INTRODUZIONE L’analisi della disciplina in materia di sciopero risente fortemente
delle variabili prospettive storiche e politiche che rappresentano una
componente indispensabile per l’inquadramento del fenomeno del
conflitto sociale.
Proprio per tale motivo è impossibile elaborare una concezione
unitaria di sciopero senza far riferimento al contesto socio-politico e
agli equilibri di tale contesto che rendono complessa la realtà del
fenomeno in esame. Infatti, lo stesso riconoscimento costituzionale
del diritto di sciopero, che rappresenta uno dei più importanti
traguardi che la comunità italiana ha raggiunto con la legge
fondamentale, presuppone, in linea generale, l’esigenza di una
limitazione legale dell’esercizio di tale diritto.
Nonostante la previsione dell’art. 40 Cost. tuttavia solo negli anni
’90 è stata emanata una normativa, la legge n. 146/1990, intesa a
disciplinare lo sciopero in alcuni settori, cd. essenziali, e cioè,
I
secondo la legge, quelli volti a garantire il godimento dei diritti
della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla
libertà ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e
previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertà di comunicazione.
La legge n. 146/1990 ha affermato il principio della necessità di
trovare un compromesso fra l’esercizio del diritto di sciopero,
garantito dall’art. 40 Cost., ed altri diritti della persona
costituzionalmente garantiti; a tal fine la legge prevede che le
imprese che erogano i servizi pubblici essenziali concludano
accordi collettivi con i sindacati o le rappresentanze del personale
per identificare le prestazioni indispensabili che devono essere
garantite anche in caso di sciopero.
Sulla corretta applicazione della legge vigila una speciale
Commissione di garanzia, alla quale sono stati attribuiti diversi
compiti, tra cui la valutazione di idoneità degli accordi conclusi fra
le parti in merito all’assicurazione dell’erogazione dei servizi
indispensabili.
Se, da un lato, la legge ha avuto sicuramente il merito di ridurre gli
scioperi ed i disagi da essi derivanti agli utenti in molti settori dei
servizi essenziali, offrendo un importante contributo alla
II
civilizzazione dei conflitti nel turbolento settore dei servizi,
dall’altro lato ha dimostrato in più occasioni la sua inidoneità ad
assicurare alla disciplina in essa prevista un sufficiente grado di
effettività.
Le problematiche incontrate durante l’esperienza applicativa della
legge n. 146/1990 hanno condotto il legislatore ad un intervento di
modifica che è stato apportato con la legge n. 83/2000, che ha
introdotto importanti novità rispetto alla precedente disciplina
legislativa.
Anche nella nuova normativa è pregnante la tendenza a mantenere
un rigido collegamento tra servizi essenziali e valori costituzionali,
poiché tale correlazione è sempre inquadrata come l’unica fonte di
un limite legittimo di un diritto costituzionalmente garantito quale
quello dello sciopero.
In particolare, si è accresciuto il peso dei limiti soggettivi, con
riguardo all’estensione dell’ambito di applicazione, e si sono poste
ulteriori regole sulle modalità di proclamazione ed effettuazione
dello sciopero (esperimento delle procedure di conciliazione e
raffreddamento del conflitto; rarefazione soggettiva ed oggettiva
delle astensioni; divieto di proclamazioni plurime; revoche
III
tempestive e giustificate degli scioperi) che intervengono non
soltanto per realizzare uniformità di comportamenti nei diversi
settori interessati dalla legge, ma anche e soprattutto per cercare di
ripristinare le condizioni per normali relazioni sindacali, laddove
l’esperimento dello sciopero dovrebbe rappresentare l’ultima ed
estrema ratio, e cioè solo quando non abbiano avuto buon esito i
tentativi di composizione del conflitto.
Tra gli aspetti più rilevanti della disciplina della legge n. 83/2000
rientra senza dubbio quello dell’ampliamento dei soggetti
destinatari della disciplina a lavoratori autonomi, professionisti e
piccoli imprenditori allo scopo di creare una disciplina unitaria
delle astensioni collettive attinenti a servizi pubblici essenziali.
