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INTRODUZIONE
Da sempre la filosofia viene interpretata come materia astratta, senza alcuni riferimenti
pratici, che possano dare un riscontro concreto nella vita di tutti i giorni.
Ebbene, la ragione per cui ho deciso di dar vita a questo elaborato è racchiusa nel fatto che
vorrei tentare di spiegare, nei limiti del possibile, quanto in realtà questa disciplina sia
fondamentale per ciascuno di noi poiché rappresenta la chiave attraverso la quale abbiamo
la possibilità di percepire al meglio il mondo che ci circonda, arricchendo sensibilmente il
nostro “io” interiore con l’obiettivo di osservare la vita in maniera totalmente diversa.
Ho avuto la possibilità di maturare queste considerazioni nel corso della mia carriera
universitaria, grazie ad una bellissima esperienza che mi ha permesso di guardare la
filosofia con occhi differenti.
Ogni volta che ascoltiamo, pensiamo, ragioniamo, giudichiamo, comunichiamo,
cooperiamo, stiamo filosofando.
Ragionando su quelle che sono state le mie vicissitudini personali, ritengo doveroso (come
hanno già fatto alcuni filosofi) proporre un approccio differente nei confronti di questa
materia, inserendola nei programmi didattici delle scuole di prima infanzia, per aiutare i
bambini a sviluppare un senso critico e riflessivo che possa fare da preludio alla
costruzione di una vera e propria individualità.
Questo lavoro quindi ha come proposta quella di vedere la filosofia come un giusto mezzo
educativo per produrre un miglioramento significativo del pensiero e delle complessità che
lo caratterizzano sin dalla tenera età. Sicuramente, insegnare ai bambini a riflettere non è
materia semplice, ma è ancora più difficile farlo se gli insegnanti, piuttosto che aiutarli a
sviluppare la riflessività, li educano sostanzialmente ad imparare senza ragionare e senza
esprimere opinioni in merito all’argomento trattato. Fare filosofia con i bambini significa
ascoltarli, accogliere le loro perplessità, i loro “perché” cercando di riflettere sulle loro
domande in modo collettivo per formulare nuove risposte e dargli un senso. Ciò
permetterebbe ai bambini di costruirsi delle basi solide non derivanti da preconcetti ma da
loro stessi, dai loro dubbi e dalla loro capacità di filosofare in modo intuitivo e naturale,
aiutandoli ad irrobustire il proprio pensiero e a capire che nella vita ciò che conta non è ciò
che gli altri vogliono far credere, ma ciò che ognuno crede sulla base delle proprie
esperienze e del proprio modo di pensare. Attraverso la consultazione di alcuni testi
filosofici ho voluto incentrare la mia attenzione sul fatto che sia compito, non solo delle
famiglie, ma soprattutto della scuola, dare ai bambini l’opportunità di fare ricerca
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discutendo questioni non ancora risolte in maniera definitiva e che, quindi, richiedono
deliberazione e riflessione per favorire lo sviluppo e l'impiego intelligente del pensiero
complesso, il confronto rispettoso delle idee e delle opinioni, e la cooperazione con il
gruppo dei pari. La scuola il più delle volte insegna risposte, spesso a domande che non ci
siamo mai poste, ma in realtà è la domanda e non la risposta il vero motore della ricerca e
della costruzione del sapere. Amiche della domanda sono sia la curiosità infantile, sia la
condotta filosofica. E se l'infanzia genera l'interrogazione nella sua radicalità, la filosofia
insegna a mantenersi nell'interrogazione, per non seppellire il cervello tra le opinioni
diffuse, che rispondono non tanto alle nostre domande, quanto al desiderio di evitare il più
possibile la fatica del pensiero.
Un metodo efficace per farlo è quello ideato da Matthew Lipman con la Philosophy for
Children in cui la comunità di ricerca si prefigge come obiettivo quello di sviluppare
pratiche collettive di pensiero che partono da idee particolari e personali e arrivano
all’elaborazione di un prodotto comune derivante dall’incontro delle diverse credenze in
merito alla ricerca in atto. Questa pratica a mio avviso è valida proprio perché prepara i
bambini (e non solo), a partecipare in forma riflessiva, attiva e ragionevole alla comunità
donandogli la capacità di poter costruire successivamente, da futuri membri della società,
una vita migliore che abolisca la competizione e promuova l’interazione, la reciprocità e
l’accettazione dell’altro, della sua cultura e del suo pensiero. Gli strumenti che Lipman ha
adottato nella costruzione del suo curricolo, oltre all’istituzione della comunità dei
pensanti, sono racconti dialogici dedicati ai più piccoli all’interno dei quali i protagonisti
vivono in prima persona esperienze filosofiche che li portano a chiedersi il perché delle
cose della vita e a ricercarne un senso coinvolgendo il lettore che si immedesima nel
racconto e parla con lo stesso stimolando e attivando un pensiero che si sposta al di là del
reale e che non smette mai di indagare.
