6
Questa tensione non ha mai arrestato l‘ascesa del free roaming,che si è imposto come
genere videoludico a sé stante. La parte centrale di questo studio descrive come il
fenomeno si sia evoluto all‘interno di tre differenti generi (Avventura, Racing,
Sparatutto) fino ad oggi. In tal modo sarà possibile identificare le fonti che hanno
condotto alla genesi di Grand Theft Auto, sottolineando suoi debiti con la storia
videoludica. L‘indagine storica non ometterà dei giudizi critici sulle opere prese in
considerazione e mostrerà come l‘attuale forma dei titoli free roaming sia il frutto di
una lunga e ancora non definitiva evoluzione.
Infine, l‘ultimo capitolo metterà in luce alcuni aspetti teorici del fenomeno,
dall‘interattività al valore artistico dei prodotti più simbolici.
Nonostante l‘importanza del fenomeno non sia stata sottovalutata, gli studi del settore
si sono concentrati o sui singoli artefatti ludici, o su quegli aspetti del medium
riconducibili anche ad altri ambiti artistici (cinema in primis). L‘esclusività del free
roaming non ha goduto quindi dell‘importanza che merita, né la sua storia è stata mai
raccontata.
In mezzo a tanti argomenti trattati, non bisogna però dimenticare gli esclusi. La ricerca
limita il proprio raggio all‘intrattenimento ludico offline: MMORPG e altri mondi
aperti disponibili sulla rete non saranno oggetto di studio perché rappresentano una
differente linea evolutiva del fenomeno, più collegata alla storia del genere da cui
provengono che a quella dei free roaming.
In ultimo, anche gli RPG non godranno di una trattazione in questa sede per ragioni
direttamente collegate alla loro natura, che impedisce una completa conversione alla
causa.
Il free roaming ha mutato forse per sempre il volto del medium e ha trasformato la
pratica di rubare una vettura per girare liberamente tra le strade cittadine in una prassi
videoludica. Ma prima di giungere alla sua attuale forma, ha dovuto intraprende un
lungo e coraggioso cammino.
7
Parte Prima
Per una definizione di free roaming
8
I
Sul gioco
9
1.1 Da Huizinga a Juul
Trovare una esauriente definizione di un vocabolo generico come gioco è un‘impresa
in cui molti si sono cimentati, senza però approdare mai ad una risposta concorde. Ciò
non significa che il termine non sia definibile, ma che ogni sforzo condotto sotto
questo punto di vista ha prodotto risultati che non riflettono la complessa natura
dell‘elemento ludico.
Già Friedrick Schiller e Immanuel Kant avevano riflettuto sul gioco, il primo
descrivendo quello d‘azzardo come ―incessante vicenda di timore e speranza‖
nell‘Antropologia Pragmatica, il secondo sostenendo che ―l‘uomo è completamente
uomo solo quando gioca‖. Questa notevole importanza di cui è dotata l‘attività ludica,
secondo Schiller, si spiega con la perfetta armonia che si crea tra tutti quegli elementi
che interessano il gioco (sensibilità,razionalità, intelletto), che non sono subordinati
l‘un con l‘altro.
Per trovare la prima opera completamente dedicata al gioco, dobbiamo però aspettare
il 1939, anno in cui il tedesco John Huizinga pubblica Homo Ludens. All‘interno della
nostra ricerca di una definizione esauriente, il lavoro dello studioso complica però
ulteriormente il compito, rendendo il concetto stesso di cultura una ―sub specie ludi‖.
L‘allargamento del bacino di interesse coinvolge tutte le attività umane, dalla poesia
alla politica, dai riti sacri alle feste pagane. Dopo aver introdotto la nozione di gioco,
Huizinga lo definisce in tal modo:
Gioco è un‘azione, o un‘occupazione volontaria, compiuta entro certi limiti
definiti di tempo e di spazio, secondo una regola volontariamente assunta, e che
tuttavia impegna in maniera assoluta, che ha un fine in se stessa; accompagnata
da un senso di tensione e di gioia, e dalla coscienza di ―essere diversi‖ dalla vita
―ordinaria‖.1
Date le forme del gioco al momento della scrittura, la definizione è applicabile alla
maggior parte delle attività considerabili. Vengono presentati dei concetti
fondamentali, come i limiti temporali e spaziali, e soprattutto regolamentari. Non
viene menzionata un‘eventuale ricompensa perché secondo l‘autore, il gioco non è
collegato ad alcun interesse materiale e non può in alcun modo generare profitto.
