4
delle sue intenzioni e pensieri. "Non mi fido", "Sta mentendo", "Mi
piace", sono pensieri che sviluppiamo nei confronti di qualcuno
basandoci per lo più sul comportamento non verbale di questo
individuo e "in caso di dubbi circa la qualità dell'interazione, tendiamo
a dare più peso al sorriso o alla sua assenza, alla postura e ad altri
messaggi non verbali piuttosto che alla parola dell'interlocutore o
perlomeno a tenere conto di ambedue questi sistemi di
comunicazione"
1
.
Lo studio scientifico della comunicazione non verbale risale al
periodo immediatamente successivo al secondo conflitto mondiale; la
prima metà del secolo è stata infatti caratterizzata da isolati studi sulla
voce, l'abbigliamento e il volto. Con gli anni '50 si è invece avuto un
significativo incremento del numero di ricerche sulla comunicazione
non verbale ma è a partire dagli anni '60 che si è manifestata una vera
e propria esplosione dell'attenzione da parte dei ricercatori psico-
sociali. Negli ultimi decenni, in seguito a svariati studi, è maturata la
convinzione che la comunicazione umana risulti dalla interdipendenza
di diversi sistemi comunicativi: i processi di interazione, infatti, si
fondano sul funzionamento integrato e simultaneo di elementi verbali
ma anche intonazionali, paralinguistici e cinesici prodotti dai soggetti
che comunicano.
L'interesse per la ricerca di seguito presentata è sorto a partire
dalle considerazioni sopra descritte e dalla convinzione che negli
svariati contesti sociali la comunicazione non verbale ricopra una
importanza rilevante nella scelta del modo con cui rapportarsi all'altro.
1
Zammuner V.L., "La comunicazione non verbale", in Zammuner intervista e questionario, 1998
pp. 178-188
5
L'obiettivo del lavoro è infatti quello di individuare se e come gli
individui vengano influenzati nel giudizio avendo davanti a sé un
uomo o una donna.
Nei capitoli che seguiranno sarà presentato il lavoro svolto
trattando in primo luogo la comunicazione non verbale nelle sue
origini e funzioni sottolineandone la complessità interna. La
letteratura portata a sostegno di tale argomento servirà a presentare lo
sfondo teorico dal quale sono sorte le ipotesi e i metodi che hanno
dato origine alle ricerca effettuata.
A seguito di questa breve trattazione sarà presentata la tesi
secondo la quale esiste una differenza di genere dovuta a un dato
biologico e naturale nonché a condizionamenti sociali e culturali.
Sarà affrontato più specificatamente la ricerca in tutte le sue parti
dalla costruzione dello strumento alla descrizione della fase
sperimentale fino a giungere alla presentazione dei risultati ed alla
discussione critica dei dati acquisiti.
6
Capitolo I - La comunicazione non verbale
1. Definizioni
Le definizioni della comunicazione non verbale sono abbondanti
e diverse tra loro per ampiezza e rigore. La distinzione verbale-non
verbale non corrisponde a quella vocale-non vocale poiché vi sono, ad
esempio, dei movimenti delle mani che assumono il significato delle
parole e vocalizzazioni che non lo assumono. Sebbene attualmente
non esista alcuna definizione univoca, appare evidente che non si
possa fare riferimento alla sola comunicazione gestuale, mimica e
cinetica, ma che bisogna prendere in considerazione tutta una serie di
comportamenti in modo integrato, che vanno dalla prossemica
all'abbigliamento, agli stimoli olfattivi.
Qui di seguito è riportata a titolo esemplificativo una breve
trattazione circa alcuni tentativi di dare una definizione del
comportamento non verbale.
Knapp ha affermato che una possibile definizione del
comportamento non verbale è che esso "comprende tutte le risposte
umane che non possono essere descritte come parole espresse
manifestatamene (oralmente o per iscritto)"
2
. D'altra parte, Fraser ha
2
Knapp M.L., “Non verbal communication in human interaction”, In Psicological Bullettin, 54,
1963
7
notato che "tutta la comunicazione umana consiste in movimenti del
corpo. I movimenti dell'apparato vocale possono provocare il
linguaggio, cioè l'azione verbale, o il paralinguaggio, cioè un'azione
non verbale"
3
.
Rispetto a queste definizioni piuttosto generali, altri autori si
sono proposti di tentare una definizione più precisa proponendo
dettagliate classificazioni di comportamenti.
