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INTRODUZIONE
Il presente lavoro nasce dalla mia esperienza di praticante prima, e di
giornalista poi, in un contesto mediatico, quale quello reggino,
contrassegnato da manifeste e molteplici criticità. Il giornalismo, per me,
ha sempre costituito un’ aspirazione irrinunciabile, una vocazione che, già
forte ai tempi del liceo, mi ha poi spinta, dopo il conseguimento del
diploma, a scegliere e a portare avanti un percorso universitario incentrato
sulle materie umanistiche e, in specie, sull’ ambito della comunicazione.
Mi sono avvicinata alla professione iniziando a collaborare, all’ età di 21
anni, con un’ emittente televisiva locale della mia città, GS Channel, presso
la quale ho svolto i due anni di pratica necessari al conseguimento dell’
iscrizione all’ Albo dei giornalisti (elenco pubblicisti). Un periodo assai
proficuo, sia sotto il profilo umano sia sotto l’ aspetto professionale, che mi
ha consentito di apprendere i rudimenti della professione, di approcciarmi
con curiosità alla realtà politica, economica e sociale di Reggio, di
analizzarne aspetti e sfumature con senso critico, oltre che di intrecciare
splendidi rapporti personali e di amicizia con i colleghi, giornalisti e
personale tecnico, che con me hanno condiviso quel percorso. Alcuni dati
mi sono subito risultati chiari: la difficoltà di produrre un’ informazione
qualitativamente adeguata, aderente ai criteri di obiettività e di veridicità, la
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pressoché totale uniformità del lavoro giornalistico in ragione di una serie
di limitazioni e condizionamenti, la scarsa, se non nulla, funzione sociale
del giornalista. Elementi, questi, personalmente sperimentati ed esperiti,
non senza rammarico e un senso di profondo avvilimento. E’ scaturita da
qui l’ esigenza di condurre un’ indagine approfondita nelle pieghe del
mondo dell’ informazione a Reggio, limitatamente alle emittenti televisive
e al quotidiano online “Strill.it” , scrutando dall’ interno il fenomeno del
precariato, le dinamiche della concorrenza, che talora assume i contorni
dell’ inimicizia e della contesa personale, il quadro delle interferenze
politiche, economiche, sociali, anche malavitose e criminali, il rapporto
travagliato con la Chiesa, gli ostacoli (fino al mobbing) per le donne, le
promesse della nuova frontiera telematica. Tratti chiaroscuri, che
evidenziano talvolta una gestione personalistica ed opportunistica dell’
informazione, in maniera spesso avulsa dai criteri sanciti nel codice
deontologico della professione, attestando altresì scarsa considerazione per
l’ utenza, ai bisogni e agli interessi della quale il lavoro del giornalista
dovrebbe essere prioritariamente rivolto. Nel primo capitolo, ho inteso
tracciare il quadro storico della città di Reggio, dal dopoguerra ai giorni
nostri, contestualizzando così, in modo preciso e circostanziato, la nascita
di una piccola emittente radiofonica, denominata RARA, all’ indomani
dello sbarco degli alleati e, di seguito, la creazione delle tre reti televisive,
Telereggio, ReggioTV e GS Channel, e in ultimo del quotidiano telematico,
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con aggiornamenti in tempo reale, Strill.it, che è la mia attuale testata. In
quest’ opera di ricostruzione, mi sono avvalsa della collaborazione, e della
disponibilità, di colleghi ed editori. Ho raccolto le loro testimonianze ed
impressioni nel corso di lunghe e avvincenti interviste. Per praticità, ho
preferito non registrare, ma solo trascrivere a mano gli esiti di questi nostri
interessanti ragionamenti. In base ad essi, scomponendo e tessendo insieme
i vari spunti, ho proceduto alla stesura di questa prima parte storica. Mi
corre dunque l’ obbligo di ringraziare quanti mi hanno offerto il loro
contributo: in primis, il decano dei giornalisti reggini Antonio La Tella,
capo dell’ Ufficio Stampa della Prefettura reggina all’ indomani dello
sbarco degli alleati, e collaboratore , in tempi diversi, dei quotidiani
“Giornale di Sicilia”, “La Voce di Calabria”, “Gazzetta del Sud”, “Il
Messaggero”, “Il Tempo”, dei periodici “L’ Airone” e “Calabria”, e del
settimanale “I Giorni”, della RAI, per la quale curò una rubrica personale, e
dell’ emittente reggina TVR, della quale assunse l’ incarico di direttore.