1
J.Huizinga, Homo Ludens, Einaudi, Torino, 2002.
10
L‘errore è evidente in quanto non si tiene conto di tutti quei giochi, detti d‘azzardo, il
cui unico fine è l‘arricchimento. L‘opera dimentica anche l‘esistenza di quei giochi,
privi di regole, frutto spesso della fantasia del bambino, che utilizza il proprio
giocattolo come meglio crede. Bisogna quindi andare oltre Huizinga, per giungere al
1953, anno in cui Wittgenstein scrive le sue Ricerche Filosofiche. L‘autore risolve
l‘impasse con un semplice esempio:
Possiamo immaginare facilmente delle persone che si divertono in un campo
giocando con una palla a diversi giochi, molti dei quali senza completarli, e nel
mezzo lanciare la palla senza scopo in aria, inseguendosi l‘un l‘altro con la palla e
colpendosi fra loro per gioco e così via. Ora qualcuno dirà: per tutto il tempo che
hanno giocato con la palla hanno seguito delle regole stabilite ad ogni lancio. E
non c‘è la possibilità che noi giochiamo e creiamo le regole mentre il gioco
procede?2
La possibilità di formulare le regole in ―tempo reale‖ equivale a non averne di
predeterminate, e allo stesso modo si potrebbe pensare che il bambino modifichi
continuamente le proprie.
Il testo raggruppa numerosi pensieri in gran parte dedicati al linguaggio. Il gioco si
presenta non appena serve a chiarire alcuni elementi cardine dell‘argomento
principale. In particolare, Wittgenstein aggiunge alla categoria i giochi linguistici,
come quelli che aiutano il bambino ad imparare il nome degli oggetti che gli sono stati
indicati. Il filosofo però è cosciente del rischio di formulare una definizione generica
del termine, preferendo parlare di elementi somiglianti tra un‘attività ludica ed
un‘altra. Se si vuole proprio definire il gioco, è d‘obbligo includere nella sua
formulazione le categorie incluse, o viceversa, elencare le eccezioni, che
inevitabilmente ci saranno.
Roger Caillois, al contrario di Wittgenstein, non teme di partorire coraggiose
definizioni, e attua una classificazione dei giochi. Malgrado riconosca in Huizinga un
precursore delle riflessioni sull‘argomento, lo studioso non può far altro che criticare
le sue asserzioni, evidenziandone i limiti. Nel secondo capitolo della sua opera3,
Caillois espone quelle che dovrebbero essere le qualità peculiari di un gioco: il
divertimento, la separazione (in uno spazio e in un tempo determinati), l‘incertezza (di
2
L.Wittgenstein, Ricerche Filosofiche, Einaudi, Torino, 1967.
3
R.Callois, I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Bompiani, Milano, 1995.
11
risultato e svolgimento), le regole, la non produttività (scambi ma non creazione di
merci) e la finzionalità. Sebbene il sociologo aggiunge ulteriori e interessanti
aggettivazioni al concetto, esse ottengono l‘effetto contrario di creare un numero di
modelli riferibili alquanto limitato. La finzionalità però si rivelerà una delle
caratteristiche principali nel futuro del gioco, e l‘autore ha il merito di essere il primo a
menzionarla.
Con l‘arrivo dell‘intrattenimento elettronico le definizioni riportate diventano
improvvisamente ―superate‖. L‘aggiornamento si deve quindi ricercare tra quegli
addetti ai lavori che riflettono sul significato ontologico del gioco. Chris Crawford,
game designer, denuncia il cambiamento di prospettiva e sottolinea (anche per
evidente ―deformazione professionale‖) aspetti prettamente videoludici. Secondo
l‘informatico, senza Rappresentazione, Interazione, Conflitto e Sicurezza non sussiste
la condizione di gioco. Di conseguenza vengono escluse molte attività ludiche del
bambino, i puzzle (statici come un―dead fish‖) e i giochi linguistici. Tralasciando
inizialmente le prime due proprietà, che rimandano esplicitamente all‘intrattenimento
elettronico, Crawford è il primo a sottolineare l‘importanza della conflittualità:
Conflict can only be avoided by eliminating the active response to the player's
actions. Without active response, there can be no interaction. Thus, expunging
conflict from a game inevitably destroys the game.
