4
regolate nel dettaglio; un ruolo decisivo veniva riconosciuto, in particolare,
alla Commissione interna, chiamata a decidere sull‟opportunità del
provvedimento di licenziamento, e ad un collegio arbitrale il cui intervento,
finalizzato all‟esperimento di un tentativo di conciliazione, era eventuale in
quanto subordinato alla mancata prestazione del consenso da parte della
Commissione all‟adozione dell‟atto di recesso2.
Il procedimento conciliativo rappresentava un momento essenziale della
disciplina del licenziamento per rdp, tanto da doversi esperire a due livelli
diversi: in prima istanza tra Commissione interna e direzione dell‟impresa,
in seconda istanza, in ipotesi di mancato accordo, tra Associazioni
Provinciali degli industriali e Camera Provinciale del Lavoro.
L‟accordo cessava, però, di avere efficacia il 31.12.1948 per disdetta
dell‟organizzazione datoriale; la lacuna normativa creatasi ha portato
all‟emanazione della legge n. 264 del 1949, nella quale si riconosceva ai
lavoratori licenziati per rdp il diritto di precedenza nelle assunzioni
effettuate dalla stessa azienda entro un anno dalla cessazione del rapporto di
lavoro3.
Con accordo del 21 aprile 1950, successivamente recepito nel D.P.R. 14
luglio 1960, n. 1019, si assisteva ad una prima netta delimitazione del
potere imprenditoriale di recesso; comincia a parlarsi di
2
La Commissione aveva tre settimane di tempo per trovare un accordo con l„azienda, altrimenti la
trattativa era demandata all„esame delle organizzazioni sindacali territoriali.
3
Art. 15, comma 6, L. 223.
5
procedimentalizzazione degli obblighi datoriali, in quanto si delineava un
procedimento nel quale la direzione dell‟impresa era tenuta ad indicare nel
provvedimento di licenziamento comunicato alla propria Associazione
territoriale i motivi, la data d‟attuazione e l‟entità numerica dei lavoratori
destinatari del provvedimento stesso. Due le novità; innanzitutto, emergeva
un obbligo in capo all‟imprenditore di consultazione delle OO. SS.4
interessate e di esperimento del tentativo della conciliazione, in caso di
mancato accordo fra le parti. Tuttavia, era forte l‟influenza dell‟art. 41
Cost., che permette di ricondurre il potere di organizzazione dell‟impresa
alla libera iniziativa economica, ivi riconosciuta e tutelata; in tal modo
l‟imprenditore era considerato esonerato dall‟obbligo di giustificazione
della propria scelta, e dunque non era obbligato ad esporre alla controparte,
nell‟ambito di una consultazione sindacale, i motivi determinanti il
licenziamento per rdp5. La Corte Costituzionale sottolinea la meritevolezza
di tutela del diritto del datore di lavoro di procedere ai licenziamenti
collettivi, tanto da considerarlo prevalente all‟interesse dei singoli
dipendenti alla conservazione del posto di lavoro6. Secondo elemento di
novità consiste nell‟aver individuato nella riduzione o trasformazione di
attività o di lavoro il carattere costitutivo della fattispecie di riduzione del
4
D‟ora in avanti OO. SS per organizzazioni sindacali.
5
GHERA, Diritto del lavoro, Cacucci, Bari, 2006, 710.
6
Corte Costituzionale, 8.2.1966, n. 8, in GU, 12.2.1966, n. 38.
6
numero del personale, anche se mancava una espressa definizione positiva
di licenziamento collettivo.
Ecco allora che l‟Accordo del 5 maggio 1965, ultimo in materia e
sostanzialmente riproduttivo dei contenuti dell‟accordo precedente, detta
una definizione di licenziamento collettivo funzionale all‟assetto normativo
dell‟epoca ma, proprio per tale caratteristica, finalizzata a costituire una
“via di fuga” dalla disciplina del licenziamento individuale.7 L‟accordo
identificava il licenziamento per rdp sulla base del criterio meramente
qualitativo della riduzione o trasformazione di attività o di lavoro; un
requisito causale, dunque, seppur accompagnato da un criterio numerico
aperto.8
Il requisito di cui all‟art. 1 dell‟Accordo del 1965 aveva dato luogo ad un
dibattito che, partendo dal dato testuale della disgiuntiva “o” (“riduzione o
trasformazione“), era giunto a ritenere non indispensabile un
ridimensionamento materiale della struttura aziendale o una riduzione della
produzione, reputando sufficiente una effettiva e non transuente riduzione
di lavoro9. Volontà del legislatore era quella di tracciare una linea di
demarcazione tra licenziamento individuale e licenziamento per rdp,
individuando i caratteri costitutivi di quest‟ultimo. A fronte di tale
7
GALANTINO, I licenziamenti collettivi, Giuffrè, Milano, 1984, p. 171.