Grazie alla sua cortesia paziente, ho potuto avere contezza di informazioni
e particolari ormai ignoti ai più. Ringrazio particolarmente il direttore di
GS Channel Eugenio Marino, giornalista pubblicista e corrispondente da
Reggio de “Il Corriere dello sport”, che mi ha aiutato a colmare qualche
lacuna, e ad arricchire alcuni passaggi carenti di informazioni, e l’ editore
di ReggioTV Eduardo Lamberti Castronuovo, biologo, medico chirurgo
specialista in Reumatologia, la cui disponibilità si è rivelata fondamentale
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per avere notizie circa l’ excursus storico della sua emittente. Un
ringraziamento infine va anche all’ editore di GS Channel, Franco
Recupero, sebbene i nostri rapporti, personali e lavorativi, si siano
interrotti. Una nota particolare per il prof. Agazio Trombetta, storico della
città, già professore di Scienze Naturali nei Licei, di Geografia Economica
negli Istituti Tecnici Commerciali e incaricato di Mineralogia e Geologia
presso l’ Istituto Universitario Statale di Architettura di Reggio Calabria,
preside di ruolo nelle scuole medie, collaboratore a periodici e riviste di
cultura e autore di numerose pubblicazioni. A lui va la mia più sincera
gratitudine per la sensibilità e l’ aiuto prezioso concessomi nella
ricostruzione del background storico sotteso alla nascita delle emittenti
radiotelevisive cittadine. Nella seconda parte, denominata “Antropologia ed
etnografia del mondo giornalistico: alcuni casi a confronto”, ho cercato di
individuare le direttrici di un possibile confronto tra i sistemi mediatici del
passato, e in specie della Germania Nazista e della GDR di ispirazione
comunista, e l’ attuale scenario mediatico reggino, per verificare la
presenza di dati e condizioni comuni, seppur com’ è ovvio non del tutto
assimilabili, riferiti a interferenze, limitazioni o condizionamenti che
possano direttamente, ovvero indirettamente, ostacolare lo svolgimento
dell’ attività giornalistica e dunque precludere il vitale diritto all’
informazione. Dopo aver ricostruito il panorama informativo odierno,
frutto di una modernità “polverizzata” che non restituisce più punti di
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riferimento sicuri ma solo linee spezzettate e irregolari, ho tratteggiato l’
apparato dei media nella Germania Hitleriana e poi sotto il governo del
SED, giungendo poi a dare un quadro comprensivo (ma certo non
esaustivo) della crisi che oggi attanaglia l’ editoria in Italia. Nel terzo
capitolo, poi, ho presentato l’ indagine condotta nell’ ambito locale
cittadino, avvalendomi, anche qui, dei resoconti e delle impressioni dei
colleghi. Ne sono derivate sei macro-aree di discussione, inerenti il
precariato e il mobbing, una visione d’insieme dello scenario mediatico a
Reggio, il condizionamento della criminalità organizzata, il rapporto
travagliato tra Chiesa e comunicazione, la marginalizzazione, vera o
presunta, della componente femminile, il giornalismo nell’ era telematica.
Uno spaccato i cui contorni descrivono una dimensione dell’ informazione
fatta di omogeneità e di indebite ingerenze, ma, anche, di coraggio e di
tensione verso un’ autonomia redentrice. Anche in questo caso, la mia
riconoscenza va ai colleghi che mi hanno concesso le loro interviste. Per i
ringraziamenti ad ognuno di loro, seguiti da un rispettivo, essenziale,
curriculum professionale, si rimanda alle pagine finali di questo lavoro.
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CAPITOLO I
LA STORIA
1.1 La disfatta e la ricostruzione. La breve esperienza della RARA.
Lo sbarco delle truppe alleate, compiutosi il 3 Settembre 1943 in più punti
della sponda reggina, segnò la fine delle ostilità belliche su tutto territorio
1
.