[…] Conflict is an intrinsic element of all games. It can be direct or indirect,
violent or nonviolent, but it is always present in every game.4
Infine, la sicurezza (safety) è alla base della ripetitività del fenomeno: il giocatore,
sapendo di non rischiare nulla di prezioso se non il proprio tempo, può sempre
continuare a giocare. Lo stesso autore cita i giochi d‘azzardo per prevenire eventuali
critiche, ma non li esclude dall‘etichetta di giochi, adducendo che, per essere
divertente l‘azzardo non deve essere eccessivo e sostenendo la presenza di talune
abilità anche nei giochi apparentemente dominati dall‘aleatorietà. Le considerazioni di
Crawford appaiono troppo selettive ma analizzano alcuni aspetti che nei videogiochi
diverranno fondamentali, come la giocabilità (gaminess) e i gradi dell‘interazione5,
che diventano dei criteri per stabilire la qualità (oggettiva) di un gioco.6
4
C.Crawford, The art of Computer Game Design, McGraw-Hill/Osborse Media, Berkeley, 1984.
5
Vedi Cap. VI, par. 6.2.
6
<<What is important about the modes of interaction is not their mechanical quality but their emotional
significance. PONG is insipid because I can't express much of my personality through the medium of a
12
Greg Costikyan, game designer e scrittore fantasy, riprende le opinioni di Crawford
attuando una selezione ancora maggiore. Dopo aver analizzato le caratteristiche di un
gioco attraverso dei confronti7, giunge alla conclusione :―A game is a form of art in
which participants, termed players, make decisions in order to manage resources
through game tokens in the pursuit of a goal‖.8 La definizione è riferibile ad un
numero ancora inferiore di giochi, opportunamente esclusi in precedenza dall‘autore
per mancanza di proprietà come l‘interattività, il fine o la non linearità. Quest‘ultima
in particolare coglie la nostra attenzione in quanto oggetto di numerose riflessioni nel
corso del presente lavoro. Affermando che i giochi non sono lineari si escludono la
maggior parte dei titoli elettronici, fondati su una narrazione e uno script che
impongono una percorso determinato al giocatore.
Una più recente definizione è stata approntata da Katie Salen e Eric Zimmerman in
Rules of Play - Game Design Fundamentals. Gli studiosi riflettono sulle principali
definizioni di gioco che sono state avanzate durante gli anni, evidenziando una
distinzione tra quelle che si riferiscono all‘atto del giocare e quelle che invece parlano
del gioco. Questa differenza è alla base dei termini inglesi ―play‖ e ―game‖, che nella
nostra lingua vengono tradotti con lo stesso vocabolo, ma che in realtà hanno due
significati differenti.9 Dopo aver riassunto tutte le definizioni tramite l‘ausilio di una
tabella per metterne in luce le differenze e le analogie, Zimmerman e Salen
propongono la loro definizione di gioco: ―A game is a system in which players engage
in an artificial conflict, defined by rules, that results in a quantifiable outcome‖.10
Gli stessi autori espongono le chiarificazioni del caso, stabilendo che i puzzle sono
giochi che vivono comunque un conflitto (anche se tra giocatore e sistema) e che i
giochi di ruolo online hanno dei risultati quantificabili se si considera la singola
sessione di gioco.
Come opera definitiva di questo percorso tematico, prenderemo in considerazione lo
studio del ludologo Jesper Juul, intitolato ―The Game, the Player, the World: Looking
for a Heart in Gameness‖. Molte delle definizioni prese in considerazione da Salen e
bouncing ball. Bridge is better because it includes within its interaction elements of teamwork,
deception, and cooperation. I can better imprint my personality traits onto a game of bridge. Thus,
degree of interaction provides a useful index of ―gaminess‖>>. Ibidem.
7
―A puzzle is static. A game is interactive. A toy is interactive. But a game has goals. Stories are linear.
Games are not. Traditional artforms play to a passive audience. Games require active participation.‖
C.Costikyan, ―I Have No Words & I Must Design‖, Costik, 1994, www.costik.com/nowords.html
8
Ibidem.
9
Anche Umberto Eco, nella prefazione del libro di Huizinga, sottolineava questo limite della lingua
italiana rispetto all‘anglosassone, che rendeva lo studio del gioco ancora più ostico.
10
K.Salen & E.Zimmerman, Rules of Play - Game Design Fundamentals, MIT Press, Cambridge, 2004.