Vadena con il 57,09%. In generale, si può affermare che le possibilità e la necessità di
contatto aumentano per il gruppo linguistico italiano andando dal centro verso la periferia,
mentre, al contrario, decrescono per quello tedesco (Francescano 1979, cit. ibidem).
Maggioranza linguistica nei comuni altoatesini - Censimento del 2001
Sulla base di questa distribuzione del gruppo linguistico italiano sul territorio è possibile
individuare tre “zone sociolinguistiche” (Baur 2000, pp.59-61), dove esistono differenze
riguardo la possibilità di parlare e ascoltare la lingua seconda. La prima area è
rappresentata dagli ambiti urbani, dove il gruppo linguistico italiano è presente in una
percentuale che va dal 40 al 70%. Quindi, per i cittadini di lingua tedesca sono presenti
molti stimoli per l’apprendimento della seconda lingua, mentre gli studenti di lingua
italiana hanno minori possibilità di parlare la lingua seconda al di fuori della scuola., dal
momento che la loro madrelingua in queste zone è dominante e non è necessario conoscere
o comprendere il tedesco per i contatti sociali. La seconda area coincide con le grandi valli
e le grandi borgate (includendo alcuni quartieri a maggioranza tedesca di Bolzano e
Merano e le cittadine di Bressanone, Vipiteno e Brunico), ambito in cui il gruppo italofono
è rappresentato in una percentuale che va dal 10 al 40%. Gli stimoli all’apprendimento
extrascolastico dell’italiano quale lingua seconda sono minori, mentre vi sono migliori
possibilità per la conoscenza del tedesco, poiché esso prevale in tutti i contesti sociali
3
essenziali. Infine, è possibile individuare una terza area linguistica, ovvero gli ambiti
montani in senso proprio, in cui il gruppo linguistico italiano è rappresentato con meno del
10%. Nel dominio sociale non vi è perciò alcun stimolo all’apprendimento dell’italiano,
mentre le possibilità di conoscenza del tedesco sono grandi, poiché questa lingua domina
in tutti i contesti reali. In queste zone è già evidente un’assimilazione coscientemente
indotta, e talvolta rassegnata, del piccolo gruppo di persone che parlano italiano. In
generale, si può affermare che per circa un 60% del gruppo tedescofono non esistono
stimoli nel contesto sociale rispetto all’ascolto della lingua italiana e alla possibilità di
parlarla; stessa situazione si presenta in una percentuale simile per il gruppo italofono che
vive chiuso nella sua zona senza avere un contatto diretto e concreto con la lingua tedesca.
La particolare distribuzione del gruppo italofono, tedescofono e ladinofono sul territorio
altoatesino è sicuramente uno dei fattori che condizionano le possibilità di comunicazione
e di contatto tra gli stessi gruppi linguistici. Tuttavia, è necessario tenere presente altri
problemi e motivi di carattere sociale, politico, psicologico e culturale che influiscono in
misura consistente sui rapporti di collaborazione e di incontro. Tra questi sicuramente
rivestono un ruolo significativo le memorie collettive e la mancata elaborazione dei traumi
storici, il sistema di “tutela” linguistica altoatesino, con la normativa relativa all’obbligo
del bilinguismo nel settore pubblico e la legge proporzionale, ed il rapporto lingua-dialetto.
Alla base di questa ricerca si trova il desiderio di approfondire le conoscenze circa la
situazione sociolinguistica dell’Alto Adige, interesse che ho maturato nel corso del mio
soggiorno di studi a Klagenfurt, in Austria, dove ho avuto la possibilità di incontrare alcuni
studenti sudtirolesi e di imbattermi nella loro situazione di “bilinguismo”. Nel corso del
presente lavoro si cercherà quindi di prendere in considerazione “l’identità linguistica”
degli abitanti dell’Alto Adige, più specificatamente si proverà ad esaminare il rapporto che
i singoli individui altoatesini hanno con le lingue parlate sul loro territorio. A questo
proposito è necessario partire dall’analisi degli eventi storici che hanno caratterizzato
questa terra di confine, per poi passare alla presentazione dei meccanismi di tutela dei
diversi gruppi linguistici messi in atto dal sistema altoatesino e all’osservazione dei
risultati delle indagini ASTAT relative alle abitudini comunicative dei singoli gruppi
linguistici.
