2
più riprese affinché il governo italiano giungesse ad un effettivo
riconoscimento delle scuole cattoliche. Non si trattava solo di un’offensiva
delle forze cattoliche che le destre per calcoli elettorali facevano propria,
ma di una generale resa all’idea di un sistema scolastico misto, pubblico-
privato, finanziato sulla base della valutazione dell’efficacia formativa dei
singoli istituti scolastici. All’idea dell’autonomia faceva da corollario l’idea
tutta economicistica della misurazione della produttività dei singoli
elementi del sistema. Senza che tutto ciò portasse ad una seria riflessione
sulle reali condizioni della scuola pubblica, dei danni in essa prodotti dopo
anni di governi democristiani, per l’assenza d’ogni credibile politica di
investimenti, di riforme e di sviluppo.
Così 31 personalità laiche e cattoliche, da Romano Prodi a Giovanni
Berlinguer, il 13 luglio 1994 hanno sottoscritto un documento Nuove idee
per la scuola per sostenere la necessità di un unico sistema formativo
pubblico, comprendente le scuole statali e non statali, con l’impegno delle
seconde a formare i giovani “secondo i valori costituzionali”. Affermazione
quest’ultima che di per sé denuncia quale zona franca, dal punto di vista
dell’educazione alla convivenza democratica, abbia potuto rappresentare
fino ad oggi la scuola privata.
Se la storia non si ripete, certo è che la questione scolastica nel nostro paese
non riesce ad uscire dalla morsa mortificante e soffocante dei compromessi.
Ad oltre cinquant’anni dall’Assemblea costituente il compromesso tra Moro
e Togliatti, si ripropone nelle spoglie di Prodi e Berlinguer, del Partito
popolare e dei Democratici di sinistra. Ma i tempi non sono più quelli del
Migliore, e se gli articoli 33 e 34 della Costituzione presero corpo tra
l’indifferenza generale del paese, oggi non pare che l’operazione di
3
finanziare la scuola privata in nome di una sua, tanto improbabile quanto
poco credibile, omologazione alla scuola statale, possa passare senza
l’opposizione delle forze laiche e democratiche più avvertite del nostro
paese.
Non è mio compito ripercorrere le vicende più recenti, di cui la stampa
ormai quasi ogni giorno ci rende edotti, relative al confronto politico in atto
nel paese sul tema scuola pubblica-scuola privata.
Semmai è proprio la natura di questo confronto ad avermi spinto a risalire
alle origini dell’art. 33 della nostra Costituzione, che mentre riconosce la
più ampia libertà di scuola, sancisce, mi pareva, e ancora mi pare, con
massima chiarezza, che tale libertà non può in alcun modo comportare il
benché minimo costo per l’intera collettività. E, quand’anche si trattasse di
una libertà che interessi al 99,9% dei cittadini, come Moro all’epoca della
Costituente pretendeva che fossero i cattolici in Italia, l’onere del suo
esercizio non potrebbe mai ricadere su quello 0,1% di cittadini che di essa
non intende fruire.
Ma ciò che di tutta questa vicenda preoccupa è l’assenza di ogni memoria
storica, colpevole nelle forze politiche e nei rappresentanti eletti al
parlamento. Un’amnesia che non ha preso i cattolici, i quali non hanno,
certo loro no, dimenticato cosa è stata per la Chiesa storicamente la
battaglia prima contro la libertà d’insegnamento, poi a favore di essa,
quando uscita dalla rigida contrapposizione al potere temporale degli Stati
moderni, si è resa conto in quale eccezionale strumento di consenso e di
formazione della coscienze poteva tradursi.
Nelle pretese del mondo cattolico di vedere riconosciuta e finanziata la loro
scuola, non c’è, dunque, nulla di nuovo, anzi c’è un’ostinata coerenza e
4
continuità storica, a dimostrazione che i tempi si evolvono, ma per la
Chiesa, come già nel passato, non vi è libertà al di fuori del suo magistero.
L’amnesia che preoccupa, perché è anche una cesura con i propri valori
culturali fondanti, è quella delle forze di sinistra, democratiche e laiche.
Fingere di non sapere che storicamente, contrariamente agli altri paesi
occidentali, siano essi pure la Francia, il Belgio, l’Olanda, la questione della
scuola privata da noi è esclusivamente la questione “confessionale”. E che
dietro al pluralismo rivendicato dalla Chiesa e dalle sue associazioni non
può che esserci la morte definitiva di ogni spirito aperto al pluralismo nei
giovani destinati a frequentarla, semmai con i denari dello Stato laico e
democratico. Noi storicamente abbiamo avuto la sfortuna di non poter
godere della Riforma protestante e dei suoi benefici effetti di pluralismo di
fedi, di culture e di idee. Noi al contrario abbiamo avuto la Controriforma,
e il sorgere di ordini e congregazioni religiose che proprio sul campo
educativo intendevano spegnere la fertilità di quei germi.
