2
Introduzione
Lo psicodramma classico è comunemente ritenuto un metodo di cura dei disturbi
psichici che vede i partecipanti impegnarsi ad esplorare il proprio mondo interiore
mediante l’azione. Più precisamente, lo si immagina come una terapia con la quale i
pazienti, anziché stare a parlare dei propri problemi, desideri e ricordi, salgono su un
palcoscenico e trasformano tali contenuti mentali in rappresentazioni teatrali, con l’aiuto
degli altri pazienti e di personale specializzato che s’impegnano ad interpretare le parti
complementari alla sua. Tuttavia tale concezione dello psicodramma pur non errata, alla
luce di un’approfondita analisi dei testi del suo ideatore, J. L. Moreno, risulta essere
riduttiva. Infatti, appare chiaro che questi in realtà intendeva lo psicodramma non
semplicemente come metodo per la cura dei disturbi psichici ( dunque come qualcosa
riservato a coloro che vengono catalogati come malati di mente) ma come metodo
grazie al quale ogni uomo avrebbe avuto la possibilità di diventare “creatore dei propri
ruoli”; in altri termini si può dire che egli riteneva lo psicodramma non solamente un
metodo di cura della malattia mentale, ma uno strumento che l’uomo avrebbe potuto
utilizzare per la propria evoluzione personale.
Grazie ad esso avrebbe avuto la possibilità di esercitare ruoli contemporaneamente
più adatti sia alle proprie esigenze psicologiche sia a quelle specifiche del contesto in
cui viene a trovarsi; tale sviluppo infatti scaturirebbe dalla liberazione della spontaneità
e dall’esercizio della creatività, che può aversi pienamente in quella situazione
particolare che è la messa in scena psicodrammatica, nella quale si incontrano altre
persone con le quali ci si esercita a provare ad infrangere i propri schemi di
comportamento insoddisfacenti e a trovare comportamenti più adeguati da introdurre
poi nella vita reale.
In questa prospettiva mi sono soffermata sullo psicodramma classico o moreniano,
fondato sui principi e sulla metodologia indicati dal suo ideatore sulla base della
consapevolezza che lo psicodramma è essenzialmente uno strumento che l’uomo può
utilizzare per migliorarsi e dunque evolversi, ed è utile anche per imparare ad essere
creatori dei propri ruoli.
La tesi è divisa in quattro capitoli. Nel primo capitolo si accenna ad alcune modalità
di cura della sofferenza psichica, proprie dei secoli passati, che per alcuni aspetti
ricordano lo psicodramma. Nel ricordare queste pratiche e le convinzioni a cui esse si
riferivano si cerca di evidenziare le caratteristiche somiglianti allo psicodramma nonché
le differenze.
Viene poi presentata la storia della nascita dello psicodramma, ossia il cammino che
portò Moreno all’ideazione dello psicodramma, presentando gli avvenimenti
fondamentali della sua vita e dando rilievo soprattutto a quelli che lo portarono a
sviluppare le concezioni da cui poi tale metodo ebbe origine. Ci si sofferma inoltre su
quanto fece con i suoi più importanti collaboratori per il perfezionamento e la diffusione
dello psicodramma negli Stati Uniti e nel mondo, sullo psicodramma analitico, lo
psicodramma triadico ed il playback theatre, nati dall’unione dello psicodramma
classico con altri importanti approcci psicoterapeutici.
Nel secondo capitolo si presentano i concetti fondamentali su cui poggia la pratica
psicodrammatica, quali spontaneità, creatività e conserve culturali, ed il rapporto che
deve esserci tra loro per il benessere e l’evoluzione dell’uomo. Analogamente, si
esamina il concetto di tele, il suo rapporto con il transfert e l’empatia, che Moreno
considerava componenti di esso, e il modo in cui questi tre fenomeni si distribuiscono
nel corso della sessione psicodrammatica. L’esamina abbraccia la teoria del ruolo, i vari
3
tipi di ruolo esistenti e il modo in cui essi si sviluppano, il concetto di catarsi, e il posto
da essi occupato all’interno della pratica psicodrammatica.