4
Capitolo 1 Motivi di contrapposizione tra i gruppi linguistici
1.1 La memoria collettiva
Ogni comunità si riconosce tale sulla base di una condivisione di discendenza, di lingua, di
religione e di mentalità. Quando questa identificazione di coappartenenza si trasforma in
un sentimento di etnocentrismo, si sviluppa una tendenza ad isolarsi nei confronti degli
altri gruppi. Questo è l’atteggiamento che spesso affiora nella realtà altoatesina, dove da
più di ottant’anni tedeschi, italiani e ladini vivono insieme. Tuttavia, ci si continua ad
interrogare sul fatto se la loro sia realmente una convivenza o, piuttosto, solo una
coesistenza obbligata. La domanda quindi sorge spontanea: da dove deriva questa
svalutazione dell’altro gruppo linguistico e questa marcata separatezza?
“La base di queste riserve è la violenza che i popoli, regni e stati hanno usato gli uni contro
gli altri nei corsi dei secoli anche in forma mediata”(Baur 2000, cit. in “Rassegna” 2001,
p.44). Tutte le esperienze traumatiche e le ingiustizie subite, infatti, lasciano un segno
indelebile nelle memorie collettive dei vari gruppi linguistici e continuano ad agire anche
nelle generazioni successive. La memoria collettiva contribuisce a formare o rafforzare
l’identità di un gruppo ed opera filtrando dal passato solo quegli episodi storici funzionali
agli interessi ed obiettivi del presente. Nell’inconscio sociale, ad esempio, sono custoditi
gli episodi più significativi del rapporto storico tra maggioranza e minoranza, i cui effetti
sono spesso distorti, ma dotati di una forte carica emozionale e di una forte pretesa
normativa e gerarchica. Per questo motivo, tutto ciò che è avvento in questa terra dal 1918
in poi è stato spesso vissuto in modo diverso, se non contrapposto, dai vari gruppi
linguistici che attribuiscono significati del tutto differenti allo stesso fatto. In linea
generale, si è sviluppata la tendenza a mostrarsi come vittime, cancellando dal proprio
passato tutte quelle pagine di storia negative che potrebbero far apparire il gruppo come
“colpevole”.
Sulla memoria collettiva premono soprattutto le esperienze traumatiche della persecuzione
e della guerra che continuano ad influenzare i rapporti attuali e futuri tra i gruppi
linguistici.
Se nella memoria collettiva predominano esperienze ed episodi di separazione,
contrapposizione, assimilazione violenta, allora tali gruppi, come accade ancor sempre,
distingueranno in modo forte tra ciò che è proprio e ciò che è estraneo, caricando il
primo di significato positivo ed il secondo in senso negativo, cosa che equivale a non
riconoscere la parte estranea del proprio sé (Kristeva 1990, cit. in Baur 2000, p.81).
5
Le esperienze negative del passato continuano a vivere nell’inconscio sociale dei gruppi
linguistici in Alto Adige, generando così una situazione di contrapposizione e la
produzione sociale di distanza.
1.2 I traumi storici
Nella memoria collettiva delle comunità linguistiche permangono soprattutto le esperienze
traumatiche dall’annessione all’Italia all’entrata in vigore del secondo Statuto di
Autonomia.
1.2.1 La colonizzazione fascista
Uno degli episodi essenziali che ha portato alla contrapposizione tra i gruppi linguistici
riguarda sicuramente il dominio fascista sulla minoranza tedesca. Il territorio dell’Alto
Adige viene annesso all’Italia il 10 ottobre 1920 con la promessa da parte del re Vittorio
Emanuele III, in un discorso pronunciato nel dicembre 1919, del pieno rispetto delle
autonomie e tradizioni locali. Tuttavia, dopo un iniziale successo, le trattative tra Roma e
Bolzano per garantire una piena autonomia falliscono rapidamente a causa del crescere dei
gruppi nazionalistici, a capo dei quali vi è Ettore Tolomei. L’andata al potere del fascismo
sarà poi decisiva: la politica di Mussolini porterà ad una radicale trasformazione
dell’economia, della cultura, della componente demografica e linguistica e della stessa
architettura dell’area a popolazione tedesca, provocando così un’alterazione numerica e
geografica che sarà la base di profondi conflitti prima e dopo l’epoca fascista. Utilizzando
le parole di Baur, “è legittimo parlare dell’Alto Adige come una colonia ‘interna’ d’Italia,
sino al settembre del 1943 ed in parte anche nell’epoca postbellica, sino agli anni Sessanta”
(Baur 2000, p. 98).
