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INTRODUZIONE
QUADRO DI RIFERIMENTO TEORICO
1- Cenni di teoria della crescita
2- Crescita endogena e sistemi locali
3- Strategie di sviluppo locale
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1- Cenni di teoria della crescita
L’ultimo quarto di secolo ha visto un interesse crescente nei confronti dell’analisi del
cambiamento tecnologico nel tentativo di comprendere quei meccanismi che, per lungo
tempo, sono stati confinati, dall’analisi economica neoclassica, all’interno di una
“scatola nera”. Tale analisi si fondava su una profonda contraddizione: ad un consenso
generale sull’importanza del cambiamento tecnologico come motore della crescita
economica, non corrispondeva una pari attenzione da parte degli economisti stessi, i
quali ritenevano che tale scatola dovesse essere aperta da ingegneri e/o scienziati.
Ora, invece, appare chiaro che le connessioni fra tecnologia e crescita economica sono
mediate dal momento centrale della diffusione, il cui processo ha assunto ormai,
nell’idea di tutti gli studiosi, una grande rilevanza in rapporto all’innovazione.
A tale proposito è interessante analizzare la distinzione tra invenzione, innovazione e
diffusione riconducibile al contributo di Joseph Schumpeter. L’invenzione consiste di
una nuova idea (un nuovo prodotto, un nuovo processo) il cui significato economico
non è certo, mentre l’innovazione è il processo mediante il quale nuovi prodotti o
processi produttivi acquisiscono peso economico attraverso il loro uso commerciale da
parte delle imprese (cioè tramite il processo di diffusione).
Durante il processo di diffusione di un’innovazione non vengono disseminati soltanto
benefici materiali (come aumenti di produttività) ma anche, e soprattutto, informazioni
fra i vari agenti economici che rappresentano un elemento centrale nel determinare il
risultato del processo di diffusione stesso, cioè se un’impresa adotterà o no
un’innovazione. Man mano che l’informazione diviene più certa e controllabile e
parallelamente sempre più imprese adottano tale innovazione il rischio associato
all’adozione dell’innovazione diminuisce.
L’imprenditore, o l’innovatore (che per Schumpeter sono figure coincidenti, ma si veda
anche l’imprenditore di Kirzner
1
) deriva la sua funzione, ed il conseguente profitto, dal
fatto di introdurre nel sistema un elemento di novità che spiazza la concorrenza
eliminandola. L’innovatore di successo guadagna extra-profitti e stimola un’ondata di
1
Combatto E. (2000), Dall’impresa dei neoclassici all’imprenditore di Kirzner, Economia Politica, in
corso di pubblicazione
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imitatori. Esisterà, infatti, un forte incentivo ad entrare nel mercato e il processo avrà
termine quando una nuova situazione di equilibrio, ma diversa dalla precedente, verrà
raggiunta.
L’idea schumpeteriana ha dato avvio ad un nuovo filone di analisi che studia il rapporto
tra struttura di mercato, progresso tecnologico e crescita economica noto come teoria
evolutiva del progresso tecnico. Tale teoria parte da una situazione di squilibrio nel
mercato, causata dall’introduzione di elementi innovativi, per arrivare a una nuova
situazione di equilibrio (a seguito dell’ondata di imitazioni) nella quale, però, tutto il
mercato risulta cresciuto (processo di distruzione-creazione).
Se è vero, come afferma Schumpeter, che l’informazione rappresenta un momento
centrale per la crescita di un sistema economico, è anche vero, come dichiarano Nelson
e Winter, che le imprese operano in un regime di informazione incompleta, per via della
loro limitata capacità di elaborare e percepire tali informazioni. Il problema è che ogni
impresa differisce sotto l’aspetto dell’apprendimento, perché possiede un proprio
patrimonio scientifico di conoscenza tecnologica. Questo fa comprendere quanto non
sia tanto il progresso scientifico a fare la crescita, quanto la capacità della stessa impresa
di innovarsi continuamente.