Nel terzo capitolo si illustra la metodologia psicodrammatica, iniziando con una
breve parte introduttiva in cui si descrivono i possibili tipi di gruppo coinvolti nello
psicodramma e le regole fondamentali a cui bisogna attenersi nella definizione del
contratto. Segue la presentazione della sessione psicodrammatica strutturata in tre fasi:
il processo di riscaldamento, la rappresentazione scenica e la partecipazione finale
dell’uditorio. Alla descrizione di quanto accade in ognuna di queste tre fasi segue la
presentazione dei cinque elementi fondamentali dello psicodramma: il palcoscenico, il
protagonista, il direttore, gli io ausiliari e l’uditorio, mentre nel terzo paragrafo sono
descritte alcune fra le numerosissime tecniche psicodrammatiche esistenti spiegandone
i motivi del loro impiego. Infine, in considerazione dell’importanza degli studi
sociometrici per l’individuazione e la definizione del concetto di tele e delle tecniche
sociometriche impiegate nella pratica psicodrammatica, qualche pagina è dedicata anche
alla presentazione della sociometria.
Nel quarto capitolo, dopo la presentazione di due particolari modalità d’intervento
derivanti dallo psicodramma classico, il sociodramma e il role playing, frequentemente
impiegate soprattutto in ambito aziendale e scolastico, si cerca di analizzare il modo in
cui lo psicodramma con i suoi presupposti teorici e le varie tecniche può essere
utilizzato come strumento per l’evoluzione della persona. Si considera innanzitutto la
possibilità di utilizzare lo psicodramma come strumento favorente lo sviluppo
psicologico del bambino e dell’adolescente, ed in particolare le sue possibilità di
applicazione nella scuola, prendendo in considerazione anche i problemi che con esso si
possono presentare in soggetti di questa età. Il lavoro prosegue con l’analisi della
possibilità di utilizzare lo psicodramma come strumento favorente l’evoluzione
dell’adulto, presentandolo più precisamente come possibile mezzo da utilizzare per
imparare ad affrontare le transizioni tipiche dell’età adulta rendendole vere occasioni di
sviluppo e per affrontare situazioni dell’età adulta particolarmente delicate, quali ad
esempio la situazione genitoriale e quella di handicap. Successivamente, si affronta il
tema dell’applicazione dello psicodramma in ambito aziendale, come mezzo per
sviluppare la capacità di rapportarsi in maniera flessibile ai propri ruoli lavorativi
venendo incontro sia alle proprie esigenze che alle richieste del contesto in cui si opera,
per riuscire a lavorare in gruppo, oggi sempre più indispensabile. Infine, si prendono in
esame le possibilità d’impiego dello psicodramma da parte di coloro che lavorano nel
settore educativo, i quali più degli altri, potrebbero trarre maggior giovamento
dall’utilizzo di tale metodologia.
4
Capitolo 1. La nascita dello psicodramma
In questo capitolo presenteremo la storia della nascita dello psicodramma.
Conosceremo dunque il cammino che portò Moreno all’ideazione dello psicodramma,
presentando gli avvenimenti fondamentali della sua vita e dando rilievo soprattutto a
quelli che lo portarono a sviluppare le concezioni da cui poi tale metodo ebbe origine.
Ci soffermeremo inoltre su quanto fece con i suoi più importanti collaboratori per il
perfezionamento e la diffusione dello psicodramma negli Stati Uniti e nel mondo, sullo
psicodramma analitico, lo psicodramma triadico ed il playback theatre, nati dall’unione
dello psicodramma classico con altri importanti approcci psicoterapeutici. Tutto ciò sarà
però preceduto da una breve presentazione di alcune modalità di cura della sofferenza
psichica, proprie dei secoli passati, che per alcuni aspetti ricordano lo psicodramma. Nel
ricordare queste pratiche e le convinzioni a cui esse si riferivano si cerca di evidenziare
le caratteristiche somiglianti allo psicodramma nonché le differenze.
