesso tempo, la crescente instabilità della regione
Transcaucasica accentuò ulteriormente il senso di inquietudine che si era
diffuso in Turchia in seguito al progressivo allentamento dei legami tra
Ankara e i suoi alleati occidentali. Infatti, se da un lato, gli sviluppi
rivoluzionari del 1989 nell’Europa orientale e la conseguente
trasformazione delle relazioni di sicurezza tra l’Est e l’Ovest avevano
sollevato difficili interrogativi sul ruolo della Turchia nella Nato e, più in
generale, sulle relazione tra Ankara e l’Occidente, dall’altro lato, la
sensazione d’ansia percepita da Ankara era stata contemporaneamente
inasprita dalla decisione di Bruxelles (dicembre 1989) di rigettare la
domanda turca di adesione alla Comunità, nonché dalla crescente tensione
che aveva caratterizzato i rapporti tra la Turchia e la Grecia nel corso della
15
In un documento confidenziale trasmesso al Ministro degli Esteri turco il 21 gennaio
1990, l’Ambasciatore sovietico ad Ankara, Albert Sergeyevitch Chernishev, pur
apprezzando il “moderato e realistico atteggiamento adottato da Ankara” in relazione agli
eventi di Baku, non esitò a indicare che “era essenziale per la Turchia mantenere tale
posizione”. L’episodio mi è stato riferito da un alto funzionario del Ministero degli Esteri
turco – che mi ha chiesto di non essere nominato - durante un’intervista nel giugno 1996.
Il 22 gennaio 1990, in una conferenza stampa, l’Incaricato d’Affari dell’Ambasciata
dell’Urss, Valter Shonia, attaccò apertamente la stampa turca e certi circoli politici per il
loro approccio alla questione azera. “Se c’è un incendio nella mia abitazione e il
dirimpettaio si avvicina con una tanica di benzina, io non credo nelle sue buone intenzioni”,
aggiunse il diplomatico sovietico. Citato da Briefing, “Latent Tensions Between Ankara
and Moscow over Azerbaijan”, Issue 772, 29 January 1990, p.3.
11
seconda metà degli anni Ottanta. L’apprensione predominante in Turchia
nel 1990 fu ben sintetizzata dal settimanale Briefing, una pubblicazione nota
per l’elevata qualità e imparzialità delle sue analisi:
“It is a critical period for Turkish foreign policy, we are told, day after
day, by the columnists…Turkish minorities in Greece and – still –
Bulgaria are being oppressed…The West, for its part, is said to be coming
increasingly under the influence of Greek and Armenia propaganda.
Witness the way the Azerbaijan crisis has been reported in the Western
media…the importance of Turkey’s defence role as the outpost of NATO
has suddenly become minimal, so aid can be cut and the EC does need to
think twice about shelving Turkey’s application for full membership…In
summary, everything and everybody on the international scene is against
Turkey, and her traditional enemies are taking advantage of the
situation”
16
.
La Turchia si era quindi trovata, a cavallo tra la fine degli anni
Ottanta e l’inizio del decennio successivo, all’interno di un campo di forze
che, già complesso negli anni della Guerra Fredda, si stava ulteriormente
evolvendo con il disgelo tra l’Est e l’Ovest e la progressiva disgregazione
dell’Urss, che con la sua scomparsa determinò l’apertura dello scacchiere
centroasiatico alle influenze di Ankara.
16
Briefing, “A break from the past needed in international outlook”, Issue n.774, 10
February 1990, pp.10-12.
12
1. Le relazioni con l’Unione Sovietica di Michail Gorbaciov.
All’inizio degli anni Ottanta i rapporti turco-sovietici si erano
contraddistinti per il loro dinamismo: una novità rispetto al torpore che li
aveva caratterizzati nel corso del decennio precedente. Entrambi gli Stati
avevano adottato un approccio essenzialmente pragmatico inteso a evitare
che eventuali dissidi su singole questioni di importanza marginale potessero
inficiare quella che doveva diventare una relazione stabile, il cui scopo
principale era lo sviluppo di un sempre maggiore interscambio economico-
commerciale che fosse di vantaggio reciproco. A tale scopo, Ankara e
Mosca conclusero in occasione della visita in Turchia del Premier sovietico
Nikolai Tikhonov (26-27 dicembre 1984) un accordo decennale di
cooperazione in campo economico, commerciale e scientifico
17
.
In particolare, l’Urss poteva offrire alla Turchia le risorse
energetiche di cui il paese aveva disperatamente bisogno per poter
diversificare le fonti di approvvigionamento e, quindi, meglio affrontare
eventuali crisi petrolifere che negli anni Settanta avevano contribuito, come
sostiene Temel Iskit, “a causare la peggiore crisi economica nella storia
della Repubblica”
18
. L’obiettivo comune turco-sovietico di aumentare
l’interscambio commerciale, e quello turco di rispondere alla crescente
domanda interna di energia furono ambedue simultaneamente raggiunti
dallo storico accordo per la fornitura di gas naturale russo siglato il 18
settembre 1984.
17
A. Vassiliev, Russian Policy in the Middle East, Ithaca Press, Reading, 1993, p.122. e
Washington Post, “Soviet’s Turkish Visit Fails to Produce Communique”, 28 December
1984.
18
Temel Iskit, “Turkey: A New Actor in the Field of Energy Policy?”, Perceptions,
vol.1,n.1, March-May 1996, pp.58-82. La crisi petrolifera del 1973 e i seguenti sbalzi del
petrolio che caratterizzano tutto il decennio colpirono molto duramente l’economia turca. A
tal riguardo, basti ricordare che nel 1980, i ricavi delle esportazione furono pari a $2,9
miliardi, mentre, il solo costo per l’importazione del greggio raggiungeva la cifra record di
$3,9 miliardi. I dati sono riportati da Temel Iskit nell’articolo menzionato.