Si deve inoltre aggiungere che, a seconda dei settori industriali, si verificano differenti
gradi di esternalità: ciò implica che in alcuni settori i paradigmi tecnologici producono
elevati livelli innovativi, in altri i processi di diffusione procedono più lentamente. Ma
non è tutto: i meccanismi di diffusione dipendono anche dal contesto storico, sociale e
culturale in cui devono manifestarsi.
Si viene così affermando l’idea di un sistema nazionale di innovazione, in cui gli
elementi base dei processi innovativi hanno una naturale base nazionale: derivano dalla
volontà nazionale di creare le infrastrutture istituzionali che contribuiscono
all’innovazione tecnologica (politiche di sussidio, di finanziamento, generazione-
distribuzione R&S, politiche fiscali). Così si può affermare che i contributi delle
istituzioni, le loro strutture di incentivi e le loro competenze determinano la velocità di
direzione dell’apprendimento tecnologico (Patel-Pavitt, 1994).
In un mondo in cui la globalizzazione si fa sempre più spinta sopravvive e vince solo
chi sa costruire un’identità sociale e culturale (alla base di quelle che Abamovitz (1989)
definisce social capabilities) che si trasferisce, attraverso procedimenti istituzionali
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complessi, al tipo di performance tecnologica ed economica. Imprese, università, istituti
di ricerca, settore pubblico sono le istituzioni che hanno il compito, nonché il dovere, di
creare le social capabilities.
Ma come già si può leggere dalle opere di Adam Smith il progresso tecnologico è anche
un fenomeno di natura endogena. Smith, infatti, considerava il miglioramento dei
macchinari, la maggiore destrezza (la dexterity che portò per primo Arrow, nel 1962, a
parlare di learning by doing), una più adeguata distribuzione e divisione del lavoro,
come fenomeni connaturati al progresso tecnologico. Il miglioramento delle macchine,
per esempio, avviene attraverso una lunga e faticosa attività di ricerca fatta spesso
all’interno della stessa azienda; la divisione del lavoro porta una maggiore
specializzazione del personale lavorativo e quindi un valore aggiunto per l’impresa,
valore aggiunto prettamente locale ovviamente; e così si potrebbe continuare con altri
esempi. Quindi gli effetti del progresso tecnico hanno un impatto reale sull’intero
sistema economico in cui questo si manifesta.
Se da una parte si può affermare che la divisione del lavoro porta ad un incremento della
produttività, dall’altra si deve ricordare che tale fenomeno è limitato dall’estensione del
mercato. La dinamica divisione del lavoro-estensione del mercato crea effetti di
retroazione, generando un processo economico endogeno che induce mutamento. Alla
luce di queste considerazioni non si possono non considerare che positivi gli attuali
processi in corso nelle economie contemporanee, e cioè l’apertura e l’integrazione di
nuovi mercati nel sistema mondiale, che portano a nuove forme di divisione
internazionale di lavoro e quindi ad un’ulteriore estensione dei mercati, con gli evidenti
risvolti positivi in termini di crescita e sviluppo.
In sintesi si può affermare che il progresso tecnico non è più, come si considerava
prima, circostanza occasionale, ma parte integrante della dinamica della crescita.
Elementi accettati come centrali del processo di innovazione tecnologica sono
l’apprendimento, che permette agli agenti di creare vantaggi dinamici e l’interazione,
sia interna all’azienda, sia tra questa e l’ambiente, che articola fenomeni economici di
specializzazione e coordinamento.
Sotto quest’ultimo aspetto, l’interazione, l’innovazione può essere considerata come il
frutto dell’azione di tutti gli attori del sistema e quindi, più ampiamente, come portatrice
di uno sviluppo su base regionale o quantomeno locale.
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Tre sono gli elementi, quelli che Storper
2
definiva la santa trinità, alla base dello
sviluppo regionale: tecnologie, organizzazioni, territori. Sono tre fattori fortemente
collegati fra di loro e che, proprio per questo motivo, devono procedere di pari passo, se
si vuole raggiungere l’obiettivo peculiare di ogni sistema locale: la crescita economica.