1.1. Cenni storici
Volgendo uno sguardo al passato, si scopre che nei secoli precedenti la volontà degli
uomini di curare la sofferenza psichica abbia talvolta portato all’adozione di pratiche
per molti aspetti simili al metodo psicodrammatico, e che alcune concezioni moreniane
sono in realtà antiche convinzioni. Parlare di ciò significa innanzitutto ricordare
Aristotele (384-322 avanti Cristo), il quale sosteneva che la tragedia era in grado di
provocare la catarsi dello spettatore, ossia di liberare quest’ultimo dai propri sentimenti
negativi, affermando infatti che questa era “adatta a suscitare pietà e paura, producendo
di tali sentimenti la purificazione che i patimenti rappresentati comportano”
1
. Come
vedremo in seguito, anche Moreno sosterrà che la rappresentazione di drammi umani
esercita un effetto catartico sullo spettatore. Dopo Breuer e Freud, anch’egli riprenderà
infatti il concetto aristoteliano di catarsi, giungendo però ad arricchirlo di nuovi
significati
2
.
Probabilmente, la convinzione che per le persone affette da disagio psichico fosse
benefico assistere a degli spettacoli doveva esser propria anche dei medici che nel XII
secolo lavoravano negli ospedali psichiatrici del Cairo
3
, dal momento che, come
sostiene Foucault nella sua “Storia della follia”, sin da tale epoca in questi ospedali si
usava curare tali persone impegnandole nell’ascolto di musica e racconti e facendole
assistere a degli spettacoli
4
. Da DeGroote sappiamo che tre secoli dopo all’ospedale di
Faith e in molti altri ospedali i malati potevano distrarsi assistendo alle esibizioni di
artisti variamente specializzati, quali giocolieri, musicisti, danzatori e giullari, chiamati
ad esibirsi appositamente per loro
5
.
1
GIAVELLOTTI C. (a cura di), (1974), Aristotele, dell’arte poetica, Arnoldo Mondadori Editore, Verona,
p.19.
2
cfr. infra, pp. 49-52.
3
Contrariamente a quanto accadde in Europa, nel mondo arabo gli ospedali psichiatrici fanno la loro
comparsa molto presto: pare che a Fea fossero presenti già nel VII secolo e che a Baghdad ci fossero già
dalla fine del XII secolo. Cfr. FOUCAULT M. (19..), Histoire de la folie à l’âge classique, Gallimard, Paris,
tr. it. Storia della follia, Rizzoli Editore, Milano, 1980, p. 121-122.
4
Ibidem
5
Cfr. DE GROOTE M.R. (1967) La folie à travers les siècles, Rober Laffont, Paris, tr. it. La follia attraverso
i secoli,
Tattilo Editrice, Roma, 1973, p. 41.
5
In Europa la prescrizione di spettacoli si ha solamente a partire dal XVII secolo,
inserita in una terapeutica del movimento poggiante sulla convinzione che per guarire
bisogna tornare nel mondo, affidarsi alla sua saggezza e dimenticarsi della propria follia
(ossia della propria soggettività). A partire da quel periodo, alcuni medici iniziarono ad
affermare che l’impegno in viaggi, reali o immaginari, da compiersi mediante il ricorso
alla letteratura o al teatro, era estremamente raccomandabile sia per i melanconici, che
così avrebbero avuto la possibilità di dimenticare le loro ossessioni, sia alle persone
affette da mania, “in quanto si tratta di un rimedio in grado di regolare l’agitazione
fissando l’attenzione e questo grazie alla curiosità per le novità che esso implica”
6
. Tra
questi medici, anche Baglivi
7
, il quale sosteneva che l’assistere a degli spettacoli
favoriva nei malati di mente il prodursi “d’impressioni morali gaie” in grado
d’esercitare una benefica influenza sul decorso dei mali da cui erano afflitti. Egli
affermava pure che l’intensità di tali impressioni morali doveva essere proporzionata
alla natura di ogni singolo caso. Sostenendo tali idee, Baglivi promuoveva la
prescrizione di spettacoli al rango di trattamento morale, primitiva forma di
psicoterapia che inizierà ad affermarsi realmente a partire dal XVIII secolo, accanto al
trattamento medico e nell’ambito delle esortazioni al ritorno alla vera fede, per poi
conoscere importanti sviluppi nel XIX secolo
8
.