In particolare, il programma di Mussolini, sulla base della campagna di assimilazione
lanciata da Tolomei, prevede la completa italianizzazione del territorio sudtirolese con
massicci insediamenti italiani, la snaturalizzazione della popolazione di lingua tedesca e il
loro allontanamento dalla propria terra. L’intento è quello di rendere uniforme ed
omogeneo quel territorio: pertanto si sostituisce la denominazione di Sud-Tirolo con quella
di Alto Adige e nel 1926 viene costituita la provincia di Bolzano, separata da quella di
Trento. L’italiano diviene così l’unica lingua ammessa negli uffici pubblici e nei tribunali,
si licenziano i dipendenti pubblici e si sopprimono i giornali; le associazioni, i sindacati
tedeschi e i partiti politici sono proibiti. Inoltre, viene cambiata la toponomastica, vengono
modificati i nomi a vie e piazze, a centri abitati, a scritte pubbliche e nel 1927 viene
addirittura vietato l’uso del tedesco sulle lapidi delle tombe.
6
Una delle misure più drastiche è rappresentata dall’italianizzazione della scuola, quando
nel 1923 il decreto del ministro Gentile rende obbligatorio l’uso dell’italiano come unica
lingua d’istruzione. La risposta ad una tale negazione dell’identità linguistica viene data
nell’area di Bolzano con la creazione di scuole clandestine di insegnamento elementare in
lingua tedesca, le cosiddette Katakombenschulen (“scuole-catacomba”), il cui fondatore è
Michael Gamper. I corsi vengono tenuti in luoghi d’incontro quotidiani come parrocchie,
fienili e osterie e nel 1939 superano le trecento classi. A causa però della limitatezza dei
mezzi e del personale docente, lo sforzo non ottiene i risultati sperati, comunque
rappresenta una delle estreme azioni di resistenza all’italianizzazione forzata.
A tutto ciò si aggiunge la costituzione di ampie zone industriali nella zona di Bolzano e
Merano, con lo scopo di accogliere migliaia di immigrati italiani provenienti da altre
province che trovano lavoro in queste fabbriche nella quali è proibita l’assunzione di
lavoratori di lingua tedesca. Tuttavia, dopo una decina d’anni di politica di assimilazione,
Tolomei è costretto a constatare che non ha ottenuto i risultati sperati. Sperimenta così una
nuova strategia, ovvero un’immigrazione massiccia italiana con lo scopo di “occupare” il
territorio. A questo punto occorre ricordare alcuni dati: nel 1918 le persone di lingua
italiana sono poco più di settemila, pari al 3% della popolazione; nel 1945 circa il 35%
della popolazione si riconosce nella lingua e origini italiane. La prima fase immigratoria si
ha tra il 1919 e il 1926 con l’insediamento soprattutto di funzionari e impiegati
nell’amministrazione della nuova provincia. La seconda ondata, invece, risulta essere più
consistente, in quanto legata al progetto di industrializzazione di Bolzano e di altri centri
urbani (Merano, Bressanone, Fortezza) avviato tra il 1934 e il 1935, e porta ad una vera
alterazione degli equilibri preesistenti (Dogliani 1999, pp.305 ss).
Le misure della politica fascista in Alto Adige ebbero effetti non soltanto sui gruppi
linguistici tedesco e ladino, ma anche su quello italiano. I postumi di questo pensiero
colonialistico si riscontrano ancora in maniera evidente nei partiti di destra e ciò favorisce
la contrapposizione tra i gruppi linguistici, ostacola l’apprendimento della seconda lingua e
il contatto con la cultura degli altri, che nell’inconscio sociale vengono avvertiti come
persone non di pari valore. Parallelamente, nella memoria collettiva del gruppo
tedescofono si è radicato profondamente il ricordo di questo processo di violenza che
proibiva ai parlanti tedeschi di utilizzare la loro stessa lingua e i loro dialetti in situazioni
pubbliche o semi-pubbliche. Questi avvenimenti vengono associati ad un “primo trauma”
nella memoria delle popolazioni locali e hanno lasciato un segno così profondo che si
protrae nelle generazioni assieme alla paura dell’avvicinamento e soprattutto della
7
ripetizione di ciò che è accaduto. Utilizzando le parole di Fanon nel suo libro I dannati
della terra, “il colonizzato è un perseguitato, che sogna continuamente di diventare
persecutore” (cit. in Baur 2000, p.110).