8
CARINCI, Diritto del lavoro Vol. III, Il rapporto di lavoro subordinato: garanzie del reddito,
estinzione e tutela dei diritti, UTET, 2006.
9
GALANTINO, I licenziamenti collettivi, cit.; VENTURA, Licenziamenti. I licenziamenti
collettivi, voce Enc. giur. Treccani, XIX, 11; GENOVIVA, I licenziamenti, Collana di dottrina e
7
definizione normativa, infatti la giurisprudenza ha dato un significativo
contributo all‟individuazione della fattispecie, ravvisandola in presenza di:
una pluralità di licenziamenti, una riduzione o trasformazione di attività o di
lavoro, un nesso di causalità fra la insindacabile scelta economica datoriale
e la soppressione di un certo tipo e numero di posti di lavoro e il rispetto
delle procedure sindacali10.
Il riferito nesso di causalità escludeva che il rapporto di congruità dovesse
sussistere fra la scelta economico-organizzativa del datore di lavoro e
l‟individuazione dei singoli lavoratori da licenziare, poiché tale
individuazione diretta è caratteristica precipua dei licenziamenti individuali
plurimi per giustificato motivo oggettivo11; la netta distinzione ha fatto
nascere la convinzione che si potesse parlare di autosufficienza della
disciplina prevista per il licenziamento per rdp e, in particolar modo, di
autonomia del sistema di tutele previste nell„uno e nell„altro caso12.
L‟esito finale della procedura era comunque rappresentato
dall‟individuazione concreta dei lavoratori da licenziare, ovvero
dall‟applicazione di criteri di scelta tipici del licenziamento collettivo. Il
giurisprudenza di diritto del lavoro diretta da G. GIUGNI, Torino, Utet, 1988, 211; Cass.
16.1.1975, n. 172, in RGL, 1975, II, 79.
10
Cass. 27.2.1979, n. 1270, in RGL, 1979, II, 27; Cass. 13.2.1982, n. 922, in RGL, 1982, II, 64;
Cass. 2.9.1986, n. 5384, in RIDL, 1987, II, 593.
11
VALLEBONA, Il licenziamento collettivo per riduzione di personale, in MGL, 1992, 429;
Cass. 87.11.1998 n. 11251, in RCDL, 1999, 82; Cass. 26.4.1996 n. 3896, in MGL, 1996, 603;
Cass. 27.5.1997 n. 4685, in RCDL, 1997, 769.
12
Corte Cost. 8.2.1966, n. 8, cit. La Corte Costituzionale confermava la distinzione tra le due
fattispecie ritenendo che il D.P.R. 1019/60 avesse garantito applicabilità generale all‟accordo
esclusivamente con riferimento ai profili e alle disposizioni di carattere sostanziale riguardanti i
criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, e non anche alle previsioni procedurali le quali
8
vero elemento di novità consisteva, infatti, nell‟obbligo dell‟imprenditore di
tener conto di una serie di criteri oggettivi in concorso fra loro13: esigenze
tecnico-produttive, anzianità e carichi di famiglia.
La disposizione, in un primo momento, era stata interpretata nel senso che
tali criteri dovessero essere osservati rispettando l‟ ordine di priorità
rigorosamente stabilito, assegnando quindi, a priori, una prevalenza al
criterio economico su quelli c.d. sociali. Tuttavia in giurisprudenza si era
consolidato un diverso orientamento, divenuto maggioritario, che esonerava
il datore dal rispetto di tale rigida sequenza, all‟interno quindi di una
valutazione globale e complessiva dei criteri di scelta14. Laddove ci si era,
invece, pronunciati in termini di rigoroso rispetto dell‟ordine di priorità, le
conseguenze pratiche non si discostavano, comunque, molto
dall‟orientamento prevalente; infatti, anche all‟interno della posizione
minoritaria, al datore di lavoro era riconosciuta la possibilità di dare
prevalenza al criterio delle esigenze tecnico-produttive, purché fosse data la
prova in concreto dell‟esistenza di fattori obiettivi giustificativi della scelta
di tale criterio, oltre che dell‟assenza di intenti elusivi o ragioni
discriminatorie. La scelta datoriale non era quindi sottratta al sindacato
conservavano la loro efficacia contrattuale.
