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INTRODUZIONE
PREMESSA.
In questi ultimi anni i fenomeni della globalizzazione e dell’accresciuta competitività
dei mercati hanno indotto le aziende, nel tentativo di mantenere elevate capacità e
qualità di produzione, a ricercare ed adottare nuove modalità di monitoraggio
dell’andamento produttivo. In questo quadro un ruolo particolarmente significativo ha
rivestito la scelta dell’adozione di un nuovo modello di controllo, fondato sulla
scomposizione degli obiettivi di qualità prefissati in un sistema di obiettivi parziali e di
responsabilità da assegnare a singoli individui o gruppi di lavoro di piccole dimensioni.
Ciò ha determinato il cambiamento della struttura organizzativa delle aziende che da
funzionale qual’era è divenuta, ora, orientata ai processi, il monitoraggio dei quali ha
comportato, necessariamente, un cambiamento degli strumenti di controllo. Con il
presente lavoro, si tende, in particolare, a dimostrare l’importanza del ruolo assunto dal
reporting nell’ambito del controllo direzionale.
In questo senso va detto, preliminarmente, che il reporting direzionale è costituito da
un sistema di documenti che supportano l’attività del management nel processo di
interpretazione delle informazioni, mentre il sistema di reporting è costituito
dall’insieme di tali prospetti informativi.
Dallo studio del reporting direzionale si individua la sussistenza di due finalità tra
loro diverse ma, nello stesso tempo, correlate: la finalità informativa e quella di
valutazione delle prestazioni.
La prima di dette finalità si attua per mezzo di rapporti informativi che comunicano
ai diversi destinatari le informazioni essenziali sull’andamento aziendale, rilevate ed
elaborate in funzione del processo decisionale direzionale.
La seconda finalità del reporting direzionale si espleta tramite i rapporti di controllo
che devono mettere il management nelle condizioni di capire se gli obiettivi assegnati
sono stati raggiunti ed in quale misura.
Da ciò emerge la consapevolezza che il sistema di reporting non può essere
analizzato esclusivamente come sistema di indicatori attraverso i quali misurare le
variabili rilevanti per i vari destinatari, ma va visto anche come strumento di controllo
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idoneo a porre in evidenza eventuali anomalie sul funzionamento dell’azienda, capace,
in definitiva, di individuare ed eliminare i gap tra gli obiettivi preposti e i risultati
raggiunti al termine della gestione.
Possiamo dunque ben dire che scopo primario del reporting é quello di verificare la
corrispondenza tra gli obiettivi prefissati e i risultati effettivamente raggiunti in modo
da poter predisporre le eventuali azioni correttive.
Va rilevato, ancora, che il confronto tra i valori a consuntivo e i valori standard si
realizza mediante l’analisi degli scostamenti e che le informazioni che da quest’ultima
si originano costituiscono l’input dell’attività di pianificazione successiva, finalizzata
alla definizione degli obiettivi e all’assegnazione delle risorse necessarie a raggiungerli.
Non va, altresì, sottaciuto il ruolo di veicolo di comunicazione manageriale svolto
dal reporting che si sostanzia nell’invio ai vari organi operativi aziendali di report
analitici e sintetici sui risultati della gestione. Si è ritenuto opportuno, tenuto conto delle
necessità dell’alta direzione di soddisfare il suo fabbisogno informativo, di svolgere
un’analisi sui legami del reporting con il sistema informativo aziendale, mirata a
dimostrare l’importanza della capacità del management di progettare tale sistema in
modo funzionale ai molteplici scopi conoscitivi.
Obiettivo principale di questo lavoro è stato quello di illustrare le modalità di
applicazione del sistema di reporting alle varie tipologie aziendali, in modo particolare
alle aziende private, alle aziende pubbliche e a quelle non profit.
Si è ritenuto, però, pervenire all’obiettivo sopra delineato attraverso un approccio di
tipo generalista e costruttivista agli studi aziendali, idoneo a lumeggiare aspetti cruciali
della Ragioneria, quali la sua generazione teorica, i suoi contenuti semantici, pragmatici
e sintattici, nonché i suoi campi modali.
Il percorso argomentativo e teorico scelto per dare sostanza e contenuti al predetto
intento è quello tracciato dall’impegno scientifico profuso su tali tematiche dal Prof.
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Claudio Lipari , alla cui analisi viene dedicata, quasi interamente, questa parte
introduttiva.