Riguardo il primo elemento si è già avuto modo di parlare più sopra.
Per quel che concerne gli altri due, invece, risulta evidente come questi siano la
conseguenza delle capacità delle istituzioni e degli attori locali e si mostrino quindi
fortemente dipendenti dalle cause endogene del proprio territorio di appartenenza.
Ad una prima analisi, quindi, il problema dello sviluppo regionale risulta associato alla
costruzione di un proprio, e del tutto personale, sistema di innovazione interno che si
poggia, essenzialmente, sulla creazione di capacità per un’azione collettiva e su forme
di coordinamento fra gli attori locali. Ciò consiste nella creazione di convenzioni che
permettano, agli agenti istituzionali e non, di agire in modo coerente e coordinato in
modo da generare innovazioni economicamente praticabili.
Però il sistema locale, soprattutto se in difficoltà, deve essere aiutato dalle istituzioni
nazionali e sopranazionali, in quanto, la crisi di un sistema, si ripercuote su quelli vicini:
è la conseguenza, negativa, quanto inevitabile, della globalizzazione. Tali aiuti non
devono però, come in passato, passare per la centralizzazione (vedi Fig.1), che crea
sussidi e cattedrali nel deserto, ma devono indirizzarsi più verso uno sviluppo locale
incentivato (Fig.2 e 3). Il vero problema non è l’ammontare di risorse che si indirizzano
nelle aree depresse, quanto l’efficienza con cui le stesse sono spese.
2
Storper M. (1998), Innovazione come azione collettiva: prodotti, tecnologie e territori, L’industria, a.
XIX, n.3
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Figura 1 – Modello centralizzato
Fonte: Del Monte A., “La nuova politica per il Mezzogiorno: dalla centralizzazione allo sviluppo locale
incentivato”, Economia e politica industriale n. 100, 1998
Tale modello di sviluppo, tipico degli anni 60 e 70, non è stato capace di creare vera
crescita. È risultato negativo per una serie di motivi: innanzi tutto ha creato la figura
dell’imprenditore politico (di cui la famosa tangentopoli è solo la punta di un iceberg);
non è stato capace di creare abilità; gli investimenti effettuati si sono rivelati, alla lunga,
inefficienti (no indotto, cattedrali nel deserto, cassa integrazione, ecc.). L’unico
vantaggio di un tale modello è la capacità di coordinamento delle azioni da effettuare.
Sicuramente più efficiente e con aspetti più vantaggiosi, almeno sulla carta, risulta il
modello decentralizzato. In questo l’autorità locale riceve le risorse dal governo; spetta
poi a lei scegliere i progetti da intraprendere: l’autorità locale si assume una maggiore
responsabilità, è costretta a rendersi più efficiente, pena la perdita delle risorse
inviategli. Deve quindi recepire i bisogni di cittadini, forze sociali, ecc. e tradurli in
progetti e servizi.
Il modello di sviluppo decentralizzato è rappresentato in Figura 2:
Autorità centrali
Progetti
Autorità locali
Bisogni
Servizi
Cittadini, forze sociali, ecc.
Bisogni
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Figura 2 – Modello decentralizzato
Fonte: Del Monte A., “La nuova politica per il Mezzogiorno: dalla centralizzazione allo sviluppo locale
incentivato”, Economia e politica industriale n. 100, 1998
Altro modello di sviluppo interessante, ma più rischioso, è il cosiddetto modello misto
(Fig.3), in cui l’Autorità locale propone progetti al governo, il quale decide quali
finanziare, in base non solo al tipo di progetto proposto ma anche alle disponibilità
finanziarie. I problemi sono due: tempi di esecuzione molto lunghi e possibile paralisi
burocratica. Vi è inoltre il rischio che le regioni meno efficienti, non in grado di
presentare un adeguato numero di progetti, siano svantaggiate nella distribuzione delle
risorse.