Il tenente Edward Lonmon, divenuto governatore della Provincia di Reggio
e poi cittadino onorario, dispose la creazione di nuove strutture
organizzative della città, che dalla guerra era uscita distrutta nelle
costruzioni fisiche e nel morale, e istituì una segreteria operativa con a capo
Pina Carbonaro, una delle sue amanti. Costei si adoperò, con
determinazione ed efficacia, per alleviare la fame, la disoccupazione e la
miseria della popolazione. In precedenza, durante il regime fascista, la più
alta carica istituzionale in città era rappresentata dalla figura del segretario
federale dei fasci di combattimento Paolo Quarantotto, che esercitava il
potere in virtù del contatto diretto col partito. Egli era affiancato dal
prefetto Rosario Speciale, in rappresentanza del Governo, dal questore
Spanò e dal podestà. A quel tempo, le strutture poggiavano sui concetti di
obbligo e di autorità, e il compito di mantenere l‟ ordine e di stanare i
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Le informazioni sul quadro storico della città di Reggio sono tratte da un’ intervista realizzata con il
prof. Agazio Trombetta. Reggio Calabria, Agosto 2008.
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dissidenti era affidato a due organismi, l‟ OVRA Opera Volontaria
Repressione Antifascismo, e il Tribunale Speciale per la difesa dello Stato,
due strumenti di potere e di inquisizione. Già nel 1925, a seguito della
riforma degli organismi amministrativi, il sindaco non veniva più eletto dal
popolo, ma designato con nomina regia dal Governo su indicazione del
partito e quindi delle strutture locali. I sindaci furono così sostituiti dalla
figura del podestà. Solo nel 1927, proprio a Reggio, si verificò la singolare
circostanza per cui i ruoli di segretario federale dei fasci di combattimento
e di podestà coincisero in un‟ unica figura, quella dell‟ ammiraglio
Giuseppe Genoese Zerbi. In seguito queste cariche sarebbero state divise.
Zerbi si fece promotore del progetto della “Grande Reggio”, proponendo la
soppressione di 14 Comuni contermini. Un‟ istanza, questa, poi approvata
dal Governo. L‟ iniziativa tuttavia rimase incompiuta, per una serie di
motivi, tra cui il mancato coinvolgimento della popolazione, la decadenza
culturale, l‟ isolamento. Dopo Zerbi, caduto in disgrazia, furono investiti
del mandato di podestà Pasquale Muritano, Francesco Giunta, e nel ‟43
Michele Barbaro, docente di economia a Messina il quale, rimasto in carica
fino allo sbarco degli alleati, consegnò simbolicamente le chiavi della città
al tenente Lonmon. Iniziò da qui il processo di defascistizzazione, con l‟
occupazione delle nuove strutture governative da parte degli antifascisti più
intraprendenti. Nel Settembre del ‟43, Lonmon nominò sindaco il
socialista Antonio Priolo, il cui fratello Giovanni era stato il fondatore dei
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fasci di combattimento a Reggio, e vicesindaco Diego Andiloro. Il 4
Gennaio del 1944, accettate le dimissioni del prefetto Rosario Speciale, la
carica di prefetto venne assunta da Priolo, mentre al suo vice Andiloro
venne affidata la guida della città. Da quel momento, Reggio cadde nelle
mani dei socialcomunisti. Priolo e Andiloro ordinarono la rimozione di tutti
i simboli del fascismo; ciò comportò, tra le altre cose, anche lo spostamento
di sei salme, attribuite a sostenitori del passato regime, custodite fino ad
allora nel Tempio della Vittoria. Lungi dal portare immediato sollievo alla
popolazione, il dopoguerra a Reggio si caratterizzò per l‟ accentuazione
dello stato di miseria e di bisogno dovuto in primo luogo alla fame e alla
carenza di materie prime, per l‟ abbandono degli orti di guerra fascisti che
procuravano patate e frumento, per la corruzione politica e dei costumi,
segnalata dall‟ aumento della prostituzione. Accanto a questo, il desiderio
di rinascita e di rinnovamento condusse alla creazione di nuovi Partiti, di
nuovi Sindacati, di nuove Associazioni, di nuove strutture composte per lo
più dagli stessi uomini rinnegati. Una crescita che in sostanza apparve priva
di alcuna progettualità. In quel periodo, nacquero oltre 20 giornali liberi, il
primo di questi denominato “Calabria Libera” (ad immagine del
corrispettivo siciliano “Sicilia Liberata”), diretto da Carlo La Cava. Tra gli
altri, si segnalava il giornale “Il Corriere di Calabria”, diretto dal
giornalista Franco Cipriani. Sebbene tali organi di informazione si
ispirassero alla libertà di stampa, spesso si rendevano protagonisti di risse
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volgari. Per questo, dopo breve tempo tutti i direttori furono convocati dal
governatore Lonmon, che li invitò a tenere un atteggiamento più
morigerato. Stante il mancato accoglimento della richiesta, fu sospesa la
pubblicazione di alcuni giornali, tra cui quelli diretti da La Cava e Cipriani.