Raccogliendo le indicazioni della Corte Costituzionale, il legislatore
del 2000 ha realizzato quell’intervento auspicato dalla Suprema
Corte nella sentenza n. 171/1996 che, nel dettaglio, riguardava le
astensioni collettive dalle udienze degli avvocati, ma in generale era
proiettata verso la regolamentazione di tutte le manifestazioni di
conflitto derivanti dai lavoratori autonomi e incidenti sulla
funzionalità del servizio pubblico.
IV
L’allargamento del campo di applicazione della disciplina dei
conflitti sindacali si ricollega al tanto dibattuto tema della
configurabilità di azioni conflittuali oltre il limite della
subordinazione, per le quali permangono le difficoltà di
qualificazione ed anzi appare prevalente l’opinione
dell’impossibilità di ogni loro assimilazione con lo sciopero. Il
fondamento costituzionale , infatti, della legittimità delle astensioni
collettive delle citate categorie è rinvenibile non nell’art. 40 Cost.,
ma nella tutela della libertà sindacale ex art. 39 Cost.
In merito invece all’organo di garanzia, il legislatore del 2000 ha da
una parte, rafforzato i poteri della Commissione nella fase anteriore
all’astensione, avendo il compito, quest’ultima, di valutare
l’idoneità delle norme elaborate dalla contrattazione collettiva, con
il riconoscimento di poteri sostitutivi in caso di inerzia o inidoneità
degli accordi, dall’altra ha voluto assicurare l’efficienza
dell’apparato sanzionatorio, la cui debolezza aveva rappresentato
uno degli aspetti più problematici della legge n. 146/1990,
attribuendo alla Commissione il potere di deliberare sanzioni
all’esito di un procedimento rispettoso del principio del
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contraddittorio, di stabilire il quantum della sanzione e di
controllare la sua effettiva applicazione.
Nonostante l’irrigidimento apportato dalla legge n. 83/2000 alla
regolamentazione dell’esercizio del diritto di sciopero, tuttavia,
l’elevata conflittualità che ha da sempre caratterizzato taluni settori,
ha fatto riemergere l’esigenza di apportare alcune modifiche
all’attuale disciplina
Del resto, che la legge n. 146/1990, già emendata nel 2000,
mostrasse alcuni limiti nel regolare l’esercizio del diritto di sciopero
in settori molto delicati, come i trasporti, sanità e istruzione, non è
discutibile, resta invece da verificare se la risposta data dal
legislatore a tali problemi di conflittualità indisciplinata sia
adeguata.
La scelta di emanare una legge delega che tracci le linee guida
essenziali per la formazione di decreti delegati, lasciando quindi
all’organo esecutivo la regolamentazione, ha creato non pochi
dibattiti.
Il disegno di legge riguarda principalmente la salvaguardia del
diritto alla mobilità ed alla libera circolazione delle persone. A
tutela di tale diritto si prevedono novità particolarmente
VI
significative, quali la necessità di una rappresentatività qualificata
dei sindacati che vogliono proclamare lo sciopero, la dichiarazione
preventiva di adesione allo sciopero da parte del lavoratore, una
revisione dell’apparato sanzionatorio, un nuovo assetto dei compiti
attribuiti alla nuova Commissione per le relazioni di lavoro e la
forma alternativa dello sciopero virtuale.
Quest’ultimo fenomeno che, in linea di principio, consiste nel
dichiarare, da parte del lavoratore, l’adesione all’astensione
prestando comunque la propria attività lavorativa e perdendo però
la retribuzione che, insieme alla somma che dovrà versare
l’azienda, verrà destinata a fini sociali, ha creato non poche critiche
per la versione “obbligatoria” che il disegno prevede con
riferimento a quelle categorie professionali, per le quali, in
considerazione delle peculiarità della prestazione lavorativa o delle
specifiche mansioni, lo sciopero tout court può determinare la
concreta impossibilità di erogare il servizio essenziale.
Il cd. sciopero virtuale, non essendo qualificabile allo stato attuale
come vero e proprio sciopero ai sensi dell’art. 40 Cost., non
implicando la sospensione, neppure parziale, della prestazione, se
visto nella sua accezione obbligatoria per determinate categorie,
VII
corre il rischio di sembrare, per le stesse, un vero e proprio divieto
di esercitare il diritto di sciopero.