13
Art. 2, ultimo comma, Accordo 1965.
14
Cass. 13.2.1990 n. 1039, in MGL, 1990, 44; Cass. 14.3.1992 n. 3167, in MFI, 1992; Cass.
6.7.1990, n. 7105, in RGL, 1990, II, 440.
9
giudiziale di giustificazione della preminenza assegnata al criterio
economico15.
La nozione interconfederale veniva ripresa nei successivi interventi
legislativi, dove la rdp viene sempre più considerata un corpo
autosufficiente di norme sostanziali e strumentali, tanto da poter, ancora
oggi, riconoscere spazi residuali di applicabilità alla disciplina pattizia (si
pensi alle imprese, operanti nel settore industriale che non abbiano i
requisiti numerici oggi richiesti ed alle quali non sia neppure applicabile la
disciplina normativa della CIGS).
15
FRANCO, Le modalità d’applicazione dei criteri di scelta nei licenziamenti collettivi prima e
dopo la L. 223/1991, commento a Cass.15.7.1995, n. 7708, in RIDL, 1996, II, 424. Come detto, si
tratta di una posizione minoritaria, comunque coerente con la finalità dell‟Accordo di dare
prevalenza alla tutela delle esigenze dell‟impresa e coerente col carattere di libertà,
costituzionalmente riconosciuto, dell‟iniziativa economica privata; CONTE, Questioni in tema di
licenziamento collettivo, commento a Cass. 4.2.1998 n. 1150, in RIDL, 1999, II, secondo il quale il
prevalente criterio economico consentiva una comparazione tra licenziandi soltanto nell‟ambito
dei reparti interessati dalla rdp, ogni volta in cui ciò fosse funzionale a fronteggiare la crisi,
sussistendo un rapporto fra le cause della stessa e l‟ambito di selezione del personale in esubero.
.
10
I.2 La lacuna normativa generata dalla legge 604/1966
La nozione di licenziamento collettivo offerta dagli accordi interconfederali
si potrebbe dunque definire quali-quantitativa, caratterizzata dalla
previsione di una procedura di consultazione sindacale: la giurisprudenza
dell‟epoca affermava che il criterio discretivo tra le due forme di
licenziamento previste negli accordi, non fosse da ricercare nel numero dei
lavoratori licenziati, bensì nel motivo obiettivamente considerato, ovvero,
indipendentemente dalla persona del lavoratore16; nel licenziamento
individuale il motivo concerne la persona del lavoratore licenziato ed un
inadempimento degli obblighi contrattuali a lui imputabile17 (v. infra II.2).
In virtù di tale netta distinzione ed in mancanza di un‟apposita normativa in
materia, si era posto sin da subito il problema della carenza di tutela dei
lavoratori licenziati per rdp. Infatti, dopo aver individuato nel momento
procedurale un elemento costituente la disciplina del licenziamento
collettivo, la normativa vigente nulla diceva in merito alle conseguenze di
un eventuale esito negativo della procedura conciliativa. Interrogativo
aggravato dall‟efficacia limitata dell‟Accordo del 1965 ai soli stabilimenti
industriali che normalmente occupavano più di dieci lavoratori, la cui
disciplina, per di più, si limitava a garantire un mero confronto tra impresa e
organismi locali dei sindacati stipulanti, prima che si procedesse ai
16
Trib. Napoli 10.6.1957, in Foro it., 1958, I.
11
licenziamenti, lasciando a dottrina e giurisprudenza il compito di tracciare
una tutela sostanziale dei lavoratori (già di tutta evidenza era quella
procedurale).
La questione dell‟esito negativo della procedura conciliativa veniva, allora,
risolta attraverso due diversi orientamenti. Un primo sosteneva la possibilità
di conversione del provvedimento di licenziamento per rdp in individuale,
ciò comportando, da un lato, l‟impugnabilità del provvedimento stesso,
dall‟altro lato, la possibilità per l‟imprenditore di veder comunque
realizzato il proprio interesse che aveva originariamente determinato la
scelta di procedere al licenziamento per rdp18. Un secondo orientamento
faceva riferimento alla tutela apprestata in alcune norme dell‟Accordo del
196519, basandosi sulla convinzione che un esito negativo fosse comunque
una eventualità strutturale alla norma sindacale, e non il frutto di una sua
violazione.