Quest‟ ultimo, il giorno dopo, venne autorizzato a far uscire una nuova
testata, denominata “Il Tempo”. Questo, dunque, lo scenario storico in cui
germinò l‟ esperienza di una radio privata, promossa da un gruppo di
reggini tra il 1946 e il 1948
2
. L‟ anima di tale iniziativa fu Benedetto
Tornetta, commerciante di radio e di dischi, che riuscì a realizzare un
minuscolo studio con un‟ antenna a onde medie, non conoscendosi ancora,
a quell‟ epoca, la frequenza modulata oggi in uso. Tuttavia, dopo la guerra,
si era tenuta una Conferenza Internazionale per la determinazione delle
frequenze nei vari Paesi, e l‟ Italia, uscita sconfitta, ne fu fortemente
penalizzata, con l‟assegnazione di pochissime frequenze. L‟ iniziativa
reggina, dunque, confliggeva con questa normativa di carattere
internazionale che impegnava il Governo italiano ad osservarne
rigorosamente i termini. L‟ emittente , comunque, per qualche tempo fu
tollerata, e assunse il nome di RARA ( Radio Audizioni Reggine
Associate). Essa si qualificò per l‟ assenza di informazione, in virtù della
trasmissione, unicamente, di musica e programmi di intrattenimento,
nonché, più raramente, di programmi dal vivo. Così, gli spettacoli di una
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Le informazioni sulla RARA sono tratte da un’ intervista realizzata con il decano dei giornalisti reggini
Antonio La Tella. Reggio Calabria, Agosto 2008.
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stagione lirica memorabile al Teatro Comunale “Francesco Cilea” vennero
trasmessi in diretta. Secondo informazioni giunte ai giornalisti, uno
spettacolo (forse interpretato da Maria Callas) potè essere ascoltato sino a
Vibo Valentia. Alla fine, gli ufficiali della Guardia di Finanza fecero
chiudere la radio. Delle trasmissioni RARA resta il ricordo di alcune “star”
dell‟ epoca, fra cui il cantante Franco Collica, Mario Romeo, negli anni
direttore di Assindustria e interprete di swing, infine il pianista Saro
Pedace, che successivamente fu molto apprezzato dai telespettatori per i
suoi interventi nei programmi di intrattenimento RAI.
1.2 Il trionfo della DC. Assistenzialismo e linee di espansione della città.
Negli anni ‟50 e ‟60, in città nuovi problemi di espansione demografica e
urbana si sommarono ai precedenti, sulla scorta dei finanziamenti statali
per opere pubbliche, previdenziali e assistenziali
3
. Si disegnò una nuova
geografia elettorale, in funzione del nuovo rapporto politico amministrativo
con l‟ elettorato cittadino e dell‟ influenza negli apparati centrali e
periferici, di Partito e di Governo. La strepitosa vittoria democristiana negli
anni ‟60 sancì l‟affermazione di nuovi centri di sottogoverno DC. Grandi
attese furono suscitate dalla visita a Reggio del Presidente del Consiglio
Amintore Fanfani, soprattutto in rapporto alla Cassa del Mezzogiorno.
3
Trombetta, Agosto 2008.