Per questo, tra i cedimenti compiuti dai nostri padri costituenti sulla
questione della scuola, non possiamo però attribuire a loro la responsabilità
di una scuola privata riconosciuta pubblica alla stregua della scuola statale e
finanziata dai soldi di tutti i contribuenti.
Marchesi, i comunisti e i socialisti, insieme alle altre forze laico-
democratiche dell’Assemblea costituente, portano altre responsabilità sulla
scuola, ma non certo quella di non aver difeso fino in fondo e con fermezza
la centralità della scuola statale come unico luogo capace di essere per tutti
gli individui e per tutte le coscienze “scuola di libertà” contro la “libertà di
scuola” che ne è irrimediabilmente la sua negazione, poiché nel nostro
paese la libertà di scuola ha un unico nome: scuola confessionale.
5
Accedere quindi all’idea del sistema formativo integrato, dove scuola
pubblica e scuola privata vengono poste sullo stesso piano, vuol dire
acconsentire alla rivendicazione dei cattolici, fin dall’Assemblea
costituente, a che lo Stato laico e democratico riconosca identico valore
culturale alle sue scuole e a quelle della Chiesa. Come giustamente nota
Giovanni Genovesi la scuola “per definizione, è laica o non è”. Anzi
aggiunge che “La privatizzazione della scuola, quindi, è un grave attentato
alla sua libertà, alla sua autonomia, alla sua laicità”
1
.
L’ipotesi di sistema scolastico integrato, pubblico-privato, si prospetta
dunque solo come strumento per finanziare le scuole cattoliche aggirando
l’ostacolo del dettato costituzionale, e non certo quindi come risposta ad
una domanda di pluralismo o di pluralità dei bisogni formativi. Se
un’ipotesi del genere dovesse trovare attuazione, il destino di questo nostro
paese sarà quello di allevare giovani sempre più intolleranti, non aperti ai
valori della ricerca e della pluralità delle culture, ma tanti giovani ognuno
dei quali alla fine avrà costruito la propria chiesa per barricarsi dentro e
difendersi dagli altri.
1
G. Genovesi, Scuola laica: bisogno di chiarezza, in (a cura di G. Bonetta e G. Cives)
Laicità ieri e domani, la questione educativa, Argo, Lecce 1996, pp. 439-440.
6
CAPITOLO PRIMO
LE PREMESSE : CATTOLICI, LAICI E
LIBERTA’ D’INSEGNAMENTO
§ 1.1 Il “Politicum”
All'indomani del referendum del 2 giugno 1946 con il quale il popolo
italiano era stato chiamato a votare non solo per la forma-Stato ma anche, e
per la prima volta, a suffragio universale, i propri rappresentanti
all'Assemblea Costituente, si poteva ritenere che i binari su cui avrebbe
viaggiato il confronto tra le forze politiche sulla questione scolastica
italiana, nel momento di scrivere la Carta del nostro patto sociale, erano già
saldamente tracciati, senza la possibilità di deragliamenti o di evitare le
soste alle stazioni obbligate, prima tra tutte la storica, quanto annosa e
contraddittoria: libertà di insegnamento. Un confronto per la verità sempre
condotto evitando di giungere ad irreversibili lacerazioni in nome della
proclamata unità antifascista uscita dalla lotta di liberazione
2
.
Se allora a qualcuno, come avrebbero dovuto suggerire le riflessioni tra le
due guerre di Gobetti, di Salvemini, di Gramsci, di Omodeo o di Banfi, per
richiamare alla nostra memoria solo alcuni dei nomi più significativi:
sembrava che una società nuova, come quella nata dalla
Resistenza, dovesse fra i suoi compiti primari affrontare
nuovamente in maniera globale la riforma della scuola, avendo
il coraggio di costruire un'altra istituzione, non di continuare
con la tattica dilatoria degli aggiustamenti
3
,
2
Cfr. T. Tomasi, La scuola italiana dalla dittatura alla Repubblica, Editori Riuniti,
Roma 1976, p. 61.
3
G. Ricuperati, La scuola nell’Italia unita, in Storia d’Italia, I Documenti, vol.5**,
Einaudi, Torino 1973, p.61.
7
doveva abbandonare ogni illusione per comprendere verso dove già spirava
il vento della neonata repubblica.