Per esempio, Duncan
4
suddivide i comportamenti non verbali in:
movimenti del corpo o comportamento cinetico: gesti e altri
movimenti del corpo inclusi espressione facciale, movimento
degli occhi e postura;
paralinguaggio: qualità della voce, pause e suoni come risa,
sbadigli e brontolii;
prossemica: uso dello spazio dell'uomo;
olfatto;
sensibilità della pelle al tatto e alla temperatura;
uso di artefatti come abiti e cosmetici.
Ricci Bitti
5
distingue, invece, tra:
elementi non verbali del parlato suddivisi in intonazione della
parola o della frase e paralinguistica, cioè qualità della voce,
vocalizzazioni e fenomeni temporali;
elementi cinesici distinti in microcinesica, come mimica
facciale e sguardo, e macrocinesica, ovvero movimenti del
3
Fraser C., Introduzione alla psicologia sociale, Il Mulino 1979
4
Duncan S., "Non verbal communication", in Psycholocical Bullettin, 72, 1969
5
Ricci Bitti P., Cortesi S., Comportamento non verbale e comunicazione, Il Mulino 1977
8
corpo nello spazio come postura, orientazione e distanza, e
movimenti di parti del corpo quali gesti o cenni del capo.
Zammuner
6
, nel trattare quelli che sono i comportamenti non
verbali più frequentemente discussi, fornisce anch'ella un tentativo di
definizione-classificazione di essi. Si distinguono:
la cinesica o linguaggio del corpo;
il paralinguaggio costituito dalle vocalizzazioni prive di
contenuto;
il grado di contatto fisico tra due individui;
la prossemica o comportamento nello spazio interpersonale;
la caratteristiche fisiche degli individui;
gli ornamenti come profumi, gioielli, abbigliamento o trucco.
Di fronte a tale complessità è evidente che tentare di dare una
definizione onnicomprensiva del fenomeno appare impresa assai
ardua. Quello che si può fare, invece, è considerare come
comunicazione non verbale tutto ciò che non si comunica o non si può
comunicare attraverso la parola. Se ci affidiamo ad un'ottica di tale
tipo, ci si rende immediatamente conto di quanto sia stato riduttivo
negli anni passati considerare degno di interesse teorico il solo aspetto
'parlato' della comunicazione. Esso risulta sicuramente il più
immediato ed efficace, ma non esauriente. Il linguaggio è strettamente
intrecciato agli aspetti della comunicazione non verbale poiché non
tutto si può esprimere in modo adeguato con le parole. La
comprensione di un messaggio verbale, inoltre, non è sufficiente di
6
Zammuner V.L., "La comunicazione non verbale" in Intervista e questionario, 1998 pp.178-188
9
per sé a spiegare l'insieme di significati, atteggiamenti, relazioni che
caratterizzano il comportamento sociale dell'uomo.
L'uomo ha sviluppato il linguaggio, ma questo è usato soprattutto
per comunicare informazioni circa altre persone, oggetti, idee, più che
esprimere sentimenti nei confronti degli altri.
In realtà noi comunichiamo la nostra 'essenza' con tutto il nostro
essere. Hall
7
direbbe che "noi parliamo con i nostri organi vocali, ma
conversiamo con tutto il nostro corpo". È importante rendersi conto
che, in ogni momento della vita di relazione, noi 'parliamo' anche con
il calore del corpo, col colore della nostra pelle, con le espressioni del
viso, con gli odori, i vestiti, gli oggetti che ci appartengono.
Questo discorso è valido per gli esseri umani come per tutti gli
esseri viventi, ma l'uomo possiede un'abilità che lo rende
estremamente evoluto rispetto agli altri: la parola. Si è quindi giunti al
superamento della dicotomia tra comunicazione verbale e non verbale
considerandoli aspetti differenti ma dipendenti e interagenti dello
stesso processo comunicativo. Ma cosa accadrebbe se, invece, noi
fossimo consapevoli di tutti i molteplici mezzi di espressione che
possediamo? Forse questo ci renderebbe veramente evoluti e, dal
punto di vista comunicativo, abili in modo più completo.
7
Hall E.T. (1959), Il linguaggio silenzioso, trad. it. Bompiani 1969
10
2. Le origini
Ricci Bitti
8
, riferendosi alle modalità in cui il comportamento
non verbale è divenuto parte del repertorio della persona, distingue tre
tipi di origine:
un'origine innata delle attività non verbali che si costituisce nel
sistema neuromotorio di ogni membro sano della specie; un
esempio di tale origine è rappresentato dai riflessi;
un'origine connessa all'esperienza comune a tutti i membri della
specie; un esempio è dato dalle mani usate per portare il cibo
alla bocca, con o senza posate, indipendentemente dalla cultura;
un'origine connessa con l'esperienza che varia con la cultura, la
classe, la famiglia o l'individuo.