Per tale motivo è auspicabile, dal momento che ancora al giorno
d’oggi i decreti delegati non hanno trovato attuazione, che si
valutino rigorosamente i presupposti su cui si basa tale vincolatività
di scelta nella manifestazione del conflitto, alla luce dei valori
costituzionali in gioco.
VIII
CAPITOLO PRIMO LA DIMENSIONE COSTITUZIONALE DELLO
SCIOPERO SOMMARIO: 1. Il rapporto tra sciopero e forme di Stato: l’evoluzione della disci -
plina in Italia dallo Statuto Albertino alla Costituzione. — 2. Il dibattito nell’As -
semblea Costituente. ― 3. Il diritto di sciopero nella Costituzione. — 4. La giuri -
sprudenza della Corte Costituzionale. ― 4.1. La depenalizzazione dello sciopero
per fini contrattuali e l’illegittimità costituzionale dell’art. 502 c.p. — 4.2. La de -
penalizzazione dello sciopero per fini non contrattuali e l’illegittimità costituziona -
le degli artt. 503 - 504 c.p. ― 4.3. La depenalizzazione dello sciopero di solidarietà
e l’illegittimità costituzionale dell’art. 505 c.p. — 5. Limiti esterni e limiti interni al
diritto di sciopero. Primi cenni sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali.
1
1. Il rapporto tra sciopero e forme di Stato: l’evoluzione
della disciplina in Italia dallo Statuto Albertino alla
Costituzione Lo sciopero rappresenta un peculiare fenomeno sociale rappresenta -
tivo delle trasformazioni che la forma di stato di un paese subisce a
causa dei diversi processi di modernizzazione e di industrializzazio -
ne, al punto che è possibile sostenere che, nell’epoca contempora -
nea, l’evoluzione della sua disciplina giuridica rappresenta un indi -
catore delle stesse trasformazioni costituzionali
1
.
Prima del codice Zanardelli del 1889 lo sciopero veniva qualificato
come reato, tradizionalmente ricondotto all’ipotesi dello sciopero-
delitto, simbolo di condotta illecita sia con riferimento ai rapporti
tra Stato e cittadino, sia con riferimento al rapporto che intercorre
tra prestatore e datore di lavoro, qualificando l’astensione volonta -
ria della prestazione come inadempimento contrattuale e quindi fon -
te di responsabilità civile. Non sorprende che tale disciplina, previ -
sta dal codice del 1859, è inserita in un contesto costituzionale che
si basa su una Carta, lo Statuto Albertino, che segna il passaggio
1
O. Roselli, sub art.40 Cost., in Commentario alla Costituzione , Utet-giuridica, Tori -
no, 2006, p. 826
2
dalla forma di Stato assoluto ad una di Stato (quasi) liberale, en -
trambe lontane dal riconoscere diritti di tal genere.
In questo senso, il codice Zanardelli va nella direzione di una mag -
giore apertura alla nuova realtà sociale che avanza con l’industria -
lizzazione, abrogando il divieto di coalizione e con ciò dello sciope -
ro in quanto tale, che viene represso solo se posto in essere “con
violenza o minaccia”
2
.
Nella relazione al progetto di riforma si legge: “Il progetto odierno
punisce gli autori di coalizione e di sciopero soltanto nel caso di
violenza o minaccia. Per tal modo (esso) parifica le condizioni e gli
effetti della responsabilità di padroni e operai, tanto nella definizio -
ne del reato quanto nella misura della pena, rimuovendo quelle di -
suguaglianze che il codice vigente stabilisce tra operai e padroni
[…].Inoltre, con altra essenziale differenza dal codice del 1859, il
Progetto riconosce la libertà di coalizione e di sciopero. Esso non
colpisce il concerto per sé medesimo, ma presuppone come legitti -
ma ogni coalizione d’operai o di industriali, e si astiene dall’esami -
nare la causa che l’ha determinata. Esorbita infatti dalle competenze
della legge l’indagine sui motivi che possono aver indotto ad un
2
O. Roselli, La dimensione costituzionale dello sciopero: lo sciopero come indicatore
delle trasformazioni costituzionali , Giappichelli editore, Torino, 2005, p. 27
3
concerto stabilito nell’intento di produrre un aumento o una diminu -
zione nei salari: essa deve lasciare che ciascuno provveda a’ propri
interessi nel modo che reputa migliore e non può intervenire se non
quando la liberazione degli uni torni d’offesa al diritto degli altri”
3
.