I segnali non tardarono certo a manifestarsi e nel fascicolo della “La Civiltà
Cattolica” del 15 giugno 1946 in un articolo intitolato Per un'Italia
migliore, i “buoni” confratelli del padre Barbera
4
, che su quelle pagine soli
pochi mesi prima aveva scritto a difesa delle scuole libere, potevano trarre
un sospiro di sollievo perché l'Italia nelle elezioni del 2 giugno "ritrovò la
sua anima" infatti "la democrazia cristiana può inneggiare alla vittoria". Per
l'autorevole organo dei padri gesuiti l'orientamento assunto dal corpo
elettorale:
...segna in modo indeclinabile l'orientamento che dovrà seguire
l'Assemblea Costituente nella formulazione della nuova
costituzione...
In sostanza la gran massa degli elettori, stando alla
presentazione dei programmi politici, ha voluto riaffermare col
proprio voto la missione alta e nobile che la Provvidenza ha
assegnato all'Italia, la quale come fu sempre madre e maestra di
civiltà lungo tutti i secoli e per tutti i popoli educandoli col suo
esempio e con le sue istituzioni politiche e sociali, con la sua
dottrina e i suoi istituti giuridici, ispirati al pensiero cristiano,
così ancora oggi deve continuare per volere di popolo a
svolgere la medesima attività elevatrice, conforme alla sua
tradizione passata, nella quale potrebbe quasi riconoscersi un
mandato divino.
4
M. Barbera, La Federazione degli Istituti d’istruzione e di educazione dipendenti
dall’Autorità ecclesiastica, in: “La Civiltà Cattolica”, a. 97, II, 20 aprile 1946. Si veda
anche: M. Barbera, Libertà d’insegnamento. Principi e proposte, Civiltà cattolica,
Roma 1919. Il padre Barbera, esponente di spicco, insieme a padre Gemelli e al frate
Alessandrini, della federazione degli istituti scolastici privati (Fnisp), in questo scritto si
richiama alla dottrina ufficiale della Chiesa, interpretando la libertà d’insegnamento
innanzitutto come attuazione del diritto naturale dei genitori a scegliere per i propri figli
l’offerta educativa corrispondente alla loro coscienza. Sul finire degli anni Quaranta,
padre Giampietro, anch’egli della Compagnia del Gesù, darà continuità alle richieste di
padre Barbera, rendendo esplicita la domanda di un’autonomia didattico-educativa, al
fine di mettere al riparo da qualsiasi controllo le scuole non statali.
8
Dopo aver deciso che una ed unica sola è la tradizione della civiltà italiana,
i padri gesuiti insegnano solennemente che:
...sarebbe un tradire questa chiara vocazione storica dell'Italia e
questa evidente aspirazione di tutto il popolo, se si
risuscitassero questioni che devono ormai ritenersi
definitivamente risolute da specifici impegni internazionali
contratti con la chiesa. I trattati internazionali non si possono
rescindere in modo unilaterale. La sapienza del diritto romano
insegna che pacta sunt servanda.
Con queste parole, senza ombra di equivoco, la "La Civiltà Cattolica"
intende i patti del Laterano. Il così detto "trattato di conciliazione", che nel
1929 regolò la questione romana, certamente è un impegno internazionale
fra due sovrani territoriali: l'Italia e la Città del Vaticano.
Ma ciò che in realtà ai “buoni” padri preme affermare è che "La Costituente
non è un'assemblea che interrompa la continuità storica dello Stato, né ha
un potere illimitato da sovvertire le istituzioni esistenti".
A proposito di questo scritto Gaetano Salvemini sulle pagine di “Belfagor”
avrà modo di osservare come allora il Vaticano di papa Pacelli non avesse
affatto rinunciato alla speranza di vedere ristabilita in Italia la monarchia -
una monarchia, beninteso, che fosse braccio secolare della chiesa - e
lavorava a questo scopo attraverso la democrazia cristiana
5
.
Nel momento in cui la maggioranza del popolo italiano sceglieva la
repubblica, le preoccupazioni delle gerarchie ecclesiastiche erano quelle di
non perdere quei vantaggi e quei privilegi che bene o male il fascismo
aveva portato in dono alla chiesa cattolica, con il rischio di tornare a vivere
la trascorsa stagione dei difficili rapporti tra Chiesa e Stato liberale.
5
G. Salvemini, Le voci del cuore, in “Belfagor”, n. 6, 1946, pp. 743-747.
9
Non per nulla proprio il pontefice Pio XI aveva dichiarato pubblicamente
nel '29 che l'accordo dell'11febbraio era stato possibile per via dei negoziati
in segreto tra lui e Mussolini, senza che vi si opponessero "le male volontà
dei liberali"
6
.