Alcuni comportamenti non verbali sono appresi per uno scopo
strumentale, altri segnali non verbali sono appresi in funzione
dell'interazione sociale; alcuni sono esplicitamente appresi con
cosciente attenzione, ad esempio imitare la postura o l'espressione
facciale di una diva; altri sono acquisiti implicitamente, ad esempio
l'acquisizione della postura o di altri movimenti del genitore dello
stesso sesso.
Se proviamo a chiederci da dove origina la comunicazione non
verbale nell'uomo, può essere utile studiare la filogenesi di alcuni
comportamenti degli animali. Nel caso di questi ultimi, gran parte dei
meccanismi di comunicazione sono innati e derivati da fattori
biologici in conseguenza del processo di evoluzione della specie.
8
Ricci Bitti P. (a cura di), Comunicazione e gestualità, Angeli 1987
11
Questa spiegazione, logicamente, non è soddisfacente per
comprendere i comportamenti umani. Certamente molti
comportamenti non verbali sono anche nell'uomo derivati
dall'evoluzione della specie e comuni a tutti gli esseri umani, ma gran
parte di essi sono sicuramente appresi o comunque ampiamente
modificati dall'apprendimento.
Ciò che è difficile definire riguarda 'cosa' e 'quanto' sia derivato
dall'apprendimento.
Ulteriore elemento di confusione nasce dall'assenza di ricerche
specifiche su tale argomento. In base ai pochi dati disponibili sembra
che un insegnamento esplicito e cosciente della comunicazione non
verbale sia relativamente raro, mentre un ruolo importante sarebbe
svolto da fenomeni imitativi.
Argyle
9
sostiene che i segni che indicano età, classe sociale, ecc.
possano essere appresi dall'osservazione. Vi sono, tuttavia, usi
complessi della comunicazione non verbale, come ad esempio
l'elaborazione dei segnali non verbali che regolano il flusso del
discorso tra due o più persone, che risultano difficili da spiegare.
In relazione alla distinzione tra innato e appreso, può risultare
utile affidarsi alle ricerche transculturali che hanno mostrato dati
piuttosto interessanti.
Innanzi tutto si è osservato come vi siano rilevanti differenze
interculturali dovute probabilmente ai meccanismi imitativi di
apprendimento; ma d'altro canto, vi sono alcuni aspetti della
comunicazione non verbale (come ad esempio quelli legati
all'espressione facciale delle emozioni) che, con minime variazioni,
9
Argyle M., Il corpo e il suo linguaggio, Zanichelli 1980
12
sono comuni a tutte le culture umane e dunque presumibilmente
innati. Si pensi agli studi condotti sulle espressioni facciali delle
emozioni considerate simili nei bambini piccoli e persino nei bambini
ciechi e sordi che non potevano averli imitati.
A questo punto appare spontaneo chiederci perché si usa la
comunicazione non verbale. Nel caso degli animali la risposta è
semplice: si sono evoluti quei modelli di comunicazione non verbale
che hanno carattere di necessità per la sopravvivenza. Nel caso degli
uomini non è evidente perché si abbia bisogno di usare la
comunicazione non verbale poiché noi abbiamo la facoltà della parola
che a prima vista sembra un mezzo di comunicazione assai più
elaborato, sottile e flessibile rispetto a grugniti, cenni del capo o altro.
Argyle ipotizza che c'è qualcosa della comunicazione non
verbale che il linguaggio non può riuscire a esprimere altrettanto bene;
per esempio attraverso il non verbale una comunicazione potrebbe
essere più diretta e più carica di efficacia. Egli sostiene che "Vi sono
forse delle cose che il linguaggio non è ben idoneo ad esprimere. O
forse vi sono cose che è meglio non rendere troppo esplicite o a cui è
meglio non prestare eccessiva attenzione"
10
.
10
Argyle M. (1972), Il corpo e il suo linguaggio, trad. it. Zanichelli 1980, p.162
13
3. Le funzioni
Diversi autori, negli ultimi decenni, si sono dedicati
all'approfondimento delle funzioni del comportamento non verbale ed
hanno formulato molte teorie. Le ricerche più recenti ne enfatizzano
l'importanza nelle relazioni interpersonali, sottolineando che tali
comportamenti possono essere visti come vere e proprie abilità
comunicative. In seguito saranno presi in considerazione alcuni autori
ritenuti tra i più importanti e interessanti per la comprensione
dell'argomento.