Ciononostante, in questo periodo, come anche nel secolo successivo, non mancano
coloro che invece sostengono tesi diametralmente opposte, ossia che gli spettacoli
teatrali (come anche i romanzi) sono qualcosa di profondamente dannoso per la salute
mentale. Tra questi Beauchêne, il quale accusa il teatro di essere luogo in cui: “si
coltivano le illusioni, si suscitano artificialmente le varie passioni e i moti dell’animo
più funesti”
9
. Secondo quest’autore ad essere maggiormente a rischio è la salute mentale
delle donne, le quali: “amano tali spettacoli, che le infiammano e le esaltano, il loro
animo è così fortemente scosso da produrre nei loro nervi un’emozione, in verità
passeggera, ma le cui conseguenze sono gravi”
10
.
Da quanto detto sin ora appare chiaro che l’idea moreniana che il dramma sia in
grado di esercitare un potere catartico sugli spettatori era in realtà una consapevolezza
antica che, almeno dal XVII secolo, si diffonde anche in Europa.
Verso la fine di tale secolo ed ancor più in quello successivo, negli ambienti medici
si afferma la convinzione che “l’illusione può guarire dall’illusorio”
11
, ossia che le
persone affette da malattie comportanti convinzioni deliranti, avrebbero potuto ottenere
significativi benefici da una cura consistente nella realizzazione teatrale del loro
delirio, per la quale chi circondava il malato inizialmente doveva fingere di
condividerne la realtà illusoria, guardandosi bene dal contraddirlo e dal fargli intuire che
il suo obiettivo era di convincerlo dell’assurdità di quanto andava affermando, e quindi
impegnarsi a concretizzare i fantasmi del malato nella realtà, aggiungendovi però degli
elementi nuovi su cui far dirigere l’attenzione del malato, in maniera da indurlo ad
abbandonare spontaneamente la sua fantasia delirante
12
. L’illustrazione del seguente
caso dovrebbe permettere una migliore comprensione di questa tecnica:
Lusitanus racconta così la guarigione di un malinconico che si credeva dannato già su questa terra
a causa dell’enormità dei peccati commessi. Nell’impossibilità di convincerlo con argomenti
6
FOUCAULT M. (19..),cit., p.264.
7
Medico italiano (1668-1707), professore di anatomia a Roma e importante seguace della scuola iatro-
fisica che riteneva di poter interpretare la medicina attraverso la fisica o la meccanica.
8
Cfr. DE GROOTE M.R. (1967) cit., p.113.
9
BEAUCHENE (1783), De l’influence des affections de l’âme dans les maladies nerveuses des femmes,
Paris, 1783, p.31, cit. in FOUCAULT M. (19..),cit., pp. 310-311.
10
Ibidem.
11
FOUCAULT M. (19..),cit., p.274.
12
Cfr. FOUCAULT M. (19..),cit., pp.274-277.
6
ragionevoli che può ancora salvarsi, si accetta il suo delirio: gli si fa apparire un angelo vestito di
bianco, con una spada in mano, che dopo una severa esortazione gli annuncia che i suoi peccati gli
sono perdonati
13
Il seguente caso è, forse, ancora più esemplificativo:
un gruppo di persone che si erano rese pallide e si erano vestite come dei morti, entrano nella sua
camera, preparano una tavola, fan portare i piatti e si mettono a mangiare e bere davanti al letto. Il
morto, affamato, guarda; ci si stupisce che resti a letto; lo convincono che i morti mangiano proprio
come i vivi. Egli si adatta molto volentieri a questa usanza
14
.
Questo è dunque un procedimento con cui non si tratta semplicemente di continuare
il delirio, ma di continuarlo per portarlo a termine, introducendovi, a tale scopo, degli
elementi che lo conducano inevitabilmente alla crisi e quindi alla risoluzione, ossia è un
procedimento con cui:
Senza urto né rottura la realtà può continuare il sogno, colmarne le lacune, confermarlo nella sua
precarietà e portarlo a conclusione.
15
Le analogie esistenti tra la tecnica della realizzazione teatrale del delirio e i
procedimenti propri dello psicodramma sono evidenti.
