2
mercato del lavoro, uno ufficiale e garantito, l’altro sotterraneo e non
protetto, rappresenta un indubbio fattore di attrazione per i migranti.
In questo sistema gioca un ruolo fondamentale la manodopera
immigrata, a basso costo, illegale, tenuta in condizioni di perenne
clandestinità.
L’Italia, caratterizzata in passato da una forte emigrazione, solo
negli ultimi decenni si è trasformata in un paese di accoglienza, zona
di transito ma anche di arrivo per flussi migratori di notevoli
dimensioni. Per mettere a fuoco la specificità dell’immigrazione
straniera nel nostro paese, sarà opportuno inquadrarla nell’ambito
delle migrazioni internazionali avvenute nell’Europa del dopoguerra.
Diversi autori
1
suddividono il fenomeno migratorio in tre fasi distinte.
La prima, dal 1950 al 1967, corrisponde al periodo della
ricostruzione strutturale. L’Italia durante questo periodo si caratterizza
esclusivamente come paese di emigrazione, sia verso l’esterno che
verso l’interno, con flussi migratori per lo più dal sud verso il nord
2
.
Una seconda fase, compresa tra il 1967 e il 1980, viene definita
“della crisi strutturale e della nuova divisione internazionale del
lavoro”.
1 MELOTTI U., Specificità e tendenze dell’immigrazione straniera in Italia, Edizioni Liguori,
Napoli, 1991.
2
All’inizio le migrazioni interne italiane e le migrazioni internazionali nei Paesi
dell’Europa centrosettentrionale presentano una caratteristica comune, sono
motivate dalla forte domanda di lavoro delle aree a maggior sviluppo industriale e
presentano un elevato tasso di attività. La differenza principale è che mentre le
prime tendono a diventare presto definitive, le seconde conservano a lungo il
carattere della temporaneità.
3
In questo periodo, in tutti i Paesi del Nord Europa
tradizionalmente importatori di manodopera, le migrazioni
internazionali subiscono il contraccolpo della crisi economica
3
.
Durante questa fase si assiste ad una progressiva trasformazione dei
Paesi del Sud Europa che, da esportatori di manodopera, diventano
meta di flussi migratori prevalentemente extraeuropei.
Dal 1972 l’Italia cessa di essere uno dei maggiori paesi a forte
emigrazione e diviene paese di immigrazione; giungono in questo
periodo soprattutto esuli, profughi politici di origine extraeuropea.
Con l’inizio degli anni ‘80 si apre la terza fase definita “della
crisi globale dei Paesi sottosviluppati e della ripresa delle economie
capitalistiche”.
In questo periodo le migrazioni sono meno motivate dalla
domanda di manodopera nei paesi di approdo, e dipendono
precipuamente dalla forza espulsiva dei paesi di esodo.
I governi dell’Europa centro-settentrionale, che fino agli anni ’80
avevano rappresentato aree di inserimento privilegiate, chiudono le
frontiere, restano aperte solo quelle dell’Europa mediterranea.
In Italia l’immigrazione tende a configurarsi come una realtà
consolidata e non reversibile.
3
A partire dal 1973, tali migrazioni vengono apertamente contrastate dalle “politiche degli stop”,
una serie di interventi tesi a bloccare l’immigrazione per motivi di lavoro. Si verifica così uno
spostamento dei flussi verso paesi in precedenza poco toccati dall’immigrazione, come Italia,
Spagna e Portogallo, che diventano dapprima paesi di transito, attraverso i quali si cerca di
raggiungere il nord Europa e poi, mete dirette di immigrazione. Cfr.: FAMOSO N., Movimenti
migratori, diversità e convivenza, Milano, Franco Angeli, 1996.
4
Si tratta di un’immigrazione indotta da fattori di espulsione
“push factors”
4
, ovvero sospinta da mere ragioni di sopravvivenza,
più che da fattori d’attrazione dei paesi d’arrivo “pull factors”, come
un mercato del lavoro in espansione. Il paradosso per cui ad elevati
flussi di immigrazione si registrano elevati tassi di disoccupazione è
solo apparente, si giustifica con la disponibilità di molti immigrati a
svolgere mansioni disagevoli accettando condizioni lavorative poco
remunerate e precarie. Il bisogno di sopravvivenza in terra straniera
rende gli immigrati facili prede per anomale forme di sfruttamento
anche di natura illecita.
4
CASACCHIA O. - DIANA P. - STROZZA S., La distribuzione di alcune collettività
straniere immigrate in Italia: caratteristiche determinanti, a cura di BRUSA C.,
inoltre Immigrazione e multicultura nell’Italia di oggi. La cittadinanza e
l’esclusione, la “frontiera adriatica”, gli altri luoghi dell’immigrazione, la
società e la scuola., Franco Angeli, Milano, pag. 75, 1999.
5
1.1. Le migrazioni internazionali in un quadro storico
Come accennato in precedenza, la spinta alla mobilità territoriale e
alla colonizzazione di nuovi spazi va considerata una caratteristica del
genere umano, la cui riuscita dipende dalla capacità dell’uomo di
adattarsi socialmente e culturalmente ai nuovi ambienti
5
.