1
V. Claudio Lipari, “Istituzioni di ragioneria (Compendio ad uso degli studenti), Università degli Studi
di Palermo – Facoltà di Economia – Dipartimento di Scienze Economiche, Aziendali e Finanziarie, anno
accademico 2004/05.
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1) IL CONTROLLO AZIENDALE.
Il controllo aziendale, dal punto di vista teorico, può essere definito in termini di
ordinamento sistematico relativo alle regole di comportamento amministrativo.
Tenuto conto della circostanza che il controllo non potrebbe esistere senza
“soggetti”, non potrebbe espletarsi senza “oggetti”, non avrebbe alcun senso in assenza
di “ fini” e non avrebbe possibilità di esistere senza “tempi”, la sua teorica può ritenersi
fondata sulle seguenti quattro “dualità”:
a) “soggettuali”, che intercorrono fra i poli dei “primi ruoli” assolti dai titolari delle
azioni a riferimento e quelli dei “contro ruoli” assolti invece dai titolari delle azioni di
osservanza delle regole di comportamento amministrativo;
b) “oggettuali”, che intercorrono fra i poli delle “prime azioni” poste in essere dai
titolari delle azioni assunte a riferimento e quelli delle “controazioni” espletate dai
titolari delle azioni di osservanza di dette regole;
c) “finali”, che intercorrono fra i poli delle “conduzioni” e quelle delle
“riconduzioni” dei ruoli e delle azioni a dette regole;
d) “temporali”, che intercorrono fra i poli delle “antecedenze” e quelli delle
“susseguente” nell’attivazioni di tutte le dualità sopra menzionate.
L’articolazione del controllo può essere efficacemente determinata attraverso il
riferimento agli aspetti di struttura, funzioni, processi e sistema di azienda. Sotto tale
profilo, esso può essere visto come:
a) strutturale, nel caso in cui attenga al preordinamento comune del controllo
nell’insieme unitario e convenzionalmente statico delle dualità che le sono proprie;
b) funzionale, nell’ipotesi in cui riguardi gli ordinamenti primi del controllo in
sottoinsiemi che si assumono convenzionalmente statici i quali presentano maggiori
omogeneità rispetto alle sue diverse dualità potenziali;
c) processuale, se attiene agli ordinamenti successivi del controllo in sottoinsiemi
dinamici caratterizzati da maggiore omogeneità rispetto alle sue diverse dualità
effettive;
d) sistemico, nel caso in cui riguardi l’ordinamento ultimo del controllo in un insieme
dinamico e tendenzialmente complessivo il quale presenti il più alto grado di
omogeneità possibile di tutte le sue dualità in rapporto agli altri momenti aziendali.
Possiamo affermare che il controllo aziendale si sostanzi nell’ordinamento comune
dei processi di funzioni che danno impulso alle dualità strutturali in senso sistemico. Per
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tale motivo esso estende il suo campo di attività su tutta l’amministrazione aziendale,
rispetto alla quale rappresenta un ambito distinto e relativamente autonomo.
Così disegnato, il modello del controllo (per “dualità di poli” e “aspetti”) si pone in
continuità con il modello generale di azienda (per “proprietà, “aspetti” e “momenti”).
Va detto che i poli delle dualità soggettuali ed oggettuali sono alternativi in quanto il
controllo, sotto il profilo costitutivo, poggia su un solo polo di dette dualità (il “contro-
ruolo” e la “contro-azione”); al contrario, i poli delle dualità finali e temporali non sono
alternativi e ciò perché il controllo si estrinseca sia nella “conduzione” e nella “ri-
conduzione” a regole di tutti i comportamenti amministrativi, sia nella “antecedenza” e
nella “susseguenza” del tutto.
Va detto, ancora, che tra i due poli di ognuna della quattro dualità sussiste un
reciproco rapporto che dal punto di vista categoriale, è di diversità dell’uno dall’altro e
di irriducibilità dell’uno all’altro, ma non necessariamente di contrapposizione dell’uno
verso l’altro.
2) GENERAZIONE TEORICA DELLA RAGIONERIA.
Per ciò che riguarda il fondamento causale della generazione teorica della ragioneria,
possiamo dire che il controllo aziendale, al fine di assumere una dimensione
concettualmente compiuta, presuppone l’esistenza di articolazioni modali di
svolgimento (del “come”), le quali coesistono con quelle costitutive (del “chi”, del
“cosa”, del “perché” e del “quando”) riconducibili alle dualità soggettuali, oggettuali,
finali e temporali.