Innanzitutto, vediamo che, come accade in psicodramma, anche con la tecnica della
realizzazione del delirio si ha per prima cosa ciò che qui definiamo come “l’apparente
accettazione del mondo psicotico”, con cui il medico evita di approcciarsi al malato
partendo da un’imposizione della propria realtà e lascia invece che questo sia
inizialmente libero di manifestare la sua visione del mondo, ma, proprio come lo
psicodrammatista attuale, chiedendo ai propri collaboratori di assumere un
comportamento adeguato a quest’ultima, in modo da farla diventare “realtà concreta”.
Poi, sempre coadiuvato dai suoi collaboratori, introduce in questa realtà degli elementi
nuovi, che inducano il paziente a modificare le proprie percezioni in maniera più
adeguata alla realtà oggettiva. Del resto, tra le due tecniche ci sono anche importanti
differenze. Tra esse, il fatto che, ogni qual volta sia possibile, con lo psicodramma si fa
in modo di rendere il paziente consapevole del fatto che quella che sta esprimendo non è
la realtà oggettiva ma la propria soggettività, in una condizione di messa in scena e
dunque di semirealtà
16
, mentre nella realizzazione teatrale del delirio il paziente ignora
di trovarsi in tale condizione e dunque crede che tutto stia accadendo sul serio. Ma
soprattutto è da tenere presente che in realtà la tecnica della realizzazione teatrale del
delirio non era affatto considerata un trattamento di tipo psicologico, così come a noi
sembrerebbe e così come è considerato lo psicodramma. Infatti, nel mondo medico il
concetto di trattamento psicologico della malattia mentale fa la sua comparsa solo alla
fine del Settecento, con l’affermarsi della concezione della malattia mentale come colpa
morale e quindi con l’affermarsi dell’idea che il malato di mente sia responsabile del
suo stato e dunque da punire e rieducare, in maniera da riportarlo sulla retta via, che ha
come conseguenza la messa a punto, a cura del medico francese Pinel, operante prima a
Bicêtre e poi alla Salpêtrière
17
, dello strumento adatto a ciò e di cui si è brevemente
13
FOUCAULT M. (19..),cit., p. 274.
14
HULSHORFF, Discours sur les penchants, cit. in FOUCAULT M. (19..),cit., p. 275.
15
Ibidem, p.274.
16
Cfr. infra, p. 57.
17
L’ospedale di Bicêtre viene fondato nel 1632 da Luigi XIII, allo scopo di accogliere e curare i feriti
militari. In seguito fu annesso all’Ospedale generale e usato contemporaneamente come ospizio e
prigione in cui venivano destinati alienati, vagabondi ed ergastolani. La Salpêtrière nasce invece a Parigi
nel 1656 come luogo d’internamento per donne che potevano costituire un pericolo per il mantenimento
dell’ordine sociale e morale. Dunque in tale luogo vi erano recluse non solo donne affette da patologie
7
accennato prima: il trattamento morale, che è dunque la prima vera forma di trattamento
psicologico ed è considerabile come progenitore della psicoterapia. Sino ad allora,
metodi che noi classificheremo come psicologici, come ad esempio la realizzazione
teatrale del delirio di cui si è appena detto, erano considerati metodi fisici, in quanto
capaci di provocare nel malato degli stati d’animo in grado di produrre quelle
modificazioni dell’organismo necessarie alla guarigione, che potevano appunto essere
prodotte anche con metodi puramente fisici come, ad esempio, le docce fredde, i salassi
e la somministrazione di purganti, con i quali quindi non c’erano grosse differenze, in
quanto, anche se per vie diverse, raggiungevano lo stesso obiettivo
18
.
Grazie a Cassinelli sappiamo poi che tale tecnica della realizzazione teatrale del
delirio verrà utilizzata sino all’Ottocento inoltrato.
Ma nell’Ottocento, con l’affermarsi della concezione di malattia mentale come colpa,
ossia come conseguenza dell’indulgere dell’uomo in passioni dannose, e dunque con
l’affermarsi dell’idea che curare il malato di mente significa innanzitutto punirlo e
rieducarlo, cambiano anche le motivazioni che conducono all’impiego della tecnica
della realizzazione del delirio: ora il suo scopo non è più persuadere il malato della sua
follia per poterlo liberare, ma umiliare la sua presunzione causandogli dolore, di
conseguenza chi vi ricorre spesso sente di dover accompagnare il suo utilizzo ad una
notevole aggressività, così come dimostrano i casi riportati dal Cassinelli:
I paralitici progressivi grandeggianti e i paranoici megalomani erano obbligati a subire, in
ginocchio, motteggi scherni e ingiurie da parte degli altri malati, per essere costretti a rinnegare il
proprio delirio; il melanconico ipocondriaco ansioso si svegliava sotto un baldacchino di stracci
pomposi, con una corona di carta in testa; e il maniaco spavaldo era circondato da infermieri
strepitanti in veste di ossessi e con maschere terrificanti sul volto
19
.