Ben diverso il caso di inosservanza delle norme sindacali, durante lo
svolgimento della trattativa. Per una parte della dottrina, il licenziamento
17
MENGONI, Deformazioni giurisprudenziali della disciplina collettiva dei licenziamenti
dell’industria, in RDC, 1957, II, 211.
18
ARANGUREN, Concorso fra procedure e procedimento in sede giurisdizionale, in I
licenziamenti collettivi per riduzione di personale/ relazioni di BRANCA, Milano, Giuffrè, 1973,
432.
19
GHEZZI, ROMAGNOLI, Il rapporto del lavoro, Bologna, Zanichelli, 1995, 360. La disciplina
interconfederale consta di norme sostanziali e strumentali: i licenziamenti per rdp devono essere
motivati come tali (art. 5); i provvedimenti esecutivi del progetto di rdp si intendono sospesi per
tutta la durata degli incontri in sede sindacale ovvero finché ha senso l‟aspettativa delle parti di
giungere ad un accordo (art. 2, comma 2); in caso di nuove assunzioni entro un anno nelle
mansioni e nelle specialità proprie dei lavoratori già licenziati, questi ultimi hanno diritto di essere
riassunti con criteri obiettivi diversi rispetto a quelli in base ai quali furono eseguiti i licenziamenti
(art. 5); non sono poi configurabili come licenziamenti collettivi, benché possano essere di massa,
12
per rdp, intimato senza l‟osservanza della suddetta procedura, era da
considerarsi inefficace e quindi inidoneo a determinare l‟estinzione del
rapporto di lavoro: ci si muoveva nella direzione di una ferma distinzione,
anche per quel che riguarda la disciplina applicabile alle due fattispecie20.
Tuttavia, c‟era anche chi, su posizioni più caute, non parlava di
conversione, bensì di un licenziamento per rdp da considerarsi individuale
plurimo. Soluzione interessante non solo perché permetteva l‟impugnazione
del provvedimento secondo le norme interconfederali, così garantendo
un‟estensione della disciplina pattizia dei licenziamenti individuali a tutte le
ipotesi in cui il mancato accordo fra le parti producesse un vuoto di tutela
dei lavoratori; ma anche perché cominciava a delineare una qualificazione
di licenziamento collettivo fondata sulla concreta applicazione di una
disciplina autonoma.
Tuttavia, tale linea divisoria, così netta dal punto di vista normativo-
concettuale, si rivelava poi molto mobile quando si trattava di applicare la
disciplina. La posizione di voluto astensionismo che, in materia, il
legislatore aveva tenuto di fronte alla complessità del fenomeno e alla
difficoltà di apprestare un‟idonea tutela a tutti gli interessi coinvolti, non
poteva più essere conservata. Ecco, allora, giusto un anno dopo l‟entrata in
né le estinzioni di rapporti di lavoro per scadenza del termine, né l‟estinzione derivante da fine
lavoro nelle costruzioni edili e nelle industrie stagionali e saltuarie.
20
LATTANZI, Sui rapporti tra licenziamenti collettivi per rdp e licenziamenti individuali, in
Giur.it, 1971, I, 255, il quale spiega che il tentativo di conciliazione, seppure coerente con la
struttura dell‟accordo interconfederale, poteva condurre ad un esito negativo e quindi alla
realizzazione dei licenziamenti.
13
vigore dell‟ultimo Accordo, l‟emanazione della L. 604/1966. Un intervento
chiarificatore in quanto pone, in maniera netta, il principio della necessaria
giustificazione causale dei licenziamenti individuali, una sorta di
cristallizzazione formale della motivazione a favore del lavoratore, per
garantirgli una chiara conoscenza del thema decidendum ai fini
dell‟eventuale giudizio d‟impugnazione21.
Molto più importante, ai fini della nostra indagine, è la scelta legislativa di
stravolgere il precedente sistema fondato sulla distinzione tra licenziamento
individuale-soggettivo e licenziamento collettivo-oggettivo; veniva infatti
introdotta una nozione di licenziamento individuale alla cui base porre una
motivazione tanto di tipo soggettivo (giusta causa/giustificato motivo
soggettivo), quanto di tipo oggettivo22.