La dislocazione da un luogo all’altro in epoca antica riguarda
ristretti gruppi umani e si muove entro spazi limitati; di conseguenza,
gli studiosi cominciano a parlare di vere e proprie migrazioni, vale a
dire di grandi spostamenti di uomini, solo all’inizio dell’età moderna.
In questo periodo, gli spostamenti sono mossi da due tipi di
opportunità: “le colonie da sfruttare” ed i “nuovi mondi da
popolare”. Attraverso la conquista del Nuovo Mondo, lo sviluppo
degli scambi commerciali e la rete dei trasporti, la popolazione
mondiale comincia ad integrarsi in un unico sistema migratorio. Con
riferimento al tempo ed allo spazio, i movimenti di popolazioni
assumono scansioni diverse.
Dal XIV al XVI secolo molti governi in concomitanza con
l’espansione del loro potere, accoglievano favorevolmente gli
emigranti, per le capacità e i capitali che portavano con sé.
L’espandersi della popolazione era un segno di rafforzamento del
potere e i sovrani si compiacevano nel vedere gli altri stati perdere
sudditi.
5
BONIFAZI C., L’immigrazione straniera in Italia, Il Mulino, Bologna, 1998.
6
Tra il XVI e il XVIII secolo, ad una debole mobilità interna, si
contrapponeva una direttrice extraeuropea che convogliava in due
grandi migrazioni transoceaniche: il trasferimento di circa tre milioni
di europei e lo spostamento di circa 7,5 milioni di africani, deportati
come schiavi, dalla costa occidentale del loro continente, verso le
colonie del Nuovo Mondo
6
.
Dalla fine del XVIII secolo, con le grandi rivoluzioni
democratiche e demografiche, fino a tutto il XIX secolo, ci fu una
grande ondata migratoria di provenienza europea che si consolidò
sempre più verso i nuovi continenti (America ed Australia). La prima
indagine ufficiale, denominata “Questionario del 1811”, sulle
migrazioni europee legate al lavoro, risale agli inizi del XIX secolo
(1808-1813) e fu commissionata dall’esercito francese bisognoso di
soldati per le guerre di conquista
7
.
Al termine del XIX secolo vari paesi smisero di incentivare
l’emigrazione verso le Americhe, per cui i movimenti migratori
all’interno dell’Europa cominciarono a superare quelli rivolti verso il
Nuovo Mondo. Con la nascita dell’industria pesante, infatti, gli stati
avevano bisogno di manodopera straniera per sopperire alle carenze di
quella interna
8
.
6
Tale fenomeno è considerato uno dei maggiori movimenti migratori involontari
mai realizzati, si consideri inoltre che tali stime possono avere un ampio margine
di approssimazione.
7
Cfr. FAMOSO N., Movimenti migratori, diversità e convivenza, Franco Angeli,
Milano, 1996, ed inoltre SASSENS S., Migranti, coloni, rifugiati. Dall’emigrazione
di massa alla fortezza Europa, Feltrinelli, Milano, 1999.
8
La proclamazione dell’Unità d’Italia, avvenuta nel 1861, e quella dell’impero
tedesco, nel 1870, contribuirono a far crescere il sentimento nazionalista anche se
7
Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX (1881-1914),
cominciarono i primi movimenti dei rifugiati, più di 2.250.000 ebrei si
spostarono negli Stati Uniti e più di 120.000 in Gran Bretagna
9
. Nei
paesi di accoglienza le politiche liberali cominciarono ad essere messe
in discussione ed iniziò il controllo dell’immigrazione.
Quando le porte americane si chiusero, si pensò all’opportunità
di introdurre norme più severe
10
. A seguito della crisi del ‘29, poi, il
progresso tecnologico si velocizzò: la macchina si sostituì all’uomo,
che cessò così di essere il fattore di produzione meno costoso. La
disoccupazione iniziò quindi a pesare per lunghi anni sulle società
industriali e, in primo luogo, sulla società americana: il mondo aperto
del XIX secolo cessò perciò di esistere.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale si apriva una nuova fase,
tutta l’Europa centro settentrionale diventava area d’immigrazione e
importatrice diretta di manodopera
11
. Il modello dominante era rivolto
ad un’immigrazione verso l’Europa nord occidentale più che verso
l’emigrazione, poiché la ripresa economica richiedeva, oltre a quella
locale, manodopera straniera
12
.
La nuova ondata migratoria nell’Europa occidentale ebbe un ruolo
fondamentale sia dal punto di vista sociale che politico; essa si
la presenza di molte minoranze rappresentava una sfida all’integrità di molti stati
nazione europei di recente costituzione.
9
COLLINSON O., Le migrazioni internazionali e l’Europa, Il Mulino, Milano,
1994.
10
Questo processo ricevette un’accelerazione dallo scoppio della Prima Guerra
Mondiale.
11
MELOTTI M., La sfida dell’immigrazione: aspetti generali e problemi specifici
del caso italiano, Edizioni Liguori, Napoli, 1993.
12
In questo periodo si calcola che circa trenta milioni di persone si spostarono
verso Occidente.