Tutto ciò mentre già alla fine del XVIII secolo, a Bicêtre, il già citato Pinel fa ricorso
ad una tecnica comportante anch’essa un iniziale “apparente accettazione del mondo
psicotico del paziente”: il riconoscimento nello specchio, con la quale, come scrive
Foucault, accade che “il folle non può fare a meno in fin dei conti di sorprendersi suo
malgrado come folle”
20
. Con essa, ancora una volta, coloro che si occupano del malato
fingono di condividere la sua realtà, evitando di affermare che essa non è che il frutto
dell’immaginazione. Contemporaneamente gli mostrano altri pazienti manifestanti deliri
e comportamenti simili ai suoi, magari incitandolo ad esprimere sentimenti di
compassione e scherno nei confronti di queste persone che egli, incapace di riconoscersi
in loro, percepisce così distanti. Fatto ciò, s’impegnano a far notare al malato l’assurdità
delle sue convinzioni (pur continuando a fingere di condividerle) e a fargli
gradualmente notare, sempre senza alcuna dichiarazione esplicita, che in fondo egli è
proprio come gli altri pazienti che sente così diversi e che perciò deride. L’obiettivo è di
far si che il malato si renda dolorosamente conto di essere in un’analoga condizione di
malattia e si vergogni di essere come coloro che aveva appena disprezzato, con la
consapevolezza di avere così disprezzato se stesso. Tutto ciò nella convinzione che tali
prese di coscienza costituiranno l’inizio del processo di guarigione del paziente
21
:
un altro malato di Bicêtre si credeva anch’egli re, esprimendosi sempre «col tono del comando e
dell’autorità suprema». Un giorno in cui era più calmo, il sorvegliante lo avvicina e gli domanda
psichiche , ma anche vagabonde, sovversive, inferme, prostitute ed anche donne appartenenti ai ceti
indigenti che a causa dell’età avanzata o d’infermità fisiche non potevano aspirare la matrimonio ed erano
condannate alla mendicità. Inoltre la Salpêtrière ospitava anche bambini ribelli ma giudicati recuperabili.
Cfr. DE GROOTE M.R. (1967) cit., pp.144-158.
18
Cfr., FOUCAULT M. (19..),cit., pp. 267-271.
19
CASSINELLI B. (1964), Storia della pazzia, Dall’Oglio Editore, Milano, pp. 437-438.
20
FOUCAULT M. (19..),cit., p. 427.
21
Cfr., FOUCAULT M. (19..),cit., pp. 426-428.
8
come mai non pone fine alla propria detenzione, visto che è un monarca, e perché resta con gli
alienati di ogni specie[…] nei giorni seguenti gli fa osservare a poco a poco il ridicolo delle sue
pretese esagerate, gli mostra un altro alienato convinto anch’egli da tempo di essere rivestito del
potere supremo e diventato oggetto di derisione. Dapprima il monarca si sente straziato, ben presto
mette in dubbio il suo titolo di sovrano, infine giunge a riconoscere le sue chimere. Questa
rivoluzione morale inattesa si produsse in quindici giorni, e dopo qualche mese di prova quel padre
rispettoso è stato rimandato in famiglia
22
.