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Questa era un ente pubblico creato nel 1950 dal governo di Alcide De
Gasperi, con un capitale iniziale di mille miliardi di lire, allo scopo di
programmare, finanziare ed eseguire opere straordinarie, funzionali alla
formazione di un tessuto infrastrutturale che favorisse l‟insediamento
dell‟industria e, anche, lo sviluppo dell‟agricoltura e della
commercializzazione dei prodotti agricoli nell‟Italia meridionale.
Inizialmente per la Cassa del Mezzogiorno (la cui esatta denominazione era
“Cassa per le opere straordinarie di pubblico interesse nell‟Italia
meridionale”) venne prevista un durata di dieci anni, ma una serie di
proroghe ne prolungarono la vita fino al 1984. Durante il periodo della sua
attività, la Cassa concesse contributi a fondo perduto e finanziamenti a tassi
agevolati per il miglioramento e l‟attuazione di iniziative pubbliche e
private nei settori industriale, agricolo, artigianale, turistico. Altra funzione
della Cassa era quella di individuare delle aree che, opportunamente
attrezzate, potessero diventare i centri propulsori dello sviluppo industriale
del Mezzogiorno. Di fatto, l‟intervento straordinario nel Sud Italia non
raggiunse gli obiettivi prefissati, sia per le difficoltà di stabilire linee
efficaci di programmazione, sia per l‟uso, non sempre coerente, che il
potere politico fece dei finanziamenti, sia, infine, per la crisi economica
sopraggiunta agli inizi degli anni Settanta. Nel 1984 il decreto che
prorogava ulteriormente l‟intervento straordinario nel Mezzogiorno non
venne convertito in legge e la Cassa fu soppressa. Nel 1986 al suo posto si
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creò l‟Agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno, abolita a
sua volta nel 1993. Dall'inizio dell'operatività, nel 1951 sino al 1992, sia
sotto il nome di Cassa per il Mezzogiorno sia di AgenSud, essa elargì alle
regioni meridionali un totale di 279.763 miliardi di lire, pari a circa 140
miliardi di euro. Ma all‟ epoca della sua istituzione, nelle intenzioni del
governo monocratico formato da esponenti della Democrazia Cristiana, vi
era anche il tentativo di rispondere all‟ offensiva del mondo contadino, il
cui movimento era fortemente sostenuto dal Partito Comunista Italiano.
Intanto, in quegli anni, a Reggio si intensificava il dibattito su sviluppo e
industrializzazione. Alla logica progressista dei comunisti, favorevole all‟
industrializzazione, si frapponevano degli ostacoli come scelte generali e
come mentalità che si manifestava largamente estranea e talvolta osteggiata
dai proprietari agricoli per interessi di categoria. Diverse le linee emergenti
sulla programmazione economica cittadina e sul riequilibrio territoriale.
Allarmanti, in specie, apparivano la situazione abitativa e i modelli dell‟
espansione futura: la crescita degli immigrati, il trasferimento dalle frazioni
al centro, la richiesta di alloggi economici e popolari che rappresentò uno
strumento di potere nella gestione amministrativa del consenso. Nel
ventennio 1950-1970
4
si registrò in Calabria una riduzione della
popolazione residente dello 0,5%; le città scoppiavano per il fenomeno
dell‟ inurbamento, cui contribuì il fallimento dei piani di
4
Fortunato Aloi, Reggio ’70 Rivolta di un popolo, Edizioni Il Coscile, pp 25-26.
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industrializzazione con l‟ abbandono delle campagne da parte di migliaia di
contadini, coloni e braccianti. Reggio registrò un aumento di popolazione
del 18,2%. La città aveva un‟ economia fondata per il 18,7% sull‟
agricoltura, il 16,5% sull‟ industria, in gran parte edilizia, il 38,8% sul
settore terziario ed il 26% sulla pubblica amministrazione, con un reddito
annuo pro capite pari a lire 381.000. Prima della rivolta, fu approvato il
piano Quaroni
5
, il cui artefice rivestiva l‟ incarico di rettore dello IUSA,
Istituto Universitario Statale di Architettura. Il progetto mirava all‟
espansione della città mediante l‟ individuazione di un nuovo piano
regolatore, ma rimase irrealizzato per via del succedersi di differenti
Amministrazioni.