Secondo Argyle
11
le funzioni del comportamento non verbale
sono sintetizzabili in:
sostegno del linguaggio, quando serve solo per ripetere ciò che
viene detto verbalmente;
sostituzione del linguaggio, ogni volta che per ragioni diverse
comunicare tramite la parola diviene difficile o impossibile;
espressione delle emozioni;
espressione degli atteggiamenti interpersonali;
trasmissione di informazioni relative alla propria persona.
Riassumendo l'idea di Argyle circa le funzioni della
comunicazione non verbale si possono ottenere tre categorie di
funzioni del comportamento non verbale: gestione dell'interazione tra
gli interlocutori, integrazione dei comportamenti verbali e sostituzione
della comunicazione verbale.
11
Argyle M. (1969), Il comportamento sociale, trad. it. Il Mulino 1974
14
Scherer ed Ekman
12
, considerano la comunicazione non verbale
come uno scambio di espressioni o di messaggi che assolvono a
cinque funzioni di base:
fornire informazioni;
regolare l'interazione, si pensi ai meccanismi di regolazione dei
turni nelle conversazioni, per lo più automatici;
esprimere intimità, cioè indicare il grado di apertura o
disponibilità verso l'interlocutore;
esercitare il controllo sociale, ovvero la possibilità di
persuadere l'interlocutore o di stabilire l'esistenza di differenze
di status sociale;
facilitare il compito, che è una funzione implicata nelle
relazioni del tipo medico-paziente, intervistato-intervistatore o
esaminatore-esaminando.
Altrettanto interessante appare il contributo di Ricci Bitti
13
, il
quale ritiene che la distinzione comunicazione verbale-comunicazione
non verbale risulta spesso costruita e non si considera la stretta
connessione ed interdipendenza tra le due. A partire da questa
considerazione egli ritiene che i processi verbali e non verbali
agirebbero quasi sempre simultaneamente integrandosi a vicenda in
un unico atto comunicativo. L'autore afferma dunque che la
comunicazione è un processo globale attraverso il quale l'uomo
realizza diverse attività sociali, e che i comportamenti non verbali
partecipino congiuntamente a quelli verbali. Si può operare una
scissione delle due componenti solo per i motivi di studio e ricerca.
12
Scherer K.R., Ekman P., "Metodological issues in studing non verbal behavior", in Handbook of
research methods in non verbal behavior, 1982
13
Ricci Bitti P. Cortesi S., Comportamento non verbale e comunicazione, Il Mulino 1977
15
Serra e Fabrizi
14
sostengono che, seppure molto importanti per
comprendere le funzioni degli aspetti non verbali della
comunicazione, le interpretazioni date non hanno considerato una
importante funzione che è quella consistente nel soddisfacimento e
nella realizzazione di motivazioni di vario tipo, con il conseguente
raggiungimento o mantenimento dell'equilibrio emotivo e psicologico.
Essi hanno riscontrato che ogni qualvolta l'espressione linguistica è
resa difficoltosa (come ad esempio in una istituzione totale, quale il
carcere), il canale non verbale costituisca il mezzo sostitutivo
attraverso il quale raggiungere determinati obiettivi.
Infine, altrettanto utile è il contributo di Nannetti
15
, il quale
distingue tra una "comunicazione digitale" e una "comunicazione
analogica". La prima è di tipo prevalentemente verbale ed assolve ad
una funzione soprattutto di tipo denotativo poiché serve ad indicare e
descrivere oggetti, fatti, eventi, situazioni, nonché a metacomunicare.
La seconda, invece, è di tipo prevalentemente non verbale ed ha una
funzione per lo più connotativa in quanto svolge il particolare compito
di trasmettere idee e sentimenti che vanno oltre la semplice
denotazione della realtà. L'autore individua quattro funzioni nella
comunicazione non verbale:
funzione pragmatico.relazionale, che si esplica sia nel segnalare
atteggiamenti (superiorità-inferiorità, ostilità-amicizia), sia
nell’influenzare mutamenti nello svolgimento delle relazioni
interpersonali;
14
Serra C., Fabrizi L., Il linguaggio degli occhi, ed universitarie romane 1993
15
Nannetti F., La comunicazione trascurata: l'osservazione del comportamento non verbale,
Armando 1996