Nella seconda parte il mio interesse è incentrato sulla filosofia come pratica per avvicinare
le persone all’intercultura, all’accettazione dell’altro con tutte le sue sfaccettature
promuovendo non solo lo spirito cooperativo tipico delle comunità di ricerca, ma anche
l’integrazione sociale di tutti quei soggetti che sono diversi da noi ma grazie ai quali
possiamo scoprire e costituire una nostra “nuova identità”. In questo capitolo ho volto lo
sguardo ad un filosofo francese, Oscar Brenifier, che con la sua creatività ha ideato
laboratori di pratica filosofica con bambini come “esercizio consistente nell’interrogare”. Il
filosofare viene indicato come un qualcosa che l’uomo possiede già ma che cerca di
nascondere dietro alle parole per evitare contrasti con il mondo esterno. L’obiettivo di
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questa pratica consiste proprio nello “spogliare l’individuo”, aprendolo a quel dialogo che
non tiene conto di ciò a cui lui è maggiormente interessato o appassionato ma, come
afferma lo stesso Brenifier riferendosi ai bambini: «[…] voglio che il bambino pensi se
stesso. Il vero soggetto è chi parla non di cosa sta parlando» quindi, oltre allo sviluppo del
pensiero, è promossa l’importanza della crescita individuale del soggetto. Inoltre anch’egli
come Lipman ha scritto libri in cui parla di filosofia non come un qualcosa di lontano dalla
vita, ma come un qualcosa di reale, di concreto, tanto da creare assieme ad un suo
collaboratore un cartone animato in 3D per avvicinare i bambini alla filosofia con un
mezzo di comunicazione di massa che da tempo ormai ha più potere di un “vecchio libro”
e che lascia spazio all’immaginazione e alla costante ricerca di nuove idee e significati. Se
ci chiedessero di spiegare quale fosse “Il senso della vita” forse ciascuno di noi darebbe
una definizione differente: alcuni crederanno che la vita ha un senso se vissuta a 360° e
senza limiti, altri al contrario, crederanno che essendo unica debba esser vissuta rispettando
le regole, altri ancora crederanno che il senso della vita consista nell’avere un impiego e
denaro, o nel calore della famiglia e degli affetti più cari. Si susseguiranno milioni di
risposte ed ogni soggetto vedrà la sua come l’unica valida. Ma in verità, nessuna sarà
migliore dell’altra perché in filosofia quel che conta è racchiuso in una semplice domanda:
«E tu che ne pensi?».
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CAPITOLO I
IL METODO DELLA COMUNITA’ DI RICERCA
1.1 Il nuovo ruolo della filosofia nella Comunità di Ricerca.
La tendenza che accomuna un po’ tutti quando si parla di filosofia è quella di pensare
nella maggior parte dei casi ad una disciplina fine a sé stessa, astratta, non in grado di
essere definita, in quanto persino i filosofi che hanno cercato di darvi una definizione
univoca non sono mai riusciti nel loro intento, aggiungendo piuttosto alle loro perplessità
ulteriori interrogativi che li hanno condotti a percorrere nuove ricerche.
La sua peculiarità risiede nella capacità di indurre il soggetto verso una nuova scoperta del
proprio essere, passando attraverso un processo di ragionamenti liberi ed autonomi volti a
sviluppare un nuovo senso di autocritica grazie al quale diviene possibile confrontarsi con
il mondo esterno.
Ovviamente, per far sì che ciò avvenga è necessario un approccio totalmente diverso nei
confronti di questa disciplina, frutto di un percorso di maturazione intellettuale
perseguibile solo con l’aiuto di istituti preposti.
A tal proposito, il concetto di metodologia assume una rilevanza fondamentale. E’
necessaria un’adeguata preparazione scolastica che ponga al centro dei suoi obiettivi lo
studio di un’esperienza diretta con la realtà, volta a far sì che i suoi contenuti vengano
appresi con maggiore facilità ed interesse dai soggetti coinvolti.
E’ su queste basi che Matthew Lipman
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fonda il curricolo della Philosophy for Children
(P4C
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) proponendo la pratica del filosofare sin dalla tenera età, come metodologia che
aiuta i bambini e gli adulti a pensare bene, in modo autonomo, riflessivo e auto-correttivo.
In particolare la scuola dovrebbe sostituire le classiche pratiche di apprendimento
(focalizzate sull’acquisizione mnemonica di nuove nozioni), con nuove tecniche volte a
cercare di creare nel gruppo un clima riflessivo all’interno del quale il bambino possa
potenziare le proprie capacità di pensiero critico, comprensione, ragionamento e giudizio
allo scopo di arricchire l’educazione e non vederla più come un qualcosa di noioso e retrò
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Matthew Lipman (1922-2010) è stato un importante filosofo ed educatore, nonché iniziatore, teorico e
leader della Philosophy for Children. Ha insegnato alla Columbia University (New York) ed è stato docente
di filosofia alla Montclair State University (New Jersey) dove ha diretto l’Institute for the Advancement of
Philosophy for Children e l’Institute for Critical Thinking.
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P4C rappresenta l’acronimo di Philosophy for Children.