Tutto ciò similmente a quanto accade in psicodramma, dove uno degli obiettivi
fondamentali che ci si propone è di fare in modo che il soggetto, in qualità di membro
dell’uditorio, s’impegni nell’osservazione del dramma che il protagonista va
rappresentando, affinchè ricordi le proprie analoghe esperienze e si riconosca in lui,
ossia nei suoi problemi, nelle sofferenze che essi recano, nel modo di percepirli e di
affrontarli. Insomma, come accadeva con la tecnica del riconoscimento nello specchio
di Pinel, lo psicodramma da al soggetto la possibilità di riconoscere se stesso e il
proprio male nell’altro. Ancora una volta però, c’è da rilevare una differenza
fondamentale tra i due procedimenti, costituita dal fatto che utilizzando il
riconoscimento nello specchio si voleva indurre nel malato il sorgere della
consapevolezza di essere come chi egli stesso aveva appena deriso e disprezzato
(appositamente istigato a far ciò da coloro che lo assistono), e cioè una presa di
coscienza caratterizzata dal dolore e dalla vergogna, nella convinzione che tale stato
d’animo sarebbe stato un potente stimolo alla guarigione, mentre nello psicodramma,
che pure vede nelle prese di coscienza circa il proprio malessere indotte dal
rispecchiamento nell’altro dei fattori favorenti la guarigione, è assente l’idea che tali
prese di coscienza siano efficaci solo se accompagnate da sentimenti di dolore e di
vergogna (di cui comunque non si esclude l’utilità) e manca inoltre la convinzione che
per prima cosa il paziente debba essere indotto alla derisione ed al disprezzo dell’altro,
che mal si concilierebbe con uno dei suoi obiettivi fondamentali: favorire nei
partecipanti alla sessione l’instaurarsi di relazioni fondate sul rispetto e la comprensione
reciproca
23
.
Se nel XVII e nel XVIII secolo medici e infermieri s’impegnavano a recitare per i
loro pazienti, nel XIX secolo si diffonde ciò che oggi viene comunemente definita come
teatroterapia, ossia la pratica di impegnare le persone affette da disagio psichico in vere
e proprie rappresentazioni teatrali di testi preventivamente preparati ed eseguite in
seguito ad un periodo di prove
24
.
Grazie ad Esquirol, il più celebre allievo di Pinel, sappiamo che tra gli psichiatri che
in quell’epoca pensarono di far recitare i malati in serate teatrali in ospedale, in Francia,
nel 1805, ci fu il dottor De Coulmier, direttore all’ospizio di Charenton
25
, che agì in tal
senso dietro suggerimento dell’ illustre marchese de Sade, anch’egli suo paziente:
Considerando l’applicazione dei principi morali come uno dei suoi attributi più importanti il
direttore [de Coulmier] credette di aver trovato nelle rappresentazioni teatrali e nella danza un
rimedio supremo contro la follia…Venne disposto sopra l’antica sale dell’ospedale cantonale,
22
PINEL PH. Traité medico-philosophique, p.265, cit. in FOUCAULT M. (1961),cit., p.426-427.
23
Per una trattazione più approfondita dell’effetto provocato da coloro che prendono parte alla
rappresentazione scenica in qualità di protagonisti o di io ausiliari su chi vi ha semplicemente assistito
come membro dell’uditorio si rimanda alla lettura del terzo capitolo. Cfr. infra, p. 60.
24
Cfr. ANZIEU D. (1978), cit., Le psychodrame analytique chez l’enfant et l’adolescent, Presses
Universitaires de France, Paris, tr. it. Lo psicodramma analitico del bambino e dell’adolescente,
Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma, 1979, pp. 215-216.
25
L’ospedale di Charenton venne fondato nel 1641dai frati della Carità, che avevano fondato in tutta
Europa una vasta rete di pensionati e di ospedali civili e militari che ebbero un ruolo fondamentale nel
trattamento delle malattie mentali. Alla fine del secolo, in un edificio separato dal resto dell’ospedale e
dal convento, viene creato un padiglione riservato ai malati di mente. Cfr. DE GROOTE M.R. (1967), cit., p.
132.
9
diventata una sala per le donne alienate, un’orchestra, una platea, e, di fronte alla scena, un palco
riservato al direttore e ai suoi amici. Di fronte al teatro e da ogni lato di questo palco che emergeva
sulla platea, si elevavano gradini destinati a ricevere a destra da quindici a venti donne, e a sinistra
altrattanti uomini più o meno privi della ragione, quasi tutti dementi e abitualmente tranquilli. Il resto
della sala, o platea, era riempito da gente estranea e da un piccolo numero di convalescenti. Il fin
troppo famoso de Sade era l’ordinatore di queste feste, di queste rappresentazioni, di queste danze, e
non si arrossiva di chiamare a questo fine delle ballerine e delle attrici dei piccoli teatri di Parigi
26
.