Autorità centrali
Risorse
Autorità locali
Progetti
Servizi
Cittadini, forze sociali, ecc.
Bisogni
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Figura 3 – Modello misto
Fonte: Del Monte A., “La nuova politica per il Mezzogiorno: dalla centralizzazione allo sviluppo locale
incentivato”, Economia e politica industriale n. 100, 1998
Al di là di ogni classificazione e modellizzazione, il governo deve incentrare le proprie
linee d’intervento su 3 punti essenzialmente:
1. l’incentivazione del capitale e del lavoro;
2. la promozione dello sviluppo imprenditoriale locale;
3. la realizzazione diretta, da parte dello Stato, di infrastrutture e di altri
investimenti..
Si devono, inoltre, intraprendere nuove politiche di promozione dei sistemi
d’imprenditoria locale e incentivare quelli già esistenti (patti territoriali, contratti d’area,
contratti di programma). In particolare notevole importanza riveste la programmazione
negoziata che affronta uno dei principali ostacoli allo sviluppo delle aree depresse
(Mezzogiorno in primis): l’assenza di una mentalità cooperativa. La mancanza di spirito
cooperativo da un lato impedisce ad imprese piccole e medie di consorziarsi, per
realizzare quelle economie di scala che le loro dimensioni non permettono, dall’altro
contribuisce all’inefficienza delle istituzioni pubbliche al Sud.
Altro ruolo importante, ai fini dello sviluppo economico, lo svolgono le infrastrutture.
L’attuale filosofia del dipartimento per le politiche di sviluppo (DPS) consiste
nell’assegnare risorse a quelle regioni in grado di saper effettuare progetti validi e non
vanificare l’investimento statale. Vi è così il rischio, non solo teorico, che il
Autorità centrali
Risorse
Autorità locali
Progetti
Cittadini, forze sociali, ecc.
Bisogni
Progetti
Servizi
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Mezzogiorno nel suo complesso, proprio perché dotato di amministrazioni spesso
inefficienti, perda fondi a favore delle aree più ricche e più efficienti del Paese.
Se, come si dirà meglio in seguito
3
, la conoscenza è la risorsa strategica, il learning
rappresenta il processo più importante delle moderne economie. In altre termini,
l’innovazione tecnologica può non avere alcun duraturo impatto sull’impresa, se non è
in grado di attivare un effettivo processo di apprendimento, che richiede a sua volta una
particolare cooperazione tra tecnologia e organizzazione d’impresa, così da realizzare
un ponte tra l’ambiente scientifico e la concreta applicazione
4
.
La maggiore attenzione rivolta al ruolo dell’apprendimento fa sì che grande importanza
sia riconosciuta alla diffusione informativa, sia all’interno del sistema economico, sia
nell’ambito dei network imprenditoriali, sia infine all’interno della stessa impresa.
La conoscenza, che dà la possibilità di acquisire informazioni come anche di
trasmetterle, non si trova solo in forma codificata nella realtà; al suo fianco si pone
spesso la cosiddetta conoscenza tacita, maturata nelle organizzazioni e nei rapporti fra
organizzazioni. Il processo di innovazione e soprattutto quello di learning è oggi
fondamentalmente legato alle modalità con le quali avviene l’interazione tra conoscenza
tacita e codificata. Pertanto, nelle moderne economie, il processo di apprendimento
complessivo si accresce nella misura in cui si riesce a tradurre conoscenza tacita in
codificata (e quindi se ne aumenta la capacità di trasmissione) e quest’ultima è a sua
volta in grado di generare la produzione di ulteriore conoscenza tacita.
Da quanto detto discende che lo sviluppo dell’innovazione, e più in generale del
processo di learning, è decisamente condizionato dalle caratteristiche delle fonti
informative disponibili ed in particolare dalla modalità di combinazione tra fonti
esterne, che consentono l’acquisizione di un sapere codificato, e fonti interne, che
invece attengono più propriamente alla conoscenza tacita. Di conseguenza il processo di
learning può essere configurato come un continuo interscambio di conoscenze e
informazioni di natura codificata e tacita.