1.2.2 L’Opzione
La colonizzazione violenta condotta dai fascisti ha come effetto quello di far crescere nel
gruppo linguistico tedesco un sentimento di patriottismo, un sentimento di appartenenza
alla nazione tedesca. Questo nazionalismo si acuisce con l’avvicinamento dell’Italia
fascista di Mussolini alla Germania nazista di Hitler e, in modo particolare, dopo
l’Anschluss, ovvero l’annessione dell’Austria al Terzo Reich nel 1938. In Alto Adige la
maggioranza della popolazione tedesca vede con speranza l’avvicinamento di Hitler al
Brennero e quindi la possibile annessione alla Germania. Tuttavia, l’unico interesse del
dittatore tedesco è quello di ottenere l’appoggio di Mussolini come alleato e, di
conseguenza, egli rinuncia a qualsiasi rivendicazione sul Tirolo del sud, favorendo così le
aspettative nazionalistiche italiane per una definitiva soluzione del problema delle
minoranze linguistiche in Italia.
Il 23 giugno del 1939 viene firmato a Berlino l’accordo riguardante il trasferimento dei
Sudtirolesi nel Reich, ovvero la “libera” possibilità di scegliere (optare) entro il 31/12/39
se rimanere nell’Italia fascista con l’obbligo di essere fedeli al Duce o espatriare nella
Germania nazista. La falsa alternativa davanti alla quale la gente viene posta è “restare
tedeschi o diventare italiani”; in realtà l’unico intento di Mussolini è quello raggiungere
una specie di pulizia etnica e liberare il territorio per gli immigrati del sud e, d’altra parte,
Hitler mira ad ottenere forza lavoro a basso prezzo che avrebbe occupato i territori appena
conquistati, come i Sudeti, la Polonia e la Crimea.
La popolazione si divide così tra i “Dableiber”, coloro che vogliono rimanere fedeli alla
loro patria, e gli “Optanti”, coloro che optano per il trasferimento nel Terzo Reich. In
particolare, quest’ultimi cercano di intimidire con la violenza coloro che vogliono restare
nella loro terra incendiando fienili e granai, ammazzando i cani, spaccando, vetri,
insozzando le case (Baur 2000, p.112). I “Dableiber”, pur di rimanere, fanno riferimento
al legame tra vivi e caduti che riposano nei cimiteri, alle meraviglie della primavera
sudtirolese con i rossi gerani in fiore, i cosiddetti brennende Liebe (“amore adente”) che
diventano simbolo del vincolo con la propria terra. Gli “Optanti” vengono
conseguentemente accusati duramente e considerati traditori poiché hanno abbandonato la
loro patria lasciandola agli italiani; in modo dispregiativo vengono definiti
“Katzelmacher”, un equivalente del nostro “terroni”, e considerati come un pericolo (Roli
8
2000, p.306). Un gruppo di giovani e la maggioranza del clero si schierano contro
l’Option, tuttavia rappresentano una piccola minoranza perché 180.000 sudtirolesi di
lingua tedesca, a fronte sia delle pressioni fasciste sia della propaganda filonazista del
Völkischer Kampfring Südtirols (Vks), “optano” per il loro trasferimento in Baviera. A
causa poi dei continui bombardamenti sulle reti di comunicazione da parte degli Alleati, di
fatto solo il 30% di coloro che avevano optato per questa soluzione espatriano, di cui una
minima parte torneranno in Alto Adige alla fine della guerra.