Infatti, oltre ad essere l’ideatore di quest’iniziativa, de Sade, dietro consenso di de
Coulmier, si occupava anche della preparazione degli spettacoli, individuando i testi da
rappresentare, distribuendo le parti, dirigendo le prove e occupandosi della formazione
teatrale dei pazienti, i quali, accanto ad attori professionisti, venivano impegnati in parti
secondarie
27
. Esquirol osserva inoltre che, in realtà, questi malati oltre ad essere attori
erano spesso anche spettatori osservati da parte delle persone che accorrevano ad
assistere a tali spettacoli, curiosi di osservare il contegno adottato dai malati che
assistevano agli spettacoli senza prendervi parte attivamente:
Gli alienati che assistevano a queste rappresentazioni teatrali erano l’oggetto dell’attenzione e
della curiosità di un pubblico leggero, sconsiderato e talora malvagio. Il comportamento bizzarro di
quegli infelici, il loro contegno provocavano le risa beffarde e la pietà insultante degli astanti
28
.
Gli spettacoli organizzati dal marchese De Sade si tennero fino al 1813, anno in cui
le autorità governative ne decretarono la proibizione
29
. Dal canto suo, Esquirol, parlava
di questo trattamento che de Coulmier riservava ai suoi pazienti con toni di biasimo.
Egli, che qualche volta accompagnava i suoi pazienti agli spettacoli parigini, riteneva
infatti che:
Affinché le rappresentazioni teatrali possano essere di una qualche utilità agli alienati, ci vorrebbe
un teatro, delle opere teatrali, una musica e degli spettatori creati appositamente per ogni malato, in
quanto l’applicazione dell’influenza morale al trattamento degli alienati dovrebbe prevedere tante
varianti quanti sono i diversi modi di sentire
30
.
In altre parole, come già nel Seicento aveva fatto Baglivi, egli intuiva la necessità di
un trattamento adeguato alle specifiche esigenze del singolo paziente, che poteva anche
consistere nel solo assistere a delle rappresentazioni teatrali in grado di procurargli
quello choc emotivo che, quando si tratta di dover liberare una persona dai suoi deliri, è
molto più efficace del tentativo di farla ragionare, poiché dotata di maggior potere di
convinzione
31
.
Ora, è da sottolineare che molti, avendo scarse conoscenze in materia, sono convinti
che teatroterapia e psicodramma siano sinonimi, ma in realtà tra la teatroterapia, con cui
de Coulmier impegnava i suoi pazienti, e lo psicodramma c’è una grossa differenza.
Come già è stato detto, la prima consiste nel far realizzare ai malati delle vere e proprie
rappresentazioni teatrali, basandosi su dei testi preventivamente preparati e dopo un
periodo di preparazione, mentre con lo psicodramma ci s’impegna nella
rappresentazione dei propri contenuti mentali, ma senza prima farne un testo scritto e
26
ESQUIROL E. (1838), Des maladies mentales considérés sous les rapports médical, hygiénique et
médico-légal, Paris, Baillère, cit.in 216.
27
Cfr. ANZIEU D. (1978), cit., pp. 215-216.
28
ESQUIROL E. (1838), cit. in FOUCAULT M. (1961), Histoire de la folie à l’âge classique, Gallimard, Paris,
tr. it Storia della follia, Rizzoli Editore, Milano, 1980, p. 149.
29
Cfr. ANZIEU D. (1978), cit., pp. 215-216.
30
ESQUIROL E. (1838), cit. in DE GROOTE M.R. (1967), p. 227.
31
Come il suo maestro Pinel, Esquirol era convinto che le passioni fossero causa di disordini intellettuali
e morali e conseguentemente a questa sua convinzione attribuiva grande importanza al trattamento
morale, ed in particolare come abbiamo visto riteneva particolarmente efficace quello fondato sullo choc
emotivo. Cfr. DE GROOTE M.R. (1967) cit., p. 227-229.