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INTRODUZIONE
Sono passati più di cent’anni dalla nascita del cinema, dalle prime
proiezioni dei fratelli Lumière, e fin dai primi spettacoli questa grande invenzione
suscita negli spettatori l'emozione di chi assiste ad un evento del tutto nuovo e
sorprendente. Ciò che maggiormente colpiva il pubblico, durante quelle
proiezioni, era il «realismo» della rappresentazione, la naturalezza e la «verità»
degli oggetti e dei personaggi riprodotti.1 I primi spettacoli cinematografici erano
tutti basati sugli effetti che illusoriamente riproducevano il movimento e
tentavano la fedele riproduzione della realtà fenomenica. Per i fratelli Lumière il
cinema, infatti, doveva fornire informazioni, doveva essere un’illustrazione
realistica dei fatti quotidiani e della realtà sociale della vita contemporanea, in
tutte le sue manifestazioni.2 Ed è questo lo stesso concetto che André Bazin, uno
dei più influenti storici e teorici del cinema, pone al centro di uno dei più famosi
saggi sulla settima arte, e cioè Il mito del cinema totale (1946). In questo scritto, il
teorico francese afferma che l’intento dei “profeti” del cinematografo è quello di
catturare la realtà nella sua interezza, nella sua completezza, e di restituire con
l’immagine in movimento «un’illusione perfetta del mondo esterno»3. Infatti,
Bazin stesso afferma:
Il mito direttore dell’invenzione del cinema è dunque il compimento di quello
che domina confusamente tutte le tecniche di riproduzione meccanica della realtà
che nacquero nel XIX secolo, dalla fotografia al fonografo. È quello del realismo
1
M. Gieri, Cinema. Dalle origini allo studio system (1895-1945), Carocci, Roma, 2009,
pp. 46-47.
2
Ibid.
3
Ivi, pp. 15-16.
4
integrale, di una ricreazione del mondo a sua immagine, un’immagine sulla quale
non pesasse l’ipoteca della libertà d’interpretazione dell’artista né l’irreversibilità
del tempo.4
Oggi il cinema è diventato una componente essenziale e quotidiana della
vita di tutti noi, e sono milioni le persone che si affollano nelle sale
cinematografiche; viviamo in un fiume inesauribile di immagini, le quali da una
parte documentano i problemi e le vicende del nostro tempo, e dall’altra
riproducono finzione e fantasia. Ancor oggi i diversi generi cinematografici si
muovono lungo i due grandi filoni che caratterizzarono l’esordio del mezzo, e
cioè quello realistico e quello fantastico; essi, infatti, possono coesistere, come
aspetti di una medesima realtà filmica, anche se è in atto una riscoperta dei valori
d’origine, un ritorno ai principi realistico-informativi dello strumento
cinematografico.
Il mio intento in questa tesi è dunque quello di rappresentare la vocazione
originaria dello strumento cinematografico, ovvero quella di rappresentare la
realtà che ci circonda, analizzando in particolare il lavoro di tre registi, Carlo
Lizzani, Francesco Rosi, e Pier Paolo Pasolini, i quali, in maniera peculiare,
hanno manifestato, attraverso il cinema, la loro passione per il realismo. Un
ulteriore elemento che vorrei sottolineare, un denominatore comune fra i tre
autori, è caratterizzato dalla scelta di Matera come luogo in cui ambientare i loro
film.
Il motivo predominante che mi ha spinto a raccogliere idee e documenti
sui film girati a Matera è rappresentato dall’amore per la mia città e, allo stesso
4
A. Bazin, Il mito del cinema totale, in Id., Che cos’è il cinema?, Garzanti, Milano, 1979, p. 15.
5
tempo, da un’antica passione per l’arte cinematografica, sentimenti che si
accentuano ogni volta che una troupe si trasferisce a Matera, per trovare la giusta
ambientazione ad un lavoro ideato sulla carta. Per me, sapere che un famoso
regista o un noto divo del cinema è a Matera per motivi di lavoro, e vederli
operare su di un set allestito in loco, costituisce motivo di grande interesse e
soddisfazione, oltre che un’esperienza emotiva coinvolgente.
Considerato il notevole contributo offerto dalla città dei Sassi, nell’arco di
oltre cinquant’anni, per la realizzazione di 21 film a soggetto nonché un
imprecisabile numero di corto o medio metraggi a carattere documentario, ciò che
vorrei evidenziare in questo lavoro è la veridicità e l’autenticità di questo luogo.
Una città che, con tutto il suo territorio circostante, si offre al cinema per una serie
di elementi caratterizzanti, che identificano il suo paesaggio come testimonianza
della storia e delle vicissitudini sociali e culturali del Mezzogiorno d’Italia.