Con la depenalizzazione attuata dal codice Zanardelli si realizza per
la prima volta l’ipotesi dello sciopero-libertà che, se da una parte
esclude la perseguibilità dello scioperante ad opera dello Stato, dal -
l’altra lascia intatto l’illecito sul piano contrattuale e quindi il datore
di lavoro poteva chiedere un risarcimento per la mancata prestazio -
ne o risolvere il contratto licenziando il lavoratore.
Con l’avvento del fascismo, e in particolare con le cd. leggi fasci -
stissime, viene ripristinata l’ipotesi di sciopero-delitto: è la legge 3
aprile 1926, n.563 che, con il r.d. 1° luglio 1926, n. 1310, ridisegne -
rà i rapporti di lavoro alla luce delle finalità della nuova forma di
Stato
4
: ancora una volta la disciplina dello sciopero sarà indicatrice
di quel cambiamento che il nostro paese ha vissuto a causa dell’a -
scesa politica di Mussolini, che, dalla forma di stato liberale, porte -
3
I passi della relazione sono riportati da G.C. JOCTEAU, L’armonia pertubata.Clas -
si dirigenti e percezione degli scioperi nell’Italia liberata , Laterza editore, 1988, pp.
179-180
4
P. Grossi, Scienza giuridica italiana. Un profilo storico 1860-1950 , Giuffrè editore,
2000, p.176
4
rà l’Italia ad un regime di stampo totalitario. Vengono cosi previste
una serie di figure criminose, considerate delitti contro l’economia
nazionale, che comprendeva il reato di sciopero e di serrata per fini
contrattuali, nonché i reati di sciopero politico e di sciopero di soli -
darietà, di boicottaggio, di occupazione di azienda e, infine, di sabo -
taggio
5
. Tutte queste figure furono inserite nel codice penale del
1931, agli artt. 502-508, mentre lo sciopero nei servizi pubblici fu
previsto come delitto dagli artt. 330 e 333 nel quadro dei reati con -
tro la pubblica amministrazione.
La libertà di lavoro, nel periodo corporativo, è subordinata all’inte -
resse nazionale e la Carta del lavoro, un documento programmati -
co-ideologico del Gran Consiglio del Fascismo del 1927, ne è un
esempio eclatante quando afferma il principio che “il lavoro costi -
tuisce un dovere sociale e solo come tale è tutelato dallo Stato”
6
.
Si dovrà attendere una nuova svolta costituzionale perché lo scio -
pero possa abbandonare quell’etichetta di illecito ed essere qualifi -
cato come un vero e proprio diritto fondamentale .
5
G. Giugni, sub Sciopero. I) Ordinamento italiano , in Enc. Giurdic. Treccani, Roma,
1992, p.1
6
R. Mangini , Economia pubblica, industria e commercio ( Delitti contro la ), in No-
viss. Dig. it. del 1938, p.276
5
2. Il dibattito nell’ Assemblea Costituente Prima ancora di riflettere sulla qualificazione giuridica dello sciope -
ro, l’Assemblea Costituente si interrogò sull’opportunità di inserire
la previsione dello sciopero nella Carta Costituzionale e questo a di -
mostrazione che c’era chi, pur acconsentendo al riconoscimento di
un siffatto diritto, ritenesse inappropriata la sede costituzionale re -
putando più idonea quella legislativa. Proprio in tal senso verte
l’o.d.g. Fanfani della III Sottocommissione, la quale “ritenuto ur -
gente ed indispensabile che una legge riconosca il diritto di sciopero
dei lavoratori, abrogando i divieti fascisti in materia, non ritiene ne -
cessario che la materia sia regolata dalla Carta Costituzionale”
7
; la
preoccupazione che emerge in tale o.d.g. è quella che l’assenza di
limiti( e quindi l’assenza di un rinvio ad una legge che ne disciplini
la materia) possa creare uno squilibrio tra valori costituzionali.
Contemporaneamente la I Sottocommissione approva un progetto di
disciplina costituzionale, che prima prevede “E’ assicurato a tutti i
7
Seduta del 24 ottobre 1946, cit. 2332
6