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Pag 21-22
4
Di Bernardo, Rullani (1990), in Il management e le macchine, Bologna, Il Mulino
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Ma la strada per uno sviluppo di un processo di learning è segnata da numerosi ostacoli.
Innanzi tutto uno dei principali è costituito dalla disponibilità di informazioni e
soprattutto dalla loro capacità di combinazione e di interazione. Altro limite esplicito,
spesso indicato dalle imprese, consiste nella eccessiva rischiosità comparata con la
difficoltà di ottenere un adeguato finanziamento: l’innovazione tecnologica presenta
costi o rischi eccessivi, e non esistono adeguate risorse finanziarie per farvi fronte. Altri
ostacoli sono rappresentati dalla carenza di servizi e di cooperazione tecnica.
Possibili politiche di intervento per migliorare la capacità di learning delle imprese
locali devono da un lato tendere sempre più ad affiancare, ad una attività di natura
tipicamente informativa, un’altra più orientata alla fornitura di un servizio. Dall’altro
lato, agire in maniera più ampia sul contesto locale, cercando di sviluppare un capitale
di fiducia, sulla cui esistenza si basano le attività di cooperazione tra le imprese e la
creazione di network imprenditoriali learning intensive. Si propone il tema della cultura
imprenditoriale come fattore determinante per il processo di learning e quindi per
l’effettiva funzionalità dell’innovazione tecnologica.
Le politiche d’intervento rimandano, quindi, alla costituzione, ed alla affermazione a
livello locale, di istituzioni di regolazione, in grado di ridurre la presenza dei costi di
transazione da un lato e dall’altro di aumentare la qualità e la quantità di skills specifici,
così da consentire la trasmissione della conoscenza tra le imprese e una più forte
interazione tra impresa e ambiente esterno.
Al risultato fortemente positivo dello sviluppo tecnologico, che si traduce in un’alta
produttività, si allaccia un triste male della presente società, cioè l’elevata
disoccupazione, definita tecnologica in quanto legata strutturalmente al progresso
tecnico.
I rimedi proposti rimangono quelli della liberazione del mercato del lavoro dai numerosi
vincoli che vi sono inseriti e il ricorso agli investimenti, pubblici e privati.
Gli investimenti però non rappresentano la soluzione più idonea per combattere tale
forma particolare di disoccupazione. Se è vero, infatti, che rappresentano la fase iniziale
di aumenti dell’attività economica e in questo senso della produzione, è pure vero che
non lo sono necessariamente di una maggiore occupazione.
L’idea di fondo, che si sente ripetere da più parti, consiste nel combattere i mali dell’alta
tecnologia con l’alta tecnologia (Parravicini, 2000). Cioè le persone, che per via dello
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sviluppo tecnologico hanno perso il proprio lavoro, perché obsoleto, inutile o per
esubero, potrebbero essere riutilizzate nei nuovi settori produttivi che la stessa
tecnologia ha creato. In poche parole, come afferma anche Pini
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, la valutazione degli
effetti dello sviluppo tecnologico sulla occupazione deve avvenire mediante un’analisi
della distruzione-creazione delle opportunità occupazionali: la tecnologia distrugge le
vecchie opportunità occupazionali, ma al contempo ne crea di nuove. L’unico
svantaggio consiste nel fatto che tale processo non è automatico, ma contraddistinto,
nella sua fase iniziale, da una forma di disoccupazione strutturale.
Quello che avviene è definito, in termini anglosassoni, jobless growth, cioè, una fase di
crescita dell’economia, cui non fa seguito una fase immediata di crescita occupazionale.
Ma si è scoperto che la teoria della jobless growth vale per i settori primario e
secondario, ma non si verifica per il terziario, per via di una l’elasticità occupazionale
(leggi flessibilità) che supera di gran lunga quella degli altri settori economici. Sarebbe
quindi logico spostare il grande degli investimenti nel settore dei servizi, sì da ottenere
non solo crescita economica, ma anche occupazione.