Va rilevato che le dualità soggettuali, oggettuali e temporali del controllo non
costituiscono da sole condizione sufficiente per la diretta generazione della ragioneria e
ciò in quanto la prima e la seconda di dette dualità portano in sé esplicite connotazioni
di organizzazione (nei primi ruoli in particolare e nei controruoli), di gestione e di
governo, concettualmente riconducibili agli omonimi ambiti disciplinari; invece, le
dualità temporali implicano l’articolazione del tempo, la quale presenta sì la
caratteristica di essere sia necessaria che di per se fondante, ma non in misura
certamente superiore di quanto lo sia nelle altre discipline aziendali.
Le dualità testé esplicitate interessano la ragioneria soprattutto in ragione del fatto
che esse pongono per tale disciplina, rispettivamente, le premesse di ordine soggettuale,
le materie di ordine oggettuale e le cadenze di ordine temporale, determinando, in tal
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modo, la circostanza che i modi relativi alle medesime dualità sono diretti per il
controllo e solamente indiretti per la ragioneria.
Diversamente, i modi relativi alle dualità finali sono ancora diretti per il controllo e
ciò in quanto sono sempre originati al suo interno, divendendo, però, diretti anche per la
ragioneria.
Dai poli delle dualità finali, in sé considerati, non si traggono significative
osservazioni circa le regole rispetto alle quali condurre e ricondurre i comportamenti
amministrativi. Va, anzi, evidenziato che sono le diverse discipline interessate dal
controllo ad assumersi il compito di entrare nel merito dei possibili ordini di regole che
prevalentemente devono orientare il controllo medesimo.
In questo senso, occorre dire che la categoria concettuale che presenta la più
rilevante capacità di comprendere in sé i vari ordini di regole (da quello “antropo-
sociologico” a quello “gestionale”) o di sovrintendere ad essi, sembra essere la
razionalità e ciò in quanto, essa, si mostra capace di attrarre e riassumere il concorso
delle varie regole di “comportamento ragionevole”.
A tal proposito, si può certamente supporre che il comportamento amministrativo
razionale, in linea generale, aderisca ad un principio di contingenza relativa, inteso
come compossibilità di più razionalità le quali, in rapporto alle specifiche circostanze
spazio-temporali di riferimento, presentano differenziate probabilità di esistenza.
Va osservato che le motivazioni, le conoscenze ed i comportamenti dei soggetti sono
caratterizzati da una codeterminazione interattiva ed una rideterminazione iterativa così
rilevanti da generare una complessità amministrativa enormemente estesa.
Va detto, però, che, la contingenza relativa, in sé considerata, non deve sfociare
nell’ammissione di un ventaglio di possibili comportamenti talmente esteso da sottrarli
a credibili regole di razionalità. Se così non fosse, la contingenza in parola assumerebbe
un valore assoluto, in quanto le più razionalità diventerebbero tutte possibili ed
acquisirebbero una tendenzialmente paritaria probabilità di esistenza.
Si suppone ancora, perciò, che i comportamenti possano considerarsi
sufficientemente razionali solo nella misura in cui, nelle circostanze spazio-temporali di
riferimento, le relazioni con le motivazioni e le conoscenze, che attraverso qualsiasi
modalità vengono percepite ed acquisite dai soggetti interessati, rientrino in un ideale
intervallo di non contraddizione i cui limiti sono segnati da un valore minimo
rappresentato dalla loro semplice compatibilità e da un valore massimo costituito dalla
loro piena coerenza. Sotto il limite minimo, invece, le relazioni che si registrano sono di
incompatibilità e cioè di contraddizione e pertanto i comportamenti amministrativi sono
da considerarsi irrazionali.
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Da quanto detto consegue che le razionalità non possono essere, in senso proprio,
“ottime”, di tal che i comportamenti possono essere esclusivamente fondati su
razionalità intrinsecamente limitate, che li rendano soddisfacenti o, al più, i migliori in
relativo possibili. All’interno del citato intervallo di almeno non contraddizione, tra tutte
le razionalità ipotizzabili, sono preferibili quelle che, a parità di condizioni, si mostrino
più idonee a tendere dalle semplici compatibilità di motivazioni, conoscenze e
comportamenti verso il raggiungimento delle loro piene coerenze.
Considerato, però, che le aziende sono degli “enti artificiali”, per cui possono solo in
minima misura beneficiare di inintenzionali “razionalità naturali”, appare necessario
tendere in direzione della più ampia estensione e diffusione, in termini professionali e
sociali, dei comportamenti, coerentemente ad un modello di amministrazione che
potrebbe essere definito raziocratico.