Sicuramente l’Opzione rappresenta un “secondo trauma” per i tedescofoni sudtirolesi che
sono costretti ad abbandonare la propria terra per tentare di sfuggire ad una colonizzazione
violenta che li obbliga a negare la loro identità culturale. Tuttavia, le pagine negative di
storia iniziano anche per il gruppo linguistico italiano: con l’occupazione del Nord d’Italia
ad opera della Wehrmacht in seguito alla capitolazione italiana dell’8 settembre 1943, i
rapporti di forza mutano considerevolmente. I sindaci fascisti vengono rimossi e sostituiti
con personale di lingua tedesca, così come la maggior parte degli impiegati comunali; il
tedesco diventa seconda lingua ufficiale accanto all’italiano, di conseguenza, viene
introdotta anche la toponomastica in tedesco e ristabilite le scuole tedesche. I quotidiani
italiani scompaiono quasi del tutto ed inoltre viene realizzata una dogana tedesca (Idem,
pp.112-113).
Questi anni fino alla fine della seconda guerra mondiale sono caratterizzati, tanto per il
gruppo linguistico tedesco che per quello italiano, da una serie di violenze e di tensioni
etniche: da una parte i tedescofoni devono subire prima l’esperienza traumatica del
fascismo e poi quella dell’Opzione; dall’altra gli italofoni passano da una posizione di
dominatori ad una situazione di vera e propria occupazione, che provocherà il sorgere di
atti di vendetta e di fenomeni di resistenza.
1.2.3 I due Statuti
Alla fine del secondo conflitto mondiale i rappresentanti altoatesini e il governo
provvisorio austriaco cercano in tutti i modi di ottenere dalle immediate trattative di pace la
restituzione del territorio altoatesino all’Austria. Tuttavia, le potenze vincitrici respingono
queste richieste e perciò si cerca di avviare delle trattative dirette tra l’Austria e l’Italia su
una forma di autonomia amministrativa per l’Alto Adige. Negli anni a venire, verranno
concesse disposizioni speciali che porteranno all’autonomia della Regione Trentino-Alto
Adige, con l’intento di tutelare il carattere etnico e lo sviluppo culturale ed economico del
gruppo linguistico tedesco e, marginalmente, di quello ladino; in particolare tali
9
disposizioni sono racchiuse nell’Accordo di Parigi, sancite poi dal Primo Statuto Speciale
del 1948, e nel Nuovo Statuto Speciale
2
del 1972.
L’Accordo di Parigi, firmato il 5 settembre 1946 tra il ministro degli esteri italiano De
Gasperi e quello austriaco Gruber, prevede l’esercizio di un potere legislativo ed esecutivo
autonomo, l'istituzione di scuole in lingua tedesca, il bilinguismo italiano/tedesco, la
toponomastica bilingue e la possibilità per gli optanti di rientrare purché non compromessi
con il regime nazista. In seguito, il 26 febbraio 1948, viene approvato il Primo Statuto
d’autonomia, con legge costituzionale del Parlamento italiano, che convalida tutti i punti
contenuti nell’Accordo di Parigi, estendendoli però anche al Trentino con la creazione
della Regione Trentino-Alto Adige a maggioranza italiana.
L’attuazione dell’autonomia, in particolare nella provincia di Bolzano, risulta essere lunga
e difficoltosa. Questo è sicuramente la causa che porterà all’organizzazione di un
movimento militare clandestino mirante alla riunificazione del Tirolo, il BAS
(Befreiungsaktion für Südtirol - Comitato per la liberazione del Sudtirolo), che negli anni
Sessanta sarà protagonista della cosiddetta “stagione delle bombe”. Il culmine si raggiunge
il 17 novembre 1957 con la grande manifestazione di protesta a Castel Firmiano sotto il
grido di battaglia “Los von Trient!” e due anni dopo la Südtiroler Volkspartei (SVP
3
) si
ritira dalla Giunta regionale. In conseguenza degli attentati dinamitardi, il Primo Statuto
Speciale fallisce: esso risulta ancora particolarmente incentrato sulle differenze e su una
comprensibile preoccupazione da parte del gruppo linguistico tedesco del reale pericolo
dell’assorbimento-assimilazione (Carli 2002, p.220).