Diversa sorte tocca all‟istituto del licenziamento collettivo, per il quale
l‟unica “norma” di riferimento restava l‟ultimo accordo interconfederale;
infatti, stabiliva l‟art. 11, comma 2 legge n. 604 (come modificato dall‟art.
2, comma 2, L. 108/1990), che “la materia del licenziamento collettivo per
rdp è esclusa dalle disposizioni della presente legge”. Si tratta di un vero
vuoto di regolamentazione determinato da una norma, tuttora in vigore, che
riconosce implicitamente la categoria dei licenziamenti collettivi, senza
21
SALOMONE, Licenziamenti collettivi: gli obblighi di forma nella comunicazione del recesso al
lavoratore e il controllo sulla giustificatezza dei motivi, commento a Cass. 6.7.2000, n. 9045, in
RIDL, 2001, II, 573, il quale chiarisce che si tratta della stessa finalità oggi perseguita tramite la
certa e trasparente comunicazione effettuata all‟Ufficio del lavoro e alle OO. SS.
22
VERGARI, Licenziamento per riduzione di personale e licenziamento per motivi oggettivi: due
nozioni da riunificare, in LD, 1991, n. 1, 57.
14
però stabilirne in alcun modo una definizione23. Dottrina e giurisprudenza
hanno cercato in varie maniere di colmare tale vuoto. C‟è chi aveva
sostenuto, schierandosi a favore di un‟interpretazione letterale dell‟art. 11,
comma 2, la sussistenza giuridica di una fattispecie di recesso
ontologicamente autonoma: il licenziamento assumeva natura collettiva
quando il provvedimento di risoluzione del rapporto, oltre a riguardare una
pluralità di lavoratori, fosse causato da una riduzione o trasformazione di
attività o di lavoro e fosse, altresì, preceduto dalle procedure di
consultazione sindacale24. Si tratta di una tesi che guardava con favore alla
disciplina interconfederale del licenziamento per rdp, in quanto dettata da
una scelta di politica del diritto tesa, da una lato, a restringere il campo
d‟azione della tutela nei confronti del licenziamento individuale tout court,
ma dall‟altro lato, pronta ad allargare lo spazio d‟azione della tutela nei
confronti dei licenziamenti illegittimi.
Un secondo orientamento cercava di attrarre i licenziamenti collettivi nella
zona d‟ombra delineata dalla stessa legge n. 604; quest‟ultima infatti,
all‟art. 3, fonda il licenziamento individuale plurimo per giustificato motivo
23
Cass. 17.5.1985 n. 3034, in RGL, 1986, II, 61.
24
Cass. 5.5.1995, n. 4874, con commento di GALEONE, Il licenziamento collettivo prima e dopo
la L. 223/1991, in RIDL, 1996, II, 639, è collettivo il licenziamento che si ricollega ad un‟effettiva
e non transuente riduzione dell‟attività d‟impresa, che comporti una mera riduzione dell‟elemento
del personale, ogniqualvolta l‟azienda possa effettivamente attuare il suo ridimensionamento senza
dover necessariamente modificare, trasformare o sopprimere le sue strutture organizzative e
materiali; Cass. 8.7.1982 n. 4050, in NGL, 1983, 2; Cass. 14.12.1982 n. 6897, in Mass. Foro it.,
1982; Cass. 8.3.1988 n. 2215, in Mass. Foro it., 1988, individuavano, tutte, quale connotato
essenziale del licenziamento collettivo per rdp l‟insindacabilità della scelta imprenditoriale,
l‟espletamento delle procedure sindacali come elemento costitutivo della fattispecie, e, sotto il
profilo degli effetti, la sola risarcibilità dei danni derivanti dalla violazione dei criteri di scelta.
15
oggettivo25 sull‟organizzazione del lavoro. Di conseguenza, pur avendo in
comune con il licenziamento per rdp l‟irrilevanza delle qualità proprie del
singolo lavoratore, il recesso subiva un‟individualizzazione in relazione ad
uno o più dipendenti, la cui attività lavorativa fosse immediatamente
investita dalle ragioni produttive od organizzative determinanti la
soppressione dei posti cui essi erano addetti. Dal combinato disposto
dell‟art. 3 con l‟art. 11, comma 2, emerge, in caso di licenziamento per
g.m.o., la configurabilità del licenziamento per rdp come fattispecie di
recesso dell‟imprenditore, o meglio, come terza ipotesi di giustificato
motivo26. Prima conseguenza di tale orientamento era la sottoponibiltà del
provvedimento al controllo giudiziale27; laddove, ciò che l‟art. 11, comma
2, intendeva salvaguardare con la sua accezione negativa era
l‟insindacabilità della scelta datoriale, restando, invece, in ogni caso
soggetta a controllo giudiziale l‟adeguatezza in concreto del singolo
licenziamento al programma di ridimensionamento insindacabilmente
deciso dall‟imprenditore28. Il secondo effetto riguardava il licenziamento
dichiarato illegittimo per insussistenza dei presupposti sostanziali e delle
procedure di consultazione sindacale, in relazione al quale non opererebbe
la riserva di cui all‟art. 11, comma 2, bensì riacquistava pieno vigore la
25
D‟ora in avanti g.m.o. per giustificato motivo oggettivo.