Secondo tale tesi, i servizi potrebbero oggi fungere da motore della crescita, in quanto il
loro ruolo non è più confinato a quello meramente complementare. Il fattore che segna
il cambiamento del loro ruolo è rappresentato dalle tecnologie dell’informazione e delle
comunicazioni. Tali tecnologie consentirebbero di accrescere il carattere tradeable di
tali attività, nel passato molto limitato, e quindi di espandere il mercato in modo
analogo a quanto era avvenuto con i prodotti industriali, di cui i mercati sono ora saturi.
Sarebbero i servizi, quindi, sospinti dalle innovazioni di processo e di prodotto, legate
all’information and comunication technologies (ICT), al centro del meccanismo di
crescita cumulativa, generatore di un nuovo circolo virtuoso favorevole all’occupazione.
5
Pini P. (2000), Occupazione tecnologia e crescita: quale relazione a livello macroeconomico ?,
Economia Politica
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2- Crescita endogena e sistemi locali
Interessa qui ragionare sul problema della crescita di sistemi economici territoriali, per i
quali il contesto socio-economico spazializzato, nel quale è inserita l’impresa, diviene
una componente vera e propria del processo produttivo. L’ambiente
6
risulta, quindi, una
variabile da strutturare da parte degli agenti più dinamici e innovativi, mentre può
trasformarsi in un vincolo per quelli più consuetudinari e adattivi; pertanto può
rappresentare uno spazio di supporto per comportamenti innovativi o, viceversa, un
freno per la loro comparsa. Questo perché lo spazio non è esprimibile solo in termini
fisici o di dotazione di infrastrutture e di fattori, ma anche secondo la natura dei soggetti
economici che in esso operano. È cioè anche spazio relazionale (Camagni, 1993). Si va
ormai diffondendo la convinzione che la crescita delle singole aree sia innanzi tutto
determinata da capacità endogene. L’approccio endogeno alla crescita pone l’accento:
™ sulle interrelazioni tra sistema economico, all’interno del quale la risorsa
imprenditoriale, come il capitale umano, giocano un ruolo decisivo, e ambiente;
™ sull’originalità dei modi con cui ogni società locale combina il mix dei fattori
della crescita (Beccatini, 1997).
Non c’è, pertanto, difficoltà ad accettare l’eventuale provenienza esogena dello stimolo
alla crescita, provenienza che in molti casi è d’obbligo; c’è piuttosto la convinzione che
ad uno stesso stimolo esogeno corrispondano effetti endogeni spazialmente
differenziati.
Il modello CEI (Crescita Endogena Interrelata) rappresenta il punto di partenza di
quanto detto finora: analizza la crescita attraverso un approccio per fenomeni, e non più
per fattori, che sono il risultato di comportamenti soggettivi, oltre che ovviamente, di
connessioni causali forti.
In tale modello l’innovazione rimane un contenuto forte, sebbene in questo caso
l’accento sia posto non tanto sul progresso tecnico, quanto sulle modalità di come un
6
Il termine ambiente qui sta ad indicare quell’insieme di “nuove economie esterne, di rapporti di
cooperazione, di percorsi di apprendimento, di cultura locale del lavoro che possono costituire elemento
differenziale e competitivo di un’area”, da Bramanti A, Il modello di sviluppo endogeno interrelato,
Rivista economica del Mezzogiorno, a. V, n. 2
17
gruppo di attori reagisce al cambiamento. Allora la crescita economica dipende
fortemente dalla dimensione locale: creazione e dinamismo imprenditoriale, infatti, si
verificano in alcune società e non in altre! Lo sviluppo non dipende solo dal
comportamento di istituzioni, dalle politiche di crescita, dalle forme organizzative ma
anche dal “sistema cognitivo” del posto, inteso come sistema che organizza la filiera
della conoscenza ai vari livelli: dal sapere scientifico e tecnologico, alle tecniche e
forme organizzative concrete della manifattura, passando per il sapere manageriale.