Era ben presente il timore di un ritorno ai conflitti del passato che avevano
trovato origine e alimento nel sistema di separazione sancito dalla
dichiarazione di un ministro liberale come il Cavour che, al Parlamento
subalpino del 25 marzo 1861, in base al grande principio “Libera Chiesa in
libero Stato” proclamava la volontà di dare alla Chiesa cattolica:
... quella libertà...chiesta invano da tre secoli a tutte le grandi
potenze cattoliche...per mezzo di concordati...
Cavour mutuava la sua formula dalla raccolta di saggi L'Eglise libre dans
l'Etat libre del francese Montalambert che negli anni intorno al 1830 aveva
partecipato con uomini come il Lamennais e il Lacordaire al famoso
movimento dell'Avenir per reagire al Concordato napoleonico del 1801,
sostenendo che la libertà di diritto comune è sufficiente alle esigenze della
Chiesa cattolica. A seguito di ciò il Lamennais venne condannato dalla
Chiesa, mentre il Montalembert poté continuare a scrivere, non senza aver
prima compiuto atto di sottomissione alla Chiesa stessa
7
.
6
Ibidem.
7
Cfr. Vezio Crisafulli, I rapporti tra lo Stato e la Chiesa, in “Rinascita”, a. IV, n. 1-2,
1947, p. 14. Il Lamennais ebbe tra i liberali italiani molti simpatizzanti che portarono il
tema della libertà d’insegnamento nelle aule parlamentari e sulle principali riviste che
animarono il dibattito nel corso del nostro Risorgimento, tra loro: Lambruschini,
Gioberti, Cavour, Balbo, Farini, Berti e Spaventa.
10
Alla dichiarazione di "Libera Chiesa in libero Stato" fa storicamente da
corollario, nell'ambito della scuola, il principio desanctisiano della libertà
della scienza e dei suoi insegnamenti
8
.
In Italia le discussioni intorno alla libertà d'insegnamento hanno inizio nel
1848, quando dal Parlamento subalpino viene promulgata la legge
Boncompagni con lo scopo di mettere sotto il diretto controllo del governo
ogni ordine e grado dell'istruzione, un modo con il quale, al pari di molti
altri Stati, anche quello piemontese riteneva di poter rafforzare le proprie
strutture.
Si tratta del primo provvedimento legislativo che in Italia pubblicizza
inequivocabilmente la scuola definendo e ordinando l’istruzione come
ufficio civile dello Stato. Emanata il 4 ottobre del 1848, sebbene non fosse
innovatrice sotto il profilo didattico rispetto all’ordinamento scolastico già
vigente nel Lombardo-Veneto, essa tuttavia venne a rivestire una grande
importanza morale e politica perché fu la prima legge di pubblicizzazione
della scuola voluta e deliberata autonomamente da un autonomo Stato
italiano. La pubblicizzazione della scuola nel Lombardo-Veneto era stata
importata dall’Impero d’Austria che l’applicava, necessariamente con i
limiti impostigli dalle esigenze del suo dominio politico, in terra e su
popolazioni italiane. La legge Boncompagni ebbe un grande sviluppo fino a
risolversi e ad ampliarsi nella legge Casati del 13 novembre 1959.
8
Cfr. M.A. Manacorda, Educazione Scuola e Costituzione, Editrice Universitaria La
Goliardica, Roma 1991.
11
Mentre l’ordinamento scolastico vigente nel Lombardo- Veneto entrò
progressivamente in crisi a causa del Concordato che l’Impero austriaco
stipulò con la Santa Sede nel 1855 e che segnò un arretramento delle
posizioni d’autonomia di quello Stato in materia scolastica
9
.
Luciano Pazzaglia mette in guardia dal compiere l'errore di ritenere la
Boncompagni come una legge di radicale rottura rispetto alla situazione di
privilegio di cui nel campo dell'istruzione la Chiesa da lungo tempo godeva,
in essa, infatti, si continuava non solo a riconoscere l’insegnamento della
religione e l'autorità del direttore spirituale, ma anche a porre il valore della
dottrina cristiana alla base di ogni insegnamento
10
.