Nel 1960 il cancelliere austriaco Bruno Kreisky porta l’attenzione dell’Onu sulla
“Questione Sudtirolese”: il Governo italiano istituisce così una Commissione di studio per
i problemi dell’Alto Adige (la cosiddetta “Commissione dei 19”), la quale ha il compito di
elaborare nuove norme. Nel 1969 viene approvato dal congresso della SVP, dal Parlamento
italiano e da quello austriaco il “Pacchetto di misure a favore delle popolazioni altoatesine”
che rappresenta il fondamento della nuova autonomia. Questo Nuovo Statuto Speciale
viene applicato nella Provincia già dal 1972, ma ratificato dalla Repubblica Italiana solo
nel 1992. Il “Pacchetto” assegna alle due Province di Trento e Bolzano un vasto numero di
competenze legislative prima detenute dalla Regione; fra le novità introdotte vi è la tutela,
oltre che della minoranza linguistica tedesca, anche di quella ladina.
2
I testi completi sono presenti nell’Appendice.
3
SVP sta per Südtiroler Volkspartei (in italiano, Partito popolare sudtirolese), il partito che rappresenta
esclusivamente gli interessi delle minoranze tedesca e ladina della provincia autonoma di Bolzano.
10
Le disposizioni più rilevanti del “Pacchetto” possono essere così riassunte:
1. Pariteticità nell’uso della lingua italiana e della lingua tedesca (ciò impone la
necessità per il gruppo tedescofono di individuare e di usare una varietà standard
nell’ambito della comunicazione pubblico-istituzionale).
2. Alcuni comuni (circa 15) a maggioranza tedescofona vengono scorporati dalla
Provincia di Trento e aggregati alla Provincia di Bolzano.
3. Viene riconosciuto e tutelato il ladino della Provincia di Bolzano (Val Gardena e Val
Badia).
4. Viene assicurata la presenza di rappresentanti di ciascuno dei tre gruppi negli
organismi locali.
5. In tutta l’amministrazione pubblica statale e parastatale, regionale e provinciale, è
imposto l’uso del tedesco e dell’italiano (oltre al ladino nelle due valli ladine,
ciascuna con una sua varietà, il badioto e il gardenese). La competenza bi- ovvero
trilingue viene accertata attraverso apposito esame.
6. Il personale degli enti pubblici e del parastato viene ripartito in rapporto alla
consistenza numerica dei tre gruppi quale risulta dalle dichiarazioni di appartenenza
prese nel censimento ufficiale della popolazione (“legge proporzionale”).
7. Per tutto l’arco della scolarità, anche superiore, si hanno tre tipi di scuola: in lingua
tedesca, in lingua italiana e in lingua ladina.
8. Viene introdotto il principio dell’insegnante “nativo” per garantire buoni livelli di
bilinguismo.
9. Nella scuola in lingua ladina si introduce un prototipo di “educazione trilingue” dove
le lingue seconde (italiano e tedesco) vengono usate come mezzo di insegnamento.
10. Viene ipotizzata l’istituzione di una università regionale e provinciale.
(Idem, pp.220-221)
1.3 La mancata elaborazione del lutto
I difficili rapporti di convivenza tra i gruppi linguistici dipendono ancora oggi dagli effetti
di un passato che ha lasciato segni profondi nella memoria collettiva di ciascun gruppo. I
traumi collettivi, se non vengono elaborati, creano dei conflitti che vengono “tramandati”
di generazione in generazione, divenendo quasi una forma di identificazione. Il senso di
minaccia e la paura di aggressione sono costantemente presenti, perché i traumi storici
dell’epoca del fascismo e del nazismo e del secondo dopoguerra non sono stati sottoposti
ad un processo di elaborazione del lutto, ovvero ad un confronto diretto tra il ruolo di
vittima, quello più facile da assumere, e quello di colpevole, cioè la consapevolezza di aver
svolto un ruolo attivo e violento nella storia.
Il passato viene così dimenticato, rimosso, o ancor peggio, frammentato, cercando di
ricordare solo quegli episodi che fanno comodo, quelli in cui non sia visibile un segno
della colpevolezza del proprio gruppo. Non si riesce a cogliere la vera sacralità ed
importanza del passato come una fonte, anche se dolorosa, di verità e ricordo che possa
essere fondamento della nostra identità, insegnandoci a non ripetere gli errori commessi.
Per decenni la storia dell’Alto Adige è stata avvolta nel silenzio oppure è stata presentata
solo come la storia della colonizzazione fascista: nei libri di scuola mancano delle pagine,
pagine che riguardano i colpevoli. La responsabilità per tutti i fatti avvenuti prima e dopo
la seconda guerra mondiale viene assegnata agli italiani che a loro volta adottano la stessa
11