1.3 La rivolta di Reggio. “Il rifiuto della partitocrazia come metodo di
governo”.
Fu questo, dunque, il quadro di riferimento socio-economico che fece da
substrato all‟ originarsi dei Moti del ‟70, il cui punto d‟ inizio discese,
tuttavia, dalla decisione, ritenuta verticistica perché non concordata con la
cittadinanza, del Governo centrale di assegnare a Catanzaro il capoluogo
della Regione. La rivolta si contraddistinse per due aspetti essenziali
6
, 1)
5
Trombetta, Agosto 2008.
6
F. Aloi, op. cit., pag. 26
14
spontaneità di manifestazione; 2) motivazione di ordine storico-morale
come elemento esterno e, nel contempo, causa scatenante dei Moti. Non
vanno tuttavia trascurati alcuni elementi di natura sociale che di quegli
avvenimenti costituirono i prodromi. In primis, la vicenda delle OMECA di
Reggio Calabria. Le OMECA, unica fabbrica reggina di un certo rilievo,
sorta nei primi anni ‟60, rischiava di chiudere i battenti nel 1967, venendo
meno la promessa degli iniziali 2000 posti di lavoro, dei quali solo 300
realizzati. Uno sciopero massiccio, organizzato dai sindacati, scongiurò il
pericolo della chiusura. Si salvò solo l‟ esistente, sebbene ciò contribuì ad
impedire un serio avvio del processo di industrializzazione in una città, la
cui vocazione restò legata, prevalentemente, al terziario e ad una
dimensione burocratico- amministrativa. Inoltre, nella seduta del 21 Marzo
1969
7
, il Consiglio Comunale reggino, con riferimento alla scelta del
capoluogo regionale, in prossimità dell‟ attuazione del dettato
costituzionale in ordine alle Regioni a statuto ordinario, affermava l‟
esigenza di una visione unitaria dei problemi calabresi, nel rispetto “dell‟
orientamento che ad ogni zona e città della Regione vadano riconosciute
tradizioni e vocazioni”, e invitava il Governo affinché le scelte relative alla
vita e allo sviluppo della Calabria, compreso il capoluogo, non ubbidissero
a “suggestioni particolaristiche e ad interventi e pressioni”, senza tacere che
“i rappresentanti reggini sosterranno le ragioni che militano a favore della
7
F. Aloi, op. cit. pag. 27
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scelta di Reggio come capoluogo della Calabria”. Veniva dunque espresso
quel principio della “contestualità e globalità”, poi richiamato, più volte,
per sostenere la legittimità della richiesta di Reggio nel contesto dello
sviluppo della Calabria. La determinazione circa l‟ attribuzione del
capoluogo di Regione sarebbe stata assunta al tavolo di un ristorante
romano dai parlamentari calabresi più potenti, tra i quali il sottosegretario
agli Interni Ernesto Pucci, democristiano, deputato di Catanzaro. Riferisce
infatti Antonio La Tella, decano dei giornalisti reggini e, all‟ epoca dei
fatti, autorevole firma de “Il Tempo”: “ Nella tarda primavera del 1970, si
pose in sede governativa ed in sede parlamentare il problema degli assetti
istituzionali in Calabria. Reggio poneva, prima ancora che una frusta
rivendicazione campanilistica, come strumentalmente è stato poi detto, un
problema di metodo. Poiché la Regione era chiamata ad una scelta,
appariva ragionevole e giusto ai reggini che a pronunciarsi dovessero
essere democraticamente gli organi rappresentativi della Calabria: i
presidenti delle province ed i sindaci dei tre capoluoghi, naturalmente con
il concorso della deputazione politica. Sennonché deputati e senatori
avevano già deciso di fare tutto loro. Nel corso di una cena privata svoltasi
nel ristorante romano “La vigna del Cardinale”, i parlamentari calabresi più
influenti, tutti di Catanzaro e Cosenza, si sarebbero sveltamente accordati
su una ipotesi, che di fatto, condannava Reggio ad una emarginazione
ingiusta oltre che antistorica. E‟ del tutto evidente che un accordo tra pochi