La mia tesi si articola in tre capitoli, ove nel primo viene analizzata la
figura di Carlo Lizzani che attraverso il Neorealismo si avvale del cinema come
strumento di ricerca della verità e del significato della vita. Lizzani sottolinea
l’aspetto realistico del genere documentario, la cui prima definizione venne
coniata dal produttore e critico cinematografico John Grierson a proposito del film
Moana (1926) di Robert Flaherty. Esaminando in particolare il primo
documentario di Lizzani girato a Matera, Nel Mezzogiorno qualcosa è cambiato
(1949), si è evidenziata la costante attenzione nei confronti della società e i forti
toni di denuncia verso le tante piaghe che affliggevano l’Italia Meridionale negli
anni del dopoguerra. Il secondo capitolo è incentrato su Francesco Rosi, emblema
di riferimento per tutto il cinema della realtà. La sua produzione cinematografica è
6
attraversata, infatti, da una forte passione civile, tesa alla conoscenza e
all’approfondimento della nostra società. Le origini meridionali del regista hanno
indubbiamente influenzato la sua produzione cinematografica, tanto che gran
parte dei suoi film è dedicata alle problematiche del Mezzogiorno d’Italia. In
questo capitolo, inoltre, vengono esaminati i film di Rosi realizzati a Matera:
C’era una volta (1967), Tre fratelli (1981), e in modo particolare Cristo si è
fermato a Eboli (1979), un lavoro che contribuisce in modo preponderante a dare
una prima visibilità della Basilicata. Il terzo e ultimo capitolo è dedicato a Pier
Paolo Pasolini, e sottolinea l’amore che il regista provò nei confronti del cinema,
come mezzo che gli permetteva di rimanere in stretto contatto con la realtà. Le
inchieste, gli appunti filmati di eventi, i luoghi e i personaggi reali, diventarono
per Pasolini strumenti per la realizzazione di alcuni dei suoi documentari, come
Sopralluoghi in Palestina (1963). Il documentario per Pasolini, non è mera e
oggettiva documentazione audiovisiva, ma un modo per rappresentare sulla
pellicola il suo sguardo sul mondo. La realtà nel cinema di Pasolini è un modo per
lasciar parlare il reale attraverso il filtro poetico del linguaggio cinematografico da
lui definito “cinema di poesia”. Ed è proprio un’opera di poesia che Pasolini vuole
realizzare con il Vangelo secondo Matteo (1964), un film che intende esprimere la
sua nostalgia del sacro, al cui centro si trova l’interesse per il mito e non per la
storia, la religione o l’ideologia.5 Gli aspetti poetici del film sono svelati dal
“silenzio cinematografico”, come prospettiva sonora pura che non ha bisogno di
parole e, dall’interpretazione della mamma di Pasolini nel ruolo della Madonna,
definita dal critico cinematografico Tullio Kezich, «la Maria del testo sacro e la
5
L. De Giusti, I film di Pier Paolo Pasolini, Gremese, Roma, 1983, p. 68.
7
mamma dell’autore, ma insieme l’immagine di una delle innumerevoli madri
dolorose del nostro sud».6
La scelta di Matera da parte dei tre registi, e cioè Lizzani, Rosi e Pasolini,
è dettata dall’autenticità e dalla veridicità di questo luogo che, se pur in maniera
diversa, li ha impressionati profondamente. Lizzani, attraverso il suo
documentario, riporta il vero degrado e la profonda emarginazione della città,
emblema di un’arretratezza diffusa della popolazione meridionale. Rosi,
successivamente, riproduce nel suo film non solo il territorio lucano nella sua
verginità e desolazione, ma sottolinea anche le ricchezze paesaggistiche e la
spontaneità di quella gente che gli rimarrà sempre nel cuore. Pasolini, infine,
sceglie Matera proprio per la sua purezza e per la sua autenticità; egli infatti la
definì un luogo non ancora colonizzato dal potere e privo di segni di modernità, a
conferma della sua idea secondo cui «le cose quanto più sono piccole e umili,
tanto più sono grandi e belle nella loro miseria»7.
6
Ivi, p. 70.
7
S. Murri, Pier Paolo Pasolini, Il Castoro, Roma, 1994, p.48.
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CAPITOLO I
CARLO LIZZANI E IL NEOREALISMO
NEL CINEMA ITALIANO
1.1 Il Cinema Neorealista come racconto della Storia d’Italia
«La mia vita non è stata al servizio del cinema, ma piuttosto mi sono
servito del cinema e della televisione per conoscere il mondo. A cominciare dal
mio paese indagato attraverso il Neorealismo»8.
Queste parole riassumono il pensiero, ed invero l’essenza degli intenti
civili e sociali del cinema di Carlo Lizzani, regista, documentarista, attore,
sceneggiatore, critico, e autore di memorie che lo ritraggono come protagonista e
testimone attento del Neorealismo italiano. Durante le tappe del suo cammino
personale – fatto di fedeltà alle istanze estetiche ed etiche del Neorealismo, e
d’impegno politico attivo – Carlo Lizzani delinea i tratti essenziali di un cinema
che per lungo tempo, ha fatto scuola in tutto il mondo. Un cinema in cui il regista
ha operato, fin dagli anni quaranta, prima come allievo e collaboratore di molti
grandi registi del dopoguerra, e poi come narratore di tante vicende del nostro
paese.
Per Lizzani non si trattò solo di un’esperienza cinematografica, ma di
un’esperienza di vita tout court. Di tale esperienza fa parte un aspetto che in
quegli anni caratterizzò profondamente il cinema italiano: il senso di appartenenza
ad un movimento che non era solo di carattere estetico, ma che implicava anche
8
Intervista a Carlo Lizzani di Gabriella Gallozzi dell’Unità del 22/11/2004.