Va osservato che l’estendersi dei confini dei diversi campi dell’amministrazione
aziendale determina l’estensione oggettiva degli ambiti relativi all’organizzazione, alla
gestione e al governo e ciò in conseguenza del concorso nei comportamenti di
molteplici aspetti, anche di natura non economica. Più specificatamente va rilevato,
ancora, che la molteplicità delle razionalità amplifica, sempre “oggettivamente”, il
campo del controllo, il quale trova il suo fondamento finalistico proprio nella
regolazione dei comportamenti amministrativi.
Dall’osservazione e dall’analisi di dette razionalità scaturiscono diversi interrogativi.
Ci si chiede, ad esempio, quali possono essere i canoni di razionalità ulteriori rispetto
alla mera compatibilità; le modalità attraverso le quali essi possono essere ordinati in
sistema e relativi sottosistemi e come, con riferimento a dati oggetti, possono ispirare
metodi, procedure ed algoritmi. Ci si domanda, ancora, quali siano gli elementi
cognitivi sui quali si fondano le razionalità del controllo e le modalità attraverso le quali
essi possono condizionare la formazione e la fruizione dei loro segni espressivi.
Il sostrato argomentativo che sorregge l’impalcatura dei predetti quesiti rende
ragione della distinzione fra il controllo di razionalità dei comportamenti
amministrativi e le razionalità del controllo.
Dalla distinzione citata scaturisce lo spostamento del momento di centralità della
problematica dalla conoscenza pratica che, relativamente ai comportamenti
amministrativi man mano da regolare, punta prevalentemente sull’azione ed è più
inerente al controllo di razionalità, verso la conoscenza teorica e la conoscenza
semiotica, prevalentemente orientate sul pensiero e sull’espressione in merito a tali
comportamenti, che ineriscono maggiormente alle razionalità del controllo.
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Ciò detto, va rilevato che la ragioneria è proprio la disciplina il cui contenuto
precipuo è rappresentato dalla conoscenza che si pone a beneficio diretto delle
razionalità del controllo ed indiretto del controllo di razionalità, nonché a beneficio
ultimo ed indistinto dell’amministrazione aziendale complessivamente considerata.
La conoscenza di cui trattasi riguarda essenzialmente i segni attraverso i quali si
esprimono le realtà amministrative. Essa viene formata e/o fruita per mezzo degli
“interrelati processi semiotici della significazione semantica relativa agli oggetti
investiti, della rappresentazione sintattica relativa agli strumenti impiegati e della
comunicazione pragmatica relativa ai fini perseguiti”.
3) CONTENUTI SEMANTICI E AMMINISTRAZIONE.
L’amministrazione aziendale rappresenta il risultato di un processo decisionale che
scaturisce dal complesso delle scelte imprenditoriali le quali, a loro volta, si fondano
sulle valutazioni professionali del management e su consapevolezze conseguenti, da un
lato, dalla cultura originale dell’impresa e, dall’altro, dalla dotazione di un appropriato
sistema informativo-contabile direzionale.
In una accezione ampia, amministrare equivale, in primis, a promuovere e sviluppare
l’iniziativa di orientamento dell’impresa nel contesto competitivo del mercato, a
definire la sua missione, ad individuare gli obiettivi che ci si propone di raggiungere,
nonché a formulare le strategie e le politiche aziendali da adottare per il conseguimento
di quest’ultimi.
In un’accezione meno ampia, ma forse più conducente, invece, l’amministrazione
sovrintende al complesso delle attività coordinate poste in essere per nome e per conto
delle aziende e ciò nel senso che ne investe direttamente, come “oggetti”, le attività
prevalentemente orientate ai profili di “vantaggiosità” dell’attività economica correlata
e ne investe solo indirettamente, come “aspetti”, le prevalenti attività non economiche
di relazione.
Ancora, amministrare vuol dire ricercare e realizzare attraverso la gestione
economica le condizioni dell’equilibrio aziendale che possano valere nel tempo.
Per ciò che concerne i contenuti semantici della ragioneria, va osservato che le
determinanti fondamentali dei loro aspetti oggettuali sono rappresentati dai fatti
amministrativi e dalle risorse amministrate in azienda, mentre le determinanti basilari
degli aspetti segnici di tali contenuti sono costituiti dai linguaggi impiegati per la loro
significazione.