26
Cass. 27.2.1979, n. 1270, in RGL, 1979, II.
27
Corte Cost. 28.1.1985, ord. n. 191, in FI, 1986, I; Trib. Milano 25.5.1994, in OGL, 1994, n. 3,
629; Cass. 17.6.1997 n. 5419, in Rep. Foro it., 1997, voce Lavoro (rapporto), n. 1626.
28
PERA, Relazione, in Aidlass, I licenziamenti nell’interesse dell’impresa, 252.
16
disciplina sui licenziamenti individuali29. Di tutta evidenza era la volontà di
espandere la disciplina di cui alla L. 604 sulla base di una possibile diversa
qualificazione degli stessi fatti giuridici, una qualificazione razionale e
giustificata dalla diversità delle fattispecie e degli interessi in gioco;
diversità che consente, sul piano processuale, di stabilire procedure
differenziate in relazione alle varie situazioni sostanziali dedotte in
giudizio.
E proprio sul piano delle tutele si muoveva un terzo orientamento che parla
di un‟implicita abrogazione dell‟art. 11, comma 2, da parte dell‟art. 18 dello
Statuto dei Lavoratori: la differenza fra i due tipi di recesso perderebbe
rilevanza in concreto a seguito della generale applicabilità riconosciuta al
regime di stabilità reale, così come garantito nello Statuto30.
Da quanto esposto si comprendono i successivi numerosi interventi
legislativi a protezione dei rischi connessi all‟intimazione di un
licenziamento per rdp: dalla normativa in materia di intervento straordinario
della Cassa integrazione guadagni31 (v. infra II.3) alla predisposizione di un
più ampio sistema di ammortizzatori sociali fino a tentativi di supporto
economico dello stato alle imprese, ai fini della salvaguardia tanto dei
livelli occupazionali, quanto del reddito dei lavoratori.
29
Cass. 5.5.1984, n. 4874.
30
BALLESTRERO, I licenziamenti, 1975, cit.; Pret. di Taranto 29.7.1976, in RGL, 1977, II.
31
D‟ora in avanti Cig per Cassa integrazione guadagni.
17
I.3 Gli interventi normativi comunitari: le Dir. 75/129/CEE
e 92/56/CEE
Il vuoto di regolamentazione lasciato dall‟art. 11, comma 2, L. 604, aveva
posto problemi di compatibilità con la normativa comunitaria, la quale, in
merito al sistema di garanzie dei diritti dei lavoratori eventualmente
coinvolti in una crisi di impresa, si era sin da subito attivata intensamente ai
fini di una definizione uniforme, in ambito europeo, della nozione di
licenziamento collettivo per rdp. L‟obiettivo prioritario perseguito a livello
comunitario era la conformazione, o quanto meno il riavvicinamento della
legislazione dei vari Stati Membri mediante l‟individuazione di tutele
uniformi, ferma restando la possibilità, per i singoli Stati Membri, di
introdurre discipline nazionali più favorevoli32.
Si è posto innanzitutto un problema di natura giuridica in merito allo
strumento normativo adottato, ovvero la direttiva, la quale impone, in
termini di efficacia, l‟emanazione di specifici provvedimenti attuativi da
parte dei vari legislatori nazionali. Tale ulteriore produzione normativa non
sempre, però, è stata ritenuta indispensabile prospettandosi, in linea con la
giurisprudenza della Corte Costituzionale33 sul rapporto fra gli ordinamenti
comunitario ed interno, ed a seguito della reiterata inadempienza agli
obblighi comunitari, un‟efficacia diretta quantomeno delle disposizioni
32
SANTONI, Il dialogo tra ordinamento comunitario e nazionale del lavoro: legislazione, in
GDLRI, 1992.