Tuttavia una legge, che metteva lo Stato nelle condizioni di avere una
scuola sua e di sottoporre l'insegnamento privato alla vigilanza del
Ministero della Pubblica Istruzione, non poteva che risultare poco gradita
alla Chiesa, in particolare per le non indifferenti limitazioni che le
comportava, non fu quindi un caso la protesta di Pio IX contro uno Stato
cattolico che aveva deciso di affidare la direzione di tutte le scuole, ad
eccezione dei seminari episcopali, al Ministero e alle autorità da esso
9
Per un primo orientamento sulla questione della libertà d’insegnamento, così come si è
andata sviluppando nel corso della storia dell’Italia unita e oltre, cfr., tra gli altri, P.
Scoppola, Aspetti del dibattito sulla politica scolastica, in: Coscienza religiosa e
democrazia nell’Italia contemporanea, Il Mulino, Bologna 1966, pp. 93-109, U.
Pototschnig, Insegnamento (libertà di), in Enciclopedia del diritto, vol. XXI, Giuffrè,
Milano 1971, pp. 721-751; A. Talamanca, Libertà della scuola e libertà nella scuola,
Cedam, Padova 1975; A. Marongiu, Lo Stato moderno e la libertà della scuola, Le
Monnier, Firenze 1959; S. Valitutti (a cura di), Scuola pubblica e privata, Editori
Laterza, Bari 1965, R. Berardi, Scuola e politica nel Risorgimento, Paravia, Torino
1982. Sull’istituzione del ministero della P.I. nel regno di Sardegna per opera di Carlo
Alberto, con lettera regia del 30 novembre 1847 a cui, un anno dopo, il 4 ottobre 1848,
farà seguito la legge Boncompagni, si veda G. Inzerillo, Storia della politica scolastica
in Italia, Editori Riuniti, Roma 1974, pp. 33-34 e la bibliografia in nota alle pagine.
10
L. Pazzaglia, La libertà d’insegnamento nell’impegno politico-scolastico del
movimento cattolico, in Cirse, Problemi e momenti di storia della scuola e
dell’educazione, Atti del 1° Convegno nazionale, Parma 23-24 ottobre 1981, ETS, Pisa
1982, p. 146.
12
dipendenti con l'esclusione dell'intervento dell'autorità ecclesiastica persino
nella designazione dei maestri obbligati a farsi carico anche dell'istruzione
religiosa o nella scelta dei direttori spirituali.
“Della libertà d’insegnamento s’era discusso con qualche interesse in Italia
– scriveva Gentile – intorno al 1840”
11
come riflesso delle polemiche
sviluppate in Francia dopo la Rivoluzione di luglio, contro il monopolio
della università napoleonica. Gli ambienti liberali erano tra i più interessati
alla questione. Lambruschini, Bufalini, Cavour colsero il senso religioso e
politico della polemica che investiva, con più ampie dimensioni, il rapporto
tra Stato e potestà religiosa nel momento in cui la coscienza del diritto
pubblico europea ed italiana andava sempre più chiarendo il posto che
questo avrebbe dovuto assumere verso l’istruzione pubblica
12
.
La legge francese Falloux del 1850 (anche per la parte che vi ebbe Victor
Cousin) ebbe da noi ripercussioni che influenzarono notevolmente le scelte
e contribuirono alla comprensione del problema, anche se ne turbarono la
soluzione dal punto di vista delle prevalenti ragioni pedagogiche. Si fece
strada negli ambienti liberali la convinzione che la via migliore fosse la
distinzione tra scuole pubbliche e scuole libere, pur se legate da un rapporto
di leale concorrenza
13
.
11
B. Spaventa, La libertà d’insegnamento. Una polemica di settant’anni fa, con una
introduzione, appendice e note di Giovanni Gentile, Vallecchi, Firenze 1922.
12
Per quanto concerne le polemiche cui diede luogo il problema della libertà
d’insegnamento si veda anche l’interessantissimo volume di L. Volpicelli, La scuola tra
Stato e Chiesa, Armando, Roma 1961.
13
Cfr.: S. Valitutti, op. cit., pp. 132-133. Falloux, Frédéric-Alfred-Pierre, conte di
(Angers, 1811-Parigi,1886), fu scrittore e uomo politico, rigidimante cattolico. Eletto
ministro della Pubblica Istruzione (per 10 mesi, tra il 1848 e il 1849) elaborò la legge
che va sotto il suo nome, che sanciva il principio di libertà nel pubblico insegnamento.
Dopo il colpo di Stato del 1851 si ritirò dalla vita politica e attese ai suoi studi storici.
Cousin Victor, (Parigi, 1792-Cannes, 1867), filosofo, dopo la rivoluzione di luglio
(1830) fece parte del consiglio della pubblica istruzione. Fu direttore della Scuola
normale e sotto il ministero del Thiers divenne ministro della Pubblica Istruzione.