In un tale contesto gli obiettivi principali diventano la creazione di capitale umano (vedi
pag 21-22) altamente qualificato e lo sviluppo delle connessioni tra agenti.
Non deve, però, essere considerato secondario l’interscambio con l’esterno, che assume,
invece, una rilevanza fondamentale, insieme al coordinamento delle attività all’interno
del sistema. Dall’esterno, infatti, si acquistano informazioni, che generano conoscenza e
competenze, permettendo all’intero sistema di innovarsi e crescere.
Esiste una forte relazione tra innovazione, crescite e induzione interna, come si può
dedurre dalla Figura 4:
Figura 4 – Relazione innovazione-crescita
Fonte: Rielaborazione da Bramanti A. – Miglierina C., “Alle radici della crescita regionale: fattori,
fenomeni, agenti”, L’industria XVI n. 1, gennaio-marzo 1995
In forza dei percorsi innovativi seguiti e della connessa crescita della competitività, un
sistema locale accede a nuovi mercati di sbocco. Da un lato il reddito generato induce
investimenti e occupazione, dall’altro attrae risorse umane dall’esterno. Ciò contribuisce
al consolidamento e all’ampliamento del mercato locale il che dà nuovo impulso a
investimento e occupazione. Ulteriore conseguenza positiva di tale fenomeno consiste
Innovazione
Entrata in nuovi
mercati
+ investimento
+ occupazione
+ risorse umane
dall’esterno
Crescita
+ investimento
+ occupazione
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nel fatto che, al flusso di beni che raggiungono i mercati finali, si accompagna
un’importante flusso di informazioni di ritorno, il cosiddetto feed-back, relativo alla
qualità e rispondenza di tali prodotti/servizi ai bisogni dei consumatori/utilizzatori.
Ma non finisce qui: la crescita, infatti, genera nuove opportunità di intrapresa, cioè
nuove specializzazioni produttive che alimentano un circuito innovativo locale; tale
processo è anche noto come teoria della capacità innovativa diffusa (CID)
7
.
Il sistema locale, pertanto, per risultare vincente deve presentare il giusto mix
robustezza del tessuto-apertura. Quindi, da un lato deve possedere un capitale umano
qualificato, politiche locali coscienziose, sistemi istituzionali capaci e infrastrutture
moderne; dall’altro, l’ambiente locale, deve essere outward oriented, in modo da
cogliere le opportunità che vengono dall’esterno.
Al modello CEI si affianca spesso, proprio perché complementare, il modello LIR.
Mentre il primo rappresenta più un circuito di crescita qualitativa, essendo basato
sull’acquisizione di conoscenze e informazioni (che producono innovazione e quindi
crescita), il modello LIR (Leader Indotto Reddito) fa perno sulla relazione di induzione
tra impresa leader e imprese indotte (adattive), portando ad una crescita di tipo
quantitativo. Sono comunque entrambi importanti, ai fini dello sviluppo locale, in
quanto mettono in evidenza due aspetti fondamentali della crescita: le connessioni
interne, da una parte, quelle locali, dall’altra.
In tal modo, l’elemento determinante della crescita di una regione (sistema locale)
diventa la sua capacità di adattamento strategico al cambiamento
8
. Oltre ad un capitale
umano qualificato e ad un sistema tecnologico avanzato è necessario che il sistema
locale abbia un ottimo sistema informativo, che consenta un rapido scambio delle
informazioni e una corretta valutazione delle prospettive future dell’impresa, e che
possegga capacità di controllo del mercato.
Avere un efficiente sistema informativo implica la necessità di effettuare alleanze
strategiche e rapporti di collaborazione: Network approach. L’idea è che dalla
condivisione del sapere nasca una maggiore competitività per l’impresa.
7
Evidenziata dal Bellandi nel 1989, in Capacità innovativa diffusa e sistemi locali di imprese, Bologna, Il
Mulino
8
Senn, in Modelli di crescita regionale:dal localismo a nuove generazioni